La presente ricerca sull'edificante in Kierkegaard comincia con una prima sezione: Kierkegaard nel contesto teologico-filosofico della sua epoca, divisa a sua volta in due parti. La prima parte (Kierkegaard, i suoi contemporanei e l'hegelismo a Copenaghen) intende inserire l'autore danese nel suo tempo, inquadrando la situazione storica, economica, politica e filosofica della Danimarca nella prima metà dell'Ottocento, mettendo in evidenza i caratteri del forte risveglio culturale, intellettuale e artistico di quel periodo che va sotto il nome di "Età dell'oro"[Guldalderen]. Questa prima parte si prefigge fondamentalmente l'obiettivo di esporre il rapporto tra Kierkegaard e il pensiero speculativo idealista nella Danimarca della prima metà dell'Ottocento. Al fine di inserire il Filosofo danese nel contesto filosofico a lui contemporaneo, ho ritenuto opportuno dare un cenno alle lezioni berlinesi di Schelling del 1841-42 sulla Filosofia della Rivelazione, a cui anche Kierkegaard prese parte, e alla ricezione danese dell'ultimo Schelling. Ciò è stato utile a chiarire il secondo irrinunciabile tema kierkegaardiano - l'anti-hegelismo -1, a partire dall'acquisizione, quanto più puntuale, dei luoghi emblematici in cui il pensiero di Hegel, sempre citato ed utilizzato e contrario da Kierkegaard, manifesta i propri nodi concettuali e tematici, in relazione ai temi della ricerca. A questi luoghi sono stati argomentativamente affiancati i temi tipici dell'opera kierkegaardiana al fine di verificarne la portata non solo polemica ma prettamente filosofica. La seconda parte: Kierkegaard e il pietismo, si pone l'obiettivo di inserire il Filosofo nel contesto teologico protestante dell'epoca, nello specifico il pietismo, al quale egli venne formato. Si è in proposito sottolineato il suo atteggiamento duplice, ma non ambiguo, nei confronti di quel movimento religioso, in quanto, se da unaparte egli lo considera «la sola forma logica del Cristianesimo», dall'altra ne prende le distanze sottolineando di non aver mai « nel più lontano dei modi, dato a vedere né fatto tentativo alcuno di voler portare la faccenda fino al pietismo o al rigore pietistico». E benché il Filosofo ribadisse, ad ogni prefazione dei suoi Discorsi edificanti, di non voler essere un prosecutore della tradizione pietista, di non averne neppure l'autorità [Myndighed], tuttavia non è possibile non scorgere la continuità che il Danese stabilisce con essa, nella sua forma espositiva di "genere di letteratura di edificazione", genere che in ambito pietista aveva avuto un nuovo impulso con i Quattro libri sul vero cristianesimo di Johann Arndt2, nei confronti del quale Kierkegaard si rivolgeva con un tale rispetto e una tale venerazione da attribuirgli l'appellativo di «vera autorità». Segue la sezione seconda: L'edificante in Kierkegaard, nel quale si intende presentare la categoria dell'edificante nei suoi caratteri generali, attraverso una serrata analisi testuale degli Opbyggelige Taler. L'obiettivo è di spiegare la semantica del termine «op-bygge» nel contesto kierkegaardiano e di determinare la centralità dei discorsi edificanti all'interno della dimensione etico-religiosa della produzione del filosofo. Se l'edificazione va intesa fondamentalmente come ricerca di una verità soggettiva e interiore e se Kierkegaard esplicitamente nega che i suoi discorsi appartengono alla letteratura di edificazione, ciò può significare che essi acquistano rilievo, innanzitutto, nella dimensione filosofica, come anche Heidegger3, in Essere e tempo, ha sottolineato. Si tratta cioè di indagare su una verità – la verità che edifica - ma imboccando il sentiero opposto a quello della pura e fredda speculazione, andando in direzione dell'esistere, alla ricerca di unaverità che sia soggettività, interiorità. Bisogna cominciare dal conoscere se stessi, far proprio l'insegnamento socratico del gnòthi seautòn, indagando, non su una verità che uno speculante conosce -una verità «di approssimazione»[Anskuelse] - ma, socraticamente, su quella verità di cui l'esistente va alla ricerca, la verità di «appropriazione» [Tilegnelse]. I discorsi edificanti non sono, dunque, secondo le parole di Hegel, «ciò da cui la filosofia deve ben guardarsi»4, bensì – come sottolinea Kierkegaard - «lungi dall'essere un narcotico che addormenta, l'edificante è l'amen dello spirito temporale ed un aspetto della conoscenza che non è lecito trascurare»5. Nella terza sezione: "Soggettività e temporalità nell'edificazione kierkegaardiana", la ricerca si propone di sviluppare i nodi tematici ottenuti attraverso l'analisi testuale, condotta nella sezione precedente, per un discorso filosofico che abbia i suoi capisaldi nei tre concetti di Soggetto [Subjekt], Tempo [Tidslighed] ed Eterno [Evighed]. Infatti, il Soggetto è, oggi, in molti ambiti della filosofia contemporanea identificato con la sua stessa apertura ermeneutica alla verità, non tanto come luogo o spazio dove attingere "il vero", ma come "tempo" vivendo il quale soltanto è possibile maturare una relazione con l'Eterno. Bisogna pur sempre muovere dalle tracce che l'Eternità, dandosi nel tempo, offre di sé al finito in termini di rivelazione. E, d'altro canto, non sembra che né Hegel né l'idealismo speculativo a lui ostile (si pensi agli studi di Schelling sulla Filosofia della Rivelazione) abbiano cercato di rimuovere la filosoficità della Rivelazione nella storia e nella storia del pensiero, non tanto come "scrittura" o "verbo divino", cui in qualche modo relazionarsi come ad una Legge, quanto come dipanarsi di un "vero", di una "idea" che si fa storia, rivelandosi, appunto, nel fluire del tempo. Per questo, il Soggetto, come "apertura ermeneutica alla verità", e l'Eterno, comedisponibilità storica alla rivelazione, sono i due poli entro cui è possibile fondare una nuova categoria di tempo, e, infine, di etica. Qui l'Edificante di Kierkegaard si muove all'interno di un mondo contemporaneo interessato alla filosofia come cifra della qualità della "persona", e, quindi, del suo modo di tessere rapporti con gli altri, con la storia, la morale, le leggi, il bene, che è poi il volto etico dell'Eterno nella storia. Gli sviluppi tematici del nodo soggetto/tempo/eterno, letti più sul crinale della temporalità soggettiva, e quindi a parte homini, piuttosto che in chiave di metafisica rivelativa o fenomenologica, a parte Dei, ben rispecchiano la specificità dell'edificante kierkegaardiano che, pur tra nodi assai aggrovigliati, cerca di muovere il suo passo alla ricerca di quella purezza del cuore [Hjertets Reenhed], che viene identificata con una performazione della volontà (la purezza del cuore è volere una cosa sola) [Hjertets Reenhed er at ville Eet] che è la scelta: «Essendo la scelta intrapresa con tutta l'interiorità della personalità, egli arriverà ad essere purificato dentro di sé e, come tale, messo in un immediato rapporto con quella potenza eterna che, onnipresente, imbeve l'intera esistenza. Tale trasfigurazione, tale più alta consacrazione mai raggiunge colui che non sceglie che esteticamente»6. Inoltre, chi riesce a scegliere, a performare la propria volontà nella direzione della purezza, "vuole una cosa sola", ovvero "vuole il bene" (I Sandhed at ville Eet kan saaledes kun betyde at ville det Gode/In verità, volere una cosa sola può solo significare volere il Bene). Il Soggetto che sceglie, che "decide", che mette in gioco tutto il proprio "se stesso" per volere, unicamente, quella cosa che è il bene, agisce in base ad una categoria centrale della filosofia morale: il dovere. Nell'evolversi dell'edificante, in Kierkegaard, il tema della doppiezza d'animo [Tvesindheden] viene, senza mezzi termini, contrapposto a quello dell'unità del bene. È, infatti, "quel" dovere di "volere una cosa sola" a rendere possibile la relazione tra Soggetto ed Eterno e a costruire il fondamento di un'etica che, ancor prima che aprirsi a una dimensione teologica, trova una immediata ricaduta sul piano antropologico. L'Eterno cristiano, infatti, non potendosiconsiderare "momento" in prospettiva logica, né semplice "al di là" in prospettiva metafisica, compiendo – per altro – la sua rivelazione in "modalità" anomale anche per le categorie classiche della teologia, si è fatto tempo, carne, storia, vita, e persino morte. Volere "quella" sola cosa, pur se il cuore ha in sé doppiezze d'animo che vorrebbero evadere dal dovere, è secondo Kierkegaard, la sfida di ogni cristiano che "vuol diventar cristiano".
Die unternehmensinterne Kommunikation (IK) ist ein brisantes Thema, das bereits aus vielen Perspektiven heraus beleuchtet wurde. Trotz zahlreicher wissenschaftlicher Bemühungen sich dem Thema anzunehmen, ist bei vielen Mitarbeitern von Unternehmen bis heute eine Unzufriedenheit mit der nach innen gerichteten Kommunikationspolitik der Arbeitgeber zu beobachten. Diese lässt eine mangelnde gegenseitige Bezugnahme von Theorie und Praxis vermuten. In der vorliegenden Arbeit wird zunächst untersucht, was genau sich hinter dem "Modewort" Kommunikation verbirgt. Dabei werden verschiedene Kommunikationsmodelle vorgestellt, die Hinweise darauf liefern, welche Aspekte beim Entwurf einer zeitgemäßen Kommunikationsauslegung zu berücksichtigen sind. Basierend auf den so gewonnenen Erkenntnissen wird ein eigenes Begriffsverständnis abgeleitet, das darum bemüht ist, der hohen Komplexität des Phänomens gerecht zu werden. Hervorzuheben ist dabei, dass Kommunikation immer gleichzeitig einen äußerlichen und einen innerlichen Prozess beschreibt, der es schwierig macht, diesen zu planen bzw. dessen Wirkung vorauszusagen. Wie gleich zu Beginn der Abhandlung erkennbar wird, weisen eine Reihe von Entwicklungen innerhalb von Unternehmen sowie in deren Umfeld auf die Notwendigkeit hin, dass es auch im internen Kommunikationsbereich zu Veränderungen kommt, die den sich wandelnden Rahmenbedingungen der Informationsprozessierung Rechnung tragen. Hervorzuheben sind in diesem Zusammenhang insbesondere "neue" Organisationsstrukturen, veränderte Ansprüche von Mitarbeitern an die IK und die Durchdringung dieser mit immer neuen Medien. Diese drei grundsätzlichen Tendenzen stehen in direkter Verbindung zueinander und stellen Unternehmen -genau wie ihre Mitarbeiter- vor neue Herausforderungen. Zunächst wird der Medienbegriff näher untersucht, um ein für den Kommunikationskontext sinnvolles Medienverständnis zu formulieren. Medien werden hier als Hilfsinstanz im Kommunikationsprozess verstanden, die es erlaubt, Informationen auch über räumliche und/oder zeitliche Distanzen hinweg zu verbreiten. Eben diese Errungenschaften der Medien bergen gleichzeitig eine Reihe von Risiken, die nicht zuletzt auch den Erfolg von Kommunikation betreffen, der im internen Unternehmensbezug vor allem darin zu sehen ist, dass beim Empfänger von Informationen eine intendierte Reaktion erfolgt. Diese kann sich in einem bestimmten Verhalten, aber auch veränderten Ansichten und Einstellungen des Rezipienten niederschlagen. Da der Medieneinsatz im Rahmen der IK zunehmend an Bedeutung gewinnt, muss diesem Aspekt besondere Aufmerksamkeit zukommen. Wie unter Rückgriff auf verschiedene Kommunikationsmodelle deutlich gemacht wird, kommt es durch die medienbedingte strukturelle Veränderung der Kommunikation zu einer Reihe von Effekten, die meist mit Restriktionen verbunden sind. Sowohl Informations- als auch Kanalvielfalt werden häufig eingeschränkt und führen zu einer veränderten Kommunikationssituation. Für die Akteure bedeutet dies, dass sie mit einem reduzierten Kommunikationsdesign konfrontiert sind, da besonders nonverbale Informationen nicht selten herausgefiltert werden und/oder die Möglichkeit zur direkten Interaktion eingeschränkt wird. Gerade diese für persönliche Kontakte typischen Merkmale sind jedoch von großer Bedeutung für den Kommunikationserfolg. Das Ziel dieser Arbeit ist folglich, zielführende Mittel und Wege auszuloten, die eben beschriebene Defizite medialer Kontakte ausgleichen können und ihre Potentiale voll nutzbar machen. Eine wichtige Rolle spielen in diesem Zusammenhang die verschiedenen Koordinationsweisen von Unternehmen, die weitgehend auch für Kommunikationsprozesse Gültigkeit besitzen. Durch eine Untersuchung und Gegenüberstellung der einzelnen Koordinationsmechanismen wird deutlich, dass besonders solche bei der Abstimmung zwischenmenschlicher Informationsprozesse viel versprechend sind, die auf Beziehungen gestützt sind, also auf freiwilliger Basis ent- und fortbestehen. Kultur und Vertrauen als Repräsentanten dieser Kategorie werden besonders in jüngerer Zeit immer häufiger von der Organisationswissenschaft aufgegriffen. Sie haben im Vergleich zur zweiten identifizierten Gruppe der autoritätsbasierten Koordinationsweisen (z.B. Anweisungen, Regeln) den Vorteil, einen hohen Grad an Allgemeingültigkeit aufzuweisen, auch wenn dazu eine gewisse Vorlaufzeit zur Sammlung gemeinsamer Erfahrungen nötig ist. Eine ausgeprägte Allgemeingültigkeit ist in der Kommunikation deshalb unentbehrlich, weil eine Vielfalt situationsabhängiger Kontextvariablen das Geschehen bestimmt, von der im konkreten Fall nicht alle einzelnen berücksichtigt werden können, ohne hohen Zeit- und Kostenaufwand zu verursachen. So stellt sich heraus, dass nur der kombinierte Einsatz verschiedener Koordinationsformen wirksam sein kann, wobei Kultur und Vertrauen als beziehungsgeleitete Varianten besondere Betonung finden sollten. Kernpunkt der Dissertation ist deshalb eine Analyse einzelner Komponenten dieser Mechanismen, die unerlässlich ist, um ihre Wirkung im Rahmen der Kommunikationsprozessierung detailliert untersuchen zu können. Hier wird deutlich, dass medienbedingte Informationsdefizite und eingeschränkte Rückkopplungsmöglichkeiten erfolgreich durch eine günstige Ausprägung der verschiedenen Kulturbereiche sowie ein hohes Maß an Vertrauen auf verschiedenen Ebenen ausgeglichen werden können. Auf dem Weg zu einem umfassenden Optimierungskonzept der unternehmensinternen (Medien-)Kommunikation wird als abschließender Schritt ausführlich erläutert, wie sich auf Vertrauen und Kultur als Wegbereiter einer effektiven und effizienten zwischenmenschlichen Kommunikation einwirken lässt. Die diesbezüglich herausgearbeiteten Einflussfaktoren lassen sich zunächst grob in zwei Gruppen unterteilen, von denen die eine als personenbezogene und die andere als zwischenmenschliche Erfolgsdeterminante bezeichnet wird. Es geht hier einerseits um die kommunikationsrelevanten Kompetenzen einzelner Mitarbeiter, die sich auf deren Umgang mit Informationen, Medien sowie anderen Personen beziehen und maßgeblichen Einfluss auf die unternehmensinterne Lage von Vertrauen und Kultur in seinen unterschiedlichen Dimensionen üben. Andererseits sind es die im Rahmen der verschiedenen unternehmensinternen Informationsflussrichtungen erkennbaren Kommunikationsbereiche, die ihrerseits einen wichtigen Beitrag zur gezielten Förderung eines ertragreichen Miteinanders leisten. An dieser Stelle kristallisieren sich vielseitige Wirkungszusammenhänge heraus, die in der Arbeit ausführlich dargelegt werden. Zusammenfassend ist festzuhalten, dass Kommunikation im aufgegriffenen Themenkontext gleichzeitig als wichtiger Erfolgsfaktor und anvisierte Zielgröße in Erscheinung tritt, woran deutlich wird, dass Informationsprozesse in gewisser Weise sowohl das Mittel als auch den Zweck der herausgearbeiteten Optimierungsstrategie darstellen. Festzuhalten ist, dass Kommunikationsprozesse unter besonderer Berücksichtigung des verstärkten medialen Einflusses nur auf der Basis gesunder Beziehungen im Unternehmen gleichzeitig rational als auch effektiv sein können. Interne Beziehungen hängen ihrerseits von den Kompetenzen einzelner Mitarbeiter und dem reibungslosen Informationsfluss sowohl in vertikaler als auch horizontaler Richtung ab. Der Fokus bei der Organisation der IK muss folglich auf der Ausgestaltung günstiger Rahmenbedingungen bzw. Voraussetzungen als Grundlage für erfolgreiche Informationsprozesse liegen, während konkrete Einzelfallregelungen und Anweisungen auf diesem Gebiet eine eher untergeordnete Rolle spielen, da diese Mechanismen die hier auftretenden Problemstellungen nur unzureichend aufgreifen. ; Internal communication is more than ever an important topic that has a great influence on the success of companies. Despite the many scientific attempts to find promising solutions for communication problems, many employees obviously are still dissatisfied about the way how employers handle internal communication politics. It is first of all important to point out that communication is a very complex process. This remark gives an idea of how difficult it is to predict the reaction of others when they receive information. Communication is an activity, which itself consists of different processes, taking place outside and inside the involved people. Several developments show how dynamic and important the internal communication (here defined as an interpersonal information process) is today: Changes in organizational structures, new roles and demands of employees, and the use of several communication technologies shape new challenges for companies and their employees. A medium can be defined as a carrier for information, allowing to transfer communication content from one person to another, even if people do not interact directly from face to face. This medium given opportunity expands communication action in a temporal and local dimension on the one hand. On the other hand, the use of information technology causes some specific risks. While media applications allow cost and time savings and thereby lead to a more efficient communication, the effectiveness of the process is endangered at the same time. By filtering out non-verbal information, most types of media make it less likely that communication will lead to the desired results. The typical reduction of information and channel variety makes it more difficult for people to achieve their aims, here determined as a modification of the beliefs and (or) the behavior of the recipient(s). The media caused communication impacts are especially important in business, because there are more and more different types of communication technologies present at most working places. Therefore, information processes show a modified structure people need to cope with. Promising methods and instruments must be identified and discussed, showing how the significant changes can be handled. The coordination factors, which are discussed in organizational theories, can also be applied on communication in particular, because the terms behavior and interpersonal communication are used synonymously in several scientific discourses. Culture and trust are cost saving and highly effective coordination instruments in the communication process. Even though rules, instructions, and established standards are also valuable coordination mechanisms under certain circumstances, culture and trust show their strength when there is a need for general effectiveness. In communication, several situational factors shape an individual process context. These specific settings make it impossible to take them up with rules or instructions, because their implementation would cause high costs and a tremendous time effort. Culture and trust are described as relation based coordination mechanisms: They cannot be obtained by force, because they arise from experience. In contrast, rules and instructions are authority based mechanisms of communication coordination: They can be applied very quickly, because even if they are not found reasonable, there is the opportunity to make employees comply through sanctions. Only the combined use of all different types of coordination (culture, trust, instructions, rules etc.) will show the best results in regulating in-house communication, but especially in the long term perspective it is important to put emphasis on the relation based factors: Trust allows to predict the behavior of others in a reliable way, even if information is exchanged through a medium; cultural values give an idea of how limited communication content needs to be understood in the right, intended way. In consequence, people can give up control and get "co-orientation", what eases acting together with a common purpose in mind, even if face-to-face contacts are not possible. Furthermore, culture and trust do not need to be adjusted over and over again to fit an always changing communication context. After the different components of trust and culture are introduced, the two relation based coordination mechanisms are applied on the communication process. It is discussed how these principles can be influenced in a positive, effective way. Two factors should be considered to reach this aim: One is characterized by the different information flows within organizations, summing up for the communication structure. The structure itself consists of one informal/not organized part and another one that is formally organized. Management and employee participation are representatives of the internal, formal communication of organizations. This section, in combination with not organized information processes, form the interpersonal factor of coordination success. To achieve best results, a second determinant of success needs to be discussed: The personal competencies of employees. This aspect refers to the way of how communication relevant abilities can be established, improved, and enduringly maintained. Communication is the means and the end at the same time, because good interpersonal relationships, which can be established by communication, are crucial for the success of media communication in particular. As worked out here, cultural values and trust are promising measures to overcome the typical insecurities and problems of indirect information processing. The organization itself with its unique interpersonal relationships AND its employees with their individual competencies need to be brought into the right condition to support internal cultural values and trust. This is decisive to ensure that communication content will pass through a medium from one person to another in an efficient AND effective way, making the internal communication of companies succeed.
Das neue Medium Fernsehen und die soziale Klasse der Arbeiter bis Mitte der 1970er Jahre: Zuwendung, Bedeutung und Auswirkungen Die Nachkriegszeit nach dem Ende des Zweiten Weltkrieges 1945 bis Mitte der 1970er Jahre stellt sich in der Rückschau der Historiker als das ''Goldene Zeitalter" (Hobsbawm) dar. Es ist geprägt von einem ungewöhnlichen wirtschaftlichen Aufschwung, von Vollbeschäftigung und einem zunehmenden Wohlstand auch für Angehörige der sozialen Klasse der Arbeiter. Mit der Ölkrise von 1973 geht diese Zeit der Prosperität zu Ende, es folgen Jahrzehnte der wirtschaftlichen Krise und zunehmend der Umbau der Weltökonomie unter dem Begriff der ''Globalisierung". In dieses ''Goldene Zeitalter" fällt der Aufstieg und die massenhafte Verbreitung eines neuen Mediums des Fernsehens. Innerhalb weniger Jahre erwerben Millionen von Haushalten in den meisten Industrieländern ein Empfangsgerät und spätestens Mitte der 1970er Jahre ist die Vollversorgung erreicht. Ab den 1980er Jahren wandeln sich aufgrund technologischer und ordnungspolitischer Neuerungen die Mediensysteme ein Wandel, dem epochale Qualität zugeschrieben wird. Das neue Medium Fernsehen zeichnet sich durch eine Reihe von sozial relevanten Eigenschaften aus, die es z.B. mit dem Rundfunk teilt und die es z.B. vom Kinofilm unterscheidet: Es ist rezipierbar in der Privatheit der eigenen Wohnung, es ist im Prinzip ständig verfügbar und die Zugangskosten sind nach Anschaffung eines Empfangsgerätes gering. Das neue Medium Fernsehen zeichnet sich aber vor allem mit Meyrowitz durch die Veränderung des Zugangs zu Wissen (hier umfassend verstanden als all die Inhalte menschlichen Denkens) aus. Es führt vormals getrennte Informationswelten zusammen und überwindet somit soziale Barrieren, die bislang den Zugang zu Wissen bzw. Orten verhindert haben. Für die unterprivilegierten Klassen bedeutet dies auch den virtuellen Zugang zu Lebenswelten sozialer Klassen, die ih nen bisher aufgrund ihrer sozialen Lage weitgehend verschlossen blieben. Fernsehen überwindet so virtuell soziale Grenzen. Die Angehörigen von unterprivilegierten Klassen sind es vor allem auch, in deren Leben das Fernsehen eine bedeutende Rolle einnimmt. Die ''Fernsehbedürftigen (Glick/Levy) konzentrieren sich in den mittleren und unteren Regionen des Bourdieuschen Sozialraumes, gemessen an Ausstattung mit ökonomischem und kulturellem Kapital. Differenziert man Fernsehzuwendung unter dem Aspekt der sozialen Lage und der Verortung im Bourdieuschen Sozialraum, so ergibt sich für den Untersuchungszeitraum folgendes Bild: Die ersten Besitzer von Fernsehgeräten in der Anfangsphase des Mediums rekrutieren sich vor allem aus den höheren Regionen des sozialen Raumes. Sie verfügen über ein hohes Einkommen und über hohe Bildung. Nach dieser Anfangsphase verbreitet sich das Fernsehen rasch in den Haushalten von Angestellten und Arbeitern und wird zu einem Massenkonsumgut. Das Einkommen ist bis zur Vollversorgung der Haushalte ein Maß für die Ausstattung mit einem Fernsehgerät. Je geringer das Einkommen, desto geringer der Anteil der Gerätebesitzer. Die meisten Gerätebesitzer finden sich in mittleren und höheren Einkommenslagen. Ab einer gewissen Einkommenshöhe jedoch stagniert der Besitz an Fernsehge räten. Eine Reihe von DetailStudien, die neben dem Einkommen auch Bildung berücksichtigen respektive auf Schichtungsmodelle abheben, zeigen eine inverse Beziehung zwischen hohem sozioökonomischen Status und dem Besitz eines Fernsehgerätes. Wurde das Medium zum Massenkonsumgut, so setzte sich in jenem Segment der Gesellschaft, das sowohl über hohes ökonomisches Kapital als auch hohes kulturelles Kapital verfügte, ein Distinktionsprozess ein, Fernsehen wurde als Zeichen für schlechten Geschmack empfunden. Auf der anderen Seite weist eine Abnahme des Gerätebesitzes mit sinkendem Einkommen nicht unbedingt auf eine geringere Fernsehbedürftigkeit hin: Fernsehen wurde in der Anfangsphase des Mediums von vielen Nichtgerätebesitzern auch in öffentlichen Räumen (Gaststätten) oder bei Freunden und Verwandten rezipiert. Bezüglich der Arbeiterhaushalte in der Bundesrepublik zeigt sich, dass sie ab 1962 geringfügig besser mit Empfangsgeräten ausgestattet sind als Angestelltenhaushalte. Dies gilt auch für untere Einkommen. Dieser Versorgungsgrad stellt für Arbeiter jedoch eine Ausnahme dar: Ansonsten sind sie hinsichtlich der Ausstattung mit langlebigen Gebrauchsgütern schlechter gestellt als Angestelltenhaushalte. Die täglich verbrachte Zeit vor dem Fernseher korrespondiert mit der sozialen Lage: Arbeiter sehen mehr fern als Angestellte. Die Einstellung zum Medium Fernsehen korrespondiert ebenfalls mit der sozialen Lage: Einer geringen Ausstattung mit ökonomischem und kulturellem Kapital entspricht eine eher bejahenden Einstellung, ein hoher sozioökonomischer Status entspricht eher einer kritischen Einstellung. Arbeiter bevorzugen mehr populäre Sendungen. In der Mehrzahl dieser Sendungen kommen Arbeiter als Protagonisten und ihre Lebenswelt kaum vor. Diese Befunde lassen sich sich als eine klassenspezifische Fernsehzuwendung der Arbeiter intepretieren: In der Bundesrepublik sind die Arbeiterhaushalte ab 1962 quer durch alle Einkommensgruppen besser mit Fernsehgeräten ausgestattet als z.B. Angestelltenhaushalte, dafür aber stellen Arbeiter die Anschaffung anderer langlebiger Gebrauchsgüter zurück. Die subjektiv hohe Bedeutung des Fernsehens für Arbeiter scheint in dieser Wahl auf. Arbeiter nutzen auch das Fernsehen zeitlich mehr als Angestellte und sie stehen dem Medium positiver gegenüber. Die Lebensbedingungen der Arbeiter sind im Untersuchungszeitraum von Grenzen bestimmt, die um das zentrale Moment der Lohnarbeit herum gruppiert, den Raum der Lebensmöglichkeiten auf ein spezifisches Maß reduzieren. Dieses Maß äußert sich als eine im Vergleich zu Angestellten, Beamten und Selbständigen mindere Ausstattung mit Ressourcen, mit Kapitalarten im Sinne Bourdieus. So ist ein generelles Merkmal der Lebensbedingungen der Angehörigen der sozialen Klasse der Arbeiter die Minderausstattung mit Wissen. Der Zugang zu formaler höherer Schulbildung ist durch ''unsichtbare" Klassenschranken erschwert. Dazu zählen neben geringen finanziellen Ressourcen auch eine ''soziale und affektive Distanz" zur bürgerlichen Welt jenseits der eigenen Arbeiterexistenz, die kaum bekannt ist und in der der Arbeiterhabitus sich als Hemmnis erweist. So bleibt der Zugang zu höherer Schulbildung, in der Bundesrepublik zumindest bis zur Öffnung des Bildungssystems Ende der 1960er Jahre, nur wenigen vorbehalten. Arbeiterkinder an den Universitäten sind die Außnahme von der Regel und sie sind Grenzgänger zwischen zwei sozialen Welten: ''Die eine seiner Welten ist tot, und doch ist er ohnmächtig, die andere zu gewinnen." Ein weiteres Merkmal der Arbeiterexistenz ist die Verortung der Arbeiter im physischen Raum als Widerspiegelung der Verortung im sozialen Raum. Die von den Arbeitern sich selbst zugeschriebene soziale Position des ''unten" findet seine Entsprechung in der Positionierung innerhalb der räumlichen Struktur der Produktion: Unten das ist konkret auch die Fabrikhalle, über die sich die Verwaltungsetagen erheben. In der Topographie des öffentlichen Raumes sind die Arbeiter an bestimmte Orte gebunden: Das Arbeiterviertel, Wohnungen des sozialen Wohnungsbaus, bestimmten Freizeiteinrichtungen wie das Fußballstation etc. Diese habituelle und gesellschaftlich konstituierte Gebundenheit läßt den Arbeiter selten aus seinem Verkehrskreis heraus und in gleichgestellten Kontak mit Angehörigen anderer sozialer Klassen treten. In der privaten Sphäre ist die Aneignungsmöglichkeit von Raum durch die finanziellen Ressourcen bestimmt: Arbeiterhaushalte sind, was Wohnfläche und Wohnungsausstattung betrifft, am häufigsten unterversorgt, Arbeiter wohnen in beengteren Verhältnissen. Neben diese spezifische Aneignungsmöglichkeit von Raum tritt die spezifische Aneignungsmöglichkeit von frei verfügbarer Lebenszeit. Die Ausgestaltung und das Maß dieser frei verfügbaren Zeit ist untrennbar gekoppelt an die Bedingungen der Lohnarbeit und dieses ''Reich des Notwendigen" strahlt aus auf die ''Freizeit". Die Arbeitsbedingungen sind gekennzeichnet durch einen Mangel an Autonomie und Selbstbestimmung, die körperliche Arbeit steht im Vordergrund und bringt Belastungen durch Lärm, Staub, Hitze etc. mit sich. Akkord und Schichtarbeit ist weitverbreitet und Arbeiterfrauen sind der Doppelbelastung von Berufstätigkeit und Haushalt ausgesetzt. Trotz aller Arbeitszeitverkürzung bleibt Zeit für Arbeiter und vor allem für Arbeiterfrauen eine knappe Ressource. Die Freizeit ist vor allem geprägt durch ein spezifisches Regenerationsbedürfnis, in dem die Wiederherstellung der Arbeitskraft einen deutlich höheren Stellenwert einnimmt als bei Angehörigen anderer Berufsgruppen. Diese Charakteristika der Arbeiterexistenz bleiben im wesentlichen bis in die 1970er Jahre hinein bestehen, auch wenn sich im ''Goldenen Zeitalter" die Lebensbedingungen der Arbeiter im Vergleich zur Vorkriegszeit deutlich verbessert haben. Auf der Folie dieser Lebensbedingungen lässt sich die Bedeutung der spezifischen Fernsehzuwendung der Arbeiter rekonstruieren. Fernsehen öffnet zum einen (medial) die Grenzen einer sozialen Klasse, in deren Lebenszusammenhang soziale Grenzen eine alltägliche Erfahrung darstellen und diese schwer zu überwinden sind. Fernsehen zeigt die Welt jenseits der eigenen Arbeiterexistenz und überwindet die Perspektive des ''unten", überwindet das Eingeschlossensein in den eigenen Verkehrskreis und den beschränkten (Erfahrungs)Horizont des Arbeiterviertels und der beengten Wohnung. Der Gebrauchswert von Fernsehen für Arbeiter ist so bedingt durch das Bedürfnis, wenn schon nicht die eigene soziale Lage überwinden zu können, so doch zumindest Anteil an der Welt jenseits der eigenen sozialen Grenzen zu nehmen. Der Gebrauchswert von Fernsehen ergibt sich dann aus seiner Eigenschaft als Medium, den Zugang zu Wissen zu ermöglichen und diese Eigenschaft gewinnt in Hinsicht auf den beschränkten Wissenszugang von Arbeitern eine klassenspezifische Relevanz. Via Bildschirm öffnet sich der Blick auf die Welt jenseits der eigenen sozialen Grenzen und ermöglicht damit die Kompensation von auch subjektiv so empfundenen Einschränkungen der Welterfahrung und Weltaneignung. Verbunden mit diesem Gebrauchswert und im Grunde auch nur für analytische Zwecke zu trennen ist zum anderen der Gebrauchswert des Fernsehens für Arbeiter im Kontext ihrer spezifischen Regenerationsbedürfnisse. Die soziale relevanten Eigenschaften des Fernsehens wie die Plazierung innerhalb der privaten Sphäre der Wohnung, die Verfügbarkeit und die geringen Kosten ergänzen sich durch den ''Fluß der Bil der" (Kracauer) und bieten so ein Medium, das ohne zusätzliche weitere Verausgabung wie Ortswechsel oder soziokulturelle Anstrengungen nach den Belastungen der Produktionsarbeit Entspannung und Erholung bietet. Als Äquivalent zu passiven Tätigkeiten auf niedrigem Aktivitätsniveau wie Dösen oder AusdemFensterSchauen fügt es sich optimal in die Regenerationsbedürfnisse von Arbeitern innerhalb der ''Freizeit" ein. Und der kollektiven Erfahrung einer sozialen Lage, die zwischen Fabrik und Familie, zwischen Produktion und Reproduktion wenig Spielraum für Weltaneignung lässt, entspricht die Zuwendung zu den Produkten der Kulturindustrie, die den Glanz einer vielfältigeren Welt jenseits von Betriebstoren und Wohnküchen anbieten. Arbeiter lassen sich kaum für sogenannte ''Arbeiterfilme" begeistern, die Verdoppelung ihrer tagtäglich erlebten Erfahrungswelt auf dem Bildschirm hat für sie keinen Gebrauchswert. Dem entspricht vielmehr, was schon Hofmannsthal über das Kino der Stummfilmzeit schrieb: Die Suche nach Lebensessenz, nach Bildern, die einem das Leben schuldig bleibt. Für die Angehörigen der sozialen Klasse der Arbeiter lassen sich die Gebrauchswerte von Fernsehen in Bezug auf das Mediennutzungsschema als zu dem kompensatorischen Pol hinneigen interpretieren. Was die soziale Lage und die ihr eingschriebenen sozialen Grenzen an Handlungsmöglichkeiten mindert, erfährt virtuelle Kompensation durch das Medium. Auf diesem Hintergrund wird auch verständlich, warum geht die Frage nach den Auswirkungen dieser spezifischen Fernsehzuwendung durch Arbeiter all das rezipierte Wissen z.B. über die Praktiken der Angehörigen anderer sozialer Klassen sich nicht in den Praktiken der Arbeiter niederschlagen. Denn dieses Wissen, dessen Gebrauchswert aus einer anderen sozialen Realität mit anderen Bedürfnissystemen entspringt, macht innerhalb der klassenspezifischen Handlungsmöglichkeiten der Arbeiter und ihrer Bedürfnissysteme schlicht keinen Sinn der Handlungspol bleibt sozusagen blockiert. Der Arbeiterhabitus bleibt wie empirische Studien aus den 1960er Jahren zeigen auch angesichts eines wachsenden, bis dahin nicht gekannten Wohlstandes des ''Goldenen Zeitalters" und auch angesichts der Rezeption von FernsehWissen, wie zu ergänzen ist, bestehen. Die These von der ''Verbürgerlichung der Arbeiterklasse", auch unter dem Einfluss des Fernsehens wie sie in den 1960er Jahren formuliert wurde, war nicht haltbar, von einer Verbürgerlichung im Sinne der Übernahme von Werten, Praktiken und Einstellungen der Mittelklasse konnte keine Rede sein. Arbeiter gingen auch nicht auf in einer großen Masse der Lohnabhängigen, sondern blieben eine unterscheidbare Großgruppe innerhalb einer Gesellschaft, die sehr wohl soziale Unterschiede kannte und von einer ''Nivellierten Gesellschaft" noch weit entfernt war und ist. Allerdings aber setzte zeitgleich mit der Verbreitung des Fernsehens ein Prozess der Privatisierung der Arbeiter ein, der sich im Rückzug auf die private Sphäre das Heim und die Familie äußerte und in der wesentliche Kompensationsmöglichkeiten für die Zumutungen aus der Arbeitswelt gesucht als auch wesentliche Identitätsbedürfnisse in diese Sphäre verlagert wurden. Diese Bindung des Arbeiters an das Heim ist nicht zuletzt den sozial relevanten Eigenschaften des Mediums Fernsehen zuzuschreiben, das innerhalb der ''eigenen vier Wände" die oben angeführten Gebrauchswertansprüche erfüllte. Das Wohnzimmer in den Arbeiterhaushalten und der darin zentral plazierte Fernsehapparat sind ein Symbol für diese neue Privatheit, die durch die Auflösung ehemals proletarischer Wohn und Nachbarschaftsverhältnisse bestärkt wird. Innerhalb dieser privaten Sphäre öffnen sich auch die relativ autonomen Handlungsmöglichkeiten des Arbeiters lassen sich Gebrauchswertansprüche an das Fernsehwissen der handlungsorientierten Funktion zuschreiben in den Bereichen des Körpers, des Konsums, der Familie und ihnen entspricht die Rezeption populärer Sendung vom Sport über Heimwerkertipps bis hin zur Darstellung menschlicher Schicksale. Von einer ideologischen Intergration der Arbeiter durch Fernsehen kann, zumindest was den Habitus anbetrifft, nicht gesprochen werden. Arbeiter bleiben Arbeiter und übernehmen nicht die Werte und Praktiken der Mittelklassen. Die medienzentrierte und ideologiethematisierende Sicht etwa des materialistischen Ansatzes als auch der frühen cultural studies aber auch die Thesen von einer ''nivellierenden" Wirkung des Fernsehens unterschätzen die Macht materieller Strukturen. Für die Integration der sozialen Klasse der Arbeiter in die Nachkriegsgesellschaft spielen die materiellen Verbesserungen der Lebensverhältnisse im ''goldenen Zeitalter" des Klassenkompromisses (relative Vollbeschäftigung über längere Zeiträume hinweg, erhöhtes Lohnniveau über der Schwelle der Existenzerhaltung, soziale Absicherung, schließlich vermehrte Bildungschancen etc.) eine ungleich größere Rolle als die ideologische Integration durch Massenmedien wie dem Fernsehen. Die Dominanz der materiellen Strukturen zeigt auch der Vergleich der möglichen Auswirkungen der Umwälzung des WissensZuganges durch Fernsehen in den beiden deutschen Staaten. Gegeben, dass mit Meyrowitz und somit auch weitgehend unabhängig von den Inhalten, dem Fernsehen in der DDR und in der Bundesrepublik der gleiche Effekt in Bezug auf einen veränderten WissensZugang zuzuschreiben ist, entwickeln sich die Sozialstrukturen der beiden deutschen Staaten unterschiedlich. Während in der Bundesrepublik die Zahl der Arbeiter abnimmt und sich die soziale Klasse in Teilen modernisiert, zeichnet sich die Sozialstruktur der DDR durch einen nach wie vor hohen Anteil an Arbeitern aus. Die ''pluralistische Klassengesellschaft" der Bundesrepublik zeichnet sich gegenüber der ''blockierten Klassengesellschaft" der DDR durch einen ab den 1960er Jahren stattfindenden Modernisierungsprozess bzw. der ''Öffnung des sozialen Raumes" aus. Diese Öffnung des sozialen Raumes meint u.a. auch eine Modernisierung der Erwerbsstruktur, in dessen Verlauf Berufe zunehmen, zu deren Ausübung ein vermehrter Erwerb von Bildung bzw. kulturellem Kapital erforderlich ist. Von den neuen Bildungs und Berufschancen profitieren vor allem die Kinder der (Fach)Arbeiter und unteren Angestellten. Während in der Bundesrepublik durch die Öffnung des sozialen Raumes Handlungsmöglichkeiten entstehen, in denen das FernsehWissen in kulturelles Kapital gewandelt werden konnte, ist die Sozialstruktur der DDR dadurch gekennzeichnet, dass aufgrund des unterbliebenen Modernisierungsprozesses die Entwicklung hin zu modernisierten Fraktionen der einzelnen Klassen und zu einer modernisierten Mitte unterblieb. FernsehWissen blieb somit aufgrund fehlender Handlungsmöglichkeiten auf der materiellen Ebene ohne Bedeutung. Während in der Bundesrepublik sich Kinder aus Arbeiterhaushalten durch Wechsel in andere Berufspositionen auch in andere Positionen des sozialen Raumes begeben konnten, die soziale Klasse der Arbeiter rein zahlenmäßig schrumpfte und sich in Teilen modernisierte und sich das Fernseh-Wissen sozialstrukturell als prinzipielle Unterstützung dieses Bildungsaufstieges niederschlagen konnte, blieb in der DDR die soziale Klasse der Arbeiter bzw. der Anteil der Bevölkerung mit Arbeiterhabitus als Indikator für eine blockierte Klassengesellschaft vergleichsweise groß. Die Auswirkungen von FernsehWissen zeigen sich somit abhängig von der Eröffnung von Handlungsmöglichkeiten auf der materiellen Ebene hier: die Öffnung des sozialen Raumes in der Bundesrepublik seit den 1960er Jahren und lassen sich als eine Verstärkung von Entwicklungstendenzen des sozialstrukturellen Wandels interpretieren.
2008/2009 ; La ricerca realizzata ha inteso analizzare i principali profili geopolitici e geoeconomici connessi alle dinamiche di sviluppo territoriale, con particolare riferimento ai divari economico-sociali che caratterizzano i differenti sistemi locali ed ai conseguenti elementi di marginalità che ne derivano. L'analisi parte dalla ricognizione e dal conseguente approfondimento delle politiche di coesione territoriale elaborate dalle Istituzioni comunitarie a partire dall'Atto unico europeo e della successiva evoluzione delle stesse a seguito del processo di consolidamento dell'Unione Europea e delle recenti fasi di allargamento della stessa. Nel primo capitolo dopo una breve ricostruzione delle principali fasi che hanno caratterizzato la nascita di una reale e autonoma "politica di coesione europea" (1957-1988), si è proceduto ad una più approfondita analisi delle policy e degli strumenti implementati nei diversi periodi di programmazione comunitaria, con particolare riferimento alle riforme che hanno caratterizzato l'individuazione degli obiettivi prioritari di intervento e la connessa disciplina dei Fondi strutturali. Tale indagine è risultata funzionale a comprendere la rilevanza che le strategie di sviluppo e di governance sovranazionali hanno assunto a livello locale, ma, al contempo, ad evidenziare la complessità della dimensione locale e, dunque, la necessità di prevedere differenti modelli di intervento finalizzati a ridurre i divari di sviluppo che tuttora contraddistinguono i diversi sistemi territoriali nazionali. Una delle problematiche più rilevanti derivanti dalla costituzione e dal successivo allargamento dell'UE, infatti, è stata quella della "coesione economica e sociale", espressione con la quale le Istituzioni comunitarie hanno da sempre inteso la prospettiva di uno sviluppo equilibrato di tutto il territorio europeo. Si tratta di un obiettivo che ha rappresentato una priorità delle politiche comunitarie, trovando il suo fondamento giuridico nel titolo XVII del Trattato istitutivo della CEE e, in particolare, nell'art. 158, il cui disposto prevede che la Comunità "mira a ridurre il divario fra le diverse regioni e il ritardo delle regioni meno favorite". Dalla lettura di tale enunciato derivava l'obbligo per gli Stati membri di partecipare attivamente allo sviluppo equilibrato del territorio comunitario, mentre la Comunità europea doveva contribuire alla realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzazione coordinata dei diversi fondi e strumenti finanziari disponibili. Soltanto nei primi anni '70, però, ci si rese conto che la persistenza di divari di sviluppo tra le diverse regioni costituiva un effettivo ostacolo al processo di integrazione economica, evidenziandosi la necessità di un'azione comune per correggere i persistenti squilibri. La nuova politica regionale europea si sostanziò, soprattutto, nella elaborazione di programmi di sviluppo contenenti analisi socioeconomiche, nella individuazione di obiettivi prioritari di intervento, nell'adozione di strumenti finanziari strutturali che, nel loro insieme, hanno rappresentato gli elementi fondanti dell'attuale politica di coesione, anche se sono state introdotte nel tempo importanti riforme conseguenti alle nuove esigenze emergenti dalle rilevanti modifiche che negli ultimi decenni hanno interessato i principali profili economici e sociali dei Paesi europei. Nei processi decisionali che hanno portato all'ultimo allargamento dell'UE, infatti, le problematiche legate alla coesione territoriale, già presenti nell'ambito dell' "Europa dei 15", hanno assunto un peso ancor più significativo, non solo per i profondi divari di sviluppo esistenti tra i Paesi dell'Unione ed i "nuovi" Stati membri, ma anche per le implicazioni di natura più strettamente territoriale, riguardanti l'ampliamento delle distanze, l'articolazione di una nuova rete di centri urbani, l'organizzazione e l'assetto di territori caratterizzati da vocazioni ambientali ed economiche differenti. Le attuali dinamiche esistenti tra "aree forti" e "aree deboli" dell'UE, dunque, sono destinate ad avviare la ricerca di nuovi equilibri, nei quali la capacità competitiva delle diverse regioni dovrà misurarsi con prospettive più ampie e complesse. Tali esigenze hanno portato ad una sostanziale riforma della politica regionale dell'Unione e, conseguentemente, ad una nuova impostazione dei Fondi strutturali, nonché all'individuazione di nuovi obiettivi prioritari per il periodo 2007-2013, anche al fine di agevolare la concreta realizzazione della "strategia di Lisbona". In tale contesto, particolare rilievo assumono il tema della "perifericità" (fisica ed economica) di alcuni territori europei, quello della ricerca e dell'innovazione tecnologica, quello del trasferimento di know-how e, più in generale, quello della coesione economica e sociale funzionale a valorizzare i sistemi territoriali in una prospettiva di competitività. La stretta correlazione e la necessaria integrazione tra le politiche sovranazionali e i modelli interni di intervento implementati dai singoli Stati hanno portato, nel secondo capitolo del presente lavoro, ad approfondire gli strumenti adottati in Italia per sostenere le aree in ritardo di sviluppo e pervenire ad una maggiore coesione economica e sociale del territorio nazionale. In fase di recepimento e adeguamento delle politiche comunitarie alle specificità territoriali che contraddistinguono il sistema-paese, il Quadro Strategico Nazionale elaborato dall'Italia, negoziato con le Istituzioni comunitarie e approvato dalla Commissione europea il 13 luglio 2007, ha previsto (tra l'altro) strumenti specifici di intervento volti alla riduzione dei divari "interni" di sviluppo, con particolare riferimento alla "politica regionale unitaria". In particolare, tale politica prevede il rafforzamento di strategie di governance territoriale multilivello (centrale, regionale e locale), al fine di intervenire con maggiore efficacia nella complessa struttura nazionale "coniugando il momento locale, per promuovere l'intermediazione delle conoscenze necessarie alla produzione di beni pubblici e di rete, con il livello centrale, per sfruttare saperi globali ed esternalità e per dare credibilità al governo dei processi" (QSN). Più in generale, dunque, tali considerazioni evidenziano il rapporto inscindibile tra livello di sviluppo e organizzazione territoriale. Riprendendo il concetto di "spirale della marginalità", si può infatti affermare che la marginalità, nelle sue diverse accezioni, comporta una condizione complessa di svantaggio che connota i territori, ovvero "un depotenziamento strutturale della capacità di reazione del sistema locale prodotta dal processo di spopolamento attraverso un incrocio di effetti recessivi (feedback negativi): il calo demografico indebolisce la struttura della popolazione, il potenziale di consumo e di produzione del reddito, il sistema dei servizi locali, e ciò finisce per generare ulteriori spinte allo spopolamento, producendo una spirale perversa e un ostacolo strutturale agli sforzi di rivitalizzazione dell'area" (P. Buran, 1998). Nel terzo capitolo, si è effettuato un passaggio di scala al fine di analizzare un sistema territoriale specifico, così da individuarne gli eventuali profili di marginalità e le strategie messe in campo per il superamento delle condizioni di svantaggio. L'area prescelta è stata la provincia di Salerno che, per estensione territoriale, risulta essere la più ampia della Campania, comprendendo 158 comuni di taglia demografica disomogenea, di cui solo 16 superano i 15.000 abitanti, mentre la gran parte (109 comuni) hanno una taglia demografica inferiore ai 5.000 abitanti. Va rilevato, inoltre, che una parte non trascurabile della popolazione è insediata in aree rurali, in nuclei isolati e in case sparse. Si è proceduto presentando la provincia da vari punti di vista, quello ambientale e paesaggistico, quello connesso alle strutture insediative e quello socio-economico, riservando uno spazio apposito al settore turistico ed al patrimonio culturale. L'analisi ha evidenziato profili di marginalità esaminati poi in dettaglio, attraverso l'individuazione e l'elaborazione di indicatori demografici, socio-economici e strutturali, tradotti successivamente in cartografie tematiche a scala comunale. Nell'elaborare le carte si è esclusa l'area centrale della provincia, ovvero il sistema urbano di Salerno, caratterizzato da continuità abitativa e da densità della popolazione elevate, oltre che dalla presenza di strutture di comunicazione efficienti. I comuni coinvolti nel sistema urbano, pur essendo soltanto 23, rappresentano il 56,77% della popolazione dell'intera provincia, mentre i 128 comuni che ricadono al di fuori di tale sistema sono caratterizzati da una situazione demografica e socio-economica che presenta elementi di forte criticità, sia in termini assoluti, sia in relazione al contesto territoriale oggetto dell'indagine. Sono state realizzate, dunque, 15 tavole in cui le classi di valutazione dei differenti fenomeni hanno tenuto conto delle medie provinciali, così da poter individuare differenti livelli di marginalità relativa. Tali fenomeni sono stati poi descritti attraverso una lettura, sia pure sintetica, delle singole carte. Al fine, di ottenere, in una logica sistemica, un quadro d'insieme delle condizioni di svantaggio a livello provinciale e vista la notevole quantità di scenari prodotti, è stato costruito un cluster attraverso la realizzazione di una matrice all'interno della quale sono stati riportati gli indicatori segnalando, per ogni comune, il totale dei punti di disagio registrati. Sulla base dei dati forniti dalla matrice, si è proceduto alla realizzazione della carta tematica "Marginalità in provincia di Salerno", (tavola n. 16 di seguito riportata) che ha consentito di ottenere un quadro geografico d'insieme sintetico ed efficace così da poter leggere con chiarezza i diversi livelli di marginalità. Le possibili strategie per il superamento delle condizioni di marginalità, infine, sono state individuate riprendendo il Piano Territoriale Regionale (PTR) ed il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), recentemente rielaborato, strumenti che configurano per la provincia strategie unitarie di sviluppo. Queste sono finalizzate a promuovere una crescita integrata del territorio che intende, da un lato, valorizzare le eccellenze e, dall'altro, recuperare le aree più interne e marginali comunque dotate di beni ambientali e culturali tali da poter sicuramente contribuire allo sviluppo complessivo dell'area. ; XXII Ciclo
Wird Theater zum Film, wenn – wie bei Castorf, Hartmann, Pucher – auf der Bühne Videokameras und Projektionsflächen eingesetzt werden? Wird Film zum Theater, wenn – wie bei Lars von Triers Dogville – Konventionen und Ästhetiken von Theater übernommen werden? Wie lassen sich die Grenzgänge zwischen Theater und Stadtraumaktion bei Rimini Protokoll oder zwischen Theater und Politik bei Joseph Beuys und Christoph Schlingensief begrifflich fassen? Diesen Fragen stellt sich das Buch Theater im Kasten, das Andreas Kotte, Direktor am Institut für Theaterwissenschaft der Uni Bern im Chronos Verlag herausgegeben hat. Der Band umfasst fünf eigenständige Arbeiten sowie einen Anhang mit Interviews und einem exemplarischen Sequenzprotokoll. Jede einzelne der Arbeiten, als Lizentiatsarbeiten an der Uni Bern entstanden, besticht durch ausführliche und präzise Aufführungs- und Ereignisbeschreibungen, durch fundierte historische Kontextualisierungen und umfangreiche Materialdarstellungen. Theoretische Referenzen und Reflexionen hingegen sind, bestätigt Andreas Kotte im Vorwort, stark gekürzt worden. Zum einen, um Wiederholungen zwischen den sich überschneidenden Themen der Arbeiten zu vermeiden, vor allem aber, weil "die dichten Beschreibungen von Inszenierungen [.] als Bezugsgrössen stärker präsent [bleiben] als die bei jedem Paradigmenwechsel re-formulierten und dadurch scheinbar stets aktuellen Bewertungen" (S. 10). Die konservative – im Sinne von 'bewahrende' – Haltung von Kotte zeigt sich nicht nur im Verhältnis von 'Beschreibung' und 'Bewertung' (als ließen sich diese so einfach trennen), sondern auch in dem von 'Theater' und 'Medien'. "Den Mediengebrauch im Theater zu erforschen […] ist gerade dann unerlässlich, wenn man Theater nicht für ein Medium hält" (S. 7). Kotte möchte die Schnittstelle zwischen Theater und Medien als Reibungsfläche für verschiedene Theaterbegriffe nutzen, so fragt er: "Was passiert eigentlich, wenn szenische Vorgänge mediatisiert werden, wenn sich Theater in die Kästen verkriecht? Ins Telefon, in die Videokamera, […], in den Filmprojektor?" (S. 7) Für eine inhaltliche Auseinandersetzung freilich muss der Kasten des Filmprojektors verlassen und der Blick auf die Leinwand gerichtet werden. "Sehe ich einen Film oder bin ich schon im Theater?" lautet der kenntnis- und beispielreiche Beitrag von Sonja Eisl, die sich vielseitig am Genre 'Theaterfilm' abarbeitet. 'Theaterfilm' sieht Eisl als "Oberbegriff für Filme, die sich durch Aspekte von Theater oder Theatralität auszeichnen sowie für Filme, die sich theatraler Strategien bedienen oder diese thematisieren" (S. 35). Offen bleibt, warum es eines Genres 'Theaterfilm' überhaupt bedarf, worin dessen Chancen und Risiken liegen. Neben Filmen, die Schauspieler- und Theaterwelten als Sujet behandeln (All about Eve, To Be or Not to Be etc.) wird das Etikett auf Filme geklebt, die auf einer ursprünglich fürs Theater produzierten Dramenvorlage beruhen (Romeo and Juliet etc.) sowie auf Filme wie La vita è bella oder Le Fabuleux Destin d'Amélie Poulain, denen Inszenierungs- und Stilmittel des Theaters zugeschrieben werden. Eisl verpasst die Gelegenheit, sich kritisch mit möglichen Grenzziehungen auseinander zu setzen, obgleich sich ihr erstes Beispiel, Lars von Triers Dogville, dafür durchaus geeignet hätte. Statt dessen arbeitet sie in ihrer Analyse sehr schön wesentliche Charakteristika des Filmes heraus und erläutert plausibel, wie und warum gerade der weitgehend realistisch-psychologische Schauspielstil innerhalb des theatral-stilisierten, anti-realistischen Raumes eine Umkehrung erfährt und als künstlich und befremdend erfahren wird. Als zweites Beispiel dient ihr Von Triers Idioterne. Eisl plädiert dafür, dass sich die Theaterwissenschaft des Theaterfilmes annehmen solle, weil "keine andere Wissenschaft über derart profunde Analyseinstrumentarien […] bezogen auf Theater und Theatralität verfügt" (S. 82). Die Definitionskriterien indes, die Eisl anführt (Fischer-Lichtes "Kopräsenz" und Kottes "szenische Vorgänge" und "Konsequenzverminderung") sind nicht unbedingt hilfreich für eine Analyse von Idioterne. Handelt es sich tatsächlich, nur weil junge Menschen so tun, als seien sie behindert, um einen Theaterfilm? Gilt gleiches für Filme über Heiratsschwindler und Geheimagenten? Wenn die Schwierigkeit, Theater zu definieren, auf ein unscharf bleibendes Genre 'Theaterfilm' ausgeweitet wird, ist wenig gewonnen. Viel jedoch, wenn – wie Eisl das immer wieder hervorragend gelingt – mit theaterwissenschaftlichem Instrumentarium Filmelemente analysiert werden, die sich theatraler Konventionen bedienen. Das Spiel mit audiovisuellen Medien auf der Bühne analysiert Silvie von Kaenel in ihrem Beitrag "Was vermag Video auf dem Theater? Stefan Pucher – Matthias Hartmann – Frank Castorf". Als Material dienen ihr die Inszenierungen Homo Faber (Zürich 2004), 1979 (Bochum 2003) und Der Meister und Margarita (Wien/Berlin 2002). Alle drei Inszenierungen werden präzise dokumentiert und anschaulich beschrieben. Von Homo Faber findet sich im Anhang beispielhaft ein Sequenzprotokoll, das die zweistündige Inszenierung in drei Beschreibungsebenen und 37 Sequenzen gliedert. Das Bemühen um 'objektiv-wissenschaftliche' Berichterstattung führt u. a. auch zu einer Tabelle zum Inszenierungsvergleich, in der die Anzahl der Videosequenzen ebenso vermerkt ist wie die prozentuale Videoeinsatzdauer oder die Dauer der jeweils längsten Videosequenzen. Dieser auf Zahlen vertrauenden Objektivierung steht die Subjektivität der "Rezeption durch die Tagespresse" gegenüber, die Von Kaenel in Bezug auf 1979 wie folgt kontrastiert: "Das Videospiel verdrängt das Schauspiel, stützt es wesentlich oder wächst mit ihm zu einem Gesamtkunstwerk zusammen. Video verdoppelt, vergrössert, verfremdet, konkurrenziert, kommentiert […]. Video geht den Figuren tiefer auf den Grund oder verstärkt die Distanz zwischen [zu?] ihnen." (S. 126 bzw. 154) Wie ist bei derart verschiedenen Wahr-Nehmungen ein Nachdenken über die Wirkungen von Video auf dem Theater möglich? Von Kaenel stellt systematisch dieselben Fragen an alle drei Inszenierungen. Dabei geht es ihr um die 'Einsatzformen von Video' und darum, 'Was Video erzählt'. "Wie gehen die Schauspieler mit Kamera und Leinwand um? Wie beeinflusst das Video die Wahrnehmung des Zuschauers? […] Wie wirken sich die Videosequenzen auf den Inhalt aus? Wie auf die Dramaturgie?" (S. 94). Während diese Fragen in klare und interessante Antworten münden, erscheinen weitere Fragestellungen eher problematisch: ob Videoeinsatz die "Performativität" der Aufführung begünstige und ob er ihre "Bildhaftigkeit" verstärke, kann nicht plausibel beantwortet werden, solange beide Begriffe schwammig bleiben. Auch die Hypothese, der beschriebene Videoeinsatz sei überwiegend "intermedial" (im Gegensatz zu "bloss multimedial") bleibt aufgrund fehlender Begriffsklärungen undifferenziert. Anhand des (leider ebenfalls unklaren) Begriffes der "Authentizität" formuliert Von Kaenel indes interessante Ambivalenzen: Einerseits werde Theater gerade aufgrund der Unvermitteltheit, der körperlichen Anwesenheit und der 'theatralen Feedback-Schleife' als authentisch erfahren (S. 138), andererseits erlaube erst die Videokamera den Blick auf intime Details und das Mikrophon ein privates Sprechen. Die Leinwand ermögliche "'Echtzeit, Gelassenheit, maximale gestische Privatheit' [und damit] 'Realmomente', wie sie allenfalls im Film bisweilen glückten" (S. 140).1 Meister von "Realmomenten" im Theater sind Helgard Haug, Stefan Kaegi und Daniel Wetzel, bekannt unter dem Label Rimini Protokoll. Miriam Ruesch untersucht in "Call Cutta – bei Anruf Kunst" deren 2005 entstandenes "The world's first Mobile Phone Theatre". Die Inszenierung Call Cutta lässt sich beschreiben als "Theatergang durch Kreuzberg, mit Rimini Protokoll und indischen Dienstleistern" sowie als "Mischung aus Stadtführung, Geschichtslektion, Telefonflirt und Selbsterfahrungstrip" (S. 164).2 Im Zehnminutentakt starten Zuschauer am Berliner Theater Hebbel am Ufer 2 zu einem einstündigen 'Audiowalk', geführt und angewiesen via Handy von einer Person in einem indischen Call Center. Dieses Erlebnis wird von Ruesch plastisch und präzise beschrieben und eingebettet in eine Auseinandersetzung mit der Arbeitsweise von Rimini Protokoll. Neben den begrifflichen Überlegungen, die Ruesch vor allem unter Bezugnahme auf Fischer-Lichte (Ko-Präsenz und Ereignishaftigkeit), Lehmann (postdramatisches Theater und metonymischer Raum) und Kotte (Hervorhebung und Konsequenzverminderung) anstellt, bilden besonders die Selbsteinschätzungen der Beteiligten in den von Ruesch geführten Interviews einen aufschlussreichen Zitaten-Schatz. Helgard Haug ist wichtig, dass "Call Cutta im Rahmen von Theater" und nicht nur als "Stadtraumaktion" wahrgenommen werde (S. 199). Der Stadtraum werde, so Ruesch, bei einer traditionellen Stadtführung tendenziell als Wissensraum empfunden, bei Call Cutta hingegen als Erlebnisraum. Diese Raumunterscheidung wird um weitere Raumkonzepte von De Certeau, Lehmann, Löw und Roselt ergänzt. Ruesch differenziert außerdem physischen Raum und Wahrnehmungsraum, öffentlichen Raum und Stadtraum, visuellen und akustischen Raum, realen und imaginären, Gesprächs- und Kommunikations- sowie Handlungs- und Sinnesraum. Unter so viel "Raum" auf 13 Seiten leidet leider die Orientierung. Interessant ist, wie Ruesch versucht, in den 'Gesprächsraum' einzudringen. Was geschieht im Persönlichen, Zwischenmenschlichen, und welche Rollenzuteilungen finden statt? Die Call-Center-Mitarbeiter haben zwischen vorgegebenen Textpassagen Frei-Raum zur Improvisation und zum spontanen, privaten Gespräch; angeblich sind daraus langfristige Kontakte und "Telefonfreundschaften" entstanden. Was ereignet sich im intimen Zweiergespräch zwischen den vorgegebenen Regieanweisungen? Wie ist diese spezielle Gesprächssituation überhaupt begreifbar? "Die Agenten in Call Cutta [.] telefonieren zwar für Geld [.], der Grund ihres Anrufes ist jedoch Kunst." (S. 196) Worin besteht der Unterschied zwischen der Dienstleistung Kunst/Theater und anderen Dienstleistungen wie der Telefonseelsorge oder dem Telefonsex? Interessant ist die Frage, wie sich das gleichermaßen Anonymität und Intimität versprechende Medium Telefon auf das Theater auswirkt – und welche Grenzen die Inszenierung über Globalisierung und grenzenlose Kommunikation dabei öffnet oder (er)schließt. "Grenzgänge zwischen Kunst und Politik. Joseph Beuys und Christoph Schlingensief" lautet der Titel der gut recherchierten und eindrucksvollen Arbeit, in der Rahel Leupin offen legt, wie stark sich Schlingensief an Beuys orientiert. "Wir sind zwar nicht gut, aber da" (S. 280), sagt Schlingensief, und die Art, wie er und wie Beuys 'da' waren, wird von Leupin umfang- und zitatenreich dargestellt. Unter Einbeziehung der politischen Hintergründe, der inhaltlichen Aspekte und Ziele sowie der Reaktionen von Teilen der Öffentlichkeit (Zuschauer, Presse, Politiker) untersucht sie Aktionen von Beuys (vor allem sein Büro der Organisation für direkte Demokratie auf der documenta 5, 1972) und Schlingensief (vor allem seine Hamlet-Inszenierung, Zürich 2001). Die Arbeit fragt nach den Anliegen beider Künstler sowie deren Realisationen, vergleicht das Auftreten der beiden unter dem Aspekt von Präsentation, Repräsentation und Selbstpräsentation. Dabei sieht Leupin Beuys vor allem (wie in Kassel 1972) in einem Raum "zwischen Atelier und Klassenzimmer" (S. 236), er trete auf wie ein Lehrer, "mit missionarischem Eifer von seiner Gesellschaftsalternative überzeugt" (S. 278). Schlingensief hingegen inszeniere sich als postmoderner Theaterclown, der Dekonstruktion anstrebe, ohne Alternativen und Visionen anzubieten, er "spielt ein Was-Wäre-Wenn-Spiel ohne über einen konkreten gesellschaftspolitischen Entwurf zu verfügen" (S. 284). Deutlich wird dieser Unterschied unter anderem im Hinblick auf beider politisches Engagement, denn während Joseph Beuys Anfang der 1980er tatsächlich versucht habe, für die Grünen in den Bundestag zu gelangen, könne man nicht davon ausgehen, dass Schlingensief mit seiner Partei Chance 2000 im Bundestagswahlkampf 1998 tatsächlich ein politisches Mandat angestrebt habe. Schlingensiefs Ausrufe à la "Tötet Helmut Kohl!" seien nicht nur PR-wirksame, bewusste Provokationen, die ihm kurzzeitige Verhaftungen eingebracht haben. In ihnen offenbare sich auch Schlingensiefs ambivalente Haltung: Einerseits behauptet er eine Verachtung für den arrivierten Kunst- und Theaterbetrieb und möchte "in die Gesellschaft rein", andererseits ziehe er sich, sobald es ernst werde, auf die (Narren-)"Freiheit der Kunst" zurück, nutze Theater als Ort der Konsequenzverminderung. Als Gemeinsamkeit von Beuys und Schlingensief streicht Leupin heraus, dass beide zwar einerseits den traditionellen Kunstkontext sprengen wollten, ihn aber andererseits benutzen als rechtlichen Schutz sowie als Rahmen der Organisation und Finanzierung. Außerdem sei "beiden Künstlern […] gemeinsam, dass ihre Aktionen zwar einen einmalig unmittelbaren und spontanen Eindruck erwecken, trotzdem jedoch akribisch genau dokumentiert werden. Während Beuys dazu vor allem das Medium der Fotografie und des Films bevorzugte, braucht Schlingensief zusätzlich das Internet als Kommunikationsplattform und Instrument zur Öffentlichkeitsarbeit." (S. 277) Im Rahmen dieses Buches wäre eine reflektiertere Analyse gerade der medialen Gesichtspunkte (als Beuys 1986 starb, war das Internet erst im Entstehen) wünschenswert gewesen: Welche Medien und Mittel wählen die beiden Künstler? Wie und warum werden Handzettel, Buttons und Plakate, Kreide und Tafel, Megaphon, Foto, Video oder Internet eingesetzt und wie beeinflussen die Kommunikationsformen – sowie der Rahmen des Museums, Theaters, Bildschirmes – die Aktionen, Ästhetiken, Wirkungen? Gerade die Aktionen auf der documenta 5 (Beuys) und documenta X (Schlingensief) sowie die Wahlkämpfe hätten sich unter medialen Aspekten gut vergleichen lassen. Ein mangelnder Fokus aufs Mediale freilich ist den Autorinnen nicht vorzuwerfen, sind ihre Arbeiten doch als eigenständige Lizentiatsarbeiten entstanden und erst nachträglich zum "Theater-Kasten" zusammengewürfelt worden. Um eine Engführung der vier vorangehenden Arbeiten bemüht sich Nicolette Kretz in "Am I really here, or is it only art? Agierende und Schauende in der Aufführungsanalyse". Darin führt sie die in den anderen Arbeiten besprochenen Beispiele in aufführungsanalytischer Perspektive zusammen und entwirft eine (schau)bildliche Darstellung des Verhältnisses von Akteurshaltungen und rezeptiver Rahmung. Ist der Akteur "darstellend" oder eher nicht, und empfindet der Zuschauer die Aktion als "Theater" oder nicht? Kretz erstellt ein zweidimensionales Koordinatensystem mit der "Haltung des Akteurs" auf der X- und der "rezeptiven Rahmung" auf der Y-Achse. Eine Handlung, die vom Akteur als Theater gemeint und vom Rezipienten ebenso wahrgenommen wird, situiert sich nahe dem Nullpunkt am Achsenkreuz. Sie entfernt sich von diesem nach rechts oder oben (oder beides), wenn entweder Akteur oder Rezipient (oder beide) nicht mehr der Meinung sind, dass es sich beim Getanenen oder Gesehenen um Theater handelt. Folglich kann ein eingetragener Punkt im Laufe eines Ereignisses wild im Koordinatensystem umherwandern, etwa einen Sprung vollführen in dem Moment der Erkenntnis bei Call Cutta, in dem Kretz bemerkte, dass sie "etwas für Theater [gehalten hatte], was in Wirklichkeit vollkommen ungespielt war" (S. 302). Anschaulich illustriert wird der Wechsel von Akteurshaltungen bzw. rezeptiver Rahmung anhand der vielschichtigen Arbeiten des libanesischen Künstlers Walid Raad und der Atlas Group. Das Verfahren von Kretz schafft eine praktikable Möglichkeit, aufführungsanalytische Elemente zu systematisieren und zu visualisieren. In seiner Zweidimensionalität freilich bleibt das Modell unterkomplex. Zwar schlägt Kretz als dritte Achse und Dimension die der Medialität vor: "vom unmittelbaren Gegenüber über die audio-visuellen Medien hin zur grafisch unterstützten virtuellen Präsenz" (S. 315), dies bleibt jedoch eine unausgeführte Skizze. Außerdem fehlen im Modell Frame-konstituierende Aspekte des Raumes sowie eine Zeitebene, die eine Entwicklung berücksichtigen würde. Interessant bis amüsant ist die Anwendung des Koordinatensystems auf prominente Definitionsversuche von Theater. Von den neun Feldern, in die Kretz ihr Diagramm unterteilt, werden demnach mit der Theaterdefinition von Bentley drei, von Lazarowicz ein, von Fischer-Lichte sechs und von Kotte achteinhalb abgedeckt. Theater im Kasten besticht, wie aus den einzelnen Besprechungen deutlich wurde, durch ausführliche Beschreibungen theatraler Ereignisse, Anschaulichkeit und Materialintensität. Diese beschränkt sich auf Worte, es gibt keine Begleit-DVD und nur wenige Bilder in dem ansprechend gestalteten Hardcover-Band. Theater derart "einzukasteln" bietet freilich Risiken, zumal es um ein Theater der Erweiterungen geht, ein Theater, das Platz braucht, das Grenzen zum Film, zur Stadtraumaktion, zur Politik hin sprengt, das Offenheit erfordert und keinen zu engen Rahmen. Dennoch: Das selbstformulierte Ziel des Buches, "Partikel des Flüchtigen" zu dokumentieren, wurde eingelöst, die Partikel sind feinsäuberlich gesichtet, sortiert und liebevoll ausgestellt. Theater im Kasten bietet keine Theorie des Theaters, aber vielleicht einen kleinen Baukasten dafür. Dass in der Zusammenstellung der fünf Lizentiatsarbeiten die theoretische Flanke offen bleibt, verweist auf das Praktische an einem Kasten: Im Gegensatz zur Kiste ist er nur an fünf Seiten geschlossen und an einer offen und ermöglicht so stets neue Zugriffe. 1 Von Kaenel zitiert hier Cornelia Niedermeier, "Der Satan hat den Blues", in: Die Tageszeitung, 20.06.2002. 2 Ruesch zitiert hier Jan Oberländer, "Wer ist der Feind deines Feindes? 'Call Cutta'", in: Der Tagesspiegel, 05.04.2005.
Questa non è una tesi d'antichistica e tuttavia non c'è un capitolo in cui non si parli di Platone. Forse Hans Georg Gadamer, che non ha esitato a riconoscersi "platonico", potrebbe reputarsi soddisfatto, ma il motivo originario del mio interesse non era, a dire il vero, un'indagine sull'interpretazione gadameriana del Filebo. A poco più di cinquant'anni dalla pubblicazione di Verità e metodo1, e a distanza di ormai trent'anni dal periodo in cui l'ermeneutica, in quanto "scepsi contro ogni dogmatismo"2, sembrava diventata la nuova koiné filosofica dell'Occidente, intendevo mettere in gioco un'eredità più nascosta 3 nel pensiero di Gadamer; volevo, cioè, capire da dove scaturissero l'apertura dialogica della sua ermeneutica ed il suo accordare all'intesa un primato originario ed irrevocabile. In particolare, avevo intenzione di scavare alla radice dell'"improbabilità" del dialogo di Gadamer con Derrida, che mi aveva occupato qualche anno prima, convinta che vi si celasse qualcosa di molto particolare, da ricondurre, probabilmente, alle origini stesse del modo in cui Gadamer concepisce il suo sapere ermeneutico. Come sempre, si comprende diversamente se si pongono domande differenti all'interpretandum. Così, anziché chiedere, in modo certamente prematuro e per il quale non ero per niente preparata, quanto l'universale gadameriano potesse essere un buon "economo della violenza", ho cercato di inseguire gli stimoli provocati dalla lettura del saggio del 1993, L'Europa e l'oikouméne 4 , in cui Gadamer sostiene che tra i più impellenti compiti che l'umanità deve assolvere per non distruggere sé stessa ci sia la riabilitazione di quel doppio misurare di cui parlava Platone nel Politico, 283 e5. Questo mi ha indotto a cercare di capire cosa fosse quella misura platonica6 cui alludeva Gadamer e per quali ragioni il filosofo tedesco avesse attribuito a quell'intuizione dell'Ateniese la capacità di salvaguardare l'equilibrio dell'intero cosmo. Il mio interesse principale, infatti, era diventato, mio malgrado, più politico che teoretico, cosicché accolsi lo stimolo, presente soprattutto nei saggi successivi a Verità e metodo, a pensare la comunità come il solo orizzonte entro cui sia possibile l'esistenza del singolo. La critica al concetto di "isolamento" di Gadamer e l'enfasi riposta dalla sua ermeneutica sulla dialogica come unico accesso alla verità non sono però che l'effetto di un percorso che fin dai primi anni '20 ha posto il filosofo tedesco sulle tracce di Platone e di Aristotele. Il pensiero greco offre, infatti, a Gadamer tutti gli elementi per concepire il gioco dialettico tra particolare ed universale nell'ottica di una vitale partecipazione, che impedisce l'abuso sia del singolo nel considerarsi privo di legami, irrelato, fuori dal misto, sia dell'ethos (famiglia, società, tradizione stessa) nel divenire un contenitore rigido, dogmatico, incapace di reagire con fluidità alle differenze della molteplicità con cui entra, volta per volta e diversamente, in relazione. L'intesa non è perciò un primato ontologico, ma l'esito di un processo faticoso, in cui gradualmente si cercano affinità tra le posizioni contrarie entro uno spazio salvaguardato dal comune riferimento ad un terzo, il lógos, che, in qualche modo, rimane "condiviso"nella distanza. L'accordo iniziale resta per Gadamer originario, poiché ci si trova già immersi in una storia umana, in un linguaggio di provenienza antichissima, che è vano ipotizzare di poter possedere ed è altrettanto superfluo immaginare possa concludersi, saturando la sua spinta costitutiva ad autosuperarsi senza lasciare a nessuno la possibilità di detenerne il possesso. Il gioco linguistico che ricomprende tutti non è, perciò, qualcosa che si debba scegliere di giocare, ma ciò nel quale ci troviamo gettati dalla nascita ed entro cui soltanto è possibile per l'uomo fare esperienza. Esso costituisce il vincolo originario tra singolo e comunità e può dirsi che questo Gadamer l'abbia imparato già a 28 anni, nel suo lavoro d'abilitazione con Heidegger, Etica dialettica. Interpretazioni fenomenologiche del Filebo7, a cui questa ricerca dedica molta attenzione. La mia tesi è, infatti, che il sapere ermeneutico gadameriano si costituisce intorno ad un concetto di "misura", la cui importanza ontologica, estetica, etica e politica affiora soprattutto nell'Etica dialettica e poi in alcuni importanti studi sui Greci che precedono e seguono l'opera del '60. Questo lavoro prende, così, le mosse dall' ipotesi che, sebbene non esistano saggi di Gadamer specifici intorno al concetto di "misura" - così come non ne esistono intorno al tema della finitezza che, pure, attraversa tutta la sua ermeneutica che è certamente un'ermeneutica della finitezza8- sia possibile rintracciare nella misura quel filo conduttore mediante cui intendere un po' meglio cosa fosse quell'ermeneutica che Heidegger sosteneva essere "la cosa di Gadamer"9. Non desideravo, ovviamente, "sfidare" la centralità di Verità e metodo10, anche se limitarsi alla lettura di quest'ultima rischia di cristallizzare un'immagine di Gadamer come bravo umanista capace di interessarsi delle sorti delle Geisteswissenschaften, rivendicando il carattere particolare di evento che spetta alla verità dell'arte, della storia e della filosofia, di cui può farsi soltanto esperienza, senza ricorrere agli strumenti metodici propri delle scienze della natura, dal cui modello oggettivante Gadamer si sforza di affrancare la tradizione occidentale. Il rischio che poi si corre isolando un singolo testo come Verità e Metodo senza cercare di conoscere "l'altro Gadamer", non è soltanto quello, messo in rilievo da Pöggeler11, di maturare "l'idea di trovarsi davanti ad un aristotelico", idea che verrebbe smentita dall'ammissione stessa di Gadamer intorno alla centralità riservata a Platone nei suoi studi12; ma anche quello di ignorare il debito fondamentale che per l'elaborazione complessiva del suo modo di concepire la filosofia, Gadamer contrae dallo Heidegger degli inizi, i cui corsi nell'opera del '60 non potevano neppure essere citati, perché ancora non pubblicati13. Certamente in Verità e Metodo Gadamer si mantiene fedele all'impegno heideggeriano nel voler scardinare ogni metafisica della soggettività, radicalizzando l'apertura del "ci" del Dasein e superando, al tempo stesso, il relativismo storicista, così da delineare una specie di ontologia della storicità e della finitezza della coscienza. Ma il prezzo poi pagato dal successo dell'opera del '60, potrebbe essere stato quello di un certo misconoscimento – e alla fine di un appiattimento - delle condizioni alle quali una tale fedeltà viene conquistata e mantenuta. Come si vedrà, infatti, non la parola, ma il concetto stesso di "ermeneutica" manterrebbe in Gadamer, assai più che in Heidegger, la sua matrice greca. L'originalità del contributo teorico del primo nascerebbe, infatti, proprio dagli studi della filosofia greca - giudicati da Gadamer stesso "la parte migliore e più originale" della sua attività filosofica e capaci di costituire "la migliore illustrazione" delle sue idee nel campo della filosofia ermeneutica14 - e dal decisivo interesse a che non scomparisse, soverchiato dal crescere impetuoso della tecnica, quel fitto tessuto connettivo della cultura occidentale, che fin da ragazzo Gadamer iniziò a coltivare con passione. Ho cercato, quindi, di rafforzare l'idea di una continuità dell'interesse di Gadamer per i Greci, interesse che precede l'incontro con Heidegger e, pur nella ricchezza di strade percorse dall'opera gadameriana, non verrà spezzato nemmeno dalla necessità del filosofo tedesco di confrontarsi con le altre numerose questioni che nasceranno sulla scia della diffusione planetaria di Verità e metodo, che di greco avevano, apparentemente, ben poco. Nei Greci, infatti, Gadamer reperisce un paradigma alternativo al trionfo della modernità, che sappia soddisfare il "bisogno di unità della ragione"15, che si vedrà come per lui risponda ad un naturale desiderio di armonia ed equilibrio16. Già in Verità e metodo, Gadamer fa riferimento alla misura (Maß) come condizione stessa della cultura, dicendo: "chi si abbandona alla particolarità non è colto: così, per esempio, colui che si lascia andare alla propria cieca ira senza misura né proporzione"17 e, com'è noto, si ispirerà al modello dell'etica aristotelica18per la costituzione dello stesso sapere ermeneutico, che, non sostenuto da un metodo scientifico, è proprio nella ricerca di un regolo ideale e flessibile, come quello di Lesbo, che può legittimare la sua più intima "verità". Elaborato in suolo greco e considerabile quasi come l'essenza stessa della cultura umanistica, questo atteggiamento di Gadamer parrebbe rendere ambigua19la stessa ermeneutica, ma forse solo fintantoché non si sia osservato a sufficienza da dove nasca e come si sviluppi questa particolare forma del sapere ermeneutico. Il mio lavoro cercherà di far vedere, dunque, quanto la "misura" (il métrion) potrebbe rappresentare l'indicazione formale" che spetta seguire a chiunque voglia entrare nel circolo ermeneutico e porsi in esso nella "giusta maniera". Questo concetto affonda in radici greche, platoniche per un verso ed aristoteliche per un altro, si ispira a capisaldi dell'umanesimo, appunta sul senso dello spirito oggettivo hegeliano l'obiettivo specifico intorno a cui modellarsi, ma, concependo il distacco da ciò che appartiene al proprio sé come fattore essenziale perché il dialogo possa essere promosso anche in tempi babelici e pericolosi per la stessa sopravvivenza dell'umanità, riesce ad interpretare la finitezza in modo coerentemente heideggeriano, rimarcandone però il lato "positivo", grazie all'integrazione della necessità di mediazione con quel "senso per la misura" (métrion) di cui Platone parlava nel Politico. Heidegger è un tassello indispensabile, dunque, nella ricca composizione dell'ermeneutica gadameriana, ma non unico e schiacciante, come dimostra il fatto che il sapere ermeneutico di Gadamer si mantenga in una dimensione orizzontale, così da attraversare l'era della scienza in un modo profondamente greco e "misurato", come verrà suggerito a conclusione della tesi. Ciò che accade in un'esperienza ermeneutica autentica, infatti, è proprio una trasformazione profonda, che nell'esperienza estetica Gadamer chiama "Verwandlung ins Gebilde" (trasmutazione in forma), che rende capaci di cogliere una volta di più la misura della nostra finitezza, nei limiti della quale è, tuttavia, possibile custodire una particolare forma di infinito. Trovando nel linguaggio una terreno solo apparentemente fermo, giacché non può dirsi fondato da nessuno, l'ermeneutica gadameriana riesce ad indicare la salvezza che può, volta per volta, esperirsi nella Sprache.Questa è, in ultima analisi, la sola casa in cui è possibile ancora oggi abitare insieme e che è bene tentare di rendere accogliente per presenti ed assenti, fantasmi e viventi, occidentali e non occidentali, sfumando le distanze irriducibili e sforzandosi di attenuare l'Unheimlichkeit che, anche se non potrà mai essere eliminata completamente, può perdere la centralità che ha assunto nella fase di "ecumenico spaesamento" vissuto dall'età contemporanea. Più dell'essere e più della parola, Gadamer intende così studiare il ponte tra esse, il che vuol dire che non sarà mai né pienamente heideggeriano, né unicamente filologo, ma autenticamente ermeneuta, colui che rende evidente il legame dei vocaboli con la storia delle stratificazioni di significati assunti nei secoli addietro ed al tempo stesso si prepara a mediare con una nuova, differente versione della parola-concetto, da consegnare a chi interrogherà ancora la parola, entro il chiaroscuro della sua verità. Il compito dell'ermeneuta si riassume, infatti, nella decisione di intrattenersi nelle pieghe più oscure come in quelle più limpide della vita, in assenza, sempre e comunque, di un fondamento possibile che non sia la parola. Quella parola che, pronunciata, già non è più mia, né forse lo è mai stata, perché arriva sempre da lontano ed a me non resta che "salvarla" e ricrearla per chi, malgrado la fuga degli Dei, avrà cura di cercare varchi per ricostruire un tempo per noi, non stancandosi di coltivare misura, pienezza dell'essere e dello stare insieme in amicizia, che, come insegnano le stesse origini della tradizione occidentale, è in fondo la sola alternativa concessa a quel destino di violenza e povertà che, in assenza di parole altrui da custodire e su cui vigilare, troppo spesso viene assaporato quasi come un martirio ineluttabile, da quanti, vanamente e stoltamente, si illudono di non aver alcun desiderio della verità dell'altro. "Non possiamo mai dire tutto ciò che potremmo dire", quindi, non solo per via della nostra finitezza, ma perché bisogna aver cura di contenersi accogliendo la prospettiva dell'altro, fare in modo che si affermi in quel processo linguistico che trasmuta entrambi, quando, se condotto sul modello socratico-platonico, può davvero far pervenire ad un'intesa, che non significa affatto essere d'accordo, ma avere compreso il punto di vista dell'altro ed accettarlo nella sua piena e pari validità; significa, cioè, diventare un po' meno finiti ed un po' più universali, capaci di allargare il proprio sguardo, contemplando anche ciò che non era previsto e dove non saremmo mai potuti giungere da soli. Il dialogo platonico diventa così l'emblema del dialogo ininterrotto che, travalicando distanze storiche di secoli, si presenta come un gioco serio, che riesce ad attuarsi anche nell'età contemporanea, a condizione che l'interprete si mostri disposto a riconoscere di non essere misura di tutte le cose e, perciò, rinunci alla tendenza obiettivante che, predeterminando con categorie moderne ciò che proviene da quello che rimane l'alterità per eccellenza, ossia il mondo greco, finisce con il fagocitarlo. Esso rappresenta la vera sfida per ogni filosofo, quella che fa dire a Jean- Marie Clément, nelle sue Epistole : Qui nous délivrera des Grecs et des Romains? Chi potrà smorzare il peso che per ogni occidentale, consciamente o meno, costituisce quell'eredità che, come scriveva René Char, non ha nessun testamento? Di questo peso, che qualcuno vorrebbe sciogliere non misurandosi più con i testi greci o credendo di "appropriarsi" una volta e per tutte delle questioni poste dagli antichi, senza restare aperti ad un perenne dialogo con essi, Gadamer ha la straordinaria abilità di mostrare l'aspetto positivo, capace di orientare nell'Ab-grund dell'esistenza. La tesi si articola in quattro capitoli. Nei primi due, viene indagato il legame inestricabile che Gadamer mantiene con l'interpretazione particolare del Filebo platonico, che gli consentirà tanto di assumere una particolare concezione di dialettica che soltanto qui, grazie alla legittimazione ontologica del carattere di mescolanza di determinato ed indeterminato che connota tutto ciò che è, può essere interpretata in strettissima connessione con la dialogica, quanto di leggere Aristotele e Platone a partire dalla loro comune matrice socratica. Il primo capitolo, "Alle origini dell'ermeneutica. Gli anni marburghesi", mi è stato necessario per tentare di ricostruire lo sfondo entro cui Gadamer elabora l'Etica dialettica, così da sottolineare la genesi del suo interesse per il Filebo e dare risalto alla ricchezza della sua formazione. Ho cercato di evidenziare l'attitudine del giovane Gadamer di mediare gli insegnamenti dei suoi tanti maestri (Hönigswald, Natorp, Hartmann, Friedländer e naturalmente Heidegger), così da trasformare il caos degli impulsi concettuali e letterari che animavano la vita marburghese di una gioventù profondamente disorientata dalla prima guerra mondiale, in un nuovo kósmos, per la costituzione del quale Heidegger svolge un ruolo determinante, ma non totalizzante. Ciò che, infatti, Gadamer scopre nei Greci, grazie soprattutto al talento fenomenale di Heidegger, sarà talmente vincolante da impedirgli di scorgere in essi soltanto il principio di una dimenticanza dell'essere. Il secondo capitolo, "Gadamer ed il Filebo. L'Etica dialettica" si sofferma sulle Interpretazioni fenomenologiche del Filebo, cercando di far cogliere nella "pienezza dell'essere"prospettata nel dialogo platonico la premessa fondamentale della "misura" gadameriana, che dunque, prima ancora che essere metodologica, è sicuramente ontologica. Intendo mostrare come l'Etica dialettica sia un lavoro che certamente omaggia il procedere fenomenologico heideggeriano e, tuttavia, già qui possa intuirsi il motivo di quell'"autentica deviazione"(echten Abweichung)20 da Heidegger che Gadamer dichiarerà d'aver compiuto in seguito, distaccandosi dall'interpretazione dei Greci del maestro.La concezione del rapporto tra identità e differenza nel senso di un'opposizione vitale ed inaggirabile, avanzata nel Sofista, viene infatti superata nel Filebo, perché è la stessa realtà ad essere mista e costringere alla "mescolanza"degli opposti. Ciò consente all'Ateniese di pensare, per Gadamer, ad una dialettica inclusiva, che individuare un incremento d'essere proprio nel superamento dell'heteron così da rimarcare il ruolo positivo riservato alla differenza. Sottolineando come l'attività contenitiva ed autolimitante della ragione riguardi ogni ambito umano, scientifico, tecnico e pratico, Gadamer presenta, dunque, una "ragione"greca decisamente non violenta, perché motivata e sostenuta dall'opposizione costituita dall'alterità nell'avvicinarsi indefinitamente al pragma, senza potere uscire mai "vittoriosa", certa d'averlo guadagnato incontrovertibilmente. Un altro punto cruciale che segnala il debito profondo che Gadamer contrae dal Filebo è che qui Platone contraddistingue l'agathon attraverso i caratteri ontologici di misura, bellezza e verità, perché essi soltanto sono capaci di mantenere il Dasein in uno stato di quasi impassibilità, che esclude ogni eccesso. L'Esserci non si comprende meglio, dunque, nell'Angst heideggeriana, che risulterebbe una violenta (fuor di misura) modificazione del Dasein di fronte alla percezione dell'abisso; né è la "noia profonda", di cui Heidegger aveva parlato nel corso coevo21 alla stesura dell'Etica dialettica, a dischiudere al Dasein l'Essere. Al contrario, è nella "gioia per" che il Dasein ha possibilità di aprirsi all'Essere, manifestando così d'avere inteso il senso della Sorge nel piacere della conoscenza che svela il mondo, intensificando la possibilità che l'uomo si rifugi lì dove l'essere del bene è più manifesto: nel bello. Il terzo capitolo, "La misura greca. Elogio del finito", cerca di approfondire la lettura unitaria che Gadamer si sforza di dare di Platone ed Aristotele per quanto riguarda L'idea del Bene, titolo di un saggio del '78 che porta a compimento ciò che nella tesi di abilitazione non era stato approfondito a sufficienza. Dopo aver indugiato sulla complessa interpretazione, non esente da critiche, che Gadamer elabora di Platone grazie a molteplici stimoli, tra i quali risaltano in particolar modo quello di Friedländer e di Hegel22, mi dedico al particolare modo di declinare l'interesse heideggeriano per Aristotele da parte di Gadamer (cfr.paragrafo Phrònesis e metrion). Cerco, quindi, di far vedere come Gadamer riesca a scorgere una decisiva prossimità tra sapere pratico e sapere ermeneutico, miranti ad una unità di teoria e prassi, per via della tensione ad un métrion, quel prépon "che può essere determinato soltanto in concreto" perché, non essendo un ente, varia di continuo e richiede, volta per volta, una differente determinazione. Dopo aver discusso la ripresa del modello aristotelico in Verità e metodo ed aver fatto riferimento ai saggi in cui si discute di questa particolare flessibilità etica aristotelico-gadameriana, che è nucleo centrale del sapere ermeneutico, il capitolo termina con un'analisi del ruolo centrale che assume la philía nell'interpretazione gadameriana dei Greci e, conseguentemente, della differente visione della temporalità che Gadamer ebbe rispetto ad Heidegger, sottolineando la possibilità di pensare ad un "tempo pieno", perché condiviso, che garantirebbe un accesso particolare, trascurato in seguito da Heidegger, alla fecondità teoretica inerente alla prassi stessa. L'ultimo capitolo, "La misura come forma logica del sapere ermeneutico", che riprende volutamente il titolo dell'intera ricerca, affronta la questione della storicità dell'ermeneutica e del ruolo del linguaggio, mettendo in evidenza un certo modo di valorizzare lo statuto ontologico della parola, che marca una profonda distanza di Gadamer sia da Platone, che da Heidegger che da Hegel. Nel secondo paragrafo – "La misura e il metodo" – faccio più esplicito riferimento a Verità e Metodo, cogliendo, insieme ai nessi esistenti tra gli elementi acquisiti da Gadamer nei suoi studi sui Greci, una specifica direzione dell'indagine che va oltre la dialettica platonica per ritornare alla dimensione dell'esperienza, vero cuore del pensiero gadameriano. È qui che emerge un particolare métrion, alternativo al metodo della modernità. Il capitolo si conclude indugiando su quella vocazione comunitaria e politica dell'ermeneutica, che, lungi dall'essere meramente conservatrice, spinge l'Europa a percorrere un'anámnesis delle sue origini, profondamente radicate nella philia e nella ricerca di misura greche, per indirizzarla verso un "pensiero ecumenico". Un"nuovo rinascimento umanista" sarebbe, perciò, agli occhi di Gadamer, una possibile strada da percorrere per cercare di risanare la frattura provocata dalla modernità, recuperando, così, quel "doppio misurare" greco, di cui si è parlato all'inizio. Quella che emerge è una maniera di filosofare che comporta una fatica costante, e, fedele alla dialogica socratica, rimane strutturalmente aperta al domandare estenuante e sempre insoddisfatto di sé, che ha contraddistinto il venire all'essere della filosofia occidentale, senza declinare mai dalla responsabilità di rivolgersi all'intero ed esprimere un desiderio di protezione di e da esso. Dovrebbe quindi, in conclusione, disegnarsi il profilo di un pensatore che è riuscito a criticare l'unilateralità del "misurare della scienza", in modo da esortare ad un ritorno dell'equilibrio, di un senso della "giusta misura". Quanto all'interesse per questo tipo d'insegnamento, che ispira anche questa tesi, dà testimonianza un breve scritto che pubblico in appendice,dal titolo "Dove si nasconde la bellezza?", che riprende, modificandolo, quello di una celebre raccolta di saggi gadameriani sulla salute.
Die vorliegende Dissertation thematisiert die Weiterentwicklung der Zwei-Photonen Laserlithographie zur Realisierung hochaufgelöster Maßverkörperungen für die Kalibrierung optisch-flächenhafter Topographie-Messgeräte nach DIN EN ISO 25178. Die additive Fertigung als generelle Bezeichnung für ein schicht- oder punktweise auftragendes Fertigungsverfahren prosperiert und wird in Zukunft laut der von der Bundesregierung eingerichteten Expertenkommission für Forschung und Innovation (EFI) eine wichtige Rolle als Schlüsseltechnologie einnehmen. Anstatt Bauteile z.B. aus einem soliden Block geometrielimitiert herauszufräsen, baut die additive Fertigung das entsprechende Werkstück aus Metallen, Kunst- oder Verbundwerkstoffen sukzessive auf und ist dabei von der Geometrie meist unabhängig. Dadurch ist die Technologie z.B. für das rapid prototyping interessant und erlaubt einen strukturgetriebenen Herstellungsprozess: "Die Bauteile der Zukunft werden nicht designt sondern berechnet!" (Dr. Karsten Heuser, VP Additive Manufacturing, Siemens AG bei 3D Printing and Industry 4.0: An Industry Perspective, Photonics West 2018, San Francisco, 31.01.2018 (frei übersetzt)). Speziell auf der Mikro- und Nanoskala erfreut sich die additive Fertigung einer wachsenden Bedeutung. Angefangen bei den zunächst fundamentalen Fragestellungen auf den Gebieten der photonischen Kristalle, biologischen Zelltemplaten oder Metamaterialen erhält so z.B. die Zwei-Photonen Laserlithographie, auch direct laser writing (DLW) genannt, einen immer stärkeren Einzug in die Industrie. Beim DLW werden Bereiche photosensitiver Materialien, z.B. Photolacke, mithilfe eines fokussierten Laserstrahls gezielt ausgehärtet, sodass über präzise Relativbewegungen von Lack und Fokus nahezu beliebige 3D Strukturen mit Details auf der Gröÿenordnung des Laserfokus generiert werden können. Dabei spielt die namensgebende, nichtlineare Zwei-Photonen Absorption (2PA) eine entscheidende Rolle: Nur bei einer nahezu simultanen Absorption von zwei Photonen ist die eingebrachte Energie ausreichend hoch, um die gewünschte Aushärtung des Materials zu initiieren. Der entsprechende Zwei-Photonen Absorptionsquerschnitt skaliert mit dem Quadrat der Lichtintensität und dem Imaginärteil der elektrischen Suszeptibilität dritter Ordnung chi(3), sodass beim DLW auch von einem chi(3)-Prozess gesprochen wird. Die zur Aushärtung notwendige Photonenendichte ist somit ausschlieÿlich im Fokus des verwendeten Objektivs hoch genug und erlaubt dadurch die Fertigung von Strukturdetails im Bereich von 100 nm. Eine aktuelle Anwendung findet das DLW in der Metrologie. Hier werden beispielsweise für die Kalibrierung optischer Messgeräte sogenannte Kalibrierkörper benötigt, welche als Referenzstrukturen dienen. Mit dem Wissen der entsprechenden Referenzkennwerte lassen sich die jeweiligen Messgeräteabweichungen bestimmen gegebenenfalls bei der Datenauswertung korrigieren. Dadurch werden die Ergebnisse für Forschung und Industrie verlässlicher, reproduzierbarer und vergleichbarer. Das DLW erlaubt aufgrund seiner hohen Flexibilität und Designfreiheit erstmals, sämtliche Kalibrierkörper für eine ganzheitliche Messgerätekalibrierung kombiniert auf einem einzelnen Trägersubstrat herzustellen. Um das Alterungs- und Skalierungsverhalten sowie die jeweiligen Kalibriereigenschaften der additiv gefertigten Strukturen für einen nachhaltigen technologischen Einsatz attraktiv zu halten, ist ein tiefergehendes Verständnis des entsprechenden Materialsystems unabdingbar. Unter bestimmten Bedingungen zeigt sich, dass die zeitabhängigen Veränderungen der Strukturen nach der thermisch beschleunigten Alterung nach Arrhenius auf den industriell relevanten Zeitskalen von einigen Jahren vernachlässigt werden kann. Auch die für die Kalibrierung unterschiedlicher Objektivvergröÿerungen notwendige Skalierung dieser Kalibrierkörper liefert nach entsprechender Herstellungsoptimierung verlässliche Daten: Sowohl filigrane Strukturen im Bereich einiger weniger Mikrometer und darunter zur Auflösungskalibrierung stark vergrößernder Optiken, als auch großflächige Strukturen von nahezu 1mm² für niedrigere Vergrößerungen bei ähnlicher Auflösung erweisen sich als realisierbar. Um die für eine Auflösungskalibrierung ausreichend hohe Qualität der gefertigten Kalibrierkörper auch in Zukunft zu gewährleisten, muss die Technologie des DLWs stetig weiterentwickelt werden. Die gezielte Aberrationskorrektur des strukturierenden Laserfokus stellt in diesem Kontext zwar eine vielversprechende Option dar, die etablierte iterative Phasenfrontmodifikation mittels Zernike-Polynome erweist sich allerdings als aufwendig und subjektiv. Im Hinblick auf Reproduzierbarkeit und Präzision soll daher zunächst ein passender Algorithmus Abhilfe schaffen. Das Grundprinzip beruht dabei auf dem sogenannten Gerchberg-Saxton Algorithmus, bei dem die Amplitudeninformation sowohl in der Fokus-, als auch in der Pupillenebene iterativ variiert wird. Dadurch werden die Aberrationen über die Phasenverteilung repräsentiert, welche im Anschluss zur Korrektur der Aberrationen verwendet werden kann. Diese Herangehensweise konnte im Rahmen dieser Arbeit erstmals auf Systeme hoher numerischer Apertur sowie auf nahezu beliebige fokale Intensitätsverteilungen erweitert werden. Die technologische Grundlage hierfür liefert ein räumlicher Lichtmodulator (spatial light modulator, SLM), der die Feldverteilung in der Pupillenebene mittels doppelbrechender Flüssigkristalle einstellt. Durch einen geschickten Aufbau können somit Phase und Amplitude des Laserstrahls über computergenerierte digitale Hologramme gezielt und ohne mechanische Einwirkung verändert werden. Die somit automatisierte Aberrationskorrektur verbessert in der Folge die Strukturierungseigenschaften der Fertigungstechnologie und damit die Qualität der resultierenden Kalibrierkörper. Eine weitere Verbesserung erfolgt in Analogie zum Nobelpreis gekürten Prinzip der STED Mikroskopie, bei der durch stimulierte Emission das effektive Anregungsvolumen verkleinert und damit die laterale Distanz zwischen zwei gerade noch aufgelösten Strukturen von einigen wenigen hundert Nanometern auf ca. fünf Nanometer verbessert wurde. In der Lithographie erfolgt die stimulierte Emission durch einen zweiten Laser via Ein-Photonen Absorption (1PA ~chi(1)), ist jedoch aufgrund komplexer photochemischer und quantenmechanischer Prozesse in den Photolacken nicht unmittelbar aus der Mikroskopie übertragbar. Die grundlegende Machbarkeit wurde bereits von anderen Forschungsgruppen verifiziert, jedoch stets mit der Limitierung auf sehr geringe Strukturierungsgeschwindigkeiten im Bereich von ungefähr 100 µm/s. Damit würden die zuvor erwähnten großflächigen Kalibrierstrukturen bei unveränderten Parametern eine Fabrikationszeit von über einem Monat beanspruchen, weswegen das Verfahren im Rahmen dieser Arbeit auf das ca. 200 mal schnellere Strukturieren mittels Galvanometerspiegel erweitert wird. Dies wird zwar durch wellenlängenabhängige Eigenschaften des Systems, wie z.B. chromatische Aberrationen erschwert, dennoch ergeben sich nachweislich einige Fortschritte: Unerwünschte Abweichungen von der Sollstruktur durch die experimentell stets vorhandene Vignettierung können deutlich reduziert werden. Außerdem kann der Parameterbereich zur Erzeugung konstant hoher Strukturqualität deutlich vergrößert werden. In Kombination mit den SLMs können somit, je nach Anforderungen der Zielstrukturen, die jeweils passenden fokalen Intensitätsverteilungen für den An- und Abregungsstrahlengang automatisiert generiert und optimiert werden. Zudem wurde durch die in dieser Arbeit erbrachten konzeptionellen Fortschritte der STED inspirierten Zwei-Photonen Laserlithographie die Grundlage für eine industrielle Anwendung der erzeugten Kalibrierstrukturen in der Metrologie gelegt. ; This dissertation deals with the further development of Two-Photon laser lithography for the realization of high-resolution measuring standards for the calibration of optical areal topography measuring instruments according to DIN EN ISO 25178. Additive manufacturing as a general term for a manufacturing process applied in layers or points is prospering and will play an important role as a key technology in future, according to the committee of research and innovation established by the German government. Instead of milling components out of a solid block with limited geometry, for example, additive manufacturing successively builds up the corresponding workpiece from metals, plastics or composites and is usually geometry unlimited. This makes this technology interesting for e.g. rapid prototyping and allows a structure-driven manufacturing process: "Future components will not be designed, but calculated!" (Dr. Karsten Heuser, VP Additive Manufacturing, Siemens AG at 3D Printing and Industry 4.0: An Industry Perspective, Photonics West 2018, San Francisco, 31.01.2018 (freely cited)). Especially on the micron and nano scale, its importance is continuously growing. Starting with fundamental questions in the fields of photonic crystals, biological cell templates or metamaterials, Two-Photon laser lithography, also known as direct laser writing (DLW), is currently gaining in industry. During the DLW process, areas of photosensitive materials, e.g. photoresists, are specifically cured with the aid of a focused laser beam, so that almost any 3D structures with details on the order of magnitude of the laser focus can be generated via precise relative movements of the resist and focus. Thereby, the namegiving, non-linear Two-Photon absorption (2PA) plays a decisive role: only with an almost simultaneous absorption of two photons, the input energy is suffciently high to initiate the desired curing of the material. The corresponding Two-Photon absorption cross-section scales with the square of the light intensity and the imaginary part of the third order electrical susceptibility chi(3), so that DLW is also named as a chi(3)-process. The photon density required for the above mentioned curing is high enough exclusively in the focus of the objective used and thus, permits the production of structural details in the range of 100 nm. A current application for Two-Photon laser lithography can be found in metrology. Here, so-called calibration artifacts are needed for the calibration of optical measuring instruments, which serve as reference structures. With the knowledge of the corresponding reference values, the respective measuring instrument deviations can be determined and possibly corrected during the evaluation of the data. This makes the results for research and industry more reliable, reproducible and comparable. Due to the high flexibility and freedom of design, Two-Photon laser lithography allows for the first time to produce all calibration artifacts for a holistic calibration of measuring instruments combined on a single carrier substrate. In order to keep the ageing and scaling behaviour as well as the respective calibration properties of these structures attractive for sustainable technological use, a deeper understanding of the corresponding material system is indispensable. Under certain conditions it is shown that the time-dependent changes of the structures after a thermally accelerated ageing according to Arrhenius can be neglected on the industrially relevant time scales of some years. The scaling of these calibration artifacts required for the calibration of different objective magnifications also provides reliable data after appropriate production optimization: both, filigree structures in the range of a few micrometers and below for a calibration of resolution of strongly magnifying optics, as well as large-area structures of almost 1mm² for lower magnifications with similar resolution are proved to be feasible. In order to guarantee the suffciently high quality of the calibration artifacts produced for a resolution calibration also in the future, the technology of DLW must be continuously further developed. Although the taylored aberration correction of the structuring laser focus is a promising option in this context, the according established iterative phase front modification using Zernike polynomials proves to be complex and subjective. With regard to reproducibility and precision, a suitable algorithm should therefore provide a remedy. The basic principle is based on the so-called Gerchberg-Saxton algorithm, in which the amplitude information is iteratively varied within both, the focal plane and the pupil plane. Thus, the aberrations are represented by the phase distribution, which is then used for aberration compensation. This approach could be extended for the first time to systems with high numerical aperture and to almost any focal intensity distributions within this thesis. The technological basis for this is provided by a spatial light modulator (SLM), which adjusts the field distribution in the pupil plane by means of birefringent liquid crystals. An evolved setup allows for phase and amplitude modification of the laser beam via computer-generated digital holograms and thus, correcting the aberrations without mechanical influence. A further improvement is achieved in analogy to the Nobel Price rewarded principle of STED microscopy, in which the effective excitation volume was reduced by stimulated emission, thus the minimal resolved distance of two single structures improved from some few hundreds of nanometers to about five Nanometers. In lithography, the stimulated emission is achieved by a second laser via One-Photon absorption (1PA ~chi(1)), but due to complex photochemical and quantum mechanical processes within the photoresists it cannot be transferred directly from microscopy. The basic feasibility has already been verified by other research groups, but always with the limitation to very low structuring velocities in the range of about 100 µm/s. Regarding the aforementioned large areal calibration artifacts, their fabrication time is expected to take more than one month, using unchanged structuring parameters. High velocity galvanometric mirror structuring is supposed to overcome this issue by performing at least 200 times faster. Although this is complicated by wavelength-dependent properties of the system, such as chromatic aberrations, some progress has been made: unwanted deviations from the target structure due to vignetting, which is always present in our experiments, can be clearly reduced. In addition, the parameter range can be noticeably increased in order to produce consistently high structure quality. In combination with the SLMs, the appropriate focal intensity distributions for the excitation and depletion beam paths can be automatically generated and optimized, depending on the requirements of the target structures. In addition, the conceptual advances of the STED-inspired Two-Photon laser lithography have laid the foundation for an industrial application of the generated calibration structures in metrology.
Im Folgenden stelle ich den Sammelband Performing Politics vor, der anlässlich der ersten Internationalen Sommerakademie 2010 in Hamburg entstanden ist. Die zentrale Fragestellung der Akademie lautete: "wie man heute im Sinne der von Jean-Luc Godard vorgeschlagenen Unterscheidung statt politischer Kunst politisch Kunst machen kann" (S. 7). Außerdem sollte der Austausch zwischen Theorie und Praxis gepflegt und die Veranstaltung für eine größere Öffentlichkeit geöffnet werden. Trotz der Heterogenität ergänzen sich einige Beiträge und vermitteln einen Eindruck des vielfältigen und weiten Feldes. Unter der Überschrift "Politik (in) der Kunst" wurden Beiträge versammelt, die sich mit den grundlegenden Voraussetzungen dafür beschäftigen, wie Kunst politisch sein kann. Es geht dabei vor allem um künstlerische Methoden und Vorgangsweisen. Der Gemeinschafts-Begriff bzw. der Begriff des Kollektiven spielt eine wichtige Rolle in mehreren Beiträgen. Das Nature Theater of Oklahoma (NTO) – Pavol Liska und Kelly Copper – versucht ein krisenhaftes Moment in ihre Arbeiten einzuführen, das ihre eigene Arbeitsweise, die der Schauspieler_innen und die Erwartung des Publikums herausfordert. So sollen neue Formen entstehen, die die traditionellen Grenzen des Theaters überschreiten. Die Theatermacher_innen verwenden einen Begriff von "Echtheit" bzw. "Realismus", der einen Zwischen-Zustand meint, in dem die Darsteller_innen weder sie selbst noch ihre Rolle sind. Robin Arthur thematisiert das Problem der Gemeinschaft und 'der Anderen' im Kontext des Politischen. Dabei wirft der Autor die Frage auf: Ist jede Art von Performance schon Politik, weil sie eine bestimmte (wenn auch exklusive) Kollektivität erzeugt? Reinhard Strobl und Jasna Žmak versuchen mit ihrem Text "High Hopes" eine fiktive Gemeinschaft mit ihren Lesern_innen herzustellen. Man könnte diese Textform auch als 'performatives Texten' beschreiben, da es den/die Leser_in aktivieren soll, eigene Gedanken anzuschließen. Sebastian Blasius fragt sich angesichts der Arbeit … although I live inside … my hair will always reach towards the sun … der Choreographin Robyn Orlin, "ob überhaupt innerhalb des theatralen Mediums Alternativen oder Lösungen politischer Fragen erdacht werden können, die nicht schon anderswo versucht wurden" (S.42). Spannend finde ich seine Schlussfolgerung, dass die Form an sich in Frage gestellt werden müsse, um politisch Theater zu machen. Auch in Astrid Deuber-Mankowskys Beitrag geht es um das Herstellen einer Gemeinschaft, genauer um "das Fehlen des Volkes" in Filmen der Nachkriegszeit. Die Formel des "Fehlens des Volkes" geht auf Gilles Deleuze zurück. Nach Deleuze sei es die Aufgabe des modernen Kinos, zu zeigen "wie das Volk fehlt" – was verbunden sei mit der Herstellung der Bedingungen von Kollektivität, dem Problem der Wahrnehmung und dem Problem des Denkens (vgl. S.30). Rudi Laermans spricht in seinem Text über Meg Stuart hingegen vom "kollektive[n] Blick" bzw. dem "kollektiven Ohr". Gemeint ist einerseits die Gemeinschaft von Zuschauer_innen/Zuhörer_innen und andererseits eine kulturelle Gemeinschaft, die dieselben Zeichen lesen kann. Die sogenannte "Politik des Zuschauens" tritt dann ein, wenn die Voraussetzungen und kulturellen Normen des Schauens/Hörens oder die Beziehung zwischen Zuschauern_innen und Akteuren_innen in Frage gestellt werden (vgl. S.43f.). Im Abschnitt "Interventionen – Kunst und (subversive) Aktionen" geht es um die Rolle von Kunst als 'politisches Instrument' sowie um die Frage, inwiefern Kunst konkrete Auswirkungen auf politische und gesellschaftliche Zusammenhänge haben kann. Sergej A. Romashko betont die Bedeutung des jeweiligen situativen und historischen Kontextes für die Frage, wann Kunst politisch ist. Mit Walter Benjamin weist er außerdem darauf hin, dass das Politische an der Kunst nicht allein am Inhalt festgemacht werden könne, sondern auch die Form zu berücksichtigen sei. So können die Arbeiten von Kollektive Aktionen (Kollektivnye dejstvija), einer russischen Künstlergruppe, der der Autor selbst angehört, im Kontext der Sowjetzeit und im Verhältnis der gesellschaftlichen Spielregeln als 'politisch' gedeutet werden. Die Teilnehmer_innen stellen nichts dar, sondern vollziehen eine bestimmte Handlung, die sich zu kulturellen, historischen und politischen Rahmenbedingungen ins Verhältnis setzt. André Schallenberg bezieht sich in seinem Beitrag ebenfalls auf Arbeiten von Kollektive Aktionen (KA), aber auch auf aktuelle Aktions- und Interventionsprojekte von Labofii, den Yes Men, 01.org und der russischen Gruppe Voina. Er unterscheidet zweckorientierte Kunst, die sich in den Dienst von Protest oder einer pädagogischen Funktion stellt von jenen Praktiken, die versuchen Freiräume für Kunst zu schaffen, die außerhalb jeglichen Systemzwangs stehen. Daher unterscheidet er das Laboratory of Insurrectionary Imagination (Labofii), das als erklärtes Ziel "die (Zurückeroberung) öffentlichen Raumes durch eine Gruppe Fahrradfahrer sowie die Herstellung einer sich einig wissenden Gemeinschaft von politisch Aktiven" habe, radikal von Gruppen wie KA oder Voina (S. 74). Demgegenüber erläutert John Jordan die Innenperspektive des Labofii. Die Künster_innen betrachten "de[n] Aufstand als eine Kunstform und Kunst als Mittel zur Vorbereitung auf den kommenden Aufstand" (S.79). Zu diesem Zweck bauten sie z.B. zurückgelassene Fahrräder in Kopenhagen/Hamburg um, und in einer Reclaim-The-Street-Aktion sollten die Straßen 'zurückerobert' werden. Fraglich ist einerseits, inwiefern Kunst die Realität auf Dauer verändern kann und andererseits, ob die Unterordnung von Kunst unter andere Zwecke – seien diese pädagogischer, politischer oder wirtschaftlicher Art – diese nicht ihrer selbst zu sehr entfremdet. Shalaby und Bansemir beziehen sich ebenfalls auf die Aktion FLOOD von Labofii, die am 22.August 2010 in Hamburg stattfand. Sie betonen die Ambivalenz der Aktion, die weder eindeutig als Kunst noch als politische Demonstration einzuordnen war, was zu einer Auflösung der Grenzen beider Bereiche führte. Maximilian Haas beurteilt die Aktionen von Labofii im Sinne von Walter Benjamin als "reine Mittel ohne Zweck, die sich dem Kontext der repräsentativen Ordnung von Kunst und Politik entziehen, und die – folgt man Benjamin – also als gewaltlos zu bezeichnen wären" (S. 87). Für Haas bleiben sowohl der Kunstcharakter der Intervention als auch die jeweilige politische Forderung unausgesprochen, was die Aktionen zu reinen Mitteln werden lasse. Die Beiträge, die unter "Konfigurationen – Politiken des Raumes" gesammelt wurden, thematisieren einerseits die Inszenierung des öffentlichen urbanen Raumes und andererseits künstlerische Interventionen, die sich mit diesem auseinandersetzen. Die Autor_innen nähern sich der Thematik aus historischer, künstlerischer, architektonischer, sozialer und kapitalismuskritischer Perspektive an. Ulrike Haß hat sich angesehen, wie kulturelle, politische, religiöse und andere Faktoren städtische Topographien im Laufe der Zeit verändern. Genauer untersucht die Autorin die Relation zwischen Raum und Sichtbarkeit in Bezug auf die Städte der Renaissance, die filmischen Topographien deutscher Filmemacher am Anfang des 20. Jahrhunderts und in Bezug auf den Städtebau der BRD. Die totale Sichtbarkeit in der Kontrollgesellschaft lässt dabei "übersehene Räume" – Zwischenräume, die noch nicht vom Konsum bestimmt werden –als potentielle Orte des Widerstands erscheinen, die zurückerobert und teilnehmend erkundet werden können. Das Kollektiv Bauchladen Monopol begann 2010 in Hamburg, öffentliche Plätze und Gebäude durch ihre Tanz-Aktionen zu besetzen und damit den Raum für die begrenzte Zeit von jeweils vierzig Minuten für sich zu beanspruchen. In der Reflexion ihrer Arbeit kommen sie zu dem Schluss, dass die Besetzung öffentlicher urbaner Räume, die keinem bestimmten Zweck dient, sowohl als Eingriff in die bestehende Ordnung, aber auch als willkommene Abwechslung gelesen werden kann. Jasmin Stommel weist in ihrem Beitrag ebenfalls auf den Zusammenhang von kapitalistischen Interessen und dem urbanem Raum hin. Ein Symptom davon seien sogenannte "Nicht-Orte" (Marc Augé) an der Peripherie von Städten, die monofunktional und transitorisch sind. Als Beispiel führt die Autorin das Kampnagelgelände in Hamburg an, in dessen vielfältiger Nutzung sich dieses Spannungsverhältnis widerspiegle. Unter dem Titel "Überschreitungen – Politiken (in) der Institution" wurden Beiträge gruppiert, die sich mit den Bedingungen von Kunstproduktion in jenen institutionellen Gefügen beschäftigen, die Kunst oftmals erst ermöglichen, aber auch behindern können. Aus ihrer Perspektive als Kuratorin führt Amelie Deuflhard vier Kategorien an, in die sie künstlerische Arbeiten einordnet, die "politisch Kunst machen": "neue theatrale Formen (Experiment), transkulturelle Arbeiten, partizipatorische Formate und performative Interventionen" (S.124). Das Problem an den genannten Kategorien ist meiner Meinung nach, dass diese sehr allgemein und weit gefasst werden. Des Weiteren müssten folgende Aspekte einbezogen werden: der geschichtliche Kontext, die raum-zeitlichen Konfigurationen sowie die spezifische Ästhetik der Darstellung. Anneka Esch-van Kan weist auf die starke Tendenz hin, Theorie und Praxis des zeitgenössischen Theaters zu verbinden, was sich sowohl in den Produktionsweisen als auch in der wissenschaftlichen Arbeit niederschlägt. Sie betont jedoch die damit verbundenen Spannungen, die es erschweren eine Sprache zu finden, "die den vielfältigen komplexen Verhältnissen begegnen könnte". Das Finden einer solchen Sprache ist ihrer Ansicht nach ein wichtiger Schritt für die "Theoriebildung zum Politischen im Theater" (S.128). Als Theaterpraktiker plädiert Matthias von Hartz dafür, das Potential der Institutionen zu nutzen, um eine – nicht näher definierte – Öffentlichkeit zu erreichen. Einerseits sieht er die Relevanz des Theaters als Ort gesellschaftlicher Auseinandersetzung schwinden, andererseits will er für dessen Re-Politisierung kämpfen. Unter den verschiedenen Institutionen sieht er Festivals als "theoretisch ideale Formate", da für diese "alle Freiheiten des Theaters, aber nur wenige seiner Zwänge" gälten (S.131). Obwohl die Idee, die Institutionen von Seiten der Künstler_innen mehr zu nutzen, durchaus interessant ist, scheinen mir die zugrunde gelegten Begriffe von "Politik" und "Öffentlichkeit" sehr vage und unreflektiert. Außerdem denke ich, dass der Autor eher "politisches Theater" meint – und weniger Theater, das auf politische Weise gemacht ist. Nina Jan weist in ihrem Beitrag darauf hin, dass Festivals genauso bestimmten "Zwängen" folgen wie andere Kunstinstitutionen und demnach nicht unbedingt mehr Freiheiten bieten. Während die Relevanz von Festivals für das Networking zwischen Künstler_innen unbestreitbar sei, betont sie auch die den Festivals inhärente Marktlogik. Als Versuch, sich dieser zu entziehen, nennt die Autorin das Festival Pleskavica, das im Juni 2011 in Ljubljana (Slowenien) stattfand. Unter dem Titel "Jenseits des Spektakels" wurden Beiträge versammelt, die sich mit dem Begriff des Spektakels bzw. des Spektakulären auseinandersetzen. In Bezug auf Letzteres geht es um reale und imaginäre Bilder, die in und durch Performances/Theater generiert werden. Das postspektakuläre Theater, das André Eiermann beschreibt, setzt sich kritisch mit den Postulaten der "Unmittelbarkeit" und der "zwischenmenschlichen Begegnung von Angesicht zu Angesicht" auseinander, die in den letzten zehn Jahren zentral für den Diskurs um das Politische im Theater und die "Mitverantwortung des Publikums" waren (S.145). Im Unterschied zum oft spektakulären Mitmach-Theater, das – ganz im Sinne der Gesellschaft des Spektakels – darauf ausgerichtet sei, sich selbst darzustellen und einen nur scheinbar gleichwertigen Austausch mit den Darstellern_innen zu simulieren, sind postspektakuläre Arbeiten abstrakter oder formaler, bieten jedoch dem Publikum Anschlussstellen für die eigenen Imagination. Jemma Nelson und Caden Manson – zwei Mitglieder der New Yorker Performance Gruppe The Big Art Group – stellen ihren Begriff des Spektakulären vor. Für ihre Performances dienen die massenwirksamen Bildproduktionsmaschinen von Internet-Foren, Online-Games, Webseiten, Talkshows oder Nachrichtensendungen als Inspirationsquellen und Rohmaterial. Es geht den Verfassern jedoch um die "Brechung des Spektakulären", die ihrer Meinung nach nicht mehr durch eine kritische oder analytische Distanz bewerkstelligt werden könne (S.151). Statt Aussagen blieben in den Aufführungen die Bildlichkeit und die Formen des medialen Informationskrieges übrig. Es geht den Theatermachern aber auch um eine Kritik an der Massenwirksamkeit von Bildern. Sanna Albjørks Außenperspektive auf zwei Produktionen der Big Art Group hilft, deren Arbeitsweise besser zu verstehen. Charakteristisch ist laut der Autorin "[d]ie Gleichzeitigkeit der Betrachtung spektakulärer Bilder […] und die Ausstellung ihrer Produktion". Es gehe nicht um den 'Inhalt' der Bilder, sondern um deren "Manipulierbarkeit" (S.153). Interessant ist vor allem die Frage, die sich Albjørk selbst stellt: Wird wirklich eine Brechung des Spektakulären bewerkstelligt, oder wird der/die Zuschauer_in durch das "Bombardement von Bildern und Sounds" (S.154) mit dieser Überforderung allein gelassen? Krystian Lada untersucht anhand von drei Beispielen "den kreativen Prozess des Herstellens von Bildern auf der Bühne" (S.155). Wie bei Eiermann kommt dem Publikum eine wichtige Rolle zu. Erst in der Vorstellung der Zuschauer_innen entstehen die 'fertigen' Bilder, die durch die Bühnenvorgänge angeregt werden. Der Prozess der Imagination kann z.B. nur durch Sprache und die Körper der Performer_innen initiiert werden. Unter dem Titel Ein anderes Subjekt des Politischen wurden Beiträge versammelt, die sich mit der Subjekt-Werdung und deren politischen Implikationen auseinandersetzen. Einerseits wird der cartesianische Subjekt-Begriff philosophisch befragt, andererseits geht es um die Subjekt-Konstitution in/durch Performances und Theateraufführungen. In seinem Beitrag "Theaterkörper" denkt Jean-Luc Nancy Martin Heideggers Da-Seins-Begriff radikal weiter, indem er das Subjekt als Körper versteht, der nicht gedacht werden kann, sondern sich zeigt. Da dieses Körper-Subjekt nicht mehr im Rahmen der Philosophie gedacht werden kann, dehnt Nancy seine Überlegungen auf das Theater aus, das derjenige Ort sei, wo Präsenz erfahren werden könne. Nancy denkt Existenz als gleich-ursprüngliche Mitzugehörigkeit (coappartenance) (vgl. S.158), als Nebeneinander von Körpern in einer zeitlich-räumlichen Konfiguration, die über Relationalitäten miteinander in Beziehung treten. Dieser Gedanke ist immens politisch, da er den Menschen nicht als vereinzeltes Individuum begreift, sondern als Teil einer Gemeinschaft von Körpern, die immer schon aufeinander bezogen sind. Maria Tataris Kommentar zu Nancys Text trägt viel zu dessen Verständlichkeit bei und ergänzt diesen um wertvolle Informationen. Das "als Solche" der Präsenz denkt Nancy als Äußerlichkeit, was dem philosophischen Denken, das immer am Immateriellen festhält, widerspricht. Folgendes Zitat fasst Nancys Text auf wunderbare Weise zusammen: "Heideggers ontologische Differenz, die die Entfaltung des Seins nicht als Bestandheit der Präsenz, sondern als Emergenz der Zeit denkt, von Nancy als Körper radikalisiert, als Errichtung von bezügezeitigenden und raumgreifenden Intensitäten im Außen, endet im Theater" (S. 175). Mayte Zimmermann wendet in ihrem Beitrag Nancys Konzept eines Körper-Subjekts auf deufert&plischkes Arbeit Anarchiv#2: second hand an. In dieser Arbeit wird das Subjekt herausgefordert, weil es keine fixe Position mehr einnimmt, von der aus es sich seiner Machtposition versichern und die Performer_innen zu angeblickten Objekten machen kann. Die Verhandlung der Frage des Gemeinschaftlichen im Theater ist für die Autorin eine politische Frage. Das Politische kann für sie jedoch nur als "quasi gespenstische Repräsentation" gedacht werden (S.176). Die Konfrontation mit dem Anderen generiert die Subjekt-Werdung: Die Körper im Raum setzten sich zueinander in Relation; sie prallen aufeinander, stoßen einander ab oder ziehen einander an. Aber sie verhalten sich immer zu-einander, sie sind immer schon mit-einander. Laut Zimmermann geht es in Anarchiv#2 auch darum, dass der Abgrund bzw. der "Zwischen-Raum" und die "Zwischen-Zeit" zwischen uns und dem Anderen geöffnet werden sollen, auf eine Weise, dass das "gespenstische Eigenleben" des Anderen erhalten bleiben kann (vgl. S. 184f.). Nikolaus Müller-Schöll untersucht in seinem Beitrag den Zusammenhang zwischen dem Verschwinden der Figur des Chores und der des Harlekins in der europäischen Theatergeschichte sowie deren Renaissance im Theater der Gegenwart. Der Harlekin bricht, wie der Chor, mit der Illusion der Bühnenhandlung, weil wir ihn immer als Harlekin/Chor erkennen und wissen, dass er "nur spielt". Beide sind nicht Teil der Handlung des Dramas, sondern ihnen kommt die "Funktion eines Trägers, Begleiters, Zeugen und Richters der Handlung zu, letztlich also eine Art von Neutrum und insofern die eines bloßen Spielers" (S.193). Müller-Schöll nennt u. a. die Performance-Gruppe Forced Entertainment als herausragendes Beispiel für die Wiederkehr des Harlekins im Gegenwartstheater. Die Geschichten, die sie erzählen, scheitern, denn es gibt keine Wahrheit mehr, die im dramatischen Dialog zutage kommen könnte (vgl. S.197ff.). Sowohl der Harlekin als auch der Chor stellen traditionelle Möglichkeiten dar, innerhalb der Theatertradition auf die Unsicherheit von Identität hinzuweisen. Für Müller-Schöll geht es um die "abgründige Erfahrung" der Existenz, um das Bewusstsein, dass wir immer schon in einem Medium sind, das "das Ende jeder geschlossenen Repräsentation und die Eröffnung unabsehbarer Möglichkeiten" bedeutet (S.200). Jurga Imbrasaite geht in ihrem Beitrag ebenfalls auf die Frage des Subjektes und dessen politische Bedeutung ein. Am Beispiel von Jérôme Bels Tänzerporträts wird aufgezeigt, wie "das choreographische Subjekt" (vgl. Zimmermann) erzeugt wird, indem es sich der Choreographie unterwirft. Die Machtkonstellation Choreograph – Tänzer wird subvertiert, indem die Stücke die Namen der porträtierten Tänzer tragen. Neben der unorthodoxen Namensgebung stellt die Art und Weise, wie die Tänzer_innen agieren, ebenfalls eine Verschiebung der Normen dar. Das private Selbst und das "choreographisches Selbst" werden einander gegenübergestellt und höhlen sich dadurch gegenseitig aus. Insgesamt gibt der Sammelband Performing Politics einen guten Überblick über aktuelle Debatten im Kontext des Politischen und der darstellenden Künste. Die Beiträge decken ein weites thematisches Spektrum ab; durch die Bündelung unter übergreifende Themen gelingt es jedoch, Querverbindungen zwischen den einzelnen Beiträgen herzustellen. Viele Autoren_innen arbeiten sich an der Schnittstelle von Theorie und Praxis der Kunst ab, tun dies jedoch aus sehr unterschiedlichen Perspektiven. Es finden sich aber auch spannende Beispiele und Berichte aus der Praxis von/über: Nature Theater of Oklahoma, Labofii, Kollektive Aktionen (KA), The Big Art Group, Kollektiv Bauchladen Monopol, deufert&plischke, Jérôme Bel und Forced Entertainment. Theoretisch besonders anregend ist der Abschnitt "Ein anderes Subjekt des Politischen", der Einblick in aktuelle philosophische Debatten (Jean-Luc Nancy) gibt, ohne jedoch den Kunstkontext hinter sich zu lassen. Die Beiträge zu "Politiken des Raumes" geben ungewohnte und spannende Perspektiven in Hinblick auf Raum, Stadt, Kapitalismus und Öffentlichkeit. Der Abschnitt "Interventionen" spiegelt wiederum sehr gut den aktuellen Trend zu aktionistischen und interventionistischen Kunstformen wieder. Andererseits taucht darin die alte Debatte um den "Zweck von Kunst" überhaupt auf, in der die Verfechter des l'art pour l'art jenen gegenüberstehen, die Kunst dem Zweck der Politik (oder anderen Zwecken) unterordnen wollen. Zusammenfassend lässt sich sagen, dass es sich um eine vielseitige und spannende Lektüre für all jene handelt, die einen Überblick über aktuelle Debatten zur Thematik suchen. Es finden sich aber sicher auch Anregungen für auf diesem Gebiet bereits versierte Leser_innen.
1.1 PREMESSA Per riciclaggio si intende tutto l'insieme di strategie volte a recuperare materiali di risulta da attività di demolizione e costruzione, per riutilizzarli, dopo averli opportunamente trattati, invece di smaltirli in discarica. É un'attività che la specie umana ha esercitato per millenni, prima copiando i cicli della natura in agricoltura e poi imitandola in alcuni settori industriali; in quest'ultimo caso la storia della carta e del vetro mostrano come l'eccellenza della produzione sia stata per secoli legata proprio al recupero artigianale di tali materie prime. Allo stato attuale non è più ammissibile sostenere politiche di sviluppo fondate unicamente sull'utilizzo delle risorse naturali vergini, pensando di poterne disporre in quantità illimitata, ma è necessario creare dei processi virtuosi che consentano il più possibile di riutilizzare quello che viene quotidianamente scartato. Investire risorse sulla raccolta differenziata e su tecniche alternative di recupero non significa solo scongiurare il ripetersi di situazioni estreme come la tragedia dei rifiuti in Campania. Se le scene viste nei mesi passati a Napoli, con la città sommersa dall'immondizia e la guerriglia urbana contro l'apertura di nuove discariche, possono rappresentare una spinta anche emotiva per voltare pagina, i benefici di corrette politiche di gestione dei rifiuti e del riciclo industriale costituiscono qualcosa di molto più vasto ed articolato. Portare avanti politiche lungimiranti può voler dire, infatti, ottenere benefici decisivi in campo energetico, nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica e nell'approvvigionamento di materie prime. Lo spiega chiaramente, con ricchezza di cifre e profondità di analisi il dossier "Il riciclo efficiente" [1], uno studio elaborato dall'Istituto di ricerca Ambiente Italia su commissione del Kyoto Club, il cartello di imprese italiane che hanno raccolto l'impegno a contrastare i cambiamenti climatici in chiave di innovazione e competitività industriale. Tale strada è inoltre indicata dall'Unione Europea, attraverso il programma 20-20-20 che impone il taglio dei gas climalteranti (CO2 in testa) e l'incremento dell'efficienza energetica. In molti settori produttivi non si è ancora preso in seria considerazione l'enorme opportunità rappresentata dall'auspicabile riorganizzazione della gestione dei rifiuti e del riciclo industriale di essi. Ciò spesso è dovuto al fatto che non si considerano i benefici derivanti da tali azioni su più fronti: riduzione dell'estrazione di risorse non rinnovabili, minore perdita di biodiversità, riduzione dei consumi energetici, riduzione delle emissioni dei gas serra e riduzione dei consumi idrici. Il problema del riciclo e quindi dello smaltimento dei rifiuti sta divenendo anno dopo anno una questione cruciale in molte attività che coinvolgono la nostra vita quotidiana. Si è giunti alla consapevolezza che lo smaltimento in discarica ai livelli attuali è un'opzione difficilmente sostenibile per il futuro, e per tale motivo si deve cercare di limitarlo attraverso l'adozione di opportuni strumenti politici ed economici. Oltre a ciò, la crescente sensibilità verso le problematiche ambientali da parte delle amministrazioni pubbliche e della collettività in generale ha reso sempre più difficoltoso il prelievo da cave degli inerti naturali in quanto attività ad elevato impatto sul territorio, di difficile regolamentazione e pianificazione. Per questo motivo il costo degli aggregati naturali, materia base per la costruzione delle pavimentazioni stradali, è via via andato aumentando rendendo nel tempo sempre più onerosa la costruzione di tali opere. Il campo ingegneristico delle opere civili, in cui si necessita costantemente di enormi quantità di materiale da costruzione e a cui spesso non si richiedono elevate prestazioni o proprietà fisiche particolari come viceversa avviene nell'ingegneria aerospaziale o meccanica, è un settore in cui da tempo è in vigore un tale atteggiamento virtuoso. Nel settore stradale, la ricerca di nuovi materiali, alternativi a quelli tradizionali, utilizzati finora per la formazione delle pavimentazioni, si sta sempre più sviluppando. L'impiego di materiali di scarto fornisce il duplice vantaggio di ridurre la pressione sulle discariche e sulle cave, anch'esse sempre più congestionate, minimizzando l'impatto sull'ambiente e necessitando di minori risorse naturali. Una conseguenza immediata è inoltre l'abbassamento degli oneri di produzione, andando a ridurre sia i costi di acquisto che di trasporto delle materie prime. I primi in quanto tali materiali vengono ceduti gratuitamente dagli impianti di selezione e trattamento essendo l'alternativa quella di pagare per il conferimento in discarica. I secondi per il fatto che si rendono disponibili risorse in maniera più diffusa sul territorio, magari anche in aree lontane da cave di estrazioni, riducendo di conseguenza le distanze tra punto di approvvigionamento e di impiego e quindi anche gli oneri di trasporto. Nonostante questi indubbi vantaggi, in passato tuttavia la diffusione delle tecniche di riciclaggio è stata ostacolata da un quadro normativo fortemente avverso e dall'atteggiamento conservatore di certi progettisti ma anche stazioni appaltanti, direttori dei lavori e costruttori, atteggiamento che in alcuni casi ancora oggi sussiste. Ad oggi invece, almeno dal punto di vista legislativo, vi è il massimo interesse a promuovere attività di riciclaggio, come ad esempio con l'introduzione dell'obbligo di copertura del 30% del fabbisogno annuale delle amministrazioni pubbliche con materiali riciclati. Relativamente invece all'aspetto tecnico si può affermare che la quasi totalità dei capitolati stradali in vigore sul nostro territorio richiede che vengano utilizzati esclusivamente aggregati di origine naturale mentre vi è una grave carenza di indicazioni atte a definire le caratteristiche degli aggregati riciclati da prendere in considerazione, di procedure normalizzate per la determinazione dei loro requisiti prestazionali e di prescrizioni per un loro corretto utilizzo tecnico. Per tali motivi al fine di sviluppare maggiormente l'impiego degli aggregati provenienti dai rifiuti urbani, come gli scarti del rottame di vetro, è necessario che vi sia, da una parte, un preciso inquadramento normativo e dall'altra strumenti tecnici (capitolati) che non discrimino i materiali in base alle loro origini, ma dettino unicamente caratteristiche di tipo prestazionale. È necessario dunque eseguire studi mirati che siano in grado di definire le prestazioni che questi materiali alternativi possono fornire ed eventualmente i limiti e le precauzioni da adottare per un loro corretto e proficuo impiego. 1.2 OGGETTO DELL'INDAGINE ED OBBIETTIVI Obbiettivo di questa tesi è lo studio degli scarti del rottame di vetro come possibile materiale sostitutivo degli aggregati lapidei naturali per la formazione di conglomerati bituminosi da utilizzare per la realizzazione di pavimentazioni stradali. Con gli attuali sistemi di raccolta differenziata una consistente parte del rottame di vetro viene scartata durante le fasi di lavorazione negli impianti di trattamento. Quello che spesso non viene detto sul reimpiego delle materie prime seconde è appunto che per poter essere utilizzate devono essere selezionate e ripulite da ogni forma di inquinante in grado di compromettere i macchinari di produzione e le prestazioni del prodotto finito. Spesso invece, i materiali derivanti dalla raccolta differenziata non sono così differenziati come si pretenderebbe. Frequentemente per imperizia, disattenzione, noncuranza o "maleducazione" del cittadino, all'interno dei cassonetti vengono inseriti tutta una serie di materiali che non possono essere utilizzati o sono addirittura nocivi per lo scopo a cui è preposta la raccolta. Il materiale raccolto contiene spesso alte percentuali di sostanze "inquinanti" come plastica, ceramica, frammenti di laterizi, sostanze organiche, metalli, mentre il rottame di vetro, per poter essere utilizzato nell'industria vetraria, deve possedere elevati standard di pulizia che non sempre è possibile ottenere se non con uno screening molto accurato. Risulta quindi assai più conveniente effettuare una selezione sommaria ma veloce ed economica per dividere ciò che effettivamente serve da quello che non serve. Si creano così ingenti quantità di materiale di scarto costituito principalmente da vetro eliminato involontariamente durante le varie fasi di pulizia e da altre sostanze in minore percentuale. Tutto questo residuo dei processi di screening dovrebbe fare la stessa fine di quello non riciclato, ovvero finire in discarica, rendendo dunque assai limitato e approssimativo il sistema della raccolta differenziata. Viceversa, questa miscela composta da differenti materiali, denominata "scarto di rottame di vetro", può invece essere vantaggiosamente impiegata per la produzione di conglomerato bituminoso da usare per la costruzione delle pavimentazioni stradali con un duplice vantaggio: - diminuire i costi di produzione; - ottenere un beneficio ambientale, dando nuova vita ad un materiale considerato scarto. Va comunque sottolineato che l'impiego più nobile ed anche più redditizio a cui deve essere destinato il vetro riciclato è, e deve rimanere, il riutilizzo per la produzione di nuovo vetro. Tale alternativa quindi non deve andare a scapito di un processo di perfezionamento della raccolta differenziata e di sviluppo delle tecniche di selezione che invece vanno costantemente incentivate. Il fine da perseguire è invece quello di creare dei circuiti alternativi a quello classico adottato fino ad oggi per mettere in atto dei così detti "cicli aperti del riciclo" in grado di ampliare le possibilità di reimpiego del vetro e limitando al minimo fisiologico le quantità da destinare in discarica. Con questa tesi verrà testato l'impiego degli scarti di lavorazione di rottami di vetro all'interno di conglomerati stradali in sostituzione della frazione di fine di inerte naturale. Si cercherà di stabilire: - la massima percentuale ammissibile per lo strato di base, binder ed usura; - le precauzioni e gli accorgimenti da adottare per ottimizzare le prestazioni; - le eventuali problematiche che possono scaturire; - delle indicazioni utili da inserire in futuri Capitolati. Le prove programmate per l'indagine saranno sia quelle classiche, come la determinazione della percentuale dei vuoti, la prova di stabilià Marshall o di resistenza a trazione indiretta, così da avere dei dati facilmente confrontabili con la corrente letteratura esistente, ma anche prove prestazionali come quella per la determinazione del modulo complesso, al fine di determinare parametri maggiormente indicativi in linea con gli studi più recenti e necessari per il dimensionamento razionale delle sovrastrutture stradali. Lo scarto di rottame di vetro utilizzato nella tesi deriva dall'impianto di trattamento della Ditta Revet situato ad Empoli. Qui il vetro proveniente dalla raccolta differenziata delle province di Lucca, Pisa, Livorno e Firenze è ripulito e selezionato, e, successivamente, lo scarto di tali operazioni di screening viene ceduto alla Ditta Granchi , che si occupa di effettuare un ulteriore processo di vagliatura e frantumazione per ottenere il materiale nel suo stato finale, pronto all'uso. Lo scarto di rottame di vetro e tutto il materiale da testare durante la tesi, come le varie tipologie di aggregati ed il bitume, sono dunque stati forniti dalla Ditta Granchi, mentre le prove sono state svolte all'interno del laboratorio del Dipartimento di Ingegneria Civile, sede di Vie e Trasporti dell'Università di Pisa.
Questo itinerario di ricerca intende ripercorrere l'esperienza umana e intellettuale di Zygmunt Bauman, soffermandosi sugli aspetti biografici e sulla produzione scientifica dell'autore, sugli snodi dell'evoluzione del suo pensiero, per oltrepassarli e raggiungere alcuni contesti specifici di indagine circa l'identità che l'uomo contemporaneo viene rivestendo all'interno della società che Bauman, metaforicamente, definisce liquida. L'attenzione è inizialmente rivolta alla biografia dello studioso polacco, per andare a tracciare, attraverso essa, l'evoluzione del pensiero dell'autore che, sempre in dialogo con i cambiamenti negli assetti storici, sociali e culturali, restituisce una produzione scientifica ricca, analitica e propositiva al tempo stesso. La formazione di Bauman, in gioventù marcatamente marxista, risulta così ben presto influenzata prima dallo stretto rapporto con i suoi primi due maestri, Stanislaw Ossowsky e Julian Hochfeld, che gli forniscono le lenti più adatte per avere una visione chiara delle vicende storiche di cui è protagonista, e, in seguito, dall'incontro con letture illuminanti quali i Quaderni dal carcere di Gramsci, che gli fanno da utile guida nell'interpretazione dell'evoluzione della società con l'avvento dell'industria, per poi approdare alla condivisione dell'invito rivolto da Lévinas a riconoscere l'"essere con gli altri" come fondamentale e irrinunciabile attributo dell'esistenza umana, a ritenerci cioè tutti responsabili di fronte all'Altro ed alla sua incessante richiesta di giustizia, agendo così come unico antidoto efficace contro l'imperante indifferenza dell'uno verso le sorti dell'Altro. Il presente lavoro cerca inoltre di cogliere in pieno il senso di quanto lo stesso Bauman ci sintetizza tra le pagine di Intervista sull'identità , ossia che la forma assunta dal "marxismo intellettuale" che è dilagato nei centri accademici europei e americani alla fine degli anni Settanta, è stata interamente economicista e nella maggior parte dei casi severamente riduzionista. Negli anni Settanta, dice infatti Bauman, la politica, l'ideologia e la cittadinanza sono state rimosse o viste come effetti del motore primario dello sviluppo e del crollo capitalistico. Secondo lo studioso non doveva essere così: Marx, come egli ci dimostra in quello appena citato e in numerosi altri testi, dopo tutto, era stato inizialmente egli stesso un liberale, che, dall'enfasi sulla povertà e sulla figura collegata del cittadino era passato, solo alla fine, al più forte concetto dello sfruttamento, in cui la silhouette implicitamente virile del proletario si sostituisce a quella del cittadino. Forse, egli pensa, non era inevitabile che la teoria marxista in fase di ascesa venisse ridotta al nocciolo duro del determinismo economico, ma questo fu nella sua epoca, per così dire, "sovradeterminato". Questa versione tronca, riduzionista e unidimensionale dell'eredità di Marx fornita da una lettura onnicomprensiva e unifattoriale di tutte le sofferenze, le ansie e i disagi, così come nessun altro modello unifattoriale, non avrà mai, secondo Bauman, molte probabilità di esprimere adeguatamente la complessità del "mondo vissuto" e di abbracciare la totalità dell'esperienza umana. Partendo da queste riflessioni, la ricostruzione relativa all'evoluzione del pensiero di Bauman qui proposta continua con l'analisi della posizione assunta dallo studioso quando, ad allungare ulteriormente le distanze da quella visione, intervengono i rapidi cambiamenti dell'era Reagan-Thatcher che hanno condotto al collasso l'immaginazione "collettiva" nelle società occidentali a partire dagli anni Ottanta. Come osserva, d'altro canto, anche Alessandro Dal Lago, per Bauman, più ancora che dai loro risultati discutibili in termini strettamente economici, i primi governi Reagan e Thatcher possono essere definiti dalla capacità di aver delegittimato qualsiasi strategia di governo collettivo (o praticata in nome di interessi collettivi) dei processi economici. Prima ancora che il crollo del muro di Berlino rendesse impronunciabile nel suo senso originale la parola socialismo, la rivoluzione liberista degli anni Ottanta ha fatto fondamentalmente del "mercato" il suo orizzonte cognitivo del mondo occidentale. La celebre affermazione di Margaret Thatcher, secondo cui "non esiste una cosa come la società" sottolineava appunto l'illegittimità di ogni principio che contrastasse (anche in termini di controllo o di regolazione) la libertà di impresa in senso lato . Rivisitare la bibliografia di quegli anni di Bauman ci permette, così, di ritrovarvi una chiara denuncia, non priva di una lucida critica, degli effetti della deregolamentazione, dell'outsourcing, della sussudiarietà, del disimpegno manageriale, della graduale eliminazione delle fabbriche fordiste a vantaggio della nuova flessibilità dei modelli di assunzione e delle procedure lavorative, che hanno determinato il lento ma inesorabile smantellamento degli strumenti di protezione e autodifesa del lavoro, nonché l'annullamento dell'aspettativa di una riorganizzazione dell'ordine sociale sotto la guida del proletariato. Bauman si preoccupa, altresì, di interpretare i risultati dell'annientamento della rete di protezione sociale costruita faticosamente nel corso del XX secolo, reputata, in un secondo momento, non solo troppo costosa e contraria allo spirito del mercato, ma moralmente illegittima, annientamento che ha determinato l'abbandono del patto che aveva consentito lo sviluppo sociale delle democrazie post-belliche (in un sistema che garantiva la sicurezza sociale, in cui i sindacati cooperavano alla gestione dello stato sociale, e le espressioni partitiche del movimento operaio e dei ceti medi si alternavano pacificamente o collaboravano nella guida della società politica), ed il contemporaneo affermarsi del modello culturale in cui la competizione si sostituisce alla mediazione. In questo contesto è andata via via emergendo una realtà in cui, nello sforzo quotidiano per restare a galla, non c'è spazio né tempo per la visione di una "buona società": ogni categoria svantaggiata, dice Bauman, deve cavarsela da sola, abbandonata alle proprie risorse e al proprio ingegno, mentre lo scontento sociale si è disperso in un numero infinito di rimostranze di gruppo o di categoria, ognuna alla ricerca di un proprio ancoraggio sociale. Risulta perciò necessario, a questo punto, richiamarsi alla presa di posizione di un Bauman secondo il quale non si è ancora registrata alcuna valida presa di posizione nei confronti degli aspetti economici e delle radici della miseria umana, contro le flagranti e sempre maggiori discrepanze nelle condizioni, possibilità e prospettive umane, per far fronte efficacemente alla povertà crescente e allo sgretolamento delle condizioni di vita. Attraverso un approfondimento su alcune tra le pagine dei testi più famosi di Bauman è inoltre possibile rilevare anche che, se il welfare state ha perso completamente il suo ruolo di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali, ciò è avvenuto principalmente per due ordini di motivi: per prima cosa, il principio di assicurazione collettiva come diritto universale del cittadino è stato sostituito, tramite il metodo del means testing, ossia l'accertamento delle fonti di reddito, dalla promessa di assistenza diretta solamente a quelle persone che non superavano l'esame della disponibilità di risorse ed autosufficienza, e quindi, implicitamente, l'esame di cittadinanza e "piena umanità". La dipendenza dalle convenzioni statali ha così smesso di essere un diritto del cittadino, diventando un marchio che le persone con rispetto di sé fuggono come la peste. In secondo luogo, poi, in omaggio alla regola che le prestazioni per i poveri sono prestazioni povere, i servizi di assistenza sociale hanno anche perso gran parte della loro attrattiva di un tempo . E tutto ciò oggi accade, secondo Bauman, perché la tarda modernità o post-modernità non pone solo problemi di aggiustamento globale, ma ha messo in moto processi culturali profondi che stanno modificando la stessa natura del legame sociale moderno: problemi politici radicali che sarebbe miope affrontare nei termini di un'utopistica saggezza sistemica. In sintesi, per Bauman, la società globalizzata è una formidabile macchina produttrice di circolazione di cose e persone e, al tempo stesso, di estraneità. La società osservata dallo studioso polacco negli anni Novanta ci risulta, tuttavia, non soltanto individualizzata, perché la nuova creatività esclude tendenzialmente la presenza di reti consolidate e di legami professionali (per non parlare di rappresentanze sociali e politiche stabili), ma diventa fondamentalmente precaria. Attraverso le analisi di Bauman sul soggetto occidentale impariamo così a conoscere non solo un lavoratore incerto, ma soprattutto un consumatore esposto alla straordinaria mutevolezza e innovazione dei beni, materiali o immateriali, in cui si direbbe che l'economia di mercato recuperi incessantemente, trasformandole in merci, anche le istanze di "liberazione". Bauman ne è convinto: questo soggetto ha bisogno di nuove forme di "calore", di qualche forma di radicamento in un mondo che per definizione ha assunto contorni sempre più sfuggenti. Ed è proprio nella dimensione delle nuove forme di comunità (e delle ostilità che esse producono) che si situa per Bauman il problema politico della condizione post-moderna, chiamata a fare i conti, lo vedremo, con un uno Stato che perde sempre più potere, a tutto vantaggio di un capitalismo manageriale post-fordista, sempre meno produttivista e sempre più azionario. Soprattutto la lettura delle sue opere più recenti permette di confermare che per Bauman è ormai chiaro che nessuno di noi ha una reale libertà di scelta e di intervento davanti ai processi dell'economia globale, mentre dall'altra parte non c'è forza politica consistente che si ponga, almeno nelle nostre società, l'obiettivo di contrastare una tendenza che viene proclamata universalmente come destino. Insieme alla scomparsa di una dimensione politica che non si limiti alle logiche e ai riti elettorali, ciò fa sì che l'attore contemporaneo sia assolutamente inerme di fronte agli effetti della globalizzazione nella sua esistenza. Né può essere determinante, sostiene Bauman, l'apporto di carte internazionali dei diritti umani conquistate con la lotta e le rivendicazioni: la loro proclamazione, dice lo studioso, è stata e sarà sempre il risultato di battaglie di ricognizione ingaggiate da categorie sempre diverse di soggetti per il mero riconoscimento di sempre nuove istanze, il risultato di dinamiche, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'insegnamento di Lévinas, vale a dire con l'esigenza di tornare ad appropriarci dei necessari sentimenti di solidarietà e di responsabilità verso l'Altro a cui dare giustizia, anche attraverso una piena e vera attuazione agli enunciati contenuti in quelle carte. Questo lavoro si sofferma, infine, sul Bauman più vicino ai giorni nostri, secondo il quale, per uscire dalla condizione di stallo in cui attualmente viviamo, è urgente passare dalla politica del diritto al riconoscimento a quella del diritto alla ridistribuzione, mettendo i diritti umani al servizio di quella "buona società" chiamata a dare a tutti una possibilità per annientare gli ostacoli che li separano dal raggiungimento della giustizia sociale e che si frappongono, cioè, a un'equa distribuzione delle possibilità, grazie all'articolazione, espressione e perseguimento di tutte le varie domande di riconoscimento. L'opera di ricostruzione proposta si chiude rifacendosi alla ricetta proposta da Bauman per ottenere tutto quanto appena richiamato: per raggiungere un'integrazione a livello di "umanità", includendo tutti i popoli del pianeta, occorre, propone lo studioso, un "Pianeta Sociale", l'unico capace di recuperare quelle funzioni che, non molto tempo fa, lo Stato cercava di svolgere, con fortune alterne perché le organizzazioni e associazioni extra-territoriali, cosmopolite e non-governative che ne farebbero parte sarebbero le uniche organizzazioni sociali in grado di raggiungere in maniera diretta chi si trova in una condizione di bisogno, sorvolando le competenze dei governi locali e sovrani e impedendogli di interferire. Solo così, dice Bauman, si potrà affermare il primato dell'uomo in una dimensione sociale in cui assicurare una giustizia oltre la legalità di respiro universale.
(Siehe dazu auch das downloadbare PDF-Dokument zu dieser Studie)
Die Entwicklung der regionalen Wirtschaft, des Handels und damit des Wohlstands hängen eng mit der zur Verfügung stehenden Verkehrsinfrastruktur zusammen. Der Verkehrssektor sorgt für die Mobilität von Personen sowie den effizienten Austausch von Gütern und Nachrichten und lässt die Bedeutung räumlicher Distanzen in den Hintergrund treten. Hierbei sind sämtliche Bereiche des Verkehrs- und Informationswesens von Bedeutung. In verschiedenen Studien konnten große wirtschaftliche Modernisierungseffekte für die frühe Neuzeit durch die Entwicklung des Postverkehrs in festen Fahrplänen sowie den Bau von Chausseen nachgewiesen werden. Die Innovationen im Bereich der Telekommunikation beschleunigen den Austausch von Informationen um ein Vielfaches, frühere Technologien werden ergänzt oder sogar vollkommen ersetzt durch neue Formen der Informationsvermittlung. (Ein Beispiel ist das Telegramm, das Ende des 19. Jh. und Anfang des 20. Jh. eine hilfreiche und schnelle Form der Nachrichtenübermittlung war, da es wenig Telefone gab und die Briefe eine Laufzeit von ca. 4 Tagen hatten. Im 21. Jh. werden Telegramme nur selten eingesetzt. Das Telegramm hat an Bedeutung verloren, da das Kommunikationsnetz ausgebaut wurde und mittlerweile modernere Möglichkeiten der Datenübertragung wie z.B. SMS, E-Mail, Instant Messaging, zur Verfügung stehen.) Später wurden hinsichtlich der Entwicklung und des Ausbaus des Eisenbahnverkehrs ähnliche Effekte für den Warenhandel und die Integration von Regionen in den überregionalen nationalen Markt und in den Welthandel für die Zeit der industriellen Revolution nachgewiesen. Es soll versucht werden, die quantitative Entwicklung von Indikatoren zu den verschiedenen Verkehrsbereichen Eisenbahn, Kraftfahrzeuge, Binnen- und Seeschifffahrt, Luftverkehr sowie Post- und Nachrichtenverkehr über einen möglichst langen Zeitraum wiederzugeben, um so aufbereitete Zeitreihen der Forschung zur Verfügung zu stellen.
Die vorliegende Datensammlung zum Themenbereich 'Verkehr und Information' enthält insgesamt 75 Zeitreihen, die sich auf den Zeitraum vom Beginn der Amtlichen Statistik zur Zeit des Deutschen Reiches im Jahr 1870 bis zur heutigen Bundesrepublik in den Grenzen vom 3. Oktober 1990 erstrecken; es soll also, soweit es die Quellen erlauben, der Zeitraum von 1870 bis 2010 statistisch wiedergegeben werden. Aufgrund der sich häufig ändernden Erhebungssystematiken sowie durch die Folgen des 1. und des 2. Weltkrieges können nicht für alle Zeitreihen kontinuierlich Daten für den gewünschten Zeitraum zur Verfügung gestellt werden. Entweder liegen für die Zeitabschnitte während der Kriege keine Daten vor oder aber die Vergleichbarkeit insbesondere bei unterschiedlicher Erhebungssystematik ist stark eingeschränkt. Letzeres Problem tritt in besonderer Weise für die Statistik aus der Zeit der ehemaligen Deutschen Demokratischen Republik auf, aber auch die Statistik der früheren Bundesrepublik Deutschland (das Gebiet der alten Länder) kann erhebliche Brüche in der Systematik aufweisen. Der technische Fortschritt ist ein weiterer Grund, der das Fortführen kontinuierlicher Zeitreihen erschwert.
Die Zeitreihen zum Bereich 'Verkehr und Information' decken folgende Gebiete ab: • 01: Eisenbahnen: Streckenlängen und Fahrzeugbestände (1850-2009) • 02: Eisenbahnen: Personen- und Güterverkehr (1850-2002) • 03: Straßenverkehr: Bestand an Kraftfahrzeugen (1902-2010) • 04: Straßenverkehr: Straßenverkehrsunfälle (1906-2010) • 05: Binnenschifffahrt: Bestand an Binnenschiffen (1872-2010) • 06: Binnenschifffahrt: Güterverkehr auf den Binnenwasserstraßen (1909-2010) • 07: Seeschifffahrt: Handelsschiffstonnage und Anzahl der Schiffe (1971-2010) • 08: Seeschifffahrt: Güterumschlag bedeutender Seehäfen - Hamburg, Bremische Häfen, Emden sowie Rostock, Wismar und Stralsund (1925-2010) • 09: Gewerblicher Luftverkehr (1919-2010) • 10: Deutsche Reichs- und Bundespost, Telekommunikation (1871-2010)
Zeitreihen zum Kraftfahrzeugverkehr: 03: Strassenverkehr: Bestand an Kraftfahrzeugen (1902-2010) Kraftfahrzeuge insgesamt, Krafträder, Personenkraftwagen, Kraftomnibusse, Lastkraftfahrzeuge, Zugmaschinen, Sonderkraftfahrzeuge, Bevölkerung in 1000, Krafträder auf 1000 Einwohner, Personenkraftwagen auf 1000 Einwohner, Lastkraftfahrzeuge auf 1000 Einwohner.
Zeitreihen zur Binnenschifffahrt: 05: Bestand an Binnenschiffen (1872-2010) Güterschiffe mit eigener Triebkraft (Anzahl), Güterschiffe mit eigener Triebkraft (Tragfähigk. in 1.000 t), Güterschiffe ohne eigene Triebkraft (Anzahl), Güterschiffe ohne eigene Triebkraft (Tragfähigk. in 1.000 t).
06: Güterverkehr auf den Binnenwasserstraßen (1909-2010) Beförderte Güter (Mill. T.). Zeitreihen zur Seeschifffahrt: 07: Handelsschiffstonnage und Anzahl der Schiffe (1871-2010) Insgesamt, Anteil an Welthandelstonnage, Anzahl der Schiffe.
08: Güterumschlag bedeutender Seehäfen - Hamburg, Bremische Häfen, Emden sowie Rostock, Wismar und Stralsund (1925-2010)
Zeitreihen zur Luftfahrt: 09: Gewerblicher Luftverkehr (1919-2010) Für deutsche Flughäfen: Beförderte Personen, Beförderte Luftfracht, Beförderte Luftpost. Für deutsche Fluggesellschaften: Beförderte Personen, Personenkilometer (Pkm), Beförderte Luftfracht, Beförderte Luftfracht in Tonnenkilometer (Tkm), Beförderte Luftpost, Beförderte Luftpost in Tonnenkilometer (Tkm)
Zeitreihen zum Post- und Telekommunikationswesen: 10: Deutsche Reichs- und Bundespost, Telekommunikation (1871-2010) Für das Deutsche Reich, die Alten Länder und die Neuen Länder bis 1990: Beförderte Briefsendungen, Beförderte Paket- und Wertsendungen, Übermittelte Telegramme, Sprechstellen (Telefonanschlüsse), Ortsgespräche, Ferngespräche, Ton-Rundfunkgenehmigungen (Radioempfang), Fernseh-Rundfunkgenehmigungen. Für Deutschland in den Grenzen vom 3. Oktober 1990 ab 1990: Beförderte Briefsendungen, Beförderte Paket- und Wertsendungen, Übermittelte Telegramme, Sprechstellen (Kanäle) - Alle Service-Anbieter, Sprechstellen (Kanäle) - Dt. Telekom, Sprechstellen (Kanäle) - Wettbewerber der Telekom, Sprechstellen (Telefon-Anschlüsse) - Alle Service-Anbieter, Sprechstellen (Telefon-Anschlüsse) - Deutsche Telekom, Sprechstellen (Telefon-Anschlüsse) - Wettbewerber der Telekom, Mobilfunk, Teilnehmer, Verbindungsvolumen im Festnetz(in Mrd. Minuten; zuvor: Summe Ortsgespräche bzw. Ferngespräche) - Alle Service-Anbieter, Verbindungsvolumen im Festnetz(in Mrd. Minuten) - Dt. Telekom, Verbindungsvolumen im Festnetz(in Mrd. Minuten) - Wettbewerber, TAL-Anmietungen durch Wettbewerber der Deutschen Telekom (Mio Anmietungen), Ortsgespräche, Ferngespräche, Ton-Rundfunkgenehmigungen, Fernseh-Rundfunkgenehmigungen.
Zu den einzelnen Bereichen
Die Eisenbahn Die Frage, ob die Eisenbahn als Staatsbahn oder als privat betriebenes Unternehmen geführt werden soll, begleitet die Eisenbahn schon seit ihren ersten Jahren. Vor allem in den wichtigen Handels- und Industriestädten werden in Deutschland private Aktiengesellschaften gegründet, um den Bau von Eisenbahnstrecken zu finanzieren. Dagegen setzt man in Baden und Braunschweig von Beginn an auf das Staatsbahnsystem. 1886 übernimmt schließlich der preußische Staat die bedeutende "Rheinische Eisenbahngesellschaft". Nach Ende des ersten Weltkrieges 1918 wurde die erste Verfassung eines demokratischen Staates, die Weimarer Verfassung 1919 für das Deutsche Reich beschlossen. Auf Grundlage dieser Verfassung wurde 1920 der Staatsvertrag zur Gründung der Deutschen Reichseisenbahnen in Kraft gesetzt. Die bis dahin noch den Ländern unterstellten staatlichen Eisenbahnen (bzw. Länderbahnen) gingen jetzt in Reichsbesitz über. Im Einzelnen waren dies: die Königlich Bayerischen Staats-Eisenbahnen, die Königlich Sächsischen Staatseisenbahnen, die Königlich Württembergischen Staats-Eisenbahnen, die Großherzoglich Badischen Staatseisenbahnen, die Preußischen Staatseisenbahnen, die Preußisch-Hessische Eisenbahngemeinschaft "K.P. u. G.H. StE", die Großherzoglich Oldenburgischen Staatseisenbahnen und die Großherzoglich Mecklenburgische Friedrich-Franz-Eisenbahn. (Vergl.: http://de.wikipedia.org/wiki/Deutsche_Reichsbahn_%281920%E2%80%931945%29) Neben dieser Entwicklung waren in Deutschland immer sowohl staatseigene als auch private Bahnen tätig. Für die Zeit des Deutschen Reiches, für die ehemalige Bundesrepublik (alte Länder) sowie für Deutschland nach dem 1. Oktober 1990 werden daher die Angaben zu den aufgeführten Beständen jeweils für alle Bahnen zusammen und für die Staatsbahn im speziellen aufgeführt (d.i. Deutsche Reichsbahn, Deutsche Bundesbahn). Zu der Entstehungsgeschichte der einzelnen deutschen Bahnen sowie den Entscheidungsphasen sind wertvolle Hinweise aus R. Fremdling und A. Kunz: Statistik der Eisenbahnen in Deutschland 1835 – 1989. Scripta Mercaturae Verlag, 1995, S. 19ff. zu entnehmen.
01: Eisenbahnen: Streckenlängen und Fahrzeugbestände (1850-2009) Dieser Abschnitt enthält Zeitreihen zur Länge der Schienenstrecken und den Fahrzeugbeständen, die sich aufgliedern in Lokomotiven, Triebwagen, Personenwagen, Gepäckwagen und Güterwagen. Angaben für alle Bahnen zusammen zur Zeit des Deutschen Reiches sowie für die staatseigene Bundesbahn der ehemaligen Bundesrepublik Deutschland in den Grenzen von 1945 wurden – mit Ausnahme der Reihe zu den Triebwagen – bereits von R. Fremdling und A. Kunz im Rahmen ihrer Studie "Statistik der Eisenbahnen in Deutschland 1835 – 1989. Scripta Mercaturae Verlag, 1995" erhoben. Sie decken den Zeitraum 1850-1932 für das Deutsche Reich und 1950-1989 für die Alten Länder (also die ehemalige Bundesrepublik) ab. Ergänzt wurden diese Reihen für 1938 bis 1940 aus den Statistischen Jahrbüchern für das Deutsche Reich bzw. für 1989 bis1993 aus den Statistischen Jahrbüchern für die Bundesrepublik Deutschland. Zusätzlich zu den Reihen von Fremdlung/ Kunz wurden in dieser Studie für die entsprechenden Werte zur Länge des Schienennetzes sowie zum Fahrzeugbestand speziell für die staatliche Bahn des Deutschen Reiches, also für die Deutsche Reichsbahn, sowie für alle Bahnen der Bundesrepublik bis 1993 zusammengestellt. Für die Zusammenstellung der Streckenlängen und Fahrzeugbestände wurde daher sowohl auf die Ergebnisse dieser Studie als auch auf die Publikationen des Statistischen Bundesamtes zurückgegriffen. Für die neuen Länder können für die Zeit der ehemaligen DDR nur zur Staatsbahn – also zu der Deutsche Reichsbahn – Angaben gemacht werden, da es zur Zeit der DDR keine privaten Bahnen gab. Neben dem Statistischen Jahrbuch für die DDR wurden hier die von dem Statistischen Bundesamt herausgegebenen Sonderreihen mit Beiträgen für das Gebiet der ehemaligen DDR und die darin enthaltenen verkehrsstatistischen Übersichten herangezogen. Für die ersten Jahre nach der Wiedervereinigung werden noch Werte für die Gebiete der alten Bundesrepublik und der ehemaligen DDR in den Statistischen Jahrbüchern für die Bundesrepublik Deutschland gesondert ausgewiesen. Ab 1994 werden die Bestände nur noch für Gesamtdeutschland nachgewiesen, so dass die Datenreihen jeweils für die Neuen Länder und die Alten Länder mit dem Jahr 1990, spätestens 1993 enden und nur noch für Deutschland in den Grenzen vom 3. Oktober 1990 fortgeführt werden können. Die Schienenstrecken werden als Eigentumslänge mit Stand am Ende des jeweiligen Kalenderjahres wiedergegeben. Der Fahrzeugbestand bezieht sich immer auf den Stand am Ende des Rechnungs- bzw. Betriebsjahres. Bis 1937 werden Eigentumsbestände der Bahnen ausgewiesen. Anschließend beziehen sich die Werte auf den Einsatzbestand, d.h., in den angegebenen Werten können auch von anderen Bahngesellschaften für den eigenen Bahnbetrieb geliehene Bestände mit enthalten sein. Die Bahn durchlief grundlegende technische Veränderungen. In den alten Ländern, dem Tätigkeitsgebiet der Deutschen Bundesbahn, wurden sukzessiv bis 1977 alle Dampflokomotiven durch Elektro- und Diesellokomotiven ersetzt. Die Schienenstreckentypen wurden vereinheitlicht (vollständiger Abbau von Schienenstrecken für Schmalspurbahnen). Neue Wagentypen und Zugtypen (InterCity, TransEuroExpress) wurden eingeführt. Dies alles kann im Rahmen der vorliegenden Studie nicht detailliert in Form von statistischen Zeitreihen nachgezeichnet werden, da dies den zeitlichen Rahmen des Projektes sprengen würde. Die technischen Veränderungen insbesondere im Bereich der Fahrzeugbestände, und hier besonders in Bezug auf die Triebwagen (Lokomotiven, etc.) haben zu einer Veränderung der Systematik geführt. Um die Darstellung der Reihen möglichst konstant zu gestalten, wurden neu hinzugekommene Triebwagentypen bzw. weiter ausdifferenzierte Wagentypen, die in der Statistik gesondert aufgeführt wurden, soweit es möglich war, zu Oberbegriffen zusammengefasst. Dies wird in den jeweils betreffenden Zeitreihen für den Zeitraum, auf den diese Vorgehensweise angewendet wurde, in den Anmerkungen kenntlich gemacht. So werden ab 1990 im Statistischen Jahrbuch für die Bundesrepublik Deutschland unter dem Oberbegriff 'Triebwagen' die Kategorien 'Elektrische Lokomotiven', Diesellokomotiven', 'Elektrische Triebwagen' und 'Dieseltriebwagen' gesondert aufgeführt. Der Bestand der Lokomotiven wurde für die Vademecum-Studie durch die Aufaddierung der Kategorien 'Elektrische Lokomotiven' und 'Diesellokomotiven' erfasst. Dampflokomotiven wurden so lange erfasst, wie sie auch in den Statistischen Jahrbüchern der Bundesrepublik aufgeführt wurden. Für die Triebwagen wurde jeweils die Summe aus ´Elektrische Triebwagen´ und ´Dieseltriebwagen´ gebildet.
02: Eisenbahnen: Personen- und Güterverkehr (1850-2002) Neben dem Fahrzeugbestand stellt die Leistung in den Bereichen der Personenbeförderung und der Güterbeförderung eine bedeutende betriebswirtschaftliche sowie verkehrsstatistische Größe dar. Der gemäß vergebenen Aufträgen durchgeführte Transport von Gütern inklusive der Be-, Um- und Ausladung, beinhaltet eine Vielzahl von Verkehrsunterstützungs-, Verkehrsvermittlungs- und Verkehrskoordinierungsprozessen. Zum einen kann die Verkehrsleistung in den absoluten Werten ausgedrückt werden, d.h. die Anzahl der transportierten Personen bzw. das Gewicht der transportierten Güter. Statistisch wird die Verkehrsleistung mit Hilfe einer Kennzahl zum Ausdruck gebracht, die für den Personentransport die Dimension »Pkm (Personenkilometer)« (= Personen X Kilometer) und für den Gütertransport die Dimension »tkm (Tonnenkilometer)« (= Tonnen X Kilometer) hat. Das Produkt aus der zurückgelegten Strecke und der Menge der transportierten Güter bzw. der beförderten Personen wird als 'Aufwandsgröße' im Transportwesen verstanden. Diese vier Größen werden jeweils für alle Bahnen zusammen sowie für die Deutsche Reichsbahn/Deutsche Bundesbahn im speziellen dargestellt – wobei für die neuen Bundesländer Angaben nur für die Deutsche Reichsbahn erhältlich sind. Auch hier kann für die Zeit des Deutschen Reiches auf die Studie von Fremdling und Kunz für alle Bahnen zusammen zurückgegriffen werden. Für die Deutsche Reichsbahn im speziellen werden die Angaben des Statistischen Reichsamtes in den herausgegebenen Jahrbüchern herangezogen. Für das Gebiet der alten Bundesländer stellen Fremdling und Kunz Kennzahlen für die Deutsche Bundesbahn zur Verfügung. Dementsprechend werden die Kennzahlen für alle in der Bundesrepublik Deutschland (Alte Länder) tätigen Bahnen zusätzlich aus der amtlichen Statistik erhoben.
Der motorisierte Strassenverkehr: Rainer Flik beschreibt in seinen Arbeiten "Motorisierung des Straßenverkehrs, Automobilindustrie und Wirtschaftswachstum in Europa und Übersee bis 1939" (in: M. Lehmann-Waffenschmidt (Hg., 2002): Perspektiven des Wandels - Evolutorische Ökonomik in der Anwendung. Metropolis – Verlag für Ökonomie.) und insbesondere "Von Ford lernen? Automobilbau und Motorisierung bis 1933. Köln: Böhlau, 2001" die Ursachen für die verzögerte Durchsetzung des Automobils als Transportmittel sowie die verspätete Motorisierung der deutschen Bevölkerung. Es waren seiner Analyse zu Folge die schlechteren Rahmenbedingungen für den Automobilmarkt und weniger Unterschiede in den Bedürfnissen der Bevölkerung oder im Unternehmerverhalten, die dem Automobil in Deutschland zunächst zum Nachteil gereichten. In den dicht besiedelten und durch die Eisenbahn und Strassenbahn (sog. Pferdeomnibusse und Pferdebahnen, später um 1880 sukzessive ersetzt durch die Elektrische Stadt- bzw. Strassenbahn) gut erschlossenen Ballungsräumen Deutschlands spielte zunächst das Automobil für die Wirtschaft und den Transport der Güter eine untergeordnete Rolle. Darüber hinaus waren hohe Investitionskosten für den Ausbau von Strassen notwendig, während die Schienenstrecken für die Eisenbahn in den deutschen Großstädten schon vorhanden waren. Daher wurde auch durch die Besteuerungspraxis des Staates das Automobil gegenüber der Eisenbahn zunächst benachteiligt, was zur Folge hatte, dass die Motorisierung des Mittelstandes langsamer verlief als beispielsweise in den USA. Erst in den 1920er Jahren hat das Lastkraftfahrzeug in den Ballungsräumen sich als Transportfahrzeug durchsetzen können, während der Personenkraftwagen noch als teures Luxusgut nur wenigen wohlhabenden Personen zugänglich war. Dagegen spielte das Motorrad für die Motorisierung der deutschen Bevölkerung eine entscheidende Rolle. Deutschland hatte in den 30er Jahren die höchste Motorraddichte und war der bedeutendste Motorradproduzent auf dem Weltmarkt. Als das Automobil technisch ausgereift war und die für den wirtschaftlichen Betrieb notwendige Infrastruktur geschaffen war, konnte sich der Diffusionsprozess schneller und erfolgreicher entfalten. Flik unterscheidet in dem Diffusionsprozess des Automobils in Deutschland drei Stadien: Motorisierung der Oberschicht, Motorisierung des Gewerbe treibenden Mittelstandes und schließlich die Massenmotorisierung (Flik, R.: 2005: Nutzung von Kraftfahrzeugen bis 1939 – Konsum- oder Investitionsgut? In: Walter, R. (Hrsg.): Geschichte des Konsums. Erträge der 20. Arbeitstagung der Gesellschaft für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, 23-26. April 2003 in Greifswald. Stuttgart: Franz Steiner). Für die Zeitreihen zum Kraftfahrzeugbestand in Deutschland wird auf die Studiendaten von Flick zurückgegriffen, welche durch Daten der amtlichen Statistik (Statistisches Bundesamt und Kraftfahrt-Bundesamt) ergänzt werden. Ein weiteres Kapitel (Tabelle 04) zeichnet die Entwicklung der Strassenverkehrsunfälle statistisch nach.
03: Bestand an Kraftfahrzeugen (1902-2010) Der Bestand der Kraftfahrzeuge nach Kraftfahrzeugtyp spiegelt die Durchsetzung dieses Verkehrsmittels wieder. Es liegen Zeitreihen zum Bestand der Kraftfahrzeuge insgesamt und Kraftfahrzeuge untergliedert nach den Typen Motorrad, Personenkraftwagen, Kraftomnibusse, Lastkraftfahrzeuge, Zugmaschinen und schließlich Sonderkraftfahrzeuge vor. Weiterhin werden der Bestand an Motorrädern, Personenkraftwagen und Lastkraftwagen pro 1000 Einwohner wiedergegeben. Aufgrund vorgenommener Korrekturen können die Werte zu den einzelnen Reihen zwischen den verschiedenen Ausgaben der statistischen Jahrbücher abweichen. Da Flik sich in seiner Studie auf die Angaben der amtlichen Statistik stützt, wurden Werte des Statistischen Bundesamtes dann den Werten von Flik vorgezogen, wenn diese Publikationen neueren Datums sind und von den Angaben bei Flik abweichen. Für das Deutsche Reich sind die Angaben auf den jeweiligen Gebietsstand Deutschlands bezogen. Das Saarland ist von 1922 bis 1935 nicht eingeschlossen. Die Angaben für 1939 beruhen auf einer Fortschreibung des Kraftfahrzeugbestands von 1938 und schließen die 1938 und 1939 dem Deutschen Reich angeschlossenen Gebiete nicht ein. Die Daten geben den Bestand jeweils zum 1. Januar wieder. Ferner wird bis 1933 der Bestand ohne vorübergehend abgemeldete Fahrzeuge, ab 1934 inklusive der vorübergehend abgemeldeten Kraftfahrzeuge angegeben. Bis 1914 wurde in der Erfassung zwischen Personenkraftwagen und Kraftomnibussen keine Unterscheidung getroffen, so wurden beide in der Kategorie Personenkraftwagen wiedergegeben. Unter der Rubrik 'Sonderkraftfahrzeuge' werden Fahrzeuge der Kommunen (Kommunalfahrzeuge) aufgeführt, wie z.B.: Straßenreinigungsmaschinen, Feuerwehrfahrzeuge, sowie ab 1948 Krankenwagen. Weiterhin werden Abschlepp- u. Kranwagen sowie Wohnwagen u. ähnliche Fahrzeuge dieser Kategorie zugeordnet. Der Kraftfahrzeugbestand insgesamt für das Gebiet der alten Länder (ehemalige Bundesrepublik) wurde aus den Daten zu den einzelnen Fahrzeugtypen berechnet. Die Werte für die neuen Länder bzw. für die ehemalige DDR sind für die Zeit bis 1989 den Statistischen Jahrbüchern für die DDR entnommen worden. Für die Zeit von 1990-1994 wurde die Publikation 'Verkehr in Zahlen', vom Bundesministerium für Verkehr, Bau und Stadtentwicklung herausgegeben, herangezogen. Bei der Erfassung der Sonderkraftfahrzeuge und der Kraftomnibusse wurde in der Statistik der ehemaligen DDR 1978 eine neue Systematik eingeführt, in der einige Fahrzeugtypen den jeweiligen Obergruppen neu zugeordnet wurden. Das hat in den beiden Fahrzeug-Gruppen zu einer starken Erhöhung der Fahrzeug-Anzahl geführt. Es muß dennoch festgehalten werden, dass der Anstieg der Fahrzeuge um 28000 bzw. 30000 Fahrzeuge von einem Jahr auf das andere sich nicht aus den Veränderungen der Fahrzeugbestände der anderen Fahrzeugtypen erklären lässt, so dass der Hinweis auf eine veränderte Systematik sich nicht in den Zahlen der Datenreihen wiederspiegelt.
04: Straßenverkehrsunfälle (1906-2010) Insbesondere das Automobil hat den einzelnen Bürgern in der Gesellschaft in jüngster Zeit einen enormen Mobilitätszuwachs beschert. Im Laufe der Zeit konnten immer größere Teile der Bevölkerung am Individualverkehr partizipieren. Die Kehrseite der Mobilität einer ganzen Gesellschaft sind die Unfälle mit den Verletzten und Getöteten. Durch die massenhafte Verbreitung motorisierter Fahrzeuge, die sich im selben Verkehrsraum wie Pferde und Fuhrwerke, Fußgänger oder Radfahrer bewegen, steigt die Unfallwahrscheinlichkeit stark an. Auch die Geschwindigkeit der motorisierten Verkehrsmittel erhöht die Unfallwahrscheinlichkeit und die Schwere der Unfälle, den Personen- und Sachschaden enorm. Darüber hinaus hat die Strassenverkehrssicherheit und damit die Zuverlässigkeit, mit der Güter schnell und sicher transportiert werden können und unbeschadet am Zielort ankommen, einen empfindlichen Einfluß auf die wirtschaftliche Entwicklung. Denn der Transport übernimmt eine bedeutende Funktion als Wachstumsmotor durch die Erweiterung der Märkte. Eine besondere Zusammenstellung von langen Zeitreihen zur Entwicklung der Strassenverkehrsunfälle erscheint daher sinnvoll. Das Statistische Bundesamt definiert Straßenverkehrsunfälle wie folgt: "Straßenverkehrsunfälle sind Unfälle, bei denen infolge des Fahrverkehrs auf öffentlichen Wegen und Plätzen Personen getötet oder verletzt wurden oder Sachschaden entstanden ist. Auskunftspflichtig für die Statistik der Straßenverkehrsunfälle ist die Polizei. Demzufolge sind Unfälle, zu denen die Polizei nicht gerufen wurde, in der Statistik nicht enthalten. ( In der Unfallstatistik ) … werden Angaben zu Unfällen, Beteiligten, Fahrzeugen, Verunglückten und Unfallursachen erfasst." Statistisches Bundesamt Es wird regelmäßig vom Statistischen Bundesamt ein Heft der Fachserie 8, Reihe 7 mit langen Reihen zu Verkehrsunfällen herausgegeben. Auf der Basis dieser Publikation wurden die Reihen zu der Anzahl der Unfälle, der bei Unfällen Getöteten und der Verletzten zusammengestellt.
Die Schifffahrt
Eine der ersten Verkehrsmittel war die Fortbewegung mit Flößen, später mit Schiffen, zunächst in Ufernähe und auf Flüssen, später auf hoher See. Schon sehr früh wurde der Radius der Fortbewegung erheblich erweitert. Noch bevor die Staaten Europas die Blüte der Hochseeschifffahrt erreichten, haben sie schon die Flüsse als Transportwege für den Handel benutzt. Große Handelsstädte entstanden entlang der großen Flüsse Rhein, Main, Mosel, Donau, Oder, usw. Die Schifffahrt ermöglichte so schon früh den Austausch von Gütern und Ideen, brachte aber auch Auseinandersetzungen über territoriale, wirtschaftliche und militärische Interessen mit sich. Im Laufe der Zeit spezialisierte sich die Schifffahrt in zivile und militärische Bereiche, in Handel und Fischerei. Die Schifffahrt wird im folgenden unterteilt in Binnenschifffahrt und Seeschifffahrt.
05: Bestand an Binnenschiffen (1871-2010) Die Binnenschifffahrt umfasst die Binnen-see-schifffahrt, Flussschifffahrt und Kanalschifffahrt, wobei im Rahmen der vorliegenden Studie auf die Fluss- und Kanalschifffahrt der Schwerpunkt gelegt wird. Binnenfischerei mit Fischerbooten und Transport mit Frachtschiffen auf Binnengewässern machten den Hauptanteil der Binnenschifffahrt aus. Im 17. Jh. wurden noch auf Flößen große Mengen Holz auf den Flüssen nach Holland transportiert. Ende des 18. Jahrhunderts kamen die Treidelschiffe zum Einsatz (Boote und Kähne durch Segel, Ruder, Staken oder Treidel fortbewegt). Mit Erfindung der Dampfmaschine setzten sich Schiffe mit eigener Triebkraft immer stärker in der Binnenschifffahrt durch. Sämtliche Massengüter wurden auf den Binnengewässern transportiert (z.B. Kohle, Erze und Erdölprodukte). Mit dem Ausbau von Binnenwasserstraßen und Schleusen, durch die eine Regulierung des Wasserstandes ermöglicht wurde, kann der Transport über die Binnenwasserstraßen beschleunigt werden. Heute übernimmt die Binnenschifffahrt Massentransporte in vielen Bereichen (Containertransport, Autotransport, etc.). Laut des Bundesverbandes für Deutsche Binnenschifffahrt dominieren Schütt- und greiferfähige Massengüter, wie etwa Baustoffe, Erze, Kohle und Stahl, mit einem Anteil von rund 70 % an der Gesamtmenge das Geschäft der Binnenschifffahrt (http://www.binnenschiff.de/). Für die Hütten- und Stahlindustrie ist die Binnenschifffahrt unentbehrlich. Auch in deutschen und europäischen Logistikketten stellt die Binnenschifffahrt ein unverzichtbares Glied dar. Im Rahmen dieser Studie kann der Bestand der in der Binnenschifffahrt zum Einsatz gekommenen Schiffe nach Schiffstyp nicht wiedergegeben werden, da dies den Rahmen sprengen würde. Einer der einschneidendsten Veränderungen war die Dampfmaschine und damit die Möglichkeit, Schiffe mit eigener Triebkraft zu bauen. Daher wird hinsichtlich des Bestandes der Binnenschiffe zwischen Güterschiffen mit eigener Triebkraft und Güterschiffen ohne eigene Triebkraft unterschieden. Der Bestand der Schiffe wird dargestellt zum einen anhand der Anzahl der Schiffe, zum anderen aber mittels der Tragfähigkeit des Binnenschiffsbestandes in 1000 t. Für das Deutsche Reich und für die Bundesrepublik Deutschland dient als Datenquelle die Studie von Kunz, Andreas (Hrsg.), 1999: Statistik der Binnenschiffahrt in Deutschland 1835-1989. St. Katharinen: Scripta Mercaturae Verlag.; GESIS Köln, Deutschland ZA8157 Datenfile Version 1.0.0; Datentabelle: Bestand an Binnenschiffen. Die Angaben zu den Beständen beziehen sich für die Periode von 1845-1956 auf den 1.1. und ab 1957 auf den 31.12. des jeweiligen Jahres. Zum Teil wurden die Angaben vom Primärforscher geschätzt. Für den Bestand an Binnenschiffen der ehemaligen DDR dient das Statistische Jahrbuch für die DDR, Jg. 1990, S. 260, Tab. ´Registrierter Bestand an Binnenschiffen´ als Datenquelle. Hier werden nur Schiffe mit eigener Triebkraft aufgeführt und es wird der Jahresdurchschnitt berichtet. Aussagen zu Schiffen ohne eigene Triebkraft können nicht gemacht werden. Für Deutschland in den Grenzen von Oktober 1990 wurde das Statistische Jahrbuch für die Bundesrepublik Deutschland als Datenquelle herangezogen. Die Werte beziehen sich immer auf den Stand zum 31.12. des jeweiligen Jahres. Es wurde die Summe aus Gütermotorschiffen und Tankmotorschiffen für Reihe der Schiffe mit eigener Triebkraft gebildet. Schlepper und Schubboote wurden nicht mit einbezogen. Fahrgastschiffe wurden ebenfalls nicht mit einbezogen. Güterschleppkähne und Tankschleppkähne wurden dagegen in die Reihe der Binnenschiffe ohne eigene Triebkraft aufgenommen.
06 Güterverkehr auf den Binnenwasserstraßen (1909-2010) Der Transport von Gütern auf den Binnenwasserstrassen ist ein Indikator für die Leistungs- und Wettbewerbsfähigkeit der Binnenschifffahrt. Bedeutende Einflussfaktoren sind die verfügbaren Höhen der Wasserspiegel der Flüsse und später der Binnenkanäle. Der Bau von Schleusen hat den Transport auf Binnenwasserstraßen entscheidend beschleunigt. Kleinere Flüsse, wie z.B. der Neckar, der Main oder die Mosel wurden durch die Kanalisierung und den Bau von Schleusen erst schiffbar gemacht. Der Bau von Binnenlandkanälen ergänzt die Flüsse, indem zwei Flüsse miteinander verbunden werden (z.B. der Mittellandkanal). Insgesamt wurde durch solche Baumaßnahmen der Umfang der schiffbaren Wasserstraßen entscheidend erhöht. Bei der Erfassung der Transportleistung deutscher Binnenwasserstraßen ist auch der Gütertransport nicht-deutscher Fahrzeuge beteiligt. Für das Deutsche Reich in den Grenzen vom 31.12.1937 wurde für den Zeitraum von 1909-1914 und 1932-1938 die Publikation vom Statistischen Bundesamt: Bevölkerung und Wirtschaft 1872-1972, S. 207 als Quelle herangezogen. Für 1919-1931sind die erhobenen Zeitreihen von Andreas Kunz: Statistik der Binnenschifffahrt in Deutschland 1835-1989; GESIS Köln, Deutschland ZA8157 Datenfile Version 1.0.0., Datentabelle: Verkehrsleistungen auf Binnenwasserstraßen verwendet worden. Auch für die frühere Bundesrepublik Deutschland in den Grenzen von 1949, also die sogenannten Alten Länder, wurde für die Jahre 1936, 1938, 1947 u. 1948 auf die Publikation des Statistisches Bundesamtes: Bevölkerung und Wirtschaft, S. 207 zurückgegriffen. Für 1949-1989 stammen die Werte aus der Studie von A. Kunz (ZA8157 Datenfile Version 1.0.0.). Einbezogen wurden für das Bundesgebiet die Wasserstaßen des Elbegebietes, des Wesergebietes, des Mittellandkanalgebietes, das Westdeutsche Kanalgebiet, das Rheingebiet, das Donaugebiet, sowie Berlin (West). Auch der Durchgangsverkehr auf den deutschen Wasserstrassen wurde mit erfasst. Für den Bereich der ehemaligen DDR bzw. der Neuen Länder wurde auf das Statistische Jahrbuch für die DDR zurückgegriffen. In dieser Reihe werden die Transportwerte inklusive der von der Binnenreederei der DDR beladenen Schiffe anderer Länder berichtet. Ausnahmen bilden die Jahre 1960, 1965, 1970, 1975, 1980 und 1985 bis 1989. Hier werden nur für die deutschen Binnenschiffe die Werte angegeben. Für das wiedervereinte Deutschland stehen die Transportwerte seit 1991 zur Verfügung. Die Werte wurden mittels einer Abfrage vom 15. Februar 2012 von der GENESIS-Online Datenbank ermittelt. (vergleiche: (www-genesis.destatis.de; Abfrage: ´Beförderte Güter (Binnenschifffahrt): Deutschland, Jahre, Hauptverkehrsbeziehungen, Flagge des Schiffes, Güterverzeichnis (Abteilungen)´)
07 Handelsschiffstonnage (1871-2010) Eine leistungsfähige Seeschifffahrt hat schon früh zur Erweiterung der regionalen Märkte beigetragen. Ein Beispiel für die frühe Globalisierung stellt die Hanse dar, die ohne die Seeschifffahrt nicht möglich gewesen wäre. Die zwischen Mitte des 12. Jahrhunderts und Mitte des 17. Jahrhunderts bestehenden Vereinigungen niederdeutscher Kaufleute hatte sich zum Ziel gesetzt, die Sicherheit der Überfahrt zu verbessern und die Vertretung gemeinsamer wirtschaftlicher Interessen besonders im Ausland wahrzunehmen. In den Zeiten ihrer größten Ausdehnung waren beinahe 300 See- und Binnenstädte des nördlichen Europas in der Städtehanse zusammengeschlossen. Eine wichtige Grundlage dieser Verbindungen war die Entwicklung des Transportwesens, insbesondere zur See. Die Kogge, ein bauchiges Handelsschiff, stellte den bedeutendsten größeren Schiffstyp der Hanse dar. Im ausgehenden 14. Jahrhundert wurden die Koggen mehr und mehr von anderen Schiffstypen abgelöst. Im 15. Jahrhundert setzte der Machtverlust der Hanse ein, der unter anderem auch durch die Entdeckung Amerikas ausgelöst wurde. Der bisher dominierende Ostsee-Westsee-Handel (heute Nordsee-Handel) wurde nun in überseeische Gebiete ausgedehnt. Dabei ging nicht etwa das Handelsvolumen der Hanse im eigentlichen Sinne zurück, es entstanden jedoch mächtige Konkurrenten, die die Bedeutung der Hanse für die einzelnen Städte und Kaufleute schwächten (siehe hierzu: http://de.wikipedia.org/wiki/Hanse und Rolf Hammel-Kiesow (2008): Die Hanse, München 4. aktualisierte Auflage). Auch heute ist eine leistungsfähige Seeschifffahrt Voraussetzung für die Globalisierung. Arbeitsteilige Volkswirtschaften sind in starkem Maße vom überseeischen Handel abhängig. Die Handelsschiffstonnage gibt die Transportkapazität in Tonnen einer Handelsflotte an. Bei fortschreitender Technik im Schiffsbau steigt auch die Transportkapazität einzelner Schiffe, was die Wettbewerbsfähigkeit positiv beeinflusst. Die Entwicklung der Handelsschiffstonnage ist somit ein Indikator neben anderen, der die Stellung und Leistungsfähigkeit der nationalen Handelsflotte auf dem Weltmarkt angibt. Die Zusammenstellung der deutschen Handelsschiffstonnage gibt die Tonnage einmal in Bruttoregistertonnen und zum anderen, soweit die entsprechenden Werte aus den Quellen erhoben werden konnten, als Anteil an der Welthandelstonnage wieder. Auch die Anzahl der Handelsschiffe wird angeführt. Das Raummaß Bruttoregistertonne (abgekürzt = BRT) ist die Maßeinheit für die Tragfähigkeit der Seeschiffe. Es wird der gesamte umbaute Schiffsraum vermessen (Bruttoraumgehalt bzw. Bruttotonnage). Seit dem 1. Juli 1994 wird der Raumgehalt eines Schiffes in Bruttoraumzahl (BRZ) und Nettoraumzahl (NRZ) berechnet. Die Angaben für das Deutsche Reich beziehen sich auf das Reich in seinen jeweiligen Grenzen. Als Quellen wurde das Statistische Jahrbuch für das Deutsche Reich sowie die Publikation "Bevölkerung und Wirtschaft" des Statistischen Bundesamtes herangezogen. Ab 1900 geben die Werte den Stand zum 1. Juli des jeweiligen Jahres an. Für die Alten Länder bzw. das Gebiet der ehemaligen Bundesrepublik Deutschland wurden die Werte aus der Publikation "Verkehr in Zahlen" des Bundesministeriums für Verkehr, Bau und Stadtentwicklung, Tabelle: ´Seeschifffahrt - Handelsflotte der BRD´ bezogen. Hier beziehen sich die Werte jeweils auf den 31 Dezember des jeweiligen Jahres. In dieser Quelle wurden Schiffe mit mechanischem Antrieb und einem Raumgehalt von mindestens 100 BRT und mehr berücksichtigt. Außerdem sind für den Zeitraum von 1975 – 1990 Schiffe unter der Flagge der Bundesrepublik einschl. ausländischer Schiffe mit Flaggenschein aufgenommen worden. Schiffe der BRD, die unter fremder Flagge fuhren, werden nicht berücksichtigt, da sie nicht für den deutschen Handel und Transport verwendet werden. Leider kann nach 1971 keine Angabe zum Anteil der deutschen Handelsschiffstonnage an der Welthandelstonnage gemacht werden. Für das Gebiet der ehemaligen DDR wurde das Statistische Jahrbuch für die DDR, Jahrgang 1990, als Quelle herangezogen. Hier ist der Stichtag der Bestandsangaben, wie im Falle des Deutschen Reiches, der 1.7. des jeweiligen Jahres. Für das wiedervereinte Deutschland in den Grenzen des 3. Oktobers 1990 beziehen sich die Angaben – wie für die ehemalige Bundesrepublik – auf den Stand zum 31.12. des jeweiligen Jahres. Als Quelle wurde die Publikation "Verkehr in Zahlen" des Bundesministeriums für Verkehr, Bau und Stadtentwicklung herangezogen.
08 Güterumschlag in bedeutenden Seehäfen - Hamburg, Bremische Häfen, Emden sowie Rostock, Wismar und Stralsund (1925-2010) Der Güterumschlag eines Hafens ist ein Indikator für seine wirtschaftliche Bedeutung und der Einbettung des Hafens in der Logistikkette. Bei guter Anbindung an Bahn und Autobahn und kurzen, zügigen Be- und Entladungsphasen von Schiffen sowie LKWs und Bahn-Waggongs wird sich ein Hafen als Güterumschlagszentrum etablieren. Die Datentabelle K15.08 enthält für die wichtigsten Häfen Deutschlands die Entwicklung des Güterumschlags vom Deutschen Reich bis zum Jahr 2010 im wiedervereinten Deutschland in den Grenzen vom 3. Oktober 1990. Vor dem Hintergrund der Teilung Deutschlands nach dem 2. WK in zwei Staaten und der Auswahl der wichtigsten Häfen für die ehemalige DDR, wie sie in dem Statistischen Jahrbuch für die ehemalige DDR getroffen wurde, sind folgende Häfen in der Datentabelle aufgenommen worden: Hamburg, Bremische Häfen, Emden, Rostock, Wismar und Stralsund. Als Quelle dienen die Statistischen Jahrbücher für das Deutsche Reich, für die Bundesrepublik Deutschland und für die DDR. Für die neuen Länder wurde darüber hinaus noch die Publikation des Bundesministeriums für Verkehr, Bau und Stadtentwicklung, Verkehr in Zahlen, Jg. 1990, S. 282, Tabelle: 'DDR Kennziffern - Seehäfen und Binnenhäfen' herangezogen.
Die Luftfahrt
Mit der Erfindung des Flugzeuges tritt eine vollkommen neue Form der Fortbewegung auf den Markt. Die ersten Flugzeuge wurden zunächst nur für militärische Zwecke genutzt; 1919 setzte mit Gründung der Deutschen Luft-Reederei (DLR) in Deutschland eine Entwicklung hin zum zivilen Luftverkehr ein. Die Deutsche Luft-Reederei (DLR) wurde vom Reichsluftamt in Berlin als weltweit erste Fluggesellschaft für den zivilen Luftverkehr zugelassen. Zwischen Berlin und Weimar begann der regelmäßige Post- und Passagierverkehr. Die Luftpost mit Flugzeugen, die schon während des Ersten Weltkriegs entstand, wurde wesentlich ausgebaut. In den darauf folgenden Jahren entstanden viele kleine Fluggesellschaften, die häufig nur eine Strecke bedienten. Der technische Fortschritt ermöglichte schließlich die Entwicklung eines Verkehrsflugzeuges mit beheizbarer Kabine und gepolsterten Sitzen. 1926 wurde die "Deutsche Lufthansa AG" unter Beteiligung des Reiches, der Länder und Städte gegründet. Bis 1945 war sie Einheitsgesellschaft für den zivilen Luftverkehr mit weit verzweigtem europäischem Streckennetz. Mit der Kapitulation Deutschlands nach dem 2. Weltkrieg im Mai 1945 wurde die deutsche Luftfahrt zunächst unterbrochen. Nach der Gründung der Bundesrepublik Deutschland und der Einrichtung des Verkehrsministeriums konnte der zivile Luftverkehr wieder 1955 aufgenommen werden. Der Luftverkehr hat gerade für eine international ausgerichtete Volkswirtschaft wie Deutschland eine enorme Bedeutung durch die hohen Mobilitätszuwächse in wirtschaftlichen Bereichen und im Bereich des Personenverkehrs. Mit Einsetzen des Luftverkehrs als Transportmittel ist eine Verringerung der Transportkosten und Transportzeiten zwischen weit entfernten Orten erreicht worden. Eisenbahn- und Schiffsverkehr stellen für den Flugverkehr aufgrund der größeren Gütermengen, die sie transportieren können, sowie der günstigeren Kosten pro transportierter Gewichtseinheit, weiterhin wichtige Mitbewerber im Bereich des Gütertransportes dar. Wesentliche Akteure des Luftverkehrs sind neben der Flugsicherung die Flughäfen und die Fluggesellschaften. In der Zeit von 1919 bis 1949 entwickelte sich der Luftverkehr bis in die 1970er Jahre hinein als ein stark staatlich regulierter Sektor. Die Luftverkehrsgesellschaften wie z.B. die Deutsche Lufthansa sowie die Flughäfen befanden sich oft im Besitzt des jeweiligen Heimatlandes. Ende der 70er Jahre setzte in den USA ein Deregulierungsprozess des Luftverkehrssektors ein, der schließlich auch in den 80er Jahren die Länder der Europäischen Union erfasste. Die Europäische Gemeinschaft verwirklichte in drei großen Liberalisierungsschritten in den Jahren 1987, 1990 und 1993 eine weitgehend vollständige Dienstleistungsfreiheit für den innereuropäischen Luftverkehr. (vergl.: St. Kraft: Geschäftsmodelle strategischer Luftverkehrsallianzen. Universität Gießen. WEB: http://www.org-portal.org/fileadmin/media/legacy/Gesch_ftsmodelle_strategischer_ Luftverkehrsallianzen.pdf)
09 Gewerblicher Luftverkehr der deutschen Fluggesellschaft und aller Fluggesellschaften auf deutschen Flugplätzen (1919-2010)
Solange der Luftverkehr noch nicht liberalisiert war, diente der größte nationale Flughafen der nationalen Fluggesellschaft als Hauptstützpunkt. Aufgrund der strikten Reglementierung des europäischen Luftverkehrs durch bilaterale Abkommen wurde den Fluggesellschaften die Streckenführung und Passagierbeförderung größtenteils vorgegeben. Nur, wenn es um Zubringerdienste (die sog. spokes) innerhalb des eigenen Landes ging, konnten die Passagierströme für Langstreckenflüge auf einen bestimmen Flughafen als sogenannten Hub (=gewählter Umsteigeflughafen einer Fluggesellschaft) konzentriert werden. Nach der Liberalisierung innerhalb der EU treten Flughäfen und Fluggesellschaften nun als selbständige Akteure auf, die Entscheidungen nach Effizienzgesichtspunkten fällen können. Die Flughäfen treten untereinander in den Wettbewerb ein. Mit dem Ausbau ihrer Kapazitäten und Dienstleistungen am Boden versuchen sie, für Fluggesellschaften als Hauptstützpunkt (das sog. Hub-and-Spokes-System ) attraktiv zu sein. Unternehmen des Güterverkehrs sowie die Teilnehmer des Personenverkehrs sollen aufgrund guter Serviceleistungen angesprochen werden. Die Fluggesellschaften wiederum konkurrieren über angebotene Flugrouten und Preise. (vgl. Gordon Paul Schenk, 2003: Auf dem Weg zu einem gemeinsamen Markt im Luftverkehr. Dissertation, Hamburg, S. 123 f.) Von daher erscheint es sinnvoll, die erbrachten Transportleistungen im Luftverkehr sowohl nach den Fluggesellschaften als auch nach den Flughäfen getrennt darzustellen. Es wurde versucht, möglichst lange kontinuierliche Datenreihen für Deutschland zur Zeit des Deutschen Reiches bis 1938/1940, jeweils für die frühere Bundesrepublik (Alte Länder) und die ehemalige DDR (Neue Länder) von 1950 bis 1990 sowie für das wiedervereinte Deutschland in den Grenzen vom 3. Oktober 1990 für die Zeit von 1990 bis 2010 zusammenzustellen. Für die Flughäfen wurden die Leistungen sämtlicher deutscher und ausländischer Fluggesellschaften aufgenommen. Zur Zeit des Deutschen Reiches ist auch der Luftschiffverkehr in den Zahlen mit enthalten. Für die Bundesrepublik Deutschland und das wiedervereinte Deutschland wurde der Gesamtverkehr einschließlich des Durchgangsverkehrs erfasst. Für die alten Länder (ehemalige Bundesrepublik) wurden die Werte folgender Flughäfen erfasst: Berlin-West, Bremen, Düsseldorf, Frankfurt, Hamburg, Hannover, Köln, München, Nürnberg, Stuttgart, ab 1977 Saarbrücken. Die Datenreihen für die Neuen Länder beziehen sich auf die Flughäfen Berlin- Schönefeld, Dresden, Leipzig/Halle, ab 1998 Erfurt. Für die Fluggesellschaften werden jeweils neben den Beförderungsleistungen in absoluten Zahlen auch die Kennwerte der Transportleistungen, Personenkilometer und Tonnenkilometer angegeben. Für die ehemalige DDR wird in dem Statistischen Jahrbuch für die DDR nur für die Fluggesellschaft der ehemaligen DDR, die Interflug bzw. Deutsche Lufthansa der DDR berichtet, so dass für die Zeit von 1945 bis 1990 keine Angaben zu den Flughäfen gemacht werden können. Folgende Zeitreihen sind in dieser Datentabelle aufgenommen worden: Für die deutschen Flughäfen: - Beförderte Personen in 1000; - Beförderte Luftfracht in 1000 t.; - Beförderte Luftpost in 1000 t. Für die deutschen Fluggesellschaften: - Beförderte Personen in 1000; - Beförderte Personen in Personenkilometer; - Beförderte Luftfracht in 1000 t.; - Beförderte Luftfracht in 1000 Tonnenkilometer; - Beförderte Luftpost in 1000 t. - Beförderte Luftpost in 1000 Tonnenkilometer.
Die Nachrichtenübermittlung durch Post und Telekommunikation
Die Beförderung von Nachrichten, Kleingütern und zum Teil auch Personen ist ein wesentlicher Bestandteil eines funktionsfähigen Gemeinwesens. Bis zum späten Mittelalter gab es in dem damaligen Heiligen Römischen Reich deutscher Nationen kein etabliertes System der allgemeinen Nachrichtenübermittlung, sondern Kaiser, Klerus und Fürsten sendeten per Boten ihre Nachricht direkt zum Zielort. Der Habsburger Maximilian I. benötigte für die effektive Verwaltung seines Reichs eine zuverlässige und sichere Nachrichtenübermittlung. 1490 beauftragte er die Familie Torre e Tassis (später Thurn und Taxis) mit der Einrichtung einer systematisch organisierten Nachrichtenübermittlung. Durch die Einrichtung von Poststationen war die Übermittlung von Nachrichten nicht mehr an eine Person, den Boten, gebunden, sondern wurde – vergleichbar einem Staffelrennen – an der Station einem anderen Reiter übergeben. Der Nachrichtenbeförderung wurde bei Tag und bei Nacht durchgeführt. Dieses Poststationen-System wurde ständig erweitert, Briefe konnten so über große Distanzen innerhalb von 5 bis 6 Tagen transportiert werden. Die Nachrichtenübermittlung wurde extrem beschleunigt. Raum und Zeit waren plötzlich keine unüberwindbaren Hindernisse. War dieses Übermittlungssystem zunächst ausschließlich für kaiserliche Nachrichten eingerichtet, wurde schon 1530 die Post der Allgemeinheit zugänglich gemacht. In der darauffolgenden Zeit wurden von Landesfürsten, Herzogtümern und Städten konkurrierende Postrouten eingerichtet. Zwar wurde durch Kaiser Rudolf II. die Reichspost 1597 zum kaiserlichen Hoheitsrecht erklärt. Dieses Monopol, welches das Haus Thurn und Taxis als kaiserliches Lehen erhielt, wurde jedoch nicht von allen Landesfürsten anerkannt, was zu einer Vielzahl ausgehandelter bilateraler Verträge zwischen der Reichspost und den jeweiligen konkurrierenden lokalen Postunternehmen zwang. 1850 wurde schließlich der Deutsch-Österreichische Postverein als Zusammenschluß kleinstaatlicher Posten mit dem Ziel eines einheitlichen Tarifsystems gegründet, dem in der Folgezeit immer mehr deutsche Staaten beigetreten sind. Durch die politischen Ereignisse 1866/67 (Deutsch-Preußischer Krieg) wurde der Deutsche Postverein aufgelöst. Schon in dieser Zeit hat der technische Fortschritt zu großen Umwälzungen und neuen Perspektiven geführt. Als technische Erneuerung sind in diese Zeit gefallen: die Telegrafie, die Bahn, die als Transportmittel für die Post entdeckt wurde, und die Rohrpost. Die Preußen führten die Telegrafie 1832 offiziell ein (Telegrafenlinie von Berlin nach Koblenz). 1850 wurde der Deutsch-Österreichische Telegrafenverein gegründet, der den Anschluss an das belgische, französische und das englische Telegrafennetz ermöglichte. "Erst mit der Gründung des Deutschen Reichs 1871 unter Bismarck wurde auch das deutsche Postwesen endgültig unter einem Dach zusammengefasst und über 100 Jahre lang verstaatlicht." (Gregor Delvaux de Fenffe, www.planet-wissen.de/kultur_medien/ kommunikation/post/index.jsp ) Gebühren der Postbeförderung wurden vereinheitlicht, der Einsatz moderner Technologien forciert. Schließlich wurden mittels bilateraler Verträge die Beförderungshemmnisse über die Grenzen des Deutschen Reiches abgebaut. Führte in der Entstehungszeit des Postwesens die Vielfalt eigenständiger, regionaler Postvereine aufgrund vieler Grenzen und unterschiedlicher Regeln zu einem unübersichtlichen und starrem System, so brachte die Liberalisierung des Post- und Telekommunikationswesens in Deutschland in den 1990er Jahren einen Anstieg der Auswahl für die Verbraucher, stark fallende Preise, neue innovative Dienste und damit mehr Flexibilität. Auslöser der Liberalisierungsprozesse nicht nur für Post und Telekommunikation, sondern für den gesamten Verkehrssektor, war das Binnenmarktprogamm der Europäischen Union, das europäische Wettbewerbsrecht und die Europäische Kommission als Akteur. Ziel der Liberalisierung ist es, wettbewerbsverzerrende staatliche Eingriffe und damit nationalstaatliche Gestaltungsspielräume einzuschränken. Nationalstaatliche Monopole sind wegen bestehender europarechtlicher Verpflichtungen nicht mehr zu halten. (vergl.: Susanne K. Schmidt: Liberalisierung in Europa. Campus, 1998; Justus Haucap / Coenen, Michael (2010): Ordnungspolitische Perspektiven Nr.01. Regulierung und Deregulierung in Telekommunikationsmärkten: Theorie und Praxis. Düsseldorf, Düsseldorfer Institut für Wettbewerbsökonomie DICE) Flankiert wird diese Entwicklung durch eine Vielzahl neuer Technologien der Kommunikation, wie das Internet mit seinen vielfältigen Möglichkeiten (Social Media, das Semantische Web, die Internet-Telefonie, der E-Mail-Verkehr), der Mobilfunk oder die Möglichkeit, SMS zu versenden.
10 Deutsche Reichs- und Bundespost (1871-2010)
Die quantitative Entwicklung der Dienstleistungen des Post- und Telekommunikationswesen von der Zeit des Deutschen Reichs bis zur Gegenwart soll mit folgenden Zeitreihen festgehalten werden: - Beförderte Briefsendungen, - Beförderte Paket- und Wertsendungen, - Übermittelte Telegramme, - Sprechstellen (Telefonanschlüsse), - Ortsgespräche, - Ferngespräche, - Ton-Rundfunkgenehmigungen - Fernseh-Rundfunkgenehmigungen
Durch die rasante technische Entwicklung können viele Reihen insbesondere ab den 1990er Jahren in dieser Form nicht mehr fortgeführt werden bzw. müssen durch weitere Reihen ergänzt werden, und zwar: - Bezüglich der Telefone muss zwischen Telefon-Anschlüssen und Telefon-Kanälen unterschieden werden. Der klassische Analoganschluss ermöglicht durch das ISDN die Bereitstellung von mehreren Kanälen auf einen ISDN-Anschluss. Darüber hinaus stellt der Mobilfunk ein neues Medium dar, das neben dem Festnetzanschluss erfasst werden muß. - Aufgrund der Monopolstellung, welche die Post für ca. 120 Jahre innehatte, ist sie die Eigentümerin wertvoller Infrastruktur. Im Falle des Telefons ist sie, bzw. die aus ihr hervorgegangene Deutsche Telekom AG Eigentümerin der Telefonanschlussleitungen. Das Telefonnetz kann als einziger Teil nicht oder nur schwer von alternativen Anbietern ersetzt werden und es wird für gewöhnlich von einem örtlichen Zugangsnetz-Monopolisten (die Deutsche Telekom) kontrolliert. Damit die Wettbewerber den Zugang zum Anschluss des Kunden auf wirtschaftliche Weise realisieren können, sorgt die Regulierungsbehörde für eine angemessene Tarifierung der Vorleistungen des etablierten Betreibers. Daher ist die Entwicklung der TAL-Anmietungen durch Wettbewerber ein wichtiger Indikator für den Prozess der Liberalisierung. - Viele technische Neuerungen, die in letzter Zeit an Bedeutung gewonnen haben, sind im Rahmen dieser Tabelle nicht berücksichtigt worden, so. z.B. die Verbreitung der Internet-Anschlüsse in den Haushalten oder die Internet-Telefonie. Der Grund liegt darin, dass die Reihen oft erst mit Ende der 1990er Jahre oder später beginnen, wie man dies auch am Beispiel der TAL-Anmietungen sehen kann, für die erst mit dem Jahr 1998 der erste Wert erhoben wurde. Zum andern wurde versucht, soweit wie möglich, eine gewisse Vergleichbarkeit zu den Jahren vor 1990 beizubehalten. Für die Telefonanschlüsse bedeutet dies, dass für Deutschland ab 1990 die Sprechstellen, gezählt als Anzahl der Kanäle für alle Anbieter und für die Telekom AG im besonderen ausgewiesen werden. Nach 2007 ergibt sich ein Bruch in diesen Reihen, da ab 2008 nur noch die Sprechstellen, gezählt als Anschlüsse, ausgewiesen werden, womit sich die ausgewiesenen Zahlen verringern (ein Anschluss kann mehrere Kanäle bereitstellen). - Für die 'Übermittelten Telegramme' sind aus den uns vorliegenden Quellen keine Werte zu entnehmen.
Darstellung der Inhalte in absteigender Reihenfolge (von neuen zu älteren Wellen).
Für alle Befragungen (abweichend nur die Rekrutierungsbefragung) wird erhoben: Einladungsmodus; Teilnahmemodus; Datum Feldstart und Feldende; AAPOR Wave Code; Fragebogenevaluation (interessant, abwechslungsreich, wichtig für Wissenschaft, lang, schwierig, zu persönlich) und Gesamtbewertung des Fragebogens; Verständlichkeit der Fragen; gedankliche Anregung durch die Fragen; Teilnahmeunterbrechung und Dauer der Unterbrechung; Anwesende während des Interviews; Teilnahmeort (zuhause, anderer Ort); Teilnahmegerät; Feedback des Befragten; Datum, an dem der Fragebogen ausgefüllt wurde; geschätzte Dauer; ab Welle bd: Schwierigkeiten beim Verständnis des Fragebogens; Schwierigkeiten Antworten zu finden.
Welle bf:
Panelteilnahme, Panelevaluation: Einstellung zu Umfragen im Allgemeinen (Skala); Meinung zur Teilnahme am GESIS GesellschaftsMonitor im Jahr 2014 (regelmäßige Gespräche mit Dritten über Umfragethemen, Verpflichtungsgefühl zur Teilnahme, Teilnahme wurde zur Gewohnheit, passend, Identifikation mit GESIS GesellschaftsMonitor, Umfragen wichtig für die Gesellschaft, liefern wichtige Erkenntnisse, Zeitverschwendung, Spaß am Ausfüllen, Eingriff in die Privatsphäre, interessant, zu oft um Teilnahme gebeten worden, anstrengend); Gesamtbewertung der Befragungen des GESIS GesellschaftsMonitors und Schulnote; Einschätzung der Empfehlungswahrscheinlichkeit des GESIS GesellschaftsMonitors an Freunde; Mitgliedschaft in Online-Panels; Anzahl der Mitgliedschaften in Online-Panels. Internetzugang und Internetnutzung: Besitz von stationärem Computer / PC, Laptop, Tablet-PC und Smartphone; Nutzungshäufigkeit dieser Geräte; Internetzugriff mit diesen Geräten von zuhause und von unterwegs; Panel Teilnahmepräferenzen: Teilnahmewahrscheinlichkeit jeweils per Papierfragebogen, stationärem Computer / PC oder Laptop, Tablet-PC und Smartphone; präferierter Teilnahmemodus. Einstellungen zum Thema Erbschaftssteuern, Motive des generationsübergreifenden Transfers innerhalb von Familien (Intergenerationentransfer): Befürwortung einer Steuerpflicht auf Erbschaften; Meinung zu einer Erbschaftssteuervergünstigung für Pflegende; Meinung zu ausgewählten Aussagen: Ältere schrecken vor frühzeitiger Vermögensübertragung zurück aus Sorge vor Abhängigkeit von ihren Kindern, Eltern stocken Ersparnisse bei gestiegener Staatsverschuldung auf, um zukünftige Steuerlasten ihrer Kinder abzumildern (Ricardianische Äquivalenz), keine Lebensveränderung bei Erhalt der Erbschaft, weil Lebensentscheidungen vorher getroffen wurden; Meinung zur verpflichtenden finanziellen Starthilfe von Eltern für ihre Kinder (moralische Verpflichtung, falls selbst Starthilfe erhalten versus keinerlei Verpflichtung); Meinung zum Ausbau des staatlichen Betreuungsangebotes für Kinder unter 3 Jahren (zu starke Einmischung des Staates schwächt den Zusammenhalt der Familien versus Familien können Betreuung nicht selber leisten); vermuteter Grund für eine Vermögensübertragung zu Lebzeiten; antizipierte Verteilung von Erbschaften an Haushalte (Haushalte mit hohem Einkommen, mit niedrigem Einkommen oder an Haushalte aller Einkommensklassen); Kenntnistest: geschätzte Höhe der von Kindern zu zahlenden Erbschaftsteuer für geerbte Bankguthaben in Höhe von jeweils 100.000 Euro und 1 Mio. Euro; Selbsteinschätzung des Familienzusammenhalts; Anzahl der Generationen im Haushalt; räumliche bzw. zeitliche Distanz zu den Eltern; subjektive Einschätzung Vergesslichkeit (Metacognitive Prospective Memory Battery Capacity) und Anwendungshäufigkeit ausgewählter Alltagsstrategien gegen vergessen (MPMB Strategies). Demographie (Update): Geschlecht; Alter (kategorisiert); deutsche Staatsangehörigkeit; ausländische Staatsangehörigkeit; Familienstand; fester Lebenspartner; gemeinsamer Haushalt mit dem Lebenspartner; höchster allgemeinbildender Schulabschluss; derzeitiger Ausbildungsstatus (berufliche Ausbildung oder Studium); Hochschulabschluss oder Universitätsabschluss; Art des höchsten Hochschul- bzw. Universitätsabschlusses; höchster beruflicher Ausbildungsabschluss; Haushaltsgröße; Anzahl der Kinder unter 16 Jahren im Haushalt; monatliches Nettoeinkommen und Haushaltsnettoeinkommen (kategorisiert).
Welle be:
Medien: Ausstattung mit elektronischen Geräten oder Internetmöglichkeiten (Fernsehgeräte, DVD-/Blu-ray Player, Festplattenrecorder, Spielekonsole, Radiogerät zu Hause, im Auto bzw. mit Internetzugang, stationärer Computer / PC, Laptop / Notebook, Tablet-PC, Festnetztelefon, normales Handy, Smartphone / iPhone, Internetzugang bzw. WLAN zu Hause, Cloud genutzt, Internetzugang im Auto); Nutzungshäufigkeit ausgewählter Medien (Fernsehen, DVD /Video, Kino, Bücher, Tageszeitung und Zeitschriften gedruckt bzw. als E-Book-Reader, online oder als Digitalausgabe, Hören von Radio, Musik-CDs, Musikkassetten oder MP3s, Handy / Smartphone, Computernutzung offline, Internet bzw. Onlinedienste nutzen, Erstellen von digitalen Filmen oder Fotos bzw. von Videos); Häufigkeit der Internetnutzung für private Zwecke; persönlich wichtige Kriterien bzw. Möglichkeiten des Internets. Mitgliedschaft und Aktivität in sozialen Netzwerken: Mitgliedschaft in einem sozialen Netzwerk; Nutzungshäufigkeit des am häufigsten genutzten sozialen Netzwerks; Art und Häufigkeit der Aktivitäten in sozialen Netzwerken im Kontakt mit Freunden oder Bekannten und mit Organisationen, Vereinen oder Initiativen. Beruf und Freizeit: Erwerbssituation; Arbeitszufriedenheit; Beruf: Anteil der Arbeitszeit in sitzender Tätigkeit; Anteil der Arbeitszeit mit persönlichen Sozialkontakten; Tätigkeitsbeschreibung (schnell arbeiten, großes Arbeitspensum, häufig technische Störungen im Arbeitsablauf, organisatorische Probleme, Gefühle von anderen Menschen verstehen, stark konzentrieren, körperlich schwer arbeiten, dazulernen und sich weiterentwickeln, Angst vor Arbeitsplatzverlust, Entscheidungsautonomie, Kollegen und Vorgesetzte helfen, Positives für andere Menschen bewirken, wichtige Rolle im Leben, häufig durch Arbeit erschöpft); Häufigkeit der gedanklichen Beschäftigung mit der Arbeit in der Freizeit; Führungsfunktion; befristeter oder unbefristeter Arbeitsvertrag; berufliche Tätigkeit bzw. Stellung; Branche (NACE); Zufriedenheit mit der Freizeit; Häufigkeit ausgewählter Freizeitaktivitäten (nützliche Kontakte knüpfen, entspannen, Kenntnisse erwerben oder weiterentwickeln, körperlich fit halten, anderen helfen oder ehrenamtlich engagieren, Hobby ausüben, Zeit mit der Familie). Wochenmärkte: Häufigkeit von Wochenmarkteinkäufen; Lebensmitteleinkauf auf Wochenmärkten in den letzten zwei Monaten; Einkaufshäufigkeit von Lebensmitteln regionaler Hersteller und aus biologisch-kontrolliertem Anbau auf Wochenmärkten; Meinung zu ausgewählten Aussagen zu Wochenmärkten (Lebensmittel zu teuer, begrenztes Angebot an Lebensmitteln, schlecht erreichbar, Lebensmittel von hoher Qualität); Wahrscheinlichkeit eines Wochenmarkteinkaufs in den nächsten vier Wochen; positive Bewertung des Einkaufs regionaler Produkte durch Familie und Freunde; gutes Gefühl beim Einkauf regionaler Produkte; Wahrscheinlichkeit des Einkaufs von Bio-Lebensmitteln beim nächsten Einkauf; Meinung zu Bio-Produkten (zu teuer, gutes Gefühl beim Einkauf, positiver Umweltbeitrag durch den Kauf von Bio-Produkten). Geldanlage: Präferierte Geldanlage für die mittelfristige Investition von 10.000 Euro im Hinblick auf Umweltverträglichkeit und Nachhaltigkeit, jeweils anhand von zwei Alternativvorschlägen mit gleichen Verwaltungskosten und vergleichbaren Risiken (Alternative A: Geldanlage in Unternehmen ohne Berücksichtigung ihrer Umweltverträglichkeit und Nachhaltigkeit mit einer Verzinsung von 5 Prozent (7,5 Prozent, 10 Prozent) pro Jahr versus Alternative B: Geldanlage ausschließlich in Unternehmen, die besonderen Wert auf Umweltverträglichkeit und Nachhaltigkeit legen bei einer jeweiligen Verzinsung von 5 Prozent pro Jahr); positive Bewertung der Investition in umweltfreundliche Unternehmen durch Familie und Freunde; Glück (Skalometer); Lebenszufriedenheit (Skalometer). Urlaub: Urlaubsstatus; private Urlaubsreise in den letzten zwei Monaten; Monat der Rückkehr von dieser Urlaubsreise; Zufriedenheit mit der Urlaubsreise (Skalometer); Zufriedenheit mit ausgewählten Aspekten der Urlaubsreise (Zeit mit Anderen, Alltagssorgen vergessen, Entspannung und Erholung, Erlebnisse außerhalb des Alltags, verwöhnen lassen, zur Ruhe kommen, Natur genießen, Spaß, Shoppen, Spannendes erleben, Herausforderung, neue Leute kennenlernen, eigene Fähigkeiten zeigen, andere Kulturen erleben, Neues lernen, neue Fähigkeiten erwerben, eigene Fähigkeiten unter Beweis stellen, Sport treiben, Unabhängigkeit).
Zusätzlich verkodet wurde: Experimentalvariable.
Welle bd:
Psychologische Selbstcharakterisierung (Big 5: reserviert, vertrauensvoll, faul, entspannt, wenig künstlerisches Interesse, gesellig, Kritikneigung, gründlich, nervös, aktive Vorstellungskraft); persönliche Wertepräferenzen (Skala: Naturschutz, Hervorheben der eigenen Leistungen, Meinungsbildung, Traditionalismus, Toleranz, Reichtum, starker Staat, Wissenserwerb, Menschen helfen, neue Erfahrungen, Handlungsanweisungen geben, Gesetze befolgen, sich um jedes Bedürfnis anderer kümmern, Handlungsfreiheit, Wunsch nach Anerkennung der eigenen Leistung, Gerechtigkeit, Dinge ergründen); täglich genutzte Körperpflegeprodukte; Häufigkeit des Zähneputzens, von Sport und Solariumbesuchen; derzeitige Haarfarbe bei gefärbten oder getönten Haaren; Wichtigkeit modischer Kleidung; durchgeführte Diät; wöchentlich enthaarte Körperregionen; Anzahl Piercings; Anzahl Tätowierungen; Arten durchgeführter Schönheitsoperationen; intensive Auseinandersetzung mit dem Thema Schönheitsoperationen; Wahrscheinlichkeit einer Schönheitsoperation; Selbsteinschätzung der Attraktivität; Einstellung zu Attraktivität (Skala: äußeres Erscheinungsbild fällt zuerst auf, attraktiven Menschen fliegt alles zu, Veränderung als einzige Möglichkeit für Zufriedenheit mit dem eigenen Aussehen, Wunschaussehen würde Leben vereinfachen, Medienbotschaften verhindern Zufriedenheit mit dem äußeren Erscheinungsbild, Bestes geben für möglichst gutes Aussehen); Selbsteinschätzung der Schichtzugehörigkeit; Körpergewicht in Kilogramm und Körpergröße in Zentimetern (Kategorien); Meinung zum politischen System in Deutschland (beste Form der Demokratie, bei der gewählte Politiker alle Entscheidungen fällen, Politiker entscheiden im Interesse der Bürger, Parlament als beste Institution zur Gesetzgebung); Meinung zur politischen Entscheidungsfindung (Abfragen von Bürgerpräferenzen, durch Experten, Bürgerbeteiligung bei wichtigen politischen Entscheidungen, Bürgerdiskussionen fördern und in Entscheidung einbeziehen, gewählte Politiker entscheiden, Bürger entscheiden); präferierter Weg der politischen Entscheidungsfindung: Diskussionen und Debatten vor Entscheidungen versus Entscheidungen fällen anstelle von Diskussionen und Debatten; präferierte Entscheidungsträger: Bürger versus gewählte Politiker, gewählte Politiker versus politisch unabhängige Experten, politisch unabhängige Experten versus Bürger); politische Partizipation: Teilnahmehäufigkeit an ausgewählten politischen Aktivitäten; Bereitschaft zu politischer Partizipation; subjektives Wohlbefinden: glücklich im gegenwärtigen Leben (Skalometer); Lebenszufriedenheit (Skalometer). Urlaub: Urlaubsstatus; private Urlaubsreise im Sommer 2014; Monat des Urlaubsendes; Nutzungshäufigkeit ausgewählter Möglichkeiten um Urlaubserfahrungen zu teilen (z.B. Telefonate, E-Mails, Blogeinträge, Erstellen von Urlaubsfotoalben im Internet, u.a.); Zufriedenheit mit der Urlaubsreise (Skalometer); Zufriedenheit mit ausgewählten Aspekten der Urlaubsreise (Zeit mit Anderen, Alltagssorgen vergessen, Entspannen, Erlebnisse außerhalb des Alltags, verwöhnen lassen, zur Ruhe kommen, Natur genießen, Spaß, Shoppen, Spannendes erleben, Herausforderung, neue Leute kennenlernen, eigene Fähigkeiten zeigen, andere Kulturen erleben, Neues lernen, neue Fähigkeiten erwerben, eigene Fähigkeiten unter Beweis stellen, Sport treiben, Unabhängigkeit); weitere Urlaubsreise geplant; Vorfreude auf diese Urlaubsreise; Monat des Urlaubsbeginns; bereits erfolgte Urlaubsplanung hinsichtlich Anreise, Unterkunft, Verpflegung bzw. Urlaubsaktivitäten; Gründe, warum keine Urlaubsreise unternommen wurde.
Zusätzlich verkodet wurde: Body-Mass-Index (BMI).
Welle bc:
Einstellungen zur Umwelt und Umweltverhalten: Großstadtnähe der Wohngegend; empfundene Beeinträchtigung durch Umwelteinflüsse (Lärmbelästigung, Luftverschmutzung, fehlende Grünflächen); Einstellung zum Verhältnis zwischen Mensch und Umwelt (New Ecological Paradigm Scale); Zahlungsbereitschaft für den Umweltschutz in Bezug auf höhere Preise und Steuern und Abstriche vom Lebensstandard; Einstellung zur Energiewende (Skala); Meinung zum Atomausstieg; Deutschland sollte in der Klimaschutzpolitik vorangehen versus sich dem Tempo anderer Länder anpassen; Einschätzung des Klimawandels als ernstes Problem; Besitz einer Zeitkarte für den öffentlichen Personennahverkehr; Verfügbarkeit eines Autos; Nutzungshäufigkeit von Auto, Fahrrad, Bus oder Bahn in der Region sowie der Bahn auf längeren Strecken; Flugzeugnutzung im letzten Jahr für Privatreisen; Einkauf von Bio-Lebensmitteln und regionalem Obst und Gemüse in der letzten Woche; Bezug von Ökostrom. Wahlbeteiligung und Wahlentscheidung (Recall) bei der Europawahl am 25. Mai; Zufriedenheit mit den Leistungen der Bundesregierung; Zufriedenheit mit den Entscheidungen der EU; Selbsteinstufung Links-Rechts; Links-Rechts-Einstufung der Parteien CDU, CSU, SPD, FDP, Die Linke, Bündnis 90/Die Grünen und Alternative für Deutschland (AfD); Meinung zur Europäischen Einigung; Einstufung der vorgenannten Parteien hinsichtlich ihrer Haltung zur Europäischen Einigung; Verantwortung von Institutionen für die wirtschaftliche Lage in Deutschland (Bundesregierung, Internationaler Währungsfonds (IWF, IMF), Banken, Europäische Union); Wahlbeteiligung und Wahlentscheidung bei der Bundestagswahl 2013 (Erststimme und Zweitstimme, Recall); Wahrscheinlichkeit die Parteien CDU/CSU, SPD, FDP, Die Linke, Bündnis 90/Die Grünen und Alternative für Deutschland (AfD) zu wählen. Subjektive Einschätzung Vergesslichkeit (Metacognitive Prospective Memory Battery Capacity) und Anwendungshäufigkeit ausgewählter Alltagsstrategien gegen vergessen (MPMB Strategies). Subjektives Wohlbefinden: glücklich im derzeitigen Leben; Lebenszufriedenheit. Urlaubsreisen: Urlaubsstatus; geplante Urlaubsgestaltung im Sommer; Vorfreude auf die Urlaubsreise; Beginn (Monat) der nächsten Urlaubsreise; existierende Urlaubsplanung für Anreise, Unterkunft, Verpflegung und Urlaubsaktivitäten; Wichtigkeit ausgewählter Urlaubsmotive.
Welle bb:
Politikinteresse; politische Partizipation im letzten Jahr; Beteiligung an der letzten Kommunalwahl, Bürgermeisterwahl, Landtagswahl, Bundestagswahl und Europawahl; Wahlbeteiligungsabsicht und Wahlentscheidung bei der nächsten Bundestagwahl (Sonntagsfrage); Häufigkeit der Rezeption politischer Nachrichten; Häufigkeit der Internetnutzung für private Zwecke; Internetnutzung zur Informationssuche (über Freunde, Sport, Kunst oder Freizeitaktivitäten, Arbeit, Studieren oder Weiterbildung, Produkte, Einkäufe, soziale oder politische Themen sowie über Dienste oder Dienstleistungen); Häufigkeit der politischen Internetnutzung (Meinungsäußerung, Diskussionen, Weiterleiten von E-Mails, Unterschreiben einer Petition, soziale oder politische Beteiligung, Information über soziale und politische Themen; Nutzungshäufigkeit sozialer Netzwerke (Facebook, Twitter, andere); Häufigkeit der Beteiligung in Verbänden, Vereinen und Organisationen im letzten Jahr; Kontakthäufigkeit mit Freunden im letzten Jahr; Häufigkeit nachbarschaftlicher Kontakte (gegenseitige Besuche, Nachbarschaftshilfe, Streit mit Nachbarn); Wichtigkeit ausgewählter Lebensbereiche (Familie, Freunde und Bekannte, Freizeit, Politik, Arbeit und Religion); politische Wirksamkeit (Skala); Bürgerschaftsnormen (Skala: Solidarität mit schlechter Gestellten, Beteiligung an Wahlen, keine Steuerhinterziehung, Meinungsbildung unabhängig von anderen, Gesetze befolgen, aktiv in Organisationen und Vereinen, eigene Meinung kritisch überprüfen); Institutionenvertrauen (Bundestag, Bundesregierung, politische Parteien, Gerichte, Polizei, Politiker, Medien, Europäische Union, Vereinte Nationen, Bundesverfassungsgericht); allgemeines Personenvertrauen; Demokratiezufriedenheit; Parteiidentifikation und Stärke der Parteiidentifikation; Besorgnis im Hinblick auf die Begleichung von Rechnungen, die Reduzierung des Lebensstandards, den Job sowie die Abzahlung von Bankkrediten und Hypotheken; Meinung zu deutscher Krisenhilfe für andere EU-Mitgliedsstaaten; Lebenszufriedenheit; Glück; Häufigkeit von Treffen mit Freunden, Verwandten oder Arbeitskollegen; Teilnahme an geselligen Ereignissen im Vergleich zu Gleichaltrigen; Aktivitäten in den letzten zwölf Monaten (Ehrenamt, Fort- oder Weiterbildungskurs, Vereinstätigkeit bzw. in einer politischen Organisation oder Bürgerinitiative, Lesen von Büchern, Magazinen oder Zeitungen, Lösen von Kreuzwort- oder Zahlenrätsel, Kartenspiele oder andere Spiele); Gefühl persönlicher Wertschätzung von Nahestehenden; Zufriedenheit mit der Wirtschaftslage in Deutschland; Zufriedenheit mit den Leistungen der Bundesregierung; Forderung nach einer staatlichen Verringerung von Einkommensunterschieden; Beurteilung der allgemeinen Wirtschaftslage in Deutschland und der finanziellen Situation des eigenen Haushalts im Vergleich mit vergangenem Jahr und erwartete zukünftige Entwicklung im kommenden Jahr; allgemeine Gefühlslage (aktiv, bekümmert, interessiert, freudig erregt, verärgert, stark, schuldig, erschrocken, feindselig, angeregt, stolz, gereizt, begeistert, beschämt, wach, nervös, entschlossen, aufmerksam, durcheinander, ängstlich).
Fragebogenevaluation: Schwierigkeiten beim Verständnis des Fragebogens; Schwierigkeiten Antworten zu finden; eigene Bemühungen bei der Antwortauswahl; Angemessenheit der Fragebogenlänge; Fragebogen bot Möglichkeit eigene Meinung auszudrücken; Spaß am Ausfüllen.
Welle ba:
Glücklich im bisherigen Leben, derzeit und zukünftig; Lebenszufriedenheit im bisherigen Leben, derzeit und zukünftig; Wichtigkeit ausgewählter Lebensbereiche (eigene Familie, Arbeit, Freizeit, Freunde, Nachbarschaft, finanzielle Situation) und Zufriedenheit mit diesen Lebensbereichen; Häufigkeit ausgewählter Gefühle in der letzten Woche (deprimiert oder niedergeschlagen, alles anstrengend, unruhiger Schlaf, glücklich, einsam, Leben genießen, traurig, antriebslos); Vergleichsperson oder Vergleichsgruppe für die eigene Familie (Arbeitskollegen, Familienmitglieder, Freunde, Nachbarn, andere); Wichtigkeit der eigenen Familie für diese Vergleichsperson; Zufriedenheit der Vergleichsperson mit der eigenen Familie; Vergleichsperson oder Vergleichsgruppe in Bezug auf die finanzielle Situation; Wichtigkeit der eigenen finanziellen Situation für diese Vergleichsperson; Zufriedenheit der Vergleichsperson mit der eigenen finanziellen Situation; Art der räumlichen Orientierung im Alltag (in einer unbekannten Stadt, der eigenen Stadt, einem Gebäude, vom gegenwärtigen Standort aus, in freier Natur, nach den Himmelsrichtungen, mentale Karte der Umgebung, Ziel problemlos finden, Vogelperspektive, unbekannte Umgebung, mentale Karte der eigenen Stadt, Wege merken allgemein und in Gebäuden, Orientierungssinn, markante Gebäude, Stadt als Karte, Himmelsrichtungen in freier Natur, Gebäudeeingang, mentale Karte einer unbekannten Stadt); genutzte Hilfsmittel für die Wegeplanung (Navigationssystem im Auto, Routenplaner im Internet, als Fußgänger Smartphone mit Navigationsfunktion, gedrucktes Kartenmaterial); Besitz eines mobilen Navigationsgeräts, eines Smartphones mit Navigationsfunktion, eines Autos mit fest eingebautem Navigationssystem, Tablet-PC mit Navigationsfunktion; gesicherte Erdölversorgung in 25 Jahren versus kein Erdöl mehr in 15 Jahren); jeder Ölkonzern bestimmt seine eigenen Preise versus Preisabsprachen; Verantwortlichkeit des Staates für angemessenen Wohnraum versus Eigenverantwortung; gesellschaftliche Umstände versus Einzelpersonen verantwortlich für Kriminalität und Gesetzlosigkeit; Staat sollte für Arbeit und guten Lebensstandard sorgen versus nicht dafür sorgen; zu harter Umgang der Gerichte mit Kriminellen versus nicht hart genug; Leitung der Regierung von klugen Leuten versus wissen nicht was sie tun; Meinung zur Korruptheit der Regierung; Meinung zu einem Gesetz zum Einsparen von Heizenergie bei Brennstoffmangel; Meinung zur verpflichtenden Gewerkschaftsmitgliedschaft aller Arbeitnehmer eines Unternehmens; Meinung zum gesetzlich erlaubten Schwangerschaftsabbruch bei einer ernsthaften Schädigung des Babys und für verheiratete Frauen mit abgeschlossener Familienplanung; Meinung zur Unterstützung von Parteien durch Unternehmen bzw. von Gewerkschaften; Meinung zur gleichen Eignung von Männern und Frauen für Politik; Kompliziertheit der Politik; Meinung zur Redefreiheit; Klimawandel: Veränderung der Durchschnittstemperaturen der letzten drei Jahre; allgemeines Personenvertrauen; weiterhin Ungleichheit aufgrund des Nutzens für Reiche und Mächtige.
Fragebogenevaluation: Schwierigkeiten beim Verständnis des Fragebogens; Schwierigkeiten Antworten zu finden; eigene Bemühungen bei der Antwortauswahl; Angemessenheit der Fragebogenlänge; Fragebogen bot Möglichkeit eigene Meinung auszudrücken; Spaß am Ausfüllen.
Zusätzlich verkodet wurden: diverse Experimentalvariablen; Einladungsmodus; Teilnahmemodus; Teilnahme; Datum Feldstart und Feldende; AAPOR wave code; Fragebogenevaluation (interessant, abwechslungsreich, wichtig für Wissenschaft, lang, schwierig, zu persönlich) und Gesamtbewertung des Fragebogens; Verständlichkeit der Fragen; gedankliche Anregung durch die Fragen; Teilnahmeunterbrechung; Dauer der Unterbrechung; Anwesende während des Interviews; Teilnahmeort (zuhause, anderer Ort); Teilnahmegerät; Feedback des Befragten; Datum (Tag, Monat, Jahr), an dem der Fragebogen ausgefüllt wurde; geschätzte Dauer.
Willkommensbefragung: Mediennutzung: Fernsehkonsum, Radiokonsum und Zeitungskonsum pro Tag; wichtigste politische Probleme im Land; Zufriedenheit mit den Leistungen der Bundesregierung (Skalometer); Demokratiezufriedenheit; Zufriedenheit mit der gegenwärtigen Wirtschaftslage im Land (Skalometer); Politikinteresse; Selbsteinstufung Links-Rechts; Bürgerpflichten (Skala). Wohnumfeld: Bundesland Ost/West (geografisch); Region; Beurteilung der Lebensqualität in der Region; empfundene Beeinträchtigung durch Lärmbelästigung, Luftverschmutzung und fehlende Grünanlagen; Beurteilung der sozialen Beziehungen in der Wohngegend; Wohnortwechsel in der Vergangenheit; Verbundenheit mit dem Wohnort, der Region, dem Bundesland, Deutschland und Europa. Freizeit: Wunsch nach mehr Zeit für ausgewählte Freizeitaktivitäten; Einstellung zum Beruf: Kriterien eines idealen Berufs; persönliche Prioritäten (Wohlstand, für andere da sein, Selbstverwirklichung, Kinder, Erfolg im Beruf, Hausbesitz, Ehe bzw. Partnerschaft, politisches Engagement, Reisen).
Zusätzlich verkodet wurde: Einladungsmodus; Teilnahmemodus; Datum Feldstart und Feldende; Einladungsmodus bei der ersten Welle; ursprünglicher Panel-Modus; AAPOR Standard Disposition Code; Fragebogenevaluation (interessant, abwechslungsreich, wichtig für Wissenschaft, lang, schwierig, zu persönlich) und Gesamtbewertung des Fragebogens; Verständlichkeit der Fragen; gedankliche Anregung durch die Fragen; Teilnahmeunterbrechung; Anwesende während des Interviews; Teilnahmeort (zuhause, anderer Ort); Teilnahmegerät; Feedback des Befragten.
Rekrutierungsbefragung: Allgemeine Lebenszufriedenheit; Zufriedenheit mit dem Wohnort; Zufriedenheit mit dem Leben in Deutschland; soziales Vertrauen: allgemeines Personenvertrauen, kein Verlass auf Andere, Vorsicht gegenüber Fremden; erwarteter Lebensstandard der jungen Generation im Vergleich zu den Eltern; Häufigkeit ausgewählter Freizeitaktivitäten; Internetnutzung: private Internetnutzung; Häufigkeit der privaten Internetnutzung mittels Tischcomputer bzw. Laptop, Mobiltelefon bzw. Smartphone und Tablet PC; Technikaffinität (Skala); Umfrageerfahrung insgesamt; Teilnahmehäufigkeit an Umfragen online, postalisch und persönlich; Wichtigkeit verschiedener Lebensbereiche und Zufriedenheit in diesen Bereichen (eigene Familie, Beruf, Freizeit); Emotionen bei Gedanken an die Familie, den Beruf und die Freizeit.
Demographie: Geschlecht; Alter (kategorisiert); deutsche Staatsangehörigkeit; Geburtsland des Befragten und seiner Eltern (Migrationshintergrund); Jahr der Einwanderung; Familienstand; fester Lebenspartner; gemeinsamer Haushalt mit dem Partner; höchster Schulabschluss; beruflicher Ausbildungsabschluss; Erwerbssituation; Art der Erwerbslosigkeit; Berufsgruppe; Haushaltsgröße; Kinder im Haushalt unter 16 Jahren und Alter dieser Kinder; persönliches Nettoeinkommen und Haushaltsnettoeinkommen (kategorisiert).
Zusätzlich verkodet wurde: Interesse an einer Paneleinladung; Befragter zögert bei Paneleinladung; Modus Onliner; Angabe der E-Mail-Adresse; Angabe der Telefonnummer; Modus im Sinne der Studie (Onliner oder Offliner); Einladungsmodus für Willkommensbefragung (Online oder Offline).
Administrative Variablen: Befragten-ID; Versionskennung und Versionsdatum.
Inhaltsangabe: Einleitung: 'Die Lage unserer Nation spiegelt sich im Schicksal der Stadt Berlin. Seit Kriegsende geteilt, gehört die Stadt zwei verschiedenen Welten an, die sich hier auf engstem Raum gegeneinander darstellen und abgrenzen. Die Mauer in Berlin ist zum weltweit bekannten Symbol der gewaltsamen Teilung Deutschlands geworden. (…) Berlin bleibt Gradmesser für die Ost-West-Beziehungen, Berlin bleibt das Symbol für die offene deutsche Frage'. Helmut Kohls Rhetorik aus dem Bericht zur Lage der Nation im geteilten Deutschland vom 23. Juni 1983 ist nur eine von unzähligen, in Kapitel 2.3 näher auszuführenden Bemerkungen aus Politik, Wissenschaft und Publizistik, die eine Verbindung zwischen der Stadt Berlin, seiner Mauer und der Deutschen Frage herstellen. Nach 1945 bezeichnete sie die Frage der Teilung Deutschlands und ihrer Überwindung, die Fragen zu wem und wohin die Deutschen gehören und wie sie ihre eigene kollektive Identität mit der Gestaltung Europas verbinden. Zu dieser Problematik spiegelte Berlin als Schaufenster der Systemkonkurrenz die Entwicklung in Deutschland, Europa und der Welt nach 1945 wider. Berlin war der Ort, an dem die deutsche Teilung für alle sichtbar war, der wie kein zweiter durch seine bloße Existenz die ungelöste Deutsche Frage symbolisierte. So wurde Berlin in der Literatur der Nachkriegszeit, vor allem aber seit dem Mauerbau vom 13. August 1961 zu dem Ort, um sich mit der deutschen Teilung zu beschäftigen. Auch nach der Öffnung der Grenze am 9. November 1989 musste 'die Stadt als Projektionsfläche für jedermann herhalten. Sie wurde zur 'Werkstatt der Einheit', zur 'Drehscheibe zwischen Ost und West', zum Energiezentrum einer nach ihr benannten Republik'. Daher konzentrieren sich ebenfalls die gesellschaftliche und wissenschaftliche Aufarbeitung von NS- und DDR-Geschichte auf die neue (alte) Hauptstadt. Auch dem deutschen Film diente Berlin seit der Weimarer Republik zur Herausbildung zahlreicher Topoi, und heute ist die Stadt wieder 'Deutschlands filmreifste Kulisse'. Das hilft erklären, warum auch die bundesdeutschen Grenzfilme nur selten an der 'grünen' innerdeutschen Grenze, weit häufiger aber in Berlin und an seiner Mauer spielen. Die Berliner Mauer: das war die in mehreren so genannten 'Generationen' um die drei alliierten Westsektoren der Stadt gebaute Grenzbefestigung. Nach über 28 Jahren und zwei Monaten fiel sie infolge ihrer Öffnung dem Abriss und der Musealisierung anheim. Weit wichtiger als ihre technischen Daten und ihre Geschichte erscheint aber ihre symbolische Bedeutung als innerstädtische, nationale und globale Scheidelinie zwischen West und Ost, Kapitalismus und Sozialismus, Freund und Feind. Um nur vier Beispiele dieses in Kapitel 2.4 näher zu erläuternden Erinnerungsortes zu nennen, so betonen die einen, die Mauer habe die West-Berliner in ihrem Gefühl von 'Eingeschlossensein' und 'Fernweh' bestärkt, während andere glauben, man habe aufgrund der Mauer in Berlin 'so frei denken und leben (können) wie nirgendwo sonst in Deutschland'. Aus der Perspektive europäischer Politiker war sie ein Symbol der Teilung Deutschlands und Europas, in globaler Sichtweise 'die zu Beton erstarrte Frontlinie des Kalten Krieges'. Hergeleitet aus dieser welthistorischen Bedeutung der Deutschen Frage und der Berliner Mauer analysiert die vorliegende Arbeit ihre symbolische Verbindung im bundesrepublikanischen Spielfilm von 1982 bis 2007. Konkret heißt dies, was in den Kapiteln 1.4 und 2 begründet und kontextualisiert wird, zu fragen: Welche Nationsverständnisse verknüpfen die Filme mit der Mauer? Wird eine gesamtdeutsche Nation oder werden mehrere Teilnationen ausgedrückt und welche Lehren ziehen die Filme daraus? Werden in synchroner und diachroner Perspektive Ähnlichkeiten und Unterschiede zwischen ihnen deutlich? In welchem Verhältnis stehen die Filmdarstellungen zu den damaligen politisch-kulturellen Vorstellungen und wissenschaftlichen Erkenntnissen und welche Gründe sind für etwaige Abweichungen zu suchen? Wurde nun die geschichtswissenschaftliche Fragestellung im Film gefunden, sind erste Kritiker mit altbekannten Argumenten oft nicht allzu fern. Denn die Filmgeschichte fristet 'innerhalb der Geschichtswissenschaft ein Nischendasein (...), das nach wie vor ein Hauch von Luxus umgibt'. Nur selten an Historischen Seminaren thematisiert, wird der Spielfilm zumeist stiefmütterlich behandelt, weshalb die Interpretation und Einordnung seiner Bilder den Historikern nach wie vor schwer fällt. Das steht im deutlichen Kontrast zu den seit den 70er-Jahren erkennbaren Forderungen nach einer stärkeren Integration audio-visueller Quellen in die historische Forschung. Denn während in den Filmwissenschaften seit den 80er-Jahren ein verstärktes Interesse an der Filmgeschichte festzustellen ist, werden Filmgeschichte und historische Spielfilme erst in den letzten Jahren zunehmend von Geschichtswissenschaftlern und -didaktikern analysiert. So reift gegen Hans Rothfels, dessen Zeitgeschichte primär schriftliche Quellen im Auge hatte, die Erkenntnis, vor allem die Zeitgeschichte könne auf audio-visuelle Quellen nicht (mehr) verzichten; es müsse also eine Reflexion der 'Mitlebenden' auch als 'Mithörende' und 'Mitsehende' einsetzen. Denn ihre Lebenswelt ist verstärkt durch Radio, Film und Fernsehen geprägt, während von Filmwissenschaftlern, Zeitzeugen und den audio-visuellen Medien selbst die oft beanspruchte Deutungshoheit der Vergangenheit durch Geschichtswissenschaft (und –unterricht) in Frage gestellt wird. Die Erforschung der Zeitgeschichte darf aber nicht den Zeitzeugen, den oft betitelten 'Feinden des Historikers' überlassen werden. So liegt nämlich ein wichtiger Quellenwert des Films im unbeabsichtigten Transport selbstverständlicher, aber dennoch gesellschaftlich gebundener zeitgenössischer Einstellungen, hier: der Intentionen der Filmemacher. 'Für die Rekonstruktion von Erfahrungshorizonten sind Filme als Dokumente der Zeit und der Gesellschaft, in der und für die sie produziert worden sind, ausgezeichnete Quellen.' Dabei darf die Forschung jedoch nicht auf Archivmaterial und Diskussionen aus Wissenschaft, Politik und Publizistik verzichten; vielmehr sind sie erst die notwendige Voraussetzung jeder geschichtswissenschaftlichen Filmanalyse. Sie müssen daher auch in dieser Arbeit mit in die Analyse einfließen, um die Filme selbst besser verstehen zu können. Öffnet sich durch diesen Zugriff ein breites Feld politischer Ideengeschichte, soll neben Hinweisen zur Orthographie und Zitiertechnik vorab erwähnt werden, dass die ganze Vielfalt möglicher Filmanalysezugriffe nicht berücksichtigt werden kann: Weder werden die genre- typischen Eigenschaften der Filme noch ihre Handlungen miteinander verglichen. Sofern einzelne ausgewählte Filme nicht bekannt sind, ist des Verständnisses wegen in jedem Falle vor den einzelnen Kapiteln die jeweilige Inhaltsangabe im Anhang zu lesen. Analysen einzelner Sequenzen, Einstellungen und Schnitte, von Musik, Geräuschen etc. können ebenfalls nicht mit in die Arbeit einfließen. Romanvorlagen, Drehbücher, Begleitmaterial etc. werden in wichtigen ergänzenden Kommentaren hinzugezogen, sonstige Parallelen oder Abweichungen zum Film aber nicht eigens erläutert. Das gilt auch für den Bezug zu anderen Filmen des Regisseurs und zu den Produktionsbedingungen. Da ausschließlich die Inputseite der Filme thematisiert wird, muss des Weiteren eine Rezeptionsanalyse einer anderen Untersuchung vorbehalten bleiben. Wie in den Kapiteln 2.1 und 2.7 noch begründet wird, soll es auch nicht darum gehen, die Filmdarstellung mit der 'historischen Korrektheit' der Mauergeschichte zu vergleichen; allein auf grobe Fehler wird der Genauigkeit halber in den Anmerkungen hingewiesen. Dieser Ausschluss von möglichen Zugriffen ermöglicht im Gegenzug, die in den Filmen und anhand ihrer Figuren dargestellten Symboliken der deutschen Nation und der Berliner Mauer detaillierter zu untersuchen. So können insgesamt sechs Filme in die Analyse aufgenommen werden, um ein repräsentatives Bild vom Thema zu gewinnen. Die notwendige Bedingung dieser Repräsentativität aber ist eine begründete Auswahl der einzelnen Filme. Gang der Untersuchung: Bevor mit der Analyse der Filme begonnen werden kann, soll zunächst ein Ansatz für Nations- und Mauerbilder bzw. –erinnerungen im Film entwickelt werden. Da das Thema neben der Geschichtswissenschaft auch Geographie, Literatur-, Sozial- und Politikwissenschaften berührt, erprobt der zweite Abschnitt einen interdisziplinären geschichts-, sozial- und kommunikationsgeschichtlichen Zugriff. Dieser wird aus der zunehmenden Erkenntnis begründet, die eigenen Disziplingrenzen zu überschreiten, ohne die eigene Wissenschaft gegen andere auszuspielen. Zudem erscheint die konventionelle historische Forschung, die von Quellen, zeitgenössischen Ereignissen und Entwicklungen ausgeht, für die Fragestellung ebenso ungeeignet wie die traditionelle linkspolitische Filmforschung. Weniger politisch nähert sich die vorliegende Arbeit daher im zweiten Abschnitt dem Thema mit einem an Akteuren gebundenen begriffs- und ideengeschichtlichen Ansatz. Dieser soll die Konstruktionen, geschichtskulturelle Rahmenbedingungen und Erinnerungsmodalitäten von Deutscher Frage und Berliner Mauer aufzeigen, wie sie sich in den Filmen niederschlagen. Er bildet die Basis, um die Filme in politisch-kulturelle Vorstellungen und Normen einzubetten. Die darauf aufbauenden Abschnitte 3 und 4 unterteilen sich in jeweils drei Kapitel zu den einzelnen Filmen. Die parallel aufgebauten Unterkapitel sollen eine Vergleichbarkeit der einzelnen Thematiken sowie Rückverweise auf den/ die zuvor analysierten Film/e ermöglichen. So können intentions-, geschichts- und erinnerungskulturell bedingte Gemeinsamkeiten und Unterschiede zwischen den Filmen eines Jahrzehnts sowie zwischen früheren und späteren Filmen, aber auch zu den politisch-kulturellen Rahmungen besser aufgezeigt werden. Um die Symbolik der Berliner Mauer erfassen zu können, thematisieren die Kapitel 3.1.1, 3.2.1, 3.3.1 bzw. 4.1.1, 4.2.1, 4.3.1 die 'Diktatur der Grenze(n)', die in der Lesart Thomas Lindenbergers neben der Staatsgrenze die zahlreichen anderen, unsichtbaren Grenzen im Alltag von der Arbeit über die Familie hin zum Wohngebiet umfasst, die jeder DDR-Bürger kannte. Interpretiert die Forschung diesen Begriff eher sozialgeschichtlich, soll hier stärker die 'Diktatur der Grenze(n) in den Köpfen' der Ost- und West-Berliner untersucht werden, da aus ihnen die Diskussion der Deutschen Frage erwächst. Denn am 'Anfang war die Mauer: die Mauer und das System, das sie sowohl repräsentierte wie bewahrte. Die Mauer verlief nicht um die DDR herum. Sie stand genau in ihrem Zentrum. Und sie verlief mitten durch jedes Herz hindurch'. Wie die Filmanalysen zeigen werden, steht mal stärker der Aspekt einer 'Diktatur der Mauer', mal der einer 'Diktatur der Grenze(n)' im Zentrum. Dafür werden zunächst die Mauerzitate und -verweise in den Filmen genannt. Daraus wird ersichtlich, inwieweit ost- und/ oder westdeutsche Perspektiven berücksichtigt werden. Stehen Mauerwände oder Grenzübergänge im Vordergrund? Wie leicht ist die personelle oder mediale Grenzüberschreitung? Welche Rückschlüsse lässt dies auf das Geschichts- und Mauerbild des Films zu? Diese weithin deskriptiven Kapitel bilden dann die Basis der jeweils folgenden drei. Sie greifen die wichtigsten Mauerszenen und –erwähnungen auf und diskutieren sie vertiefend im Bezug zur Geschichts- und Erinnerungskultur, zur Berliner Mauer und zur Deutschen Frage. So wird die Deutsche Frage, wie zu zeigen ist, mit anderen politisch-kulturellen Konzepten verbunden, seien sie nun (partei-)politischer, ideologischer oder religiöser Natur. Das jeweils zweite Kapitel (3.1.2, 3.2.2, 3.3.2 bzw. 4.1.2, 4.2.2, 4.3.2) versucht deshalb, diese dargestellten symbolischen Aufladungen der Mauer und die kollektiven Vorstellungen und Erinnerungen abzuschätzen, in deren Kontext die Deutsche Frage thematisiert wird; dargestellte sozial- und wirtschaftsgeschichtliche Aspekte können bei der gewählten Fragestellungen also nur in Bezug zur Deutschen Frage berücksichtigt werden. Die Kapitel 3.1.3., 3.2.3, 3.3.3 bzw. 4.1.3, 4.2.3, 4.3.3 bilden den Kern der einzelnen Analysen. Sie untersuchen, inwieweit durch den in den vorigen Kapiteln analysierten Kontakt zur Mauer oder dem Reden über sie die Deutsche Frage gestellt bzw. nach Antworten gesucht wird. Welche Nationsverständnisse und Stellungnahmen zur Deutschen Frage werden im und vom Film vertreten? Ist die Mauer ein Symbol teil- bzw. gesamtdeutscher Identität? Wie bezieht der Film selbst dazu Stellung? Wie unterscheidet sich dies von den in den Kapiteln 2.3 und 2.5 dargelegten Ideen und Konzepten in Wissenschaft, Politik und Gesellschaft? Bei den Filmen nach 1989/90 fragt sich, wie in der Erinnerung die Gedanken der 1980er-Jahre aufgegriffen und umgesetzt werden, oder ob aus den seither gesammelten Erfahrungen ein anderer Blick auf die damals noch offene Deutsche Frage und stehende Mauer erfolgt. Dabei wird nicht nur die filmische Darstellung der Mauer umgedeutet, sondern auch die ihrer Öffnung. Ausgehend von den Herbst-Demonstrationen des Jahres 1989 und ihren zentralen Forderungen – 'Die Mauer muss weg' und 'Wir sind das Volk' bzw. 'Wir sind ein Volk' – untersucht das jeweils vierte Kapitel des dritten Abschnitts, ob bereits in den Filmen der 80er-Jahre ein Mauerfall erwartet, befürchtet, erhofft oder zwecks Lösung der Deutschen Frage herbeigeführt werden sollte (Kap. 3.1.4, 3.2.4, 3.3.4). Die Kapitel zu den neueren Filmen analysieren, ob er (auch?) retrospektiv erwartet und als Ereignis dargestellt wird und wie sich dies schließlich in die deutsche Erinnerungskultur nach 1989/90 einbettet (Kap. 4.1.4, 4.2.4, 4.3.4). Das Schlusskapitel 5 fasst die zentralen Ergebnisse der Arbeit zusammen (Kap. 5.1, 5.2). Daraus wird ein Rückschluss auf den geschichts- und erinnerungskulturellen Rahmen und dessen Widersprüche zu einigen Ergebnissen dieser Arbeit ermöglicht (Kap. 5.3). Ein Ausblick auf anschlussfähige Forschungsfelder soll die Arbeit abrunden (Kap. 5.4). Bis dahin muss sich der geschichts- und erinnerungskulturelle Rahmen des Themas bewähren, der im folgenden Abschnitt entwickelt werden soll.Inhaltsverzeichnis:Inhaltsverzeichnis: 1.Begrenzte Einheit: Einleitende Bemerkungen5 1.1Wege zum Thema, Fragestellung und Abgrenzung der Arbeit5 1.2Selektionskriterien und Auswahl der Filme8 1.3Forschungsstand zu den ausgewählten Filmen und dem Thema der Arbeit13 1.4Begründung der Gliederung und Aufbau der Arbeit15 2.Geschichts- und erinnerungskulturelle Konzeptualisierung des Themas18 2.1'Die Mauer im Kopf' - Die Berliner Mauer, ihre Bedeutungen und Identitäten18 2.2Die deutsche Nation als vorgestellte und begrenzte Gemeinschaft20 2.3Eine kurze Skizze der Deutschen Frage in der Geschichtskultur der 1980er-Jahre23 2.4Auf dem Weg zum kollektiven Gedächtnis der deutschen Nation28 2.5Der Erinnerungsort Berliner Mauer und die Deutsche Frage33 2.6Die Berliner Mauer und die Deutsche Frage im Problem der Generationen35 2.7Der nationale Erinnerungs- und Erwartungsort Berliner Mauer im Film36 3.Berliner Mauer und Deutsche Frage im Spielfilm der 80er-Jahre41 3.1Der Mann auf der Mauer - Der Patriotismus von links und der 'Dritte Weg'41 3.1.1Die 'Diktatur der Mauer'41 3.1.2Geschichts- und erinnerungskulturelle Symboliken der Mauer: Liebe und Moses42 3.1.3Die Berliner Mauer, die offene Deutsche Frage und der 'Dritte Weg'44 3.1.3.1Positionen der Filmfiguren zu Mauer und Deutscher Frage44 3.1.3.2Kabe, der linke Patriotismus und der 'Dritte Weg'49 3.1.4Der Erwartungsort Berliner Mauer im 'Dritten Weg'52 3.2Meier - Mauerspringen ohne Diktatur und gesamtdeutsche Nation55 3.2.1Die selbst gesetzte 'Diktatur der Grenze(n)'55 3.2.2Geschichtskulturelle Symboliken der Mauer zu Reisen, Tapeten und Orden56 3.2.3Die Berliner Mauer und die offene, aber unbemerkte Deutsche Frage58 3.2.4Gewöhnung an die Mauer und fehlende Hoffnung auf ihren Fall63 3.3Der Himmel über Berlin -Grenze(n) und Erinnerungen im 'Epos des Friedens'64 3.3.1Die 'Diktatur der Grenze(n)' im Himmel und auf Erden64 3.3.2Erinnerungskulturelle Symboliken von Nation und Mauer, Krieg und Frieden65 3.3.3Die Berliner Mauer und die Deutsche Frage in Geschichte und Gedächtnis69 3.3.4Erwartungsort Berliner Mauer zwischen Frieden und Einheit.73 3.4Zwischenfazit zur Berliner Mauer und Deutschen Frage im 80er-Jahre Film76 4.Berliner Mauer und Deutsche Frage im kommunikativen Gedächtnis der Spielfilme nach 1989/9081 4.1Das Versprechen - offene Fragen und ,innere Einheit' in 28 Jahren Berliner Mauer81 4.1.1Die 'Diktatur der Mauer' in der Erinnerung81 4.1.2Erinnerungskulturelle Symboliken der Mauer zwischen Stasi, Kirche und Liebe82 4.1.3Berliner Mauer und die Suche nach der Offenheit der Deutschen Frage85 4.1.3.1Die private und die Deutsche Frage festgemauert?85 4.1.3.2Die Mauer, die private und die Deutsche Frage in den 80er-Jahren88 4.1.4Der unerwartete Mauerfall als Erinnerungsort und die 'innere Einheit'?91 4.2Sonnenallee - farben-'reiche Erinnerungen' vom 'antifaschistischen Schutzwall'94 4.2.1Die heile Welt der 'Diktatur der Grenze(n)'94 4.2.2Erinnerungskulturelle Symboliken der Mauer von Ost- contra West-Sicht96 4.2.3Die Berliner Mauer und die (Neue) Deutsche Frage100 4.2.3.1Verdrängung der Mauer vs. Offenhaltung der Deutschen Frage100 4.2.3.2Die Erfindung der ,DDR-Identität'104 4.2.4Erinnerungsort Mauerfall als 'friedliche ostdeutsche Revolution'106 4.3Das Leben der anderen - vom guten Menschen an der unsichtbaren Front109 4.3.1Die 'Diktatur der Grenze(n)' in der Erinnerung109 4.3.2Erinnerungskulturelle Symboliken der Mauer zwischen Stasi und Theater111 4.3.3Die Berliner Mauer und die Verfechter der offenen Deutschen Frage114 4.3.4Erinnerungsort Mauerfall und der Deutungskampf um die 'innere Einheit'116 4.3.4.1Der Erinnerungs- und Erwartungsort 9. November 1989116 4.3.4.2Die 'innere Einheit' und die Neue Deutsche Frage119 5.Fazit: Die Berliner Mauer und die (Neue) Deutsche Frage im Spielfilm123 5.1Die Symbolik der Berliner Mauer in Geschichts-, Erinnerungskultur und Film123 5.2Die (Neue) Deutsche Frage in Geschichts-, Erinnerungskultur und Film127 5.3Rückschlüsse auf den geschichts- und erinnerungskulturellen Rahmen133 5.4Ausblick und Perspektiven künftiger Forschung zur Mauer und Nation im Film136 Anhang139 a)Inhaltsangaben der ausgewählten Filme139 b)Filmverzeichnis143 c)Gesetzestexte, Vertragswerke und Textausgaben146 d)Literatur147Textprobe:Textprobe: Kapitel 4.2.3.1, Verdrängung der Mauer vs. Offenhaltung der Deutschen Frage: In Sonnenallee bekennen sich die Figuren entgegen den anderen Filmen zur DDR und grenzen sich durch ein eigenes kommunikatives Gedächtnis von den Westdeutschen, nicht von den Bundesbürgern, ab. Wie in der durch den Systemgegensatz gekennzeichneten Position des Grenzers, findet die Staats- und Parteiposition der DDR vor allem in undifferenzierten Propagandaformeln ihren Ausdruck. Für Sabines zeitweiligen SED-Freund Georg kommt Heinz aus dem 'imperialistischen Ausland', was eine offizielle Bezeichnung der Bundesrepublik war. Ähnelt dies den Phrasen aus Meier und dem Versprechen, wurde der Begriff in der Bevölkerung nur von weniger als einem Drittel geteilt. Zudem hatte man in der DDR-Verfassung vom 7. Oktober 1974 sämtliche Bezüge zur deutschen Nation getilgt, um 'für immer und unwiderruflich (…) untrennbarer Bestandteil der sozialistischen Staaten-gemeinschaft' zu sein. So waren die innerdeutschen Beziehungen aus Sicht der DDR-Führung Teil des Klassenkampfes, der Auseinandersetzung zwischen Sozialismus und Kapitalismus. Auch die jungen Pioniere des Films 'lernen' in der Schule, den Menschen gehe es vor allem in den kapitalistischen Ländern wie den USA, Frankreich und Skandinavien schlecht. Schulleiterin Nitzold fragt bezüglich der Anwesenheit des 'Scheichs von Berlin'– für Michael schlicht der 'Westler': 'Wer hat den Klassenfeind in unsere Schule gelassen?' Gemäß dieser ideologischen Position hebt sie, als Mario und Michael auf die Mauer uriniert haben, die Bedeutung der Mauer für das Selbstverständnis der DDR hervor: 'Sie urinieren auf den antifaschistischen Schutzwall? Sie urinieren auf unseren Staat? Dafür sind Ernst Thälmann und Tausende seiner Genossen hingerichtet worden. Und Sie urinieren auf ihre Gräber? Auf die Gräber derer, denen Sie ihre kostenlose Ausbilung und ein Leben in Frieden und Wohlstand verdanken'. In dieser Kopplung von Mauer und Staatswesen DDR kommt erstens die u. a. auf Ernst Thälmann beruhende antifaschistische Gründungslegende, oder besser: 'Geburtslüge' der DDR zum Ausdruck. Zweitens wird die in den vorigen Filmen nicht erwähnte Formel des ,antifaschistischen Schutzwalls' aufgegriffen. Beides zusammen verweist auf die Selbststilisierung der DDR als ein von Nazis 'gesäuberter' Staat, der für Frieden und Wohlstand aller sorgt. Durch diesen 'verordneten Antifaschismus' bemühte man sich um die moralische Basis, im Kampf gegen die Nazis die größten Opfer gebracht zu haben. In Abgrenzung von Parteispitze und Westdeutschland bei gleichzeitiger Verdrängung der Deutschen Frage leben nun die Bewohner der Sonnenallee in ständigem Kontakt zur Mauer: 'Hinter dieser Wand steht die Mauer. Sie teilt Berlin in Ost und West. Der goldene Westen liegt nur einen Steinwurf entfernt. Ich wohne in einer Straße, deren längeres Ende im Westen und deren kürzeres Ende im Osten liegt… in der Sonnenallee'. Daran anschließend rechtfertigt der Film, im Gegensatz zum Mann auf der Mauer und dem Versprechen, das Leben der Ostdeutschen, die sich wie in Meier klug und humorvoll von der Partei distanzieren können. So kritisiert Otto Parteimitglied Georg gegenüber direkt die Ideale der SED ebenso wie die DDR-Produkte, und fordert, den Schwarzen Kanal, 'die Hetze' auszumachen. Für ihn bleibt noch ein gesamtdeutsches Gefühl maßgebend, indem er seinem Schwager zustimmt, da Bürger aus West und Ost 'alle Deutsche' sind. Dennoch überwiegen ihre Meinungsverschiedenheiten bei Weitem, und so wird auch bei Otto die nationale Frage vom globalen Systemgegensatz überdeckt. Daher ist Heinz, demzufolge man in Moskau nur mit einer 'MP in der Faust oder der Kugel am Bein' studiere, für Otto ein 'Revanchist und Scharfmacher' sowie ein 'alter Kommunistenjäger'. Noch distanzierter, aber nicht mehr gesamtdeutsch denkend wie Otto ist die jüngere Generation im Film. Als Michael zur 'Ehre' wie Miriam 'einen selbstkritischen Beitrag leisten' muss, überzeichnen beide die Ideale von sozialistischer Treue, Theoriebildung und Parteiideologie und finden so in der Distanz zur Partei erste Gemeinsamkeiten. Später schreibt er in sein eigens für Miriam verfasstes Tagebuch, er 'warte und warte auf etwas, das nicht passiert'. Was das genau ist, bleibt ebenso unklar wie die Pläne im Freundeskreis, 'eine aktive Widerstandsgruppe' zu gründen. Diese Distanzierung entspricht zunächst bloß der üblichen Unterscheidung der Filme zwischen positiv gezeichneten Figuren und der Parteiführung. Neu ist aber eine Verdrängung der Mauer durch die Figuren, die der Wahrnehmung von Olaf aus Dresden widerspricht, wonach das Leben im Grenzgebiet 'doch gefährlich' sei. Dazu bemerkt Drehbuchautor Thomas Brussig: 'Das merkwürdige an der Mauer war, daß die, die dort wohnten, die Mauer gar nicht als außergewöhnlich empfanden. Sie gehörte so sehr zu ihrem Alltag, daß sie sie kaum bemerkten, und wenn in aller Heimlichkeit die Mauer geöffnet worden wäre, hätten die, die dort wohnten, es als allerletzte bemerkt'. Diese Verharmlosung und Verdrängung der Mauer steht der These der Forschung gegenüber, wonach Überwachung, Eingesperrtsein und Bedrohung zu einer enormen Belastung der Bewohner des Grenzgebiets führte. Solche Beschönigungen der Mauer führten zu einer später zurückgezogenen Strafanzeige gegen Sonnenallee durch die Organisation Help, und sind Zielscheibe heutiger Befürchtungen, das Verschwinden dieser Grenze führe zu einem Verlust der Erinnerungsmöglichkeiten, wobei die 'Vergoldung der DDR-Vergangenheit (…) ohne das Anschauungsmaterial Mauer besser voran (komme)'. Dabei steht nun im Film dieser Verdrängung der Mauer und der Distanzierung von der Partei in der ostdeutschen Erinnerung eine erfundene Offenhaltung der Deutschen Frage durch die Westdeutschen gegenüber. Gegenüber der breiten Diskussion der Mauer auf Ost-Berliner Seite sind bundesdeutsche Stellungnahmen zur nationalen Frage nur über Westbesucher zu erschließen. In ihren Einstellungen zeigt sich aber nicht wie in den Filmen der 80er-Jahre eine realistisch dargestellte Interesselosigkeit an der DDR und eine Gewöhnung an Mauer und Teilung. Ganz im Gegenteil besteht, wie das vorige Kapitel deutlich machte, ein breites, auch touristisches Interesse am Leben der DDR-Bürger, woraus, wie in den anderen Filmen, aus Abgrenzung von der DDR ein übersteigertes Selbstwertgefühl als Bundesbürger resultiert. Der einzige Westdeutsche, der im Film explizit zur Deutschen Frage Stellung bezieht, ist Onkel Heinz. Anschließend an seine durchgängige Kritik an der DDR, reagiert er empört auf Georgs These vom 'imperialistischen Ausland': 'Wie bitte, Ausland? Ausland? Aus Deutschland! (…) Wir sind ja alle Deutsche. Es gibt solche und solche, aber nur Deutsche.' (16) Entschieden artikuliert er gegen das Abgrenzungsbestreben der DDR eine vom bundesrepublikanischen Verfassungsverständnis und von vielen Bundesbürgern vertretene gesamtdeutsche Position, die die DDR nicht als Ausland ansieht und die Deutsche Frage offen hält. Diese Position kennt keinen 'Dritten Weg' und hebt vor allem die Reise- und Wahlfreiheit, Universitäten und Wohlstand 'der freien Welt'hervor. Zusammengefasst wird also wie im Versprechen die Gewöhnung der Bundesbürger an Mauer und Teilung aus dem aktiven Gedächtnis verdrängt und ein gesamtdeutsches Nationalgefühl auf die Vergangenheit, hier die 70er-Jahre, zurück projiziert, das in Sonnenallee aber der ostdeutschen Erfindung der ,DDR-Identität' gegenübersteht.
2005/2006 ; Parkway, strip, viadotto e autostrada sono alcune delle tipologie stradali generate, dal secolo scorso a oggi, direttamente dall'automobile e in cui, per ragioni di sicurezza e comfort, è prevista la totale separazione tra flussi e forme di abitabilità dello spazio, tra l'automobilista e il pedone: per normativa, tutti i possibili utenti non motorizzati e qualsiasi pratica che non contempli il movimento veloce ne vengono infatti escluse. Questa dinamica interessa anche le maglie frammentate della città diffusa contemporanea, in cui l'automobile rappresenta l'interfaccia necessaria per poter vivere un "territorio allargato", dove la strada è anche motore di quella particolare urbanità che, sempre a una certa distanza, si estende lungo le reti e che potremmo definire come effetto urbano. Un tempo la gente stava sulle strade1, i pedoni al centro e carri, cavalli e altri mezzi ai lati, il dominio dell'automobile ha invertito questo rapporto, confinando, nella migliore delle ipotesi, ai bordi queste attività e utenti. Le strade delle le automobili si sono così trasformate in uno dei più grossi problemi per il funzionamento delle città, non solo per la presenza invasiva del "fenomeno infrastrutturale", ma anche e soprattutto perché esse rappresentano sempre più un limite invalicabile per tutte le altre pratiche urbane; la strada è diventato un sistema chiuso, che a sua volta genera discontinuità e forti vincoli per gli utenti non meccanizzati. Va aggiunto che l'influenza di un'autostrada, ad esempio, non si limita allo spazio dei sedimi carrabili, ma porta con se un perimetro molto più ampio determinato dalle fasce di rispetto o pertinenza, attraverso imponenti manufatti di sostegno, nel caso di viadotti e altri rilevati, e con altrettanto importanti dispositivi di separazione e chiusura sia tecnica - gli spartitraffico - che sensoriale, barriere acustiche o visive. Se consideriamo poi le autostrade urbane, che attraversano densi tessuti residenziali, tali effetti non possono che aumentare. Questi grandi tubi per il traffico, che passano ovunque, secondo i principi della via più breve, della velocità di progetto degli standard di sicurezza, si configurano come delle vere e proprie eterotopie, dei mondi paralleli, organizzati da regole proprie che frequentemente non integrano alcuna relazione con i contesti attraversati. Di fronte alla "necessità tecnica" espressa da queste enclave del movimento, l'unico atteggiamento possibile sembra essere la subordinazione, la città cresce sotto, sopra, di fianco e negli interstizi, l'architettura piega i propri codici alle esigenze del manufatto viabilistico. Una condizione che può anche essere sfruttata vantaggiosamente: si pensi al museo Guggenheim a Bilbao e a come si "adegua" al viadotto soprastante. Il famoso intervento di Frank O. Gehry rimane però un esempio raro e isolato, l'ordinario si consuma tra barriere antirumore, guard-rail, isole spartitraffico, muri di separazione, piloni e intradossi di viadotti, elementi tanto banali quanto invasivi, i cui caratteri sono determinati dai costi, dalla normativa e dai regolamenti per la sicurezza. Elementi permanenti e "duri", che chiudono l'orizzonte, che impediscono il passaggio, o che costringono i flussi lenti della città a traiettorie arzigogolate, lungo passerelle aeree o sottopassi, in un regime di separazione, che attraverso dispositivi e manufatti tecnici garantisce distanza tra le diverse velocità, generando contemporaneamente un largo "consumo di spazio" e di risorse. Se questo è l'atteggiamento più diffuso, esiste tuttavia un'ampia serie di esperienze progettuali e di teorie che hanno sperimentato forme di riavvicinamento ai canali di traffico, in aderenza ai flussi, proponendo forme di condivisione dello spazio-strada, di promiscuità d'uso, di ibridazione tra i manufatti tecnici e gli spazi dell'abita- Introduzione re, di integrazione dei sedimi automobilistici con gli spazi per il pedone, facendo del binomio velocità/frizioni una vera e propria strategia del progetto stradale. Tali esperienze dimostrano che le strade delle grandi reti che attraversano i contesti naturali e urbani possono smettere di essere esclusivamente concepite come canali che smistano i flussi secondo la sola logica dell'efficienza idraulica. Dimostrano che anche le strade delle automobili, in cui la velocità determina distanze, forme e usi, possono diventare spazi in cui vivere e soprattutto in cui stare. Questa ricerca è orientata, attraverso la messa in campo di tre livelli di lettura (spessori, codici e interfacce) a individuare le forme, le misure, le caratteristiche e le strategie del possibile avvicinamento e commistione dei flussi verso usi multipli delle infrastrutture di comunicazione, specialmente di quelle veloci. Questi tre livelli corrispondono anche a delle grandezze fisiche, dimensioni e dispositivi della strada, ed in particolare lo spessore è inteso come profondità, o spazio di emanazione connesso allo spazio-strada (sotto, sopra, affianco e tra), e non sempre usato dalle automobili; i codici sono intesi come le relazioni che legano le tre dimensioni principali della strada (sezione, tracciato e bordo); l'interfaccia è infine considerata come l'insieme degli spazi-soglia che dividono e connettono il sistema strada con gli altri sistemi locali. L'intenzione è di superare il dibattito attualmente polarizzato tra due posizioni inconciliabili: la prima legata a una idea di strada intesa come fattore di sviluppo a tutti i costi, incurante delle ragioni del territorio, la seconda espressa da chi vede ogni sviluppo infrastrutturale come una minaccia intollerabile all'ambiente. Si è quindi deciso di ripartire dalla questione primaria, vale a dire quella legata allo spazio, laddove il campo privilegiato di osservazione è quello del canale di traffico e la possibilità di trasformarlo in spaziostrada, ovvero in supporto dotato di un proprio specifico spessore disponibile alle molteplici funzioni associabili al movimento. In particolare, la prima parte sviluppa una riflessione sulle forme dello spessore a partire dall'ambiguità dei due principali paradigmi dello spazio-strada, ovvero quello della strada come macroarchitettura e dell'edificio come organismo complesso che integra anche la strada, e quello dello spazio-strada "in bilico" tra luogo e collegamento. Si è quindi cercato di individuarne l'origine attraverso l'osservazione di prototipi, di progetti instauratori, messi a confronto con le proposte delle avanguardie, le utopie, le visioni e le teorie degli architetti poi assunte come nucleo tematico da cui partire per una interpretazione del significato plurale della strada, da spazio aperto,inteso come superficie, a quello di manufatto, inteso come volume. Questa parte è divisa in tre sezioni, di cui la prima ha come obiettivo la costruzione di un lessico, la seconda la messa a fuoco del rapporto tra infrastruttura e architettura attraverso le "prime architetture della strada" e la terza la sistematizzazione dei materiali iconografici e d'archivio di due casi studio, rispettivamente sulle possibilità di "urbanizzazione" delle autostrade italiane (Autilia di Giò Ponti) e sulla capacità della strada di diventare edificio complesso, macroarchitettura alla scala della città (Coliseum Center di Monaco e Luccichenti). La diffusione del mezzo motorizzato ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella trasformazione dei modi di abitare il territorio, ma soprattutto riguardo agli effetti morfologici e funzionali sulle strade, divenute in diverse esperienze (raccolte e sistematizzate all'interno di questa ricerca) la ragione insediativa di architetture e sistemi urbani. La seconda e più ampia parte di questa ricerca si occupa dei codici dello spazio-strada, intesi come regole e misure dello spessore. Si ritiene che gran parte del conflitto strada veloce/spazio abitabile nasca da una cultura progettuale e da una pratica diffusa impostate su un equivoco dimensionale, per cui il sistema di misure che garantisce sicurezza e comfort è inutilmente ipertrofico. Gli esempi selezionati mostrano come questi fattori possano essere comunque soddisfati con misure e geometrie ridotte, che permettono però di modellare lo spazio-strada anche per altri utenti. Sono questi i punti di partenza dell'indagine, che tenta di mettere poi a fuoco le regole compositive e di elaborare strumenti e strategie con cui affrontare il progetto stradale alla scala locale (spazio-strada) in relazione con quella territoriale, dal cordolo alla rete, attraverso tre dimensioni fondamentali ricavate dallo studio di un'ampia casistica di esperienze contemporanee: 1. la dimensione trasversale, che trova una diretta traduzione nella sezione come strumento di articolazione del piano (progetto di suolo) e di controllo della tridimensionalità della strada (volume della strada); 2. la dimensione longitudinale, espressa nel tracciato come strumento di organizzazione dei flussi in relazione alla velocità e ai materiali dei contesti attraversati (progetto di paesaggio e progetto urbano), e come disegno delle forme di prossimità tra diversi mezzi, utenti e velocità (strategia della collocazione); 3. la dimensione relazionale, esplicitata nelle forme e misure del bordo, come luogo privilegiato del rapporto di scambio con il contesto (aperto/chiuso, continuo/discontinuo, ecc…) e come plusvalore dello spazio-strada, in quanto spazio soglia a disposizione, "luogo in attesa di…". Chiude la trattazione il capitolo dedicato alle interfacce della strada, ovvero l'insieme di dispositivi pensati con il preciso scopo di mediare il rapporto tra automobili e altri utenti, tra strada e contesto, tra diverse velocità. L'attenzione si è focalizzata sulle superfici orizzontali e verticali, oltre che sulle possibilità di ispessimento, trasfigurazione e accoglimento di usi complementari, per arrivare ai casi più estremi di applicazione delle tecnologie wireless, con le conseguenti ipotesi di decomposizione dello spazio-strada avanzata dagli esempi riportati. Queste tre sezioni, oltre a individuare altrettante attitudini della strada a generare una propria specifica architettura (traffic architecture2), corrispondono anche a tre livelli di complessità del tema infrastrutturale e della sua capacità di diventare altro o di accogliere altri usi. L'intenzione è sempre di evitare l'equivoco della specializzazione, ovvero di considerare la strada materiale urbano di dominio esclusivo delle automobili. In questo senso, il recupero delle ricerche e dei progetti di Lawrence Halprin assume il ruolo di modello diretto all'integrazione tra manufatti viabilistici e architetture, verso la sperimentazione di edifici-strada ibridi e di forme di condivisione dello spazio infrastrutturale tra diverse velocità e categorie di utenti. Negli stessi anni, le proposte di Giò Ponti configurano assetti dei tracciati e dei nodi autostradali come possibili sistemi insediativi delle strade veloci. Queste ipotesi sono il risultato di un periodo storico particolarmente fertile per l'infrastruttura, che fa riferimento alla situazione generale determinata dal boom economico, dalla costruzione dei grandi itinerari di attraversamento e dalla parallela diffusione dell'automobile come mezzo di massa. Dall'America all'Europa, con un nucleo particolarmente prolifico in Italia, la speranza verso la capacità della strada di generare il "mondo nuovo" guida ricerche e sperimentazioni sull'infrastruttura come supporto in grado di accogliere qualsiasi cosa,dotato di una propria autonomia e di un proprio statuto spaziale. È la stagione dei grandi concorsi di architettura per quartieri popolari, università, centri direzionali, in cui la strada disegna le regole compositive di architetture che guardano al territorio, di macro-edifici impostati sulle corsie di traffico, di spazi la cui composizione è determinata dal fattore velocità. Poche di queste visioni hanno trovato una diretta realizzazione, ma l'importanza di queste idee depositate al suolo arriva fino ad oggi. Dopo la crisi petrolifera mondiale degli anni settanta e il conseguente spostamento generale dell'attenzione disciplinare verso altri temi (ad esempio il progetto urbano e lo spazio aperto negli anni ottanta) è emerso un nuovo atteggiamento, un misto tra pragmatismo e neo-utopia. Alcuni grandi eventi degli anni novanta, soprattutto europei come i programmi nazionali olandesi di espansione residenziale, i Datar o i Vinex, hanno contribuito a generare una nuova sensibilità per il tema infrastrutturale e in particolare per quello del progetto stradale, non più come prezzo da pagare ma come strumento di trasformazione del territorio. A partire da alcuni progetti, primo fra tutti il Moll de la Fusta di Manuel de Solà Morales a Barcellona, la strada non è più vista come "consumo di spazio" e di risorse, ma come occasione di riassetto per la città e il paesaggio. In particolare, l'ampia azione di riqualificazione urbana in Spagna, iniziata negli anni novanta parte proprio dalla concezione del progetto stradale come progetto urbano e di spazio pubblico. In Francia, sempre nelle stesso periodo, la Direction des Routse, attraverso programmi nazionali promossi dal governo, avvia un processo di riqualificazione delle autostrade esistenti e di costruzione di nuovi corridoi di attraversamento con l'obiettivo di "ristrutturare" il paesaggio del sud della Francia. Analogamente in Olanda i piani Vinex e altri interventi effettuati sulla base dei documenti nazionali di pianificazione (Architectuur Nota) (come il recente Making Space, Sharing Space) hanno visto nel progetto stradale l'occasione di correzione per politiche rivelatesi fallimentari, nel loro promuovere la "dispersione" e la frammentazione del paesaggio della randstad. Il progetto della strada diventa in questo caso progetto di densità e di concentrazione. Le esperienze soprattutto spagnole, francesi e olandesi degli ultimi quindici anni, pur largamente legate alle sperimentazioni precedenti, assumono un carattere di particolare interesse, soprattutto per la capacità di trasformare le utopie di un tempo in strategie tanto paradossali quanto pragmatiche. Una serie di proposte operative che, unendo gli aspetti tecnici a una visione integrata dell'infrastruttura, del paesaggio e dell'architettura, costituiscono un orizzonte di ricerca nuovo e necessario. ; XIX
Zusammenfassung Die vorliegende Untersuchung beschäftigt sich mit der Rolle von Hausgärten für die Ernährungssicherung der Menschen in Zambia und Zimbabwe, Strategien der Bewirtschaftung und der (agro)-ökologische Funktion dieser Anbausysteme. Hierbei werden physisch-geographische, sozioökonomische, kulturgeographische und historische Aspekte berücksichtigt. Die Untersuchung bezieht sich auf urbane und periurbane Bereiche Lusakas, die Südprovinz und Nordwestprovinz Zambias, sowie die Masvingoprovinz im Süden Zimbabwes. In die Untersuchung wurden hauptsächlich die niederen Einkommensschichten einbezogen, für welche die Eigenproduktion von Nahrung ein Grundelement der Lebenssicherung ist. Zur Anlage eines Hausgartens gehört eine gewisse Dauer der Sesshaftigkeit und ein Grundstock an Ressourcen, wie z.B. Land, Wasser und Saatgut. In der Praxis wurden die Hausgärten bisher sowohl in Zambia wie auch in Zimbabwe meist übersehen, d.h. dass sich weder die Forschung noch der landwirtschaftliche Beratungsdienst damit beschäftigt bzw. diese Aktivität unterstützt haben. Die Hausgärten in den wechselfeuchten Tropen des südlichen Afrika sind von außerordentlicher Wichtigkeit für die Überlebenssicherung der Bevölkerung sowohl in städtischen und randstädtischen Gebieten als auch in den ländlichen Räumen. Der große Vorteil der Hausgartenbewirtschaftung für die Ernährungssicherung und Entwicklung liegt in der eigenverantwortlichen Produktion von Nahrungsmitteln in der Nähe der Wohnhäuser. Diese Produktion ist durch eine hohe Energieeffizienz gekennzeichnet und ist an die Bedürfnisse der Familien angepasst. Der Hausgarten kann, je nach Situation, mehr oder weniger intensiv bewirtschaftet werden, und wirkt somit als Puffer für die Ernährungssicherung. Die Bewirtschaftung eines Hausgartens kann, wie besonders die Ergebnisse aus Zimbabwe zeigen, eine Antwort auf zunehmende Gefährdung (vulnerability) des Haushaltes sein. Nimmt diese Gefährdung ab, geht auch die Hausgartenaktivität zurück. Dies kann sich dadurch äußern, dass der Hausgarten vorübergehend gar nicht mehr bewirtschaftet wird oder dass nur kleine Flächen weiter bewirtschaftet werden. Familien mit mehreren Hausgärten können sich vorübergehend auf die Bewirtschaftung eines einzigen beschränken. Wenn die vulnerability z.B. durch Missernten verstärkt wird, nimmt auch die Hausgartenaktivität wieder zu. Zur Veranschaulichung von Entscheidungs- und Bewirtschaftungsstrategien von Haushalten wurde das Hausgartenmodell entwickelt. In seiner Anwendung auf die verschiedenen Räume ermöglicht das Modell eine Analyse der verschiedenen Faktoren, die die Hausgartenaktivität beeinflussen. Die vorliegende Untersuchung kommt zum Ergebnis, dass die gartenbauliche Aktivität stark von der sozialen Stellung der Haushalte abhängig ist. Den vorliegenden Daten zufolge zeigt die Bevölkerung der ärmsten Stadtviertel die geringste Beteiligung sowohl im Gartenbau als auch im Regenfeldbau. Dies zeigt deutlich, dass die ärmste Bevölkerungsschicht, die in sehr dicht besiedelten Vierteln wohnt, kaum Zugang zu Ressourcen hat, da beide Formen der Landwirtschaft eng mit dem Zugang zu Ressourcen im städtischen Umfeld verknüpft sind. Eine hohe Grundgefährdung des Haushaltes (baseline vulnerability), von der im vorliegenden Falle vor allem die städtische Bevölkerung in den low-income, high density compounds und die sogenannten shifters von Lusaka betroffen sind, lässt die Anlage von Hausgärten also nicht zu. Als weitere stark gefährdete Gruppe wurden die frauengeführten Haushalte (female headed households) im Kabompo-Distrikt der Nordwestprovinz Zambias identifiziert. Auch diese Gruppe ist wenig an der Bewirtschaftung von Hausgärten beteiligt. Das heißt, dass der Hausgarten mit seiner Pufferfunktion für die Ernährungssicherung nur für Familien mit einem gewissen Lebensstandard von Bedeutung ist. Die Dauer der Sesshaftigkeit an einem Ort ist ein Indikator für relativ stabile Lebensumstände. Neuankömmlinge betreiben weniger Gartenbau als bereits länger etablierte Familien, wie SANYAL (1985) für Lusaka und KLUG (1989) für Accra (Ghana) zeigen konnten. Limitierende Faktoren für die Anlage von Hausgärten sind die Verfügbarkeit von Gartenland, Wasser, Arbeitskraft und Saatgut. Die Intensität des Anbaus wird durch den Bedarf an Nahrung und die Verfügbarkeit von Märkten bestimmt, ist aber durch die vorher genannten Faktoren eingeschränkt. "Typische" Hausgärten sind in der Regel nur im innerstädtischen Bereich und zwar dort anzutreffen, wo sich im direkten Hausbereich oder in der Nähe eine Wasserquelle (in Form eines Wasserhahns oder eines Wasserloches) befindet. In den untersuchten ländlichen Gegenden und im periurbanen Bereich Lusakas sind die Hausgärten oft in einiger Entfernung von den Wohnstätten angelegt. Dies begründet sich vor allem mit dem Problem der Wasserversorgung in der Trockenzeit. Nur dort, wo permanent Wasser zur Verfügung steht, befinden sich Hausgärten. Eine Ausnahme hiervon stellen die natürlichen Grasländer (dambos) dar. Sie eignen sich in besonderer Weise für den ganzjährigen Anbau von Gemüse. Der Bevölkerungsdruck und die marktorientierte Produktion führen jedoch, vor allem im periurbanen Raum Lusakas, zu starker Übernutzung der dambos. Dadurch wird die Pufferfunktion natürlicher Grasländer für die Ernährungssicherung langfristig gestört. Die Größe der Hausgärten ist in den verschiedenen Räumen deutlich unterschiedlich. Am kleinsten sind sie im urbanen Raum, gefolgt von den ländlichen Räumen Zambias und Zimbabwes. Der periurbane Raum bildet, mit relativ großen Gärten, eine Ausnahme, da hier stärker marktorientiert produziert wird. Die Rollenverteilung der Geschlechter im Gartenbau scheint abhängig von der Zugehörigkeit zu bestimmten ethnischen Gruppen. Im Süden des Landes, bei den Tongas, sind hauptsächlich die Frauen für den Hausgarten zuständig, während in der Nordwestprovinz mehr Männer Hausgärten bewirtschaften. Insgesamt sind jedoch weit mehr Frauen als Männer für die Bewirtschaftung der Hausgärten verantwortlich. Es bestehen deutliche Unterschiede zwischen den Anbauzielen von Frauen und Männern. Die Frauen produzieren i.d.R. stärker für die Ernährung der Familie, während die Männer mehr marktorientiert anbauen. Dies äußert sich auch in der Wahl unterschiedlicher Kulturpflanzen. Die Frauen sind bei der Standortvergabe für die Gärten in Zambia benachteiligt. Die Gartenarbeit wird besonders für die Frauen im ländlichen Raum zusätzlich erschwert, da die Wasserquellen weiter als bei ihren Männern vom Garten entfernt liegen. Zusätzlich müssen diese Frauen etwas weitere Wege zu ihren Gärten zurücklegen als ihre Männer. Die Standortwahl ist für die Anlage eines Gartens von elementarer Bedeutung. Die Gärten im ländlichen und periurbanen Raum werden durch die jeweiligen traditionellen Orts- oder Gebietsvorsteher (chiefs) vergeben, sind also nicht individuelles Eigentum. Geeignete Gartenstandorte sind begrenzt verfügbar, vor allem in Abhängigkeit von der Wasserversorgung. Einige Beispiele zeigen exemplarisch, wie die Nutzung verschiedener Standorte organisiert ist. Insbesondere im Lusitugebiet im Süden des Landes sind die besten Gartenstandorte meist belegt. Infolgedessen zwingt der große Bevölkerungsdruck die Bauern auf weiter vom Wohnhaus oder der Wasserquelle entfernte Standorte auszuweichen. Diese Distanz ist einer der limitierenden Faktoren bei der persönlichen Entscheidung, einen Hausgarten anzulegen. Zu weite Wege und zu großen Arbeitsaufwand bei der Bewässerung verhindern dies. Ein Beispiel hierfür sind die Gärten am Karibasee. Der stark schwankende Seespiegel des Stausees verhindert in vielen Fällen die Anlage von Hausgärten, weil entweder die Wege zum Wasser zu weit werden oder weil die Gärten bei steigendem Wasserspiegel überflutet werden. Die Gärten im urbanen Raum sind Beispiele für das enorme genetische Potential der Hausgärten. Die Berechnungen der Artenvielfalt zeigen, dass kleine Hausgärten im urbanen Raum insgesamt eine höhere Artenvielfalt aufweisen als die größeren, eher marktorientierten Gärten im periurbanen Bereich. Aber auch im ruralen und periurbanen Raum heben sich die Hausgärten hinsichtlich ihrer Artenvielfalt von den sonst weitverbreiteten Monokulturen deutlich ab. In sehr vielen Gärten wurden Nützlinge beobachtet. Dies zeigt, dass die kleinen Flächen Rückzugsnischen für diese Organismen darstellen. Einflussnahme staatlicher Beratungsdienste auf die Hausgartenbewirtschaftung kann sich allerdings negativ auf die Artenvielfalt auswirken, wie Beispiele aus Südzimbabwe belegen. Im Beitrag des Hausgartens zur Erhaltung der genetischen Artenvielfalt (Biodiversität) liegt wohl eine seiner wichtigsten ökologischen Funktionen. In den Städten, die auch in Entwicklungsländern durch vegetationsfreie Zonen geprägt sind, übernehmen die Hausgärten die wichtige Funktion der Begrünung, die, sofern sie Fruchtbäume beinhalten, insbesondere in der Nähe der Häuser für eine Regulation des Mikroklimas sorgen. Der unterschiedliche Entwicklungsstatus von Zambia und Zimbabwe zeigt seine Auswirkungen bis auf die Hausgartenebene. Die Verfügbarkeit und der Zugang zu Ressourcen und der allgemeine Lebensstandard ist in Zimbabwe deutlich besser als in Zambia. Dies äußert sich z.B. darin, dass in Zimbabwe 95% der Kleinbauern ihr Saatgut kaufen, während dieser Anteil im ländlichen Raum Zambias nur 30% beträgt. Ähnlich verhält es sich mit der Verwendung chemischer Pflanzenschutzmittel in Hausgärten. In Zimbabwe werden diese von allen Kleinbauern verwendet, während dies in Zambia insgesamt nur von 60% der Haushalte praktiziert wird, wie auch immer man dies bewerten mag. Problematisch ist die Nutzung ehemaliger Mülldeponien als Standort für Hausgärten. Hier muss mit Bodenkontamination, vor allem durch Schwermetalle gerechnet werden. Dies konnte beispielhaft für einen solchen Standort nachgewiesen werden. Im Vergleich zu periurbanen und ländlichen Standorten sind die städtischen Hausgärten insgesamt stärker mit Schwermetallen belastet. Die Hausgartenproduktion ist durch eine hohe Energieeffizienz gekennzeichnet und ist an die Bedürfnisse der Familien angepasst. Sie kann deshalb als ein Modell nachhaltiger Wirtschaftsweise begriffen werden. Der Hausgarten trägt in vielfacher Weise zur Ernährungs- und Lebenssicherung von Familien bei. Neben seiner wichtigsten Funktion, nämlich der Nahrungsproduktion und -diversifizierung, kann er zusätzliches Einkommen und z.B. über Tauschhandel und Geschenke weitere Vorteile für die Familien schaffen. Die soziale Bedeutung des Hausgartenanbaus, besonders für Frauen, ist nicht zu unterschätzen und bedarf weiterer Beachtung durch die Wissenschaft. Die Fruchtbarkeit der Gartenböden ist insgesamt gut. Dies zeigen z.B. die engen C/N-Verhältnisse in den meisten Gärten. Standortvergleiche mit Regenfeldern bzw. ungenutzten Flächen zeigen, dass sich die bodenchemischen Eigenschaften in Hausgärten deutlich positiv von den anderen Standorten abheben. Die Bewertung der Wirtschaftlichkeit von Hausgärten ist problematisch und bedarf der Diskussion. Der Wert des Hausgartens liegt natürlich zum einen in seinem Beitrag zur Ernährungssicherung, zum anderen sind aber die Aspekte der Erhaltung der Artenvielfalt, der Bodenfruchtbarkeit und sein Beitrag zu kleinen Stoffkreisläufen, vielleicht gerade wegen der Schwierigkeit der Quantifizierung dieser Faktoren, bisher meist übersehen worden. Die Verbesserung der Nahrungsvielfalt und - qualität muss neben der Gesamtproduktion aus Hausgärten als wichtiger Beitrag zur Ernährungssicherung gewertet werden. Trotz der relativ geringen Gesamtproduktion in den urbanen Gärten, die hauptsächlich auf die Knappheit von Ressourcen (Land und Wasser) zurückzuführen ist, ist hier die Diversifizierung der Nahrung und die geschmackliche Bereicherung des Speiseplans als außerordentlich wichtig einzustufen. Die Berücksichtigung umweltökonomischer und sozialer Aspekte sind bei der Bewertung der Hausgartenaktivität deshalb unumgänglich. ; Abstract African Homegardens - Self Management of Sustainable Production Systems and Strategies of Food Security in Zambia and Zimbabwe This book emphasises the importance of homegardens for food security of the Zambian and Zimbabwean population. Homegardening is part of the entire farming system, which is different in urban, periurban and rural areas by various reasons. In the urban context, becoming more important recently, homegardening is part of the urban microfarming system, consisting of many agricultural activities within the cities, including urban forestry. The "typical" homegardens (small production units near the house with mainly subsistence oriented production) are only to be found in cities, especially near water sources. The study areas are located in Lusaka as well as in the peri-urban fringe of Lusaka and rural areas of Southern and North-Western Provinces of Zambia and the Masvingo Province in Southern Zimbabwe. Especially in rural areas homegardens are very often far away from the homestead, nearly invisible and overlooked components of the households strategies for food security. Therefore there is need for a new, more flexible definition of homegardens. In this book the homegarden is consequently defined as a permanent or semi-permanent component of an entire small holder production system, managed by family members mainly, but not exclusively, for self-consumption and the creation of income. Homegardens are considered to represent models of sustainable agricultural production systems for many different reasons. Their contribution to recycling of organic waste, high soil fertility, high species diversity and manifold contributions to the social welfare of the people are some if these aspects. A homegarden - model was designed which shows the interrelationship between the political, cultural and physical environment, the household and its decision-making and the results of the household activity with respect to homegardening. This model is applicable to any environment and helps to understand why some families do homegardening while other don't. The model can assist to understand at least some of the factors influencing this activity. The household itself is based in the centre of the model. Internal and external factors, e.g. labour availability, access or "entitlement" to resources, education, occupation, etc. determine the vulnerability of the households and its decision making. The relationship between urban food production, food security and the urban environment has been largely neglected in the past. In Lusaka, as in many other tropical cities, gardening and cropping receive very little support from local authorities. Indeed, city councils often prohibit these activities. Production of staple foods prevails in the wet season, and vegetable production in the dry. Both activities largely depend on the access to resources like water and land. Within the high- and medium-density squatter quarters, vulnerability in terms of food security differs. In the Zambian case, it was found that dry-season cultivation is not practised by the most vulnerable households but rather by those which have access to essential resources for this activity. In Lusaka, garden size decreases with increasing population density. The walking distance to sources of water is much further in the high-density areas, making homegardening more difficult there. Access to both land and water is lowest in the high-density, low-income compounds in Lusaka. In peri-urban and rural areas the natural grasslands are of essential importance for food security by providing good farming and gardening conditions all year round. Near the urban centre of Lusaka the grasslands are heavily used for the production of cereals, vegetables and fruits. The proximity to the town causes structural changes in the periurban fringe of Lusaka. The over-utilisation of the natural grasslands leads to a disturbance of their buffer function for food security. Over-exploitation of soils, destruction of the natural vegetation cover and over-utilisation of water resources, affect the local population directly by limiting and changing their landuse possibilities. The provision of household food security becomes more unstable because the production in household based subsistence homegardens and staple food production are negatively influenced by the structural changes of the area. The market-oriented gardening involves the loss of species diversity and implies the use of pesticides in the gardens. Intensification of landuse in peri-urban areas and especially the year-round use of dambos can even be subject to commercial farms with advanced irrigation technology. If these plans are realised, a completely new view of the hydrological events and effects has to be taken. Homegardening obviously contributes to household food security in all the examined areas both directly by providing food and indirectly by generating income. The buffer-function of homegardens for food security gets obvious for the Zimbabwe case studies. In years of good harvests homegardening gets less important for the families - which means the planted area decreases or only one of several homegardens is used for vegetable production. In years of drought and food shortages homegardens become very important for food security and the planted areas increases. There are significant differences between the role of women and men in urban household food security. Women are more involved in agriculture and gardening in all compounds of Lusaka as the men are. In rainy season the production of staple foods is prevalent, while in dry season the people concentrate on vegetable production. Women are the major actors in urban homegardening but injured with respect to income generation and access to resources and markets. Income creation through gardening is one possibility for women to achieve more independence within the frame of the family. Additionally gathering contributes to food and income in urban, peri-urban and rural areas. 40 % of the members of the survey in Lusaka Town still practise gathering to create additional food or income. Eighty per cent of the households in peri-urban and rural areas, which where included in the survey, still practise gathering. But the urban population shows, due to vanishing plant resources, lowest involvement in the gathering activity. The genetic potential of urban homegardens is very high. Calculation of species diversity has proved that small gardens show higher diversity as the large gardens in the peri-urban areas. But also in peri-urban and rural areas, homegardens show significant higher species diversity as market oriented monocultures. The contribution of homegardens to the maintenance of species diversity seems to be one of its most important ecological functions. It would be misleading to compare homegarden-productivity with conventional agricultural production systems. The highly individual character of homegardening and the flexible handling of this production system its different from staple food production and plays a different key role in the families. It's contribution to the social welfare and economic independence especially of women and children has been completely neglected in the past. It's role in the informal economic sector has not been considered until now. There is urgent need for appropriate support of homegardening in the future. This book tries to give some ideas how to implement appropriate measures and how to establish awareness for this important activity