Profili geopolitici del processo di governance per il contrasto della marginalità territoriale
2008/2009 ; La ricerca realizzata ha inteso analizzare i principali profili geopolitici e geoeconomici connessi alle dinamiche di sviluppo territoriale, con particolare riferimento ai divari economico-sociali che caratterizzano i differenti sistemi locali ed ai conseguenti elementi di marginalità che ne derivano. L'analisi parte dalla ricognizione e dal conseguente approfondimento delle politiche di coesione territoriale elaborate dalle Istituzioni comunitarie a partire dall'Atto unico europeo e della successiva evoluzione delle stesse a seguito del processo di consolidamento dell'Unione Europea e delle recenti fasi di allargamento della stessa. Nel primo capitolo dopo una breve ricostruzione delle principali fasi che hanno caratterizzato la nascita di una reale e autonoma "politica di coesione europea" (1957-1988), si è proceduto ad una più approfondita analisi delle policy e degli strumenti implementati nei diversi periodi di programmazione comunitaria, con particolare riferimento alle riforme che hanno caratterizzato l'individuazione degli obiettivi prioritari di intervento e la connessa disciplina dei Fondi strutturali. Tale indagine è risultata funzionale a comprendere la rilevanza che le strategie di sviluppo e di governance sovranazionali hanno assunto a livello locale, ma, al contempo, ad evidenziare la complessità della dimensione locale e, dunque, la necessità di prevedere differenti modelli di intervento finalizzati a ridurre i divari di sviluppo che tuttora contraddistinguono i diversi sistemi territoriali nazionali. Una delle problematiche più rilevanti derivanti dalla costituzione e dal successivo allargamento dell'UE, infatti, è stata quella della "coesione economica e sociale", espressione con la quale le Istituzioni comunitarie hanno da sempre inteso la prospettiva di uno sviluppo equilibrato di tutto il territorio europeo. Si tratta di un obiettivo che ha rappresentato una priorità delle politiche comunitarie, trovando il suo fondamento giuridico nel titolo XVII del Trattato istitutivo della CEE e, in particolare, nell'art. 158, il cui disposto prevede che la Comunità "mira a ridurre il divario fra le diverse regioni e il ritardo delle regioni meno favorite". Dalla lettura di tale enunciato derivava l'obbligo per gli Stati membri di partecipare attivamente allo sviluppo equilibrato del territorio comunitario, mentre la Comunità europea doveva contribuire alla realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzazione coordinata dei diversi fondi e strumenti finanziari disponibili. Soltanto nei primi anni '70, però, ci si rese conto che la persistenza di divari di sviluppo tra le diverse regioni costituiva un effettivo ostacolo al processo di integrazione economica, evidenziandosi la necessità di un'azione comune per correggere i persistenti squilibri. La nuova politica regionale europea si sostanziò, soprattutto, nella elaborazione di programmi di sviluppo contenenti analisi socioeconomiche, nella individuazione di obiettivi prioritari di intervento, nell'adozione di strumenti finanziari strutturali che, nel loro insieme, hanno rappresentato gli elementi fondanti dell'attuale politica di coesione, anche se sono state introdotte nel tempo importanti riforme conseguenti alle nuove esigenze emergenti dalle rilevanti modifiche che negli ultimi decenni hanno interessato i principali profili economici e sociali dei Paesi europei. Nei processi decisionali che hanno portato all'ultimo allargamento dell'UE, infatti, le problematiche legate alla coesione territoriale, già presenti nell'ambito dell' "Europa dei 15", hanno assunto un peso ancor più significativo, non solo per i profondi divari di sviluppo esistenti tra i Paesi dell'Unione ed i "nuovi" Stati membri, ma anche per le implicazioni di natura più strettamente territoriale, riguardanti l'ampliamento delle distanze, l'articolazione di una nuova rete di centri urbani, l'organizzazione e l'assetto di territori caratterizzati da vocazioni ambientali ed economiche differenti. Le attuali dinamiche esistenti tra "aree forti" e "aree deboli" dell'UE, dunque, sono destinate ad avviare la ricerca di nuovi equilibri, nei quali la capacità competitiva delle diverse regioni dovrà misurarsi con prospettive più ampie e complesse. Tali esigenze hanno portato ad una sostanziale riforma della politica regionale dell'Unione e, conseguentemente, ad una nuova impostazione dei Fondi strutturali, nonché all'individuazione di nuovi obiettivi prioritari per il periodo 2007-2013, anche al fine di agevolare la concreta realizzazione della "strategia di Lisbona". In tale contesto, particolare rilievo assumono il tema della "perifericità" (fisica ed economica) di alcuni territori europei, quello della ricerca e dell'innovazione tecnologica, quello del trasferimento di know-how e, più in generale, quello della coesione economica e sociale funzionale a valorizzare i sistemi territoriali in una prospettiva di competitività. La stretta correlazione e la necessaria integrazione tra le politiche sovranazionali e i modelli interni di intervento implementati dai singoli Stati hanno portato, nel secondo capitolo del presente lavoro, ad approfondire gli strumenti adottati in Italia per sostenere le aree in ritardo di sviluppo e pervenire ad una maggiore coesione economica e sociale del territorio nazionale. In fase di recepimento e adeguamento delle politiche comunitarie alle specificità territoriali che contraddistinguono il sistema-paese, il Quadro Strategico Nazionale elaborato dall'Italia, negoziato con le Istituzioni comunitarie e approvato dalla Commissione europea il 13 luglio 2007, ha previsto (tra l'altro) strumenti specifici di intervento volti alla riduzione dei divari "interni" di sviluppo, con particolare riferimento alla "politica regionale unitaria". In particolare, tale politica prevede il rafforzamento di strategie di governance territoriale multilivello (centrale, regionale e locale), al fine di intervenire con maggiore efficacia nella complessa struttura nazionale "coniugando il momento locale, per promuovere l'intermediazione delle conoscenze necessarie alla produzione di beni pubblici e di rete, con il livello centrale, per sfruttare saperi globali ed esternalità e per dare credibilità al governo dei processi" (QSN). Più in generale, dunque, tali considerazioni evidenziano il rapporto inscindibile tra livello di sviluppo e organizzazione territoriale. Riprendendo il concetto di "spirale della marginalità", si può infatti affermare che la marginalità, nelle sue diverse accezioni, comporta una condizione complessa di svantaggio che connota i territori, ovvero "un depotenziamento strutturale della capacità di reazione del sistema locale prodotta dal processo di spopolamento attraverso un incrocio di effetti recessivi (feedback negativi): il calo demografico indebolisce la struttura della popolazione, il potenziale di consumo e di produzione del reddito, il sistema dei servizi locali, e ciò finisce per generare ulteriori spinte allo spopolamento, producendo una spirale perversa e un ostacolo strutturale agli sforzi di rivitalizzazione dell'area" (P. Buran, 1998). Nel terzo capitolo, si è effettuato un passaggio di scala al fine di analizzare un sistema territoriale specifico, così da individuarne gli eventuali profili di marginalità e le strategie messe in campo per il superamento delle condizioni di svantaggio. L'area prescelta è stata la provincia di Salerno che, per estensione territoriale, risulta essere la più ampia della Campania, comprendendo 158 comuni di taglia demografica disomogenea, di cui solo 16 superano i 15.000 abitanti, mentre la gran parte (109 comuni) hanno una taglia demografica inferiore ai 5.000 abitanti. Va rilevato, inoltre, che una parte non trascurabile della popolazione è insediata in aree rurali, in nuclei isolati e in case sparse. Si è proceduto presentando la provincia da vari punti di vista, quello ambientale e paesaggistico, quello connesso alle strutture insediative e quello socio-economico, riservando uno spazio apposito al settore turistico ed al patrimonio culturale. L'analisi ha evidenziato profili di marginalità esaminati poi in dettaglio, attraverso l'individuazione e l'elaborazione di indicatori demografici, socio-economici e strutturali, tradotti successivamente in cartografie tematiche a scala comunale. Nell'elaborare le carte si è esclusa l'area centrale della provincia, ovvero il sistema urbano di Salerno, caratterizzato da continuità abitativa e da densità della popolazione elevate, oltre che dalla presenza di strutture di comunicazione efficienti. I comuni coinvolti nel sistema urbano, pur essendo soltanto 23, rappresentano il 56,77% della popolazione dell'intera provincia, mentre i 128 comuni che ricadono al di fuori di tale sistema sono caratterizzati da una situazione demografica e socio-economica che presenta elementi di forte criticità, sia in termini assoluti, sia in relazione al contesto territoriale oggetto dell'indagine. Sono state realizzate, dunque, 15 tavole in cui le classi di valutazione dei differenti fenomeni hanno tenuto conto delle medie provinciali, così da poter individuare differenti livelli di marginalità relativa. Tali fenomeni sono stati poi descritti attraverso una lettura, sia pure sintetica, delle singole carte. Al fine, di ottenere, in una logica sistemica, un quadro d'insieme delle condizioni di svantaggio a livello provinciale e vista la notevole quantità di scenari prodotti, è stato costruito un cluster attraverso la realizzazione di una matrice all'interno della quale sono stati riportati gli indicatori segnalando, per ogni comune, il totale dei punti di disagio registrati. Sulla base dei dati forniti dalla matrice, si è proceduto alla realizzazione della carta tematica "Marginalità in provincia di Salerno", (tavola n. 16 di seguito riportata) che ha consentito di ottenere un quadro geografico d'insieme sintetico ed efficace così da poter leggere con chiarezza i diversi livelli di marginalità. Le possibili strategie per il superamento delle condizioni di marginalità, infine, sono state individuate riprendendo il Piano Territoriale Regionale (PTR) ed il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), recentemente rielaborato, strumenti che configurano per la provincia strategie unitarie di sviluppo. Queste sono finalizzate a promuovere una crescita integrata del territorio che intende, da un lato, valorizzare le eccellenze e, dall'altro, recuperare le aree più interne e marginali comunque dotate di beni ambientali e culturali tali da poter sicuramente contribuire allo sviluppo complessivo dell'area. ; XXII Ciclo