Le recenti novità normative relative alla s.r.l. – intervenute, in particolare, a partire dal 2011 – si incentrano sulla cospicua riduzione degli oneri di costituzione e di funzionamento di tale tipo di società. Così facendo, per un verso il legislatore italiano riconnette la s.r.l. al trend in atto in vari ordinamenti nazionali europei, sulla spinta della giurisprudenza comunitaria in tema di libertà di stabilimento delle società nella UE, che ha visto la Private Limited Company britannica giocare il ruolo di apripista di un processo di competizione fra ordinamenti con sostanziale convergenza di soluzioni nazionali, in punto di riduzione dei costi e vincoli normativi per i rispettivi tipi di società di capitali "chiuse". Per altro verso, alle stesse riforme nazionali, incluse le ultime modifiche della s.r.l. italiana, corrisponde una politica normativa che da tempo si snoda a livello centrale europeo, dove il tema della riduzione degli oneri di costituzione e funzionamento (mediante la semplificazione dell'iter costitutivo e delle regole di funzionamento, da un lato, e dall'altro la sostanziale svalutazione dei vincoli di capitale minimo) è additato quale via maestra per ritagliare forme societarie congeniali all'azione delle piccole e medie imprese.
L'elaborato approfondisce la disciplina organizzativa degli obbligazionisti (artt. 2415-2420 cod. civ.) nella duplice prospettiva della dialettica tra diritti individuali e diritti collettivi di ciascun portatore del prestito e della possibile interferenza sul modello di legge di assetti organizzativi di natura convenzionale. Le disposizioni dedicate all'organizzazione degli obbligazionisti, per quanto limitate nel numero, rivestono una spiccata rilevanza nel più ampio sistema del diritto societario e dei mercati finanziari, sia per i riflessi dogmatici ed applicativi dei quesiti interpretativi che le stesse pongono, sia per la pluralità di interessi, compositi e sovente tra di loro confliggenti, che in esse tentano di trovare un difficile equilibrio e contemperamento. Tra i profili più delicati e controversi della disciplina si segnala indubbiamente l'attribuzione ex lege all'assemblea degli obbligazionisti di una serie di poteri e competenze (art. 2415 cod. civ.) che, entro taluni limiti, le consentono di porsi quale interlocutore unico dell'emittente e di approvare – a maggioranza – modificazioni, anche peggiorative, degli originari assetti negoziali dell'operazione di prestito. Si è infatti alimentato nel tempo un intenso e mai sopito dibattito su quale sia la reale portata di tali competenze assembleari e quali, di contro, le materie che debbano in ogni caso ritenersi sottratte alla disponibilità della maggioranza per essere rimesse al consenso individuale di ciascun obbligazionista. Ripercorrendo anzitutto i termini e lo stato attuale del dibattito, l'elaborato affronta e sviluppa la questione proponendone una diversa e più attuale chiave di lettura ed inquadrandola nel più ampio contesto della progressiva evoluzione del diritto societario e concorsuale e segnatamente degli sviluppi normativi più di recente intervenuti nel settore del c.d. "diritto della crisi d'impresa", nel quale la deviazione dalle regole di diritto comune e lo spazio assegnato al principio maggioritario divengono sempre più centrali e dirompenti, anche e soprattutto per la posizione dei creditori obbligazionisti. Il rapporto tra prerogative individuali ed azione collettiva potrebbe da questo angolo visuale assumere connotati ben diversi, a seconda che la volontà del gruppo creditorio debba essere espressa all'interno ovvero al di fuori delle procedure concorsuali, avuto riguardo in particolare alle cc.dd. procedure di composizione concordata della crisi. Nella prospettiva appena delineata, le richiamate procedure potrebbero rappresentare la sede di estensione massima delle competenze assembleari, anche in ragione dei presidi e rimedi ivi specificamente posti a protezione dei creditori dissenzienti, e al contempo costituire un importante parametro di riferimento per valutare quanto esteso (ovvero quanto circoscritto) possa essere il terreno d'azione dell'assemblea ove si tratti invece di alterare le originarie condizioni del prestito in via del tutto extra-concorsuale. Una volta ricostruita – anche con il supporto del dato comparatistico – la linea di confine tra competenze assembleari e prerogative individuali degli obbligazionisti dentro e fuori dalle procedure testé richiamate, verrà quindi posto il tema dell'eventuale interferenza dell'autonomia contrattuale rispetto agli assetti organizzativi tracciati dal legislatore, indagandosi in particolare la legittimità (o meno) di pattuizioni in deroga, siano esse modificative, integrative od anche sostitutive, rispetto al modello di legge. L'analisi sarà sviluppata muovendo anzitutto dalla natura degli interessi protetti dalla disciplina allo scopo di verificare, tra l'altro, (i) se sussistano profili di interesse pubblico o comunque interessi di natura sovraordinata che, da un punto di vista di diritto materiale interno, giustifichino una più o meno marcata compressione della libertà negoziale delle parti, vincolandole alla struttura organizzativa prevista dal codice civile, nonché (ii) nella prospettiva di diritto internazionale privato e volgendo precipuamente lo sguardo alle emissioni realizzate all'estero da parte di società italiane, se i profili di interesse generale o di ordine pubblico eventualmente ravvisati ne rendano necessaria l'applicazione anche oltre il territorio nazionale, per il sol fatto che l'operazione, sebbene collocata all'estero e legittimamente sottoposta a legislazione straniera, sia realizzata da un emittente italiano. Lo studio torna quindi ad occuparsi dell'equilibrio tra gruppo e individuo nelle dinamiche decisionali collettive, approfondendo in particolare le forme di tutela degli obbligazionisti dissenzienti ma in minoranza rispetto a condotte abusive della maggioranza e più in generale i rimedi disponibili a fronte di eventuali interferenze di interessi "esterni" o "atipici" all'interno dei predetti processi decisionali. Ci si interroga, da ultimo, circa la possibilità di rafforzare le richiamate forme di tutela e di affermare regole più efficaci e pervasive di prevenzione (oppure di soluzione) dei conflitti in presenza di un assetto organizzativo di natura pattizia. ; The thesis considers the rules of organization of the bondholders laid down in Articles 2415-2420 of the Italian civil code. The analysis focuses in particular on the dialectic between bondholders' collective and individual rights, as well as on the potential interference of contractual schemes – as from time to time developed by the relevant market practice – over the collective legal framework. The rules of the Italian civil code relating to the bondholders' collective organization appear of paramount importance both in light of the significant hermeneutic and practical issues arising from their interpretation and application, and for the plurality and variety of interests (indeed, often conflicting) that such rules try to harmonize and balance. In this context the powers granted by the Italian legislator to the bondholders' meeting to approve also potentially detrimental amendments to the original terms and conditions of the bonds, are still and strongly disputed by scholars and commentators. Once analyzed the main terms of the dispute and the state of the art, the thesis proposes to put into context the issue under discussion taking into account the progressive development of corporate and bankruptcy Italian legal framework, also considering the reforms recently enacted in respect of insolvency and formal creditors' composition procedures, where the majority rule reveals to increasingly play a key role also and especially in connection with the bondholders' rights and position. The balance between individual prerogatives and collective action depends on whether the bondholder's consent is requested within or outside of a creditors' composition procedure. In this perspective, the above procedures may be regarded as the place of wider and maximum extension of the majority powers, also in light of the specific safeguards and legal protections in favor of dissenting creditors, and at the same time constitute a significant parameter to assess the scope and limits of application of the majority rule when amendments are proposed to the bondholders outside of a formal creditors' composition procedure. The analysis then focuses on the possible intersections between legal and contractual collective schemes, addressing in particular the issue of the actual validity and enforceability of bond's terms and conditions providing for contractual collective rules that supplement, derogate or even replace the rules of organization laid down in the Italian civil code. The issue will be primarily explored moving from the nature of the interests protected by the Italian legislator through the legal organization of bondholders in order to assess, among others, if (i) general, public or in any event ultra partes interests are involved therein so that the collective legal framework should be deemed to qualify, under an Italian law perspective, as mandatorily applicable to the parties of the bonds' issuance and (ii), from an international law perspective, if the involvement of any general or public interests implies that such legal framework should apply to any and all bonds' issuances carried out by Italian companies, although listed on a foreign market and even if the relevant terms and conditions are subjected to a foreign law and jurisdiction. The thesis will then explore the protections of minority bondholders in the context of the majority resolution processes against abuses of majority and, more in general, against the interference of any "external" or "atypical" interests. In this connection, it will be also investigated the possibility to improve the protections available to the dissenting bondholders and to trace most effective methods to prevent and manage conflicts of interests when a contractual (rather than legal) collective scheme is applicable to a given bond's issuance transaction.
Riguardo alla configurabilità di una responsabilità per esercizio abusivo dell'attività di direzione e coordinamento (art. 2497, comma 1, c.c.) in capo alla persona fisica, con il presente paper si cerca di offrire qualche spunto di riflessione nell'intento di superare le ambiguità e le incongruenze della disciplina codicistica, onde garantire la massima tutela ad alcuni dei soggetti più "deboli" all'interno dei gruppi di società: i soci e i creditori "esterni" della holding, "estranei", tuttavia, anche alla disciplina di legge, che si preoccupa di considerare soltanto la posizione dei soci e creditori "esterni" dell'eterodiretta. In quest'ottica, oltre a valorizzare un significato di tipo etimologico del termine "ente" (ossia "ciò che è", comprensivo dunque sia della persona giuridica che della persona fisica), si svolgono alcune considerazioni di carattere sistematico, evidenziando come l'art. 2497, comma 1, c.c., si distingua, in sostanza, per essere l'unica disposizione di legge capace di dare adito a contrasti sulla configurabilità di una holding persona fisica, sebbene la ratio di tutto l'impianto normativo concernente i gruppi societari sia, a ben vedere, la medesima: evitare che il perseguimento di certe politiche "di gruppo" venga pagato soltanto dagli anelli deboli della catena. Sulla base, poi, della considerazione che la direzione e coordinamento è un'attività intercorrente tra le persone fisiche "interne" al controllo delle società del gruppo, se ne evidenziano le affinità con l'istituto dell'amministrazione di fatto, sia sulla base dell'impostazione di parte della giurisprudenza - di legittimità e di merito – sia sulla scorta di un'analisi comparatistica, attraverso la quale si è potuto notare che le persone fisiche che esercitano l'eterodirezione (cd. "holders") sono fortemente responsabilizzate tanto negli ordinamenti che non prevedono una specifica disciplina di legge in tema di gruppi societari (ove la responsabilità dei soggetti capogruppo è attribuita ricorrendo alla figura dell'amministratore di fatto) quanto in quelli che la prevedono (come ad esempio in Germania). Si condivide dunque l'impostazione della recente giurisprudenza di merito che ha affermato la responsabilità ex art. 2497, comma 1, c.c. della persona fisica holder a prescindere dalla circostanza che tale soggetto rivesta o meno la qualifica di imprenditore commerciale. E ciò in via del tutto corretta, giacché è opportuno distinguere il piano della fallibilità da quello della responsabilità, non essendo plausibile che la mancata qualificazione "esterno", giacché le altre forme di tutela apprestate dal nostro ordinamento non si rivelano altrettanto soddisfacenti: né (a) l'affermazione di una responsabilità solidale degli holders ex art. 2497, comma 2, c.c. con la capogruppo, poiché significa imputare la responsabilità ex art. 2497, comma 1, c.c. in capo a quest'ultima anche nel caso in cui l'eterodirezione non sia svolta nel suo interesse; né (b) un'azione di diritto comune basata sull'art. 2043 c.c. poiché, prevedendo il nostro ordinamento una disciplina specifica in tema di gruppi societari, non sembra in particolare condivisibile, sul presupposto che l'attività di direzione e coordinamento sia imputabile anche a una persona fisica, concludere che tale attività, una volta accertata, non determini la correlativa responsabilità, ma una più generica responsabilità da fatto illecito di diritto comune ex art. 2043 c.c.; né, infine, (c) una tutela ex post, cioè un'azione di risarcimento del danno contro le persone fisiche "interne" che abbiano esercitato la direzione unitaria predatoria (ai sensi degli artt. 2393-bis, 2476 o 2395 c.c.), dopo che la capogruppo abbia subìto la condanna ex art. 2497, comma 1, c.c., giacché tali azioni – peraltro "strutturalmente" inadeguate – non solo non sono in grado di evitare ex ante al socio "esterno" della holding un pregiudizio al valore della partecipazione conseguente alla condanna della holding, ma addirittura si rivelano capaci di aggravarlo: infatti, l'esperimento di una delle suddette azioni dopo che la capogruppo è già stata "messa alla gogna" dal giudizio ex art. 2497, commi 1 e 2, c.c., contribuirà a dare alla stessa il colpo di grazia, portando la sfiducia del mercato a un livello non facilmente recuperabile. Inoltre, proprio perché tali azioni sono proponibili solo dopo l'esperimento vittorioso dell'azione giudiziale di responsabilità avverso la capogruppo ex art. 2497, comma 1, c.c., non si può non osservare che una tesi che negasse l'imputabilità della responsabilità da direzione unitaria predatoria in capo all'holder si rivelerebbe non molto rispondente al principio costituzionale di economia dei giudizi, espressione di quello, fondamentale, di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.). A conclusione del lavoro, si affaccia qualche breve considerazione di carattere processuale, poiché l'ammissione – nelle ipotesi considerate – di una responsabilità esclusiva del soggetto "interno" alla holding in luogo della stessa porta conseguentemente a domandarsi se la capogruppo, chiamata in giudizio ex art. 2497, comma 1, c.c., abbia la possibilità di sottrarsi alla responsabilità da direzione unitaria attraverso la chiamata in causa (ex art. 106 c.p.c.) dei soggetti ad essa "interni" e la richiesta (ex art. 108 c.p.c.) della propria estromissione dal giudizio.
ABSTRACT: il lavoro di ricerca intende indagare una specifica problematica che investe la disciplina autoriale (regolata dalla legge 22 aprile 1941, n. 633) nella tutela apprestata alle opere dell'arte contemporanea (ai sensi in particolare dell'art. 2, comma 1, numero 4 l.d.a.). In particolare si vuole analizzare l'adattabilità della normativa a quelle particolari tipologie di lavori artistici che mutano sensibilmente rispetto al passato la nozione di "forma espressiva", ossia il modo sensibile con cui l'artista/autore esteriorizza la propria idea creativa al pubblico: si tratta nello specifico delle opere d'arte immateriali e appropriative, intendendosi nel primo caso quelle che prescindono da una dimensione concreta per negazione stessa di una forma espressiva materiale e, nel secondo caso, quelle che invece assumono la medesima forma di opere d'arte già tutelate, mutandone tuttavia il significato artistico. L'analisi parte dall'assunto che il sistema di tutela autoriale italiano, pur prevedendo astrattamente la possibilità di riconoscere protezione ad ogni opera dell'ingegno a carattere creativo "qualunque ne sia il modo o la forma di espressione" (art. 1, comma 1, l.d.a.), in realtà appare ancora fortemente ancorato ad una concezione materiale dell'opera d'arte, come dimostra una consolidato orientamento al riguardo. Il lavoro intende dunque valutare la possibilità di ricomprendere nella previsione legislativa simili opere dell'ingegno a carattere creativo e, qualora ciò risulti sostenibile, verificare in che modo ad esse si possano applicare gli istituti tradizionali del diritto civile e d'autore (su tutti la proprietà e la disciplina dei contratti) per la loro circolazione sul mercato. ; ABSTRACT: the dissertation aims at analyzing a specific problem that involves the authorial legislation (regulated by the Law April 22, 1941, n. 633) for what concerns the legal protection of contemporary art works (in application to art. 2, paragraph 1, number 4, L. 633/1941). In particular the thesis focuses on the adaptability of the legislation to those particular types of artistic works that change significantly the notion of "form of expression", which can be defined as the perceptible way in which the artist externalizes his own creative idea to the public: it's the case of not material and appropriation art. In the first case we have conceptual works of art completely without a material form of expression and, in the second case, those which take the same form of expression of an already protected work of art, but changing its artistic significance. Even if the italian authorial law seems to provide legal protection to any creative intellectual work "whatever is the mode or form of expression" (according to art. 1, paragraph 1, L. 633/1941), actually it still appears to be strongly anchored to a material conception of the work of art, as evidenced by a consolidated orientation about. The dissertation thus intended verify the possibility of including in the legislative provision even those works which are not incorporated in material mediums and, after that, check out how they can be applied to the traditional issues of civil and copyright law (especially property and contract law) in their commercial circulation on the economic market.
The paper analyzes the concept of going concern, as it emerges from the provisions dictated to overcome the crisis in companies and, in particular, from the perspective adopted in the new Code of Crisis and Insolvency, relating to the preservation of the company, the maintenance and recovery of the business, including through reorganization choices. Firstly, the reform legislation is framed in the context of European regulations and in comparison with those of other continental European countries, highlighting how it is based on a new approach to business crisis. Going concern is now a point of reference in management, the diligence of managers takes on a more specific connotation, they are required to prepare adequate accounting arrangements to prevent the state of crisis and maintain the business. The changes inevitably also affect the profiles of the managers' responsibility. The focus of the thesis is the verification of which reorganizational solutions are preferable in order to recover the going concern for companies in crisis and in what way the corporate reorganization can be a valid tool for the resolution of the failure. Moreover, the analysis focuses on the identification of the elements on which to calibrate the reorganization and the operations serving it, in order to assess the needs and characteristics of the individual company.
ABSTRACT The mutual fund as a shareholder The main concept behind my dissertation is that the equity participation hold in account of mutual funds raises special issues, that should require the development of equally special solutions, possibly different from the legal rules laid down by the ordinary law of limited corporations. In fact, the Italian civil code of 1942, that includes company law, is focused on a regard of limited corporations as basically industrial enterprises, while UCITS (Undertakings for Collective Investments in Transferable Securities) are shareholders inspired by a strictly financial approach, and specifically by the portfolio theory. That means that UCITS are interested in the valuation of their entire portfolio, not of the single equity participation. From the point of view of the individual portfolio company, this could imply that in a specific corporate resolution the manager of the UCITS could have an interest in conflict with the one of itself. The solution of the peculiar problems posed by the equity participation hold in account of a third party are furthermore complicated by the difficult conceptual classification of mutual funds, risen in common law systems, in a civil law system, such as the Italian. This circumstance has required the review of the several theories developed by the Italian legal doctrine, and the acceptance of one of them in order to justify the further solution of each legal issue. Moreover, the examination of the current Italian and European legislation around mutual funds suggests a basic twofold approach of their consideration as shareholders. In fact, beside UCITS, the recent Alternative Investment Fund Managers Directive (AIFMD) allows them even to hold a controlling stake in a portfolio company. On these premises, in the third chapter I analyze concrete issues, where the solution may diverge depending on whether the mutual fund operates following the portfolio theory or holding a controlling stake. One of the main issues regards the exercise of voting rights in account of mutual UCITS funds, where the manager is obliged on a legal and contractual basis to pursue the best interest of his clients. This should imply that in possible situations of conflict of interests with the portfolio company the manager may sacrifice the best interest of this last. In the conclusive chapter I consider the possible issues laid down by the consideration of the mutual fund as a controlling shareholder, and in particular the implications of the asset stripping prohibition, introduced by the AIFMD in 2011. This rule forbids AIFs to put in place disproportionate distributions of dividends in order to protect the integrity of the portfolio company, which implies that the duty to act in the best interests of the AIF in this context is overruled by considerations of Integrated CSR.
The problem of legal protection of scientific research results is of growing interest nowadays. However, none of the three hitherto existing rights (the right for trade secrets, patent and copyright) is able to fully take into account the characteristics of scientific activities. In Russia, the problem of legal protection of scientific research results has been developed actively since the 50-ies of the last century, in connection with the introduction of the system of state registration of scientific discoveries. A further concept allowed for not only the registration of discoveries, but also the entire array of scientific results. However, theoretical applicability of exclusive rights institutions in the sphere of science remained unstudied. The article describes a new system, which is not fixed in legislation and remains unnoticed by the vast majority of researchers. That is the institution of scientific and positional rights, focused on the recognition procedure of authorship, priority, and other characteristics of intellectual scientific results value. In case of complex intellectual results, comprising scientific results, the recognition of result-oriented exclusive rights proves to be unsustainable. This circumstance urges us to foreground the institution of scientific and positional exclusive rights. Its scope is budget science where non-fee published scientific results are generated. Any exclusive right to use open scientific results is out of the question. The sphere of open (budget) science is dominated by scientific and positional exclusive rights, sanctioned both by the state (S-sanctioned), the bodies of the scientific community (BSC-sanctioned) and scientific community (SC-sanctioned) rights.
L'ultima crisi economica, iniziata negli Stati Uniti nel 2007 e giunta in Europa l'anno successivo, è stata per molti ordinamenti l'occasione per riflettere sulle regole che fino a quel momento avevano disciplinato il mercato e i soggetti economici che vi operano, tra cui, su tutti, le società di capitali. In Spagna, in particolare, sono recentemente state introdotte delle rilevanti novità in materia di corporate governance attraverso la riforma della Ley de Sociedades de Capital (d'ora innanzi LSC) ad opera della legge del 3 dicembre 2014, n. 31. L'elaborato in oggetto si propone di analizzare uno dei molteplici elementi di novità introdotti: la dispensa dal dovere di lealtà degli amministratori («dispensa del deber de lealtad») di cui all'art. 230 LSC, istituto assolutamente nuovo per l'ordinamento spagnolo e non previsto dall'ordinamento italiano. L'analisi di questo peculiare istituto si rivela di particolare interesse in quanto l'osservazione del suo concreto operare e degli effetti che produce nella corporate governance permette di fare chiarezza sul problematico rapporto tra obblighi generali di condotta e obblighi specifici positivizzati dal legislatore come estrinsecazione e specificazione dei primi. Le riflessioni generate dall'analisi della novella in commento offrirono quindi l'opportunità di sviluppare un ragionamento sistematico più ampio sulle clausole generali e sul loro concreto operare all'interno dell'ordinamento. Specificamente, lo studio dell'istituto della «dispensa dal dovere di lealtà» consentirà di "riempire" di contenuto e di significato la clausola generale riferita alla fedeltà degli amministratori nel perseguire l'oggetto sociale. Tale operazione, benché condotta sulla scorta di una disciplina straniera, andrà a beneficio anche dell'interprete italiano, il quale, se volesse ragionare sul tema rimanendo ancorato solamente al dato normativo interno, si troverebbe in difficoltà difronte al ben conosciuto dato normativo, che si dimostra particolarmente scarno, quand'anche non addirittura reticente.
Con riguardo al sistema delle S.r.l., in cui la legge ha ora più che mai dimostrato di privilegiare il ruolo e l'importanza del patrimonio netto rispetto al capitale sociale in sé considerato, si esaminano in particolare le nuove norme che, a fronte della vanificazione del capitale (ma non dell'intera struttura che su tale istituto si basa), impongono un obbligo di accantonamento "rafforzato" di una quota degli utili netti annuali (art. 2463, c. 5, c.c.) al fine di assicurare la formazione accelerata di un patrimonio netto minimo. Si osserva, quindi, come la legge, nel congegnare la "nuova" (rectius, rinnovata) S.r.l. "a patrimonio netto progressivo", abbia inteso (non legittimare, bensì) perseverare nell'intento di reprimere fenomeni che, allora, si potrebbero definire, più che di sottocapitalizzazione (nominale), di sottopatrimonializzazione della società. Per ragioni di coerenza sistematica, si esprime inoltre l'opportunità di applicare l'obbligo di accantonamento maggiorato anche alla S.r.l.s., onde evitare che la lacunosa disciplina in materia possa tradursi (qui sì) in una legittimazione della sottocapitalizzazione nominale della S.r.l.s. Con il supporto del dato comparatistico, si esprime, tuttavia, una qualche perplessità sul fatto che tali norme, così come concepite dal nostro legislatore, possano rappresentare un meccanismo in grado di perseguire efficacemente l'equilibrio economicofinanziario dell'impresa, tenuto conto che, allo stato dell'arte, l'unica tutela aggiuntiva per i creditori è rappresentata (oltre che dalle capital maintenance rules e dalla postergazione ex art. 2467 c.c.) dallo strumento della (cor)responsabilità "da pilotage" della gestione societaria posto a carico del socio (art. 2476, c. 7, c.c.). Ci si pone quindi l'interrogativo se, in linea con le scelte operate in molti casi negli ordinamenti d'oltralpe, non sarebbe opportuno corroborare il sistema delle "nuove" S.r.l. con la previsione, a carico dei soci, di uno specifico regime di responsabilità risarcitoria nei confronti dei creditori in caso di sottopatrimonializzazione (e poi insolvenza) della società, adesso che la limitazione della responsabilità patrimoniale è accordata (anche) a costo "zero".
La riforma del diritto societario attuata con il d.lgs 17 gennaio 2003, n.6 ha introdotto nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto giuridico delle azioni correlate1 al fine di rendere le forme di finanziamento della società per azioni più efficienti, flessibili e maggiormente adatte alle esigenze degli investitori e dei mercati dei capitali, offrendo l'opportunità di un investimento remunerato secondo la produttività di uno specifico settore dell'attività esercitata dalla società emittente (cfr. l'art. 2350 comma 2, secondo cui le azioni correlate sono "azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore"). Il Legislatore definiva nella relazione accompagnatoria al d.lgs. n.5/2003 le azioni correlate come "un ulteriore strumento, oltre a quelli previsti con i patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui all'art. 2447-bis, per accedere a finanziamenti destinati". 1 Tale denominazione, già proposta in un intervento anteriore alla pubblicazione dei progetti di riforma da G.B. PORTALE, Dal capitale "assicurato" alle "tracking stocks", in Riv. Soc., 2002, p. 163, è poi stata recepita in sede di lavori preparatori. 5 L'introduzione delle azioni correlate nel nostro ordinamento si inserisce nel più generale contesto della moltiplicazione delle categorie di azioni nella prospettiva di ampliare gli spazi concessi all'autonomia statutaria in modo da favorire la nascita, la crescita e competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali di capitali. La riforma del diritto societario del 2003, infatti, non solo ha aperto nuovi spazi di autonomia per i privati attraverso la modifica dell'art. 2348 c.c., ma ha anche ampliato la gamma delle azioni speciali tipiche. In tal modo, il Legislatore italiano ha voluto dotare la società per azioni di una struttura finanziaria efficiente e concorrenziale rispetto a quelle offerte da altri ordinamenti europei o extra-europei e ciò nella consapevolezza che in una realtà globale la concorrenza tra sistemipaese si gioca anche sul piano della competizione tra ordinamenti giuridici2. Il nuovo istituto pone complesse questioni interpretative e delicati problemi di ricostruzione della disciplina, la quale in alcuni casi è quasi interamente rimessa allo statuto e non suggerita neppure da norme di carattere dispositivo 3. 2 Cfr. U.TOMBARI, Azioni di risparmio e strumenti ibridi "partecipativi", Firenze, 2000, p.17 ss. 3 Vedi U.TOMBARI, La nuova struttura finanziaria della società per azioni, in 6 In particolare, l'ampliamento dei canali di finanziamento della società per azioni (azioni, obbligazioni, strumenti finanziari partecipativi) comporta molteplici problematiche connesse ai profili di corporate governance e ciò in quanto in presenza di una pluralità di strumenti finanziari e categorie di investitori con interessi potenzialmente confliggenti, ci si chiede quali interessi debbano perseguire gli amministratori nella gestione dell'impresa e quali strumenti di tutela siano a disposizione di ciascuna tipologia di investitori. Infatti, l'emissione di una pluralità di tipologie di azioni, obbligazioni e strumenti finanziari comporta il sorgere di potenziali conflitti c.d. orizzontali, cioè conflitti di interesse tra diverse categorie di finanziatori/investitori4.
Reflections of systematic order on the project to redesign the company among the lawyers. The study addresses the issue of social reform among lawyers stressing the urgency in view of the lack of legislation in relation to its articulation in the form of corporations determined by the lapse of the period prescribed by art. 5 l. 247/12 for its implementation. The author offers insight on the problematic issues of the current regulations (Legislative Decree no. 96/2001), namely: i) the extension of the types of company that can be used and its impact on the nature of the problem is and the relationship between the relevant regulations and that of the selected type; ii) the boundaries of the social, iii) the status of lawyer as a requirement for entry into the social structure and the possible presence of members (lawyers) of mere capital, iv) is and the group of companies, v) strict liability of the shareholders, the tax treatment of income is produced by the and discipline of the crisis.
Con la recente sentenza dell'11 settembre 2019 (C-383/18), la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha stabilito che "L'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore". Premessa una breve panoramica del quadro normativo italiano sul diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata del finanziamento, l'articolo analizza l'impatto sull'impianto normativo italiano della sentenza della Corte, che ha superato la tradizionale distinzione tra costi up-front e recurring tracciata da Banca d'Italia e dall'orientamento dell'Arbitro Bancario Finanziario. La sentenza della Corte non fa riferimento ad un specifico criterio per calcolare la riduzione del costo cui ha diritto il consumatore. Ciò nonostante, sul punto sussistono in realtà alcune indicazioni generali, che possono condurre ad una riduzione del costo totale del credito non secondo un criterio pro rata temporis strettamente proporzionale, ma secondo il medesimo metodo di calcolo utilizzato per gli interessi corrispettivi (ovvero il piano di ammortamento), solitamente l'unico criterio espressamente previsto dal contratto di finanziamento. ; With the recent judgment of 11 September 2019 (C-383/18), the Court of Justice of the European Union has stated that "Article 16(1) of Directive 2008/48/EC of the European Parliament and of the Council of 23 April 2008 on credit agreements for consumers and repealing Council Directive 87/102/EEC must be interpreted as meaning that the right of the consumer to a reduction in the total cost of the credit in the event of early repayment of the credit includes all the costs imposed on the consumer". After a brief overview of the Italian legal framework on the consumer's right to a reduction in the total cost of the credit in case of early repayment, the article analyses the effect on the Italian legal system of the judgment of the Court, which has overruled the traditional distinction between up-front and recurring cost laid down by the Bank of Italy and Italian Banking and Financial Ombudsman (Arbitro Bancario Finanziario). The judgment of the Court does not mention a specific method for calculating the reduction of the total cost to which the consumer is entitled. Notwithstanding, there are actually some general guidance in this regard, which may lead to a reduction of the total costs computed not by a pro rata temporis method strictly proportional, but the same method used for interests (i.e. according to the reimbursement plan), usually the only criterium expressly provided for by the credit agreement.
La tesi dal titolo "La tutela della concorrenza nella Repubblica Popolare Cinese" si propone di affrontare l'intricato problema dell'armonizzazione dei principi della concorrenza in un sistema economico in via di transizione quale quello cinese. L'attenzione sulla questione è stata stimolata dall'emanazione della legge antimonopoli, entrata in vigore nell'agosto del 2008, che ha conosciuto le sue prime applicazioni concrete nel corso di questi primi cinque anni . Cercando di non lasciarsi sviare dalla tentazione di giudicare la normativa antitrust paese asiatico sul presupposto di una presunta superiorità degli ordinamenti dei paesi occidentali, che in materia posseggono una tradizioni di origini ben più antiche, il lavoro tenta di fornire una visione oggettiva e nel complesso positiva delle nuove disposizioni. La tesi mira a disegnare un quadro quanto più completo possibile delle norme in materia di concorrenza presenti nell'ordinamento cinese, anche al di fuori della legge antimonopoli, sul cui esame di solito unicamente si soffermano gli studiosi occidentali. Inoltre, nell'esame dei singoli istituti disciplinati dalla legge in questione sarà continuo il riferimento ai due principali sistemi normativi antitrust oggi vigenti, quello europeo e quello statunitense, per misurare le distanze rispetto alla prassi oggi dominante a livello internazionale e cogliere, dietro le scelte di politica del diritto effettuate dal legislatore, degli indizi circa i futuri sviluppi del diritto della concorrenza cinese, che si candida a diventare il terzo polo del sistema globale del diritto della concorrenza.
This study questions the accountability gap in business-to-government data sharing: if most European policy efforts are being devoted to the objective of unlocking private datasets for the "public good" under the EU Strategy for data, less attention has been given to the subsequent moment of the performance and execution of business-to-government data sharing agreements in a transparent and accountable manner to the public that should benefit from these. Given the accountability gaps left open by both public and the data protection regulations in the context of business-to-government data sharing, the analysis focuses on the notion of corporate digital responsibility as a gap-filler between public law-based and data protection-law based accountability models. This specific responsibility of businesses handling digital assets, as data, is given by the match between businesses' social accountability duties under the more general corporate social responsibility (CSR) framework and the legal and ethical obligations these bear in respect to the design and management of their datasets. The consideration of the specific problem of businesses' accountability in B2G data sharing enables to contextualise the debate on the possible contribution of corporations to welfare objectives in the digital economy and to draw more general conclusions on the role of corporate law in strengthening businesses' duties of accountability regarding enacted data and technology-related policies vis à vis external stakeholders.
Il lavoro si è posto come obiettivo quello di trattare il tema della crisi del gruppo di imprese nell'ottica della cooperazione giudiziaria e del coordinamento tra procedure aperte nei confronti delle singole componenti dell'impresa molecolare. È dato ampiamente conosciuto che il gruppo si caratterizzi per il c.d. bipolarismo tra unità sostanziale e pluralità formale delle imprese che lo compongono. Detto bipolarismo rappresenta la chiave di successo del fenomeno del gruppo: una delle funzioni più rilevanti assolte dalle singole società è invero quella di ripartire il rischio d'impresa, destinando una parte del patrimonio del soggetto economico (il capitale proprio delle società controllate) alla soddisfazione di ben determinate obbligazioni (quelle che fanno capo alle singole società controllate). Fenomeno, quest'ultimo, che prende il nome di assets partitioning. A ben vedere, i vantaggi che derivano dall'assets partitioning sono molteplici. Esso, invero: i) incoraggia gli investimenti di larga scala; ii) promuove l'efficienza del mercato dei capitali; iii) riduce i costi di negoziazione; iv) stimola il rischio imprenditoriale. Per mantenere coerenza con la funzione assolta dall'assets partitioning nella fase fisiologica, sembra corretto ritenere che anche nella fase patologica ogni singola società risponda solo ed esclusivamente delle obbligazioni assunte con il proprio patrimonio, con la conseguente apertura di procedure di crisi autonome per ogni componente del gruppo. L'apertura di distinte procedure può, tuttavia, determinare la disgregazione del complesso produttivo e la perdita di valore del patrimonio del gruppo complessivamente considerato. La tesi ha avuto l'obiettivo di analizzare le singole misure di coordinamento e/o di cooperazione che gli ordinamenti nazionali o sovranazionali, nonché i testi di soft law, predispongono al fine di rendere maggiormente efficiente la gestione della crisi del gruppo di imprese. A tal fine, l'analisi ha preso le mosse dalla evidenziazione degli interessi coinvolti dalla e nella crisi del gruppo, partendo dal concetto di direzione unitaria, intesa come attività di coordinamento e d'indirizzo, esercitata dalla capogruppo nei confronti delle società controllate, al fine dell'organizzazione e della valorizzazione economica del "controllo" su una pluralità di società e potenzialmente in grado di ledere gli interessi sia dei soci di minoranza sia dei creditori delle società del gruppo. L'indagine poi è proseguita analizzando i problemi che sorgono in ipotesi di crisi. In particolare, si è osservato che le questioni mutano a seconda che la crisi sia estesa a tutto il gruppo (c.d. crisi "del" gruppo); ovvero colpisca solo una (o poche) società (crisi "nel" gruppo). Ancora, è stato considerato come le soluzioni ai problemi generati dalla crisi del gruppo variano (o dovrebbero variare) in dipendenza del grado d'integrazione economica che esiste tra le varie componenti dell'impresa molecolare. All'aumentare del grado di integrazione, più stretta dovrebbe essere la connessione tra le procedure aperte nei confronti di queste ultime. Parimenti rilevante, ai fini dell'analisi che qui si propone, è la dimensione geografica dell'articolazione del gruppo, la composizione dei diversi interessi in gioco complicandosi notevolmente in caso di crisi di "gruppo multinazionale". In tale ipotesi, invero, alle problematiche generate dalla crisi del gruppo domestico, si aggiungono le questioni tipicamente internazional-privatistiche – quali, ad esempio, quelle legate alla competenza giurisdizionale; all'individuazione della legge applicabile; al riconoscimento e all'esecuzione delle sentenze straniere; agli strumenti di cooperazione tra autorità –, che rendono ancor più difficile la ricerca di un efficiente sistema di soluzione dell'insolvenza del gruppo. Partendo da tali premesse, si è evidenziato come lo strumento di soluzione della crisi da adottare al caso specifico dipenderà da come il gruppo avrà operato sul mercato durante la fase fisiologica, nell'idea che il diritto della crisi dovrebbe porsi, da questo punto di vista, come elemento neutro rispetto alla struttura organizzativa del gruppo in bonis. In tale ottica si è proceduto all'analisi delle forme di coordinamento e/o cooperazione elaborate nella prassi internazionale e che si fondano, appunto, sul grado di integrazione economica delle imprese del gruppo e sull'articolazione geografica del medesimo, partendo dalle figure del consolidamento, sostanziale (o patrimoniale) o procedurale; per poi passare agli strumenti di cooperazione e coordinamento in senso stretto, soffermando l'attenzione sulla relativamente recente procedura di coordinamento di gruppo disciplinata dal Regolamento UE n. 848/2015; e per concludere, infine, con l'analisi dettagliata di un particolare strumento di cooperazione – quello attualmente più utilizzato nella prassi internazionale, specialmente nell'ambito dei gruppi cross-border –, ossia l'insolvency protocol. Più in particolare, i meccanismi di cui trattasi possono essere distinti in tre categorie: a) quelli che prevedono l'apertura di un'unitaria procedura d'insolvenza con unificazione delle masse attive e passive di ogni singola società (substantial consolidation). b) quelli che prevedono per le imprese, in crisi o insolventi, del gruppo la facoltà di proporre con un unico ricorso l'apertura di un'unitaria procedura d'insolvenza, fermo restando in ogni caso l'autonomia delle rispettive masse attive e passive (procedural consolidation); c) quelli che prevedono l'apertura di autonome procedure d'insolvenza con obblighi reciproci di informazione e di collaborazione tra gli organi di gestione delle diverse procedure (cooperazione e coordinamento). Nel procedere all'analisi di tali strumenti o meccanismi si è tentato di delineare di ciascuno i contorni caratteristici e differenziali. a) Con riferimento al consolidamento sostanziale, s'è indagata nel dettaglio la ratio, le condizioni al ricorrere delle quali viene ammesso e gli effetti che esso determina nei confronti dei soggetti coinvolti dalla (e nella) crisi del gruppo. Può dirsi che il consolidamento sostanziale genera diversi problemi, soprattutto con riferimento al mercato del credito. Se è vero, infatti, che una delle ragioni (forse la principale) che giustificano il fenomeno di gruppo è da rintracciare nella separazione dei patrimoni delle diverse società che lo compongono e dunque nel fenomeno dell'assets partitioning che essa separazione determina; è del tutto intuitivo che intanto il frazionamento della responsabilità patrimoniale determinerà una riduzione del rischio d'impresa, in quanto l'autonomia patrimoniale si conservi anche in caso di apertura del concorso. Parrebbe iniquo, d'altronde, immaginare che proprio nelle procedure concorsuali, laddove si ha la più nitida concretizzazione dell'autonomia patrimoniale, gli assets delle società collegate si fondino al fine di rispondere congiuntamente alle obbligazioni assunte dal gruppo nel suo complesso. Tale strumento potrebbe, al più, essere utilizzato solo quando il gruppo si presenti talmente integrato da rendere l'identificazione delle singole masse attive e passive delle imprese che lo compongono operazione anti-economica per i creditori di queste ultime. b) Al di fuori dell'ipotesi testé menzionata, è indubbio che debba essere preferito lo strumento della procedural consolidation. Come anticipato, il consolidamento procedurale consente l'apertura di un'unitaria procedura concorsuale che coinvolge le varie società insolventi del gruppo, pur restando ferma l'autonomia delle rispettive masse attive e passive. Lo strumento è d'ispirazione statunitense, ove alla rule 1015 (b) del Federal Rules of Bankruptcy Procedure è così stabilito: "If a joint petition or two or more petitions are pending in the same court by or against a debtor and an affiliate, the court may order a joint administration of the estates". Sempre nel Federal Rules of Bankruptcy Procedure – alla rule 2009 (a) – è stabilito che: "If the court orders a joint administration of two or more estates under Rule 1015(b), creditors may elect a single trustee for the estates being jointly administered". La ratio sottesa alle disposizioni citate è quella di evitare la duplicazione di costi ed eventuali ritardi di carattere processuale che – probabilmente – sarebbero concatenati all'apertura di autonome procedure d'insolvenza per le diverse imprese del gruppo, fermo restando, come detto, la separazione delle masse attive e passive, volta ad evitare gli effetti negativi sul mercato del credito che derivano dal consolidamento sostanziale. Sebbene i meccanismi di consolidamento sembrano essere strumenti efficienti per la soluzione della crisi del gruppo domestico, lo stesso non si può dire con riferimento alla crisi del gruppo multinazionale. La differenza risiede essenzialmente nelle questioni internazional-privatistiche che caratterizzano il gruppo multinazionale, e di cui è già detto in precedenza. Al conflitto tipico tra interesse di gruppo e interesse sociale, in ipotesi di gruppo multinazionale si accompagna quello di giurisdizione tra Stati. E' alla luce di queste considerazioni che per la soluzione della crisi del gruppo multinazionale si ritiene opportuno adottare strumenti di cooperazione e coordinamento. Nella tesi si è proceduto, dunque, all'analisi dei testi di soft e di hard law, quali, rispettivamente, la Guida Legislativa Uncitral del 2010 ed il Regolamento UE n. 848/2015. In tali testi viene disegnato un sistema caratterizzato da procedure parallele, gli organi delle quali cooperano nella misura in cui tale cooperazione serva a facilitare la gestione efficace ed efficiente di tale procedure, non sia incompatibile con le norme ad esse applicabili e non comporti conflitto d'interessi. L'analisi, in ultimo, è stata conclusa con lo studio di un particolare strumento di cooperazione, l'insolvency protocol, del quale si indagherà il contenuto, la funzione, la natura giuridica e gli effetti che da esso derivano.