Il Porto di Trieste gode di una serie di vantaggi operativi ed economici dettati da una serie di norme legislative speciali che costituiscono per lo stato italiano un obbligo di natura internazionale. Il lavoro propone la disamina del percorso storico che ha portato all'istituzione di tali provvedimenti. Partendo dalla genesi storica del Credito Doganale per il territorio di Trieste del 1856, analizzando il Trattato di Pace di San Germano, i decreti De Stefani, il D.P.R. 23.01.1973 n. 43 vengono considerati i diversi presupposti e requisiti per la concessione del credito doganale rispetto al differito doganale. Si giunge infine al Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 3 dicembre 2004 attestante il successo delle azioni intraprese dall'Autorità Portuale di Trieste per ottenere un meccanismo automatico di riduzione del saggio di interesse per il credito doganale triestino. L'aggancio automatico al tasso Euiribor consente l'adeguamento costante ed automatico del tasso agevolato alla realtà del mercato finanziario senza la necessità di provvedimenti ministeriali.
Mode of access: Internet. ; Issued by: Direzione generale delle gabelle, 1900-06; Ufficio trattati e legislazione doganale, 1907-Nov.1931; Ufficio trattati e della politica doganale e commerciale con l'estero, Dec. 1931-1935.
Le grandi città globali non sono più gli unici contesti per la competizione territoriale: l'Italia è un importante esempio di un nuovo sistema di piccole e medie città, una sorta di arcipelago di spazi tenuti insieme da identità locali, animato dalle comunità, ma frenati da geografie impervie. L'articolo definisce come un territorio può applicare protocolli e azioni innovativi per la sfida dell'Italia interna. Questa "Inner Italy" può essere una piattaforma per l'innovazione locale, lo sviluppo sostenibile, la resilienza ecologica e sociale e la coesione territoriale, come mostrato nella letteratura internazionale, in riferimento sia al Territorio-Arcipelago (Carta, 2016), sia ai contesti urbani (Schröder et al., 2016). Il Belìce, in Sicilia, è l'esempio di questa nuova visione spaziale e relazionale come è evidente in uno dei suoi nodi urbani più celebri: Gibellina.
La tesi analizza il rapporto del credito fondiario con l'evoluzione della disciplina bancaria (cfr.§1) e la despecializzazione dettata dall'evoluzione normativa europea; la nascita dell'istituto con la legge 2983 del 1866; l'evoluzione legislativa che ha come chiave di lettura il Testo Unico r.d. 646 del 1905. Quest'ultimo poneva una serie di garanzie a tutela della banca in materia di esecuzione (artt. 40 ss. T.U. del 1905), circa i rapporti con il fallimento (art. 18 e art. 41 T.U. del 1905), in tema di anatocismo (art. 38 T.U. del 1905). Attraverso l'analisi delle disciplina attuale, artt. 38-41 T.U.B. si mettono in luce i privilegi che ancora oggi caratterizzano il credito fondiario e in particolare i rapporti con il fallimento (cfr.§4): 1. l'art. 39 IV comma, primo periodo, T.U.B. prevede l'esenzione dalla revocatoria per la concessione di ipoteche a garanzia del finanziamento. 2. Sempre l'art. 39 IV comma, secondo comma, prevede l'esenzione dalla revocatoria per i pagamenti effettuati dal debitore a fronte di crediti fondiari (cfr.§3 par.5). 3. L'art. 41 II comma sancisce la possibilità per gli istituti di credito di poter continuare o iniziare l'esecuzione individuale pur in presenza del fallimento del debitore (cfr.§4 par.4) L'analisi mira ad una valutazione della legittimità di tali privilegi in passato giustificati dall'esistenza delle cartelle fondiarie (cfr.§1 par.7). La Corte Costituzionale, è stata chiamata più volte ad esprimere un giudizio di legittimità costituzionale con le sentenze 166/1963, 61/1968, 211/1976 e 249/1984 ed ha giustificato la disciplina ritenendola funzionale da un lato ad evitare la paralisi del mercato finanziario immobiliare poiché le banche sono tutelate dal rischio di inadempimento delle rate da parte dei mutuatari, dall'altro a favorire l'accesso al credito sia a chi vuole investire nell'acquisto di una casa sia a chi, essendone già proprietario, vuole realizzare ulteriori investimenti non essendovi il vincolo di destinazione del mutuo.
This book presents the proceedings of the conference held on 12 March 2004 at the "Il Momento" theatre in Empoli. The aim of the conference was to explore the significant aspects of the presence of the University of Florence in the Empoli-Valdelsa area, involving the Faculties of Agriculture, Architecture, Economics, Engineering, Medical Surgery and Mathematical, Physical and Natural Sciences. This presence is a response to the plan for a progressive consolidation of the University in the Florentine metropolitan vast area, in line with functional settlement logic and integrally connected with the specific economic and social demands of the territory. - Il volume raccoglie gli atti del convegno tenutosi il 12 marzo 2004 presso la Sala Teatro "Il Momento" di Empoli. Il convegno ha inteso approfondire gli aspetti pregnanti della presenza dell'Università di Firenze nel territorio empolese-valdelsa che vede impegnate le Facoltà di Agraria, Architettura, Economia, Ingegneria, Medicina e Chirurgia e Scienze Matematiche Fisiche e Naturali. Tale presenza risponde a un disegno di progressivo consolidamento dell'Università nella vasta area metropolitana fiorentina secondo logiche di insediamento funzionali e connesse alle specifiche esigenze economiche e sociali del territorio.
Il reato di ricorso abusivo al credito ha origini antiche. Infatti, risulta ormai dato acquisito che in molti casi, il sostegno finanziario ad un'impresa in crisi, anziché condurre ad un superamento della stessa comporta un ulteriore aggravamento con conseguenti pregiudizi sia per l'imprenditore che assiste ad un progressivo depauperamento del proprio patrimonio sia per i creditori che subiscono una riduzione della massa attiva su cui far valere le proprie ragioni. Ed invero solo così ben si comprende la ragione per la quale il reato in parola ha costituito e costituisce uno dei cardini del diritto penale dell'economia. Già previsto dall'art. 586 n. 3 del codice di commercio del 1882 come ipotesi di bancarotta semplice, è divenuto figura autonoma soltanto con la legge fallimentare (R.D. 267/1942). Per altro, la disciplina delle procedure concorsuali, riformata con i provvedimenti legislativi del 2005 e del 2006 non ha sfiorato l'impianto penalistico fallimentare, mentre la legge per la tutela del risparmio n. 262/2005 ha riscritto il reato di ricorso abusivo al credito. Il legislatore, pertanto, ha scelto di modificare un reato minore e di scarso riscontro giurisprudenziale, così dando l'impressione di eludere quell'ampia riflessione sul sistema penal-fallimentare, auspicata da varie proposte di riforma. Nei lavori preparatori non si dà peraltro conto delle ragioni che hanno portato il legislatore a riscrivere la fattispecie né si rinvengono spiegazioni in ordine alle modifiche apportate. In particolare non emerge nessuna preventiva discussione in merito all'inciso "al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti", che solleva non poche perplessità interpretative. Ed infatti la riscritta fattispecie incriminatrice ha introdotto novità che toccano molteplici aspetti del reato: l'ampliamento della categoria di soggetti attivi, il presupposto della condotta illecita, l'inasprimento delle sanzioni, l'eliminazione della clausola di riserva e, parrebbe, la qualificazione del ricorso abusivo al credito come reato non necessariamente fallimentare. Ragionando su tali modifiche, i problemi esegetici che sollevava la fattispecie ante riforma risultano non solo irrisolti ma analizzando l'odierna formulazione appaiono ancora più difficili da sciogliere. Nel lavoro verranno analizzati tutti gli aspetti segnalati della riforma ma ci si concentrerà sull'aspetto più dibattuto e cioè sul fatto che tale delitto si perfezionerebbe anche in assenza di fallimento. Tuttavia, per comprendere tale aspetto problematico, in via preliminare va analizzato l'elemento oggettivo della fattispecie. Ed invero la condotta si compone di due elementi: il ricorso al credito e la dissimulazione del dissesto o dello stato di insolvenza che qualifica come abusiva una condotta in sé lecita. Tale struttura dell'illecito, giustamente definito a condotta mista, non è stata intaccata nella sua sostanza dalla riforma, la quale si è solo limitata a precisare il presupposto della dissimulazione penalmente rilevante, stabilendo che essa può avere a oggetto, oltre al dissesto, anche lo stato di insolvenza del debitore. Il senso e l'utilità di quest'ultima precisazione rimangono tuttavia incerti in quanto se da un lato la legge fallimentare definisce l'insolvenza, dall'altro si rileva la mancanza di un disposto che definisca i contorni del dissesto. Secondo parte della dottrina la novella introdotta avrebbe messo a tacere i contrasti dottrinali sorti in passato circa il significato da attribuire al termine dissesto, avendo chiarito che si tratta in realtà di due nozioni chiaramente alternative nell'economia della fattispecie. Pertanto, il soggetto dissestato si troverebbe in una condizione meno grave di un soggetto insolvente: quest'ultimo è prossimo al fallimento, non essendo più in grado di onorare i propri debiti, mentre il primo non lo è, in quanto è certamente afflitto da uno squilibrio finanziario per la prevalenza del passivo sull'attivo ma non si trova in una situazione irreversibile. Altra dottrina ritiene invece che il dissesto rappresenterebbe il nucleo duro o stabile dell'insolvenza, ossia l'evento dato dall'eccedenza del passivo sull'attivo definito come evento "bidimensionale" nel senso di una sua misurabilità sia temporale che quantitativa. Il concetto di insolvenza invece sarebbe più ampio, cioè non si esaurirebbe nello squilibrio patrimoniale ma si riempirebbe di contenuti più sfumati ed andrebbe a coincidere con il discredito capace di bloccare il fisiologico protrarsi dell'attività d'impresa. Tali orientamenti, per quanto suggestivi, non sembrano condivisibili, in quanto il legislatore in realtà non sembra distinguere le due ipotesi: ciò che rileva è, più semplicemente, l'incapacità a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, vale a dire un impedimento funzionale dell'impresa, che sussiste sia in caso di eccedenza del passivo sull'attivo, sia in caso di mancanza di liquidità. Pur tuttavia, come detto, l'intervento legislativo che suscita maggiori difficoltà ermeneutiche è proprio rappresentato dall'inciso "anche al di fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti". Ed infatti secondo alcuni autori la formula andrebbe intesa come espresso riconoscimento del principio secondo cui il ricorso abusivo al credito, nonostante la sua collocazione nell'ambito dei reati commessi dal fallito, si configurerebbe indipendentemente dalla dichiarazione di fallimento. Una linea interpretativa, questa, che troverebbe ulteriore conferma anche nell'ampliamento dei soggetti attivi direttamente considerati dalla norma. A tale indirizzo, tuttavia, si contrappone un altro orientamento che ritiene invece che l'area di operatività dell'art. 218 l. fall. continui, tutt'ora, a essere implicitamente delimitata dalla dichiarazione di fallimento sulla base della considerazione che non sembrano venute meno le ragioni che avevano indotto il legislatore ad annoverare la fattispecie tra quelle per cui il fallimento funge in realtà da condizione obiettiva di punibilità. Ed infatti se è vero che il legislatore ha ampliato il novero dei soggetti attivi riducendo i rischi di disparità di trattamento, è altrettanto vero che l'estensione, ad una attenta analisi, si rivela parziale, rimanendovi ancora fuori l'institore e i soci illimitatamente responsabili che continuerebbero a rispondere di ricorso abusivo al credito solo nel caso di fallimento dell'impresa o della società per espressa e incontrovertibile previsione legislativa che non fa altro che svelare l'irragionevolezza dell'art. 218 l. fall. laddove venga interpretato come reato non necessariamente condizionato. A ciò si aggiunga poi che il legislatore ha scelto di non mutare la collocazione sistematica dell'art. 218 inserendolo tra i reati contro il patrimonio così come sarebbe stato corretto ove si fosse ritenuto che la sua consumazione prescinde dalla dichiarazione di fallimento. In ogni caso accedendo alla prima tesi si estenderebbe troppo l'area della responsabilità rendendo ad esempio sanzionabili anche ad esempio il piccolo imprenditore che per definizione non è assoggettabile a fallimento e l'imprenditore che ha saputo poi adempiere il credito pur abusivamente ottenuto. Tutto ciò creerebbe uno squilibrio ingiustificato tra la ratio di politica criminale dell'intervento riformatore volto ad inasprire il regime sanzionatorio della fattispecie e le istanze garantistiche che dovrebbero presiedere ogni riforma penalistica. Ma vi è di più: l'art. 218 non può prescindere da un disvalore di evento, ed è questa la tesi principale del lavoro, che per ragioni di semplificazione processuale il legislatore qualifica come condizione obiettiva di punibilità. Né tale soluzione sembra essere in contrasto con il tenore letterale della vigente disposizione incriminatrice, la quale, al di là di talune persistenti ambiguità, deporrebbe anzi a favore dell'esistenza di un reato condizionato.