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Dalla città storica alla città digitale: aspetti economici ed urbanistici delle città portuali
Lo stimolo più ambizioso per i pianificatori di sistemi urbano-portuali è sempre stato quello di riprogettare lo sviluppo del waterfront. Questo perché nel corso degli anni si è sempre più ripetuto il fenomeno delle vecchie aree portuali dismesse, che, a causa dei più diversi motivi, risultavano inadatte allo sviluppo delle attività portuali di matrice classica. In tutte le città (di mare e non) veniva privilegiato un rapporto di relazione interna anche se nel caso delle città portuali, grazie alla nascita di specifiche funzioni di emporialità, questo problema risultava di minore entità. Lo scambio di tutte le attività e dei servizi viene pesantemente influenzato dam strategie politiche ed economiche anche non strettamente interconnesse con la variabile spaziale. E' sul modello post -Fordista che si comincia a delineare la prima forma di città digitale. Il modello Fordista vive una grossa crisi in quanto segna una variazione dei rapporti tradizionali tra le città europee. Il recupero del territorio costiero deve essere finalizzato agli aspetti funzionali, di riuso di queste aree di notevole pregio. Lo sviluppo delle città portuali nasce da queste considerazioni che nelle città del XXI° secolo delineano un confine tra città storica e città digitale che forse, a tratti, non c'è più.
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Città Bene Comune e Diritto alla Città
Molti dei problemi che vive la città contemporanea sono generati da privatizzazioni, "enclosures" dei beni comuni, monetarizzazione della qualità della vita e speculazione edilizia. Nel 2008 è iniziata la crisi economico-finanziaria (non a caso a partire dai mutui sulla casa), che si è andata ad aggiungere alle altre crisi in corso: ambientale e climatica, della democrazia rappresentativa, dello spazio pubblico etc. Una delle conseguenze della crisi economica è l'impoverimento generale delle persone, che avrebbero sempre più bisogno dei servizi pubblici. L'impoverimento, specialmente con la crisi del debito, avviene anche a livello dei governo locali e nazionali. Una delle soluzioni individuate è la decisione di vendere parte del patrimonio pubblico per raccogliere il denaro necessario a garantire i servizi di base o per ripagare i creditori internazionali (un esempio è il decreto 1 del 2012 del Governo Monti che ha deciso la vendita dei terreni agricoli demaniali). Questa situazione porta a un generale indebolimento delle amministrazioni locali, che in alcuni casi vengono sostituite dagli abitanti auto-organizzati nella fornire servizi di base. Il "diritto alla città" - come inteso da Lefebvre nel suo libro del 1969 (Lefebvre, 1969) – è un "diritto di secondo livello", intendendo con questo che è composto di altri diritti: diritto alla casa e all'abitare, di incontrare altre persone, diritto al gioco, alla mobilità, alla sicurezza e all'avventura (ma non si sono esauriti). È possibile dare una risposta a questi diritti solo se la risposta non è compito dei privati o del "mercato", ma se la città viene intesa come prodotto collettivo – un bene comune. Anche lo spazio, che può essere inteso come bene comune in quanto risorsa limitata, è strettamente connesso col diritto alla città. Attraverso la speculazione edilizia e altre operazioni di commercializzazione dello spazio comune si assiste a una progressiva "enclosure" anche dello spazio urbano. Di fronte a questo si possono identificare delle azioni di costruzione comunitaria e cura di spazi pubblici (Paba, 2010, Cellamare 2012), come ad esempio orti urbani e giardini condivisi, che le amministrazioni (Milano, Torino, Genova tra le altre) tendono a incoraggiare. Alcuni individuano in queste pratiche alcune criticità, che derivano dalla progressiva delega delle amministrazioni del loro ruolo, altri vedono in queste pratiche un processo di riconquista della città da parte dei cittadini. Senza dubbio è quindi necessario trovare un equilibrio tra il protagonismo dei cittadini, che in molti casi forniscono delle risposte migliori e meno standardizzate di quelle dell'amministrazione, e la responsabilità del governo locale che potrebbe giocare un ruolo di sostegno e catalizzazione delle pratiche.
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Città Lineare
Lo sviluppo lineare costituisce un modello naturale di crescita urbana, storicamente sedimentato, traccia immanente di una morfologia insediativa divenuta oggetto di speculazione teorica per la produzione di piani e modelli di città. La presenza di un elemento ordinatore infrastrutturale, naturale o artificiale, è la caratteristica precipua dei modelli urbani lineari. Come molti schemi semplificatori della realtà, le teorie lineari costituiscono generalmente proposte di nuove organizzazioni sociali e politiche, a partire dall'incorporazione delle infrastrutture legate a nuove tecnologie di trasporto e comunicazione.
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Città italiana e città europea: ricerche storiche
In: Cliopoli : città, storia, identità 6
Dalla città diffusa alla città diramata
In: Collana di sociologia urbana e rurale 64
Dalla città capitalistica alla città sostenibile
In: Democrazia e diritto: trimestrale dell'CRS, Band 36, Heft 4, S. 247-272
ISSN: 0416-9565
La città dell'utopia: dalla città ideale alla città del terzo millennio
In: Civitas Europaea
Vecchie città - città nuove: Concezio Petrucci 1926-1946
In: Architettura e città 13
Immagini della città, idee della città: città nella Sicilia; (XVIII - XIX secolo)
In: Universitates saggi
La città dopo la città? (D. Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, 2013)
In: Sociologia urbana e rurale, Heft 103, S. 141-147
ISSN: 0392-4939