I social media sono sempre più utilizzati nella comunicazione politico-elettorale poiché consentono l'interazione disintermediata con gli elettori, la loro profilazione attraverso l'analisi dei big data, l'invio di messaggi personalizzati e persino la manipolazione della pubblica opinione attraverso pratiche eticamente scorrette. All'assenza di regole pensate specificamente per i media digitali, l'Unione europea ha reagito incentivando la volontaria adesione a codici di condotta, finalizzati a promuovere la trasparenza dei messaggi politici e, più in generale, l'attendibilità delle informazioni. [Testo dell'editore]
Attraverso un inquadramento costituzionale dei social network e l'approfondimento del regime di responsabilità previsto per gli intermediari digitali, si cerca di capire se e in che modo le norme giuridiche esistenti, o quelle auspicabili in prospettiva de jure condendo, possano offrire soluzioni valide per ovviare ai principali problemi che l'enorme diffusione di questa forma di comunicazione pone. [Testo dell'editore]
I social media sono sempre più utilizzati nella comunicazione politico-elettorale poiché consentono l'interazione disintermediata con gli elettori, la loro profilazione attraverso l'analisi dei big data, l'invio di messaggi personalizzati e persino la manipolazione della pubblica opinione attraverso pratiche eticamente scorrette, quali i dark ads e i social bots. In tal modo le piattaforme digitali hanno acquisito un enorme potere di sorveglianza sulla genesi di idee e opinioni e sui processi comunicativi. All'assenza di regole pensate specificamente per i media digitali e alla difficoltà di applicare ad essi quelle dettate anni fa per la propaganda politica attraverso i media tradizionali, l'Unione europea ha reagito incentivando la volontaria adesione a codici di condotta, finalizzati a promuovere la trasparenza dei messaggi politici e, più in generale, l'attendibilità delle informazioni. L'autodisciplina, però, è una soluzione inefficace, se non è integrata da norme vincolanti – auspicabilmente di livello europeo – che stabiliscano alcuni principi comuni, a garanzia della libera formazione e manifestazione del pensiero, anche in ambito politico.
Dal 1° gennaio 2017 è in vigore il regolamento UE n. 1141/2014 del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee, che ha sostituito la precedente normativa (regolamento n. 2004/2003, successivamente modificato dal regolamento n. 1524/2017). Il regolamento del 2014 ha suscitato un certo interesse in dottrina, anche da parte di chi scrive, soprattutto nella fase antecedente alla sua approvazione o coincidente con essa, anche per talune analogie che molti commentatori hanno rilevato con la coeva normativa italiana partiti politici (decreto-legge n. 149/2013, convertito in legge n. 13/2014). Non è stata invece prestata analoga attenzione momento dell'entrata in vigore del regolamento europeo. Eppure, la campagna elettorale per le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo di maggio 2019 è la prima cui i partiti politici europei parteciperanno come soggetti configurati secondo le nuove regole. Regole che quindi, dato l'approssimarsi dell'appuntamento elettorale, vale certamente la pena di prendere in esame e commentare. In particolare, questo scritto si concentrerà sulle norme relative allo status del partito politico europeo e sui requisiti necessari per ottenerlo, sorvolando invece sugli aspetti connessi al finanziamento pubblico e privato, per i quali si rimanda ad altri autorevoli contributi. Da questo inizio di campagna elettorale, la sensazione è quella che il peso specifico delle innovazioni normative costituite dall'entrata in vigore del regolamento 1141/2014 e dal successivo regolamento 2018/673 sarà scarso e non modificherà di molto lo status quo: muchadoabout nothing?