Les conférences de cette année ont porté sur la construction de la mémoire de la part de l'évêché d'Alexandrie comme une forme de renforcement et de développement de l'institution patriarcale. Après quelques considérations épistémologiques concernant les différents types de sources utiles pour l'histoire des structures ecclésiastiques égyptiennes, les conférences visent à démontrer le lien étroit entre le développement historique du Patriarcat, dans ses relations avec l'Égypte et la Méditerranée, et la formation de son identité et de sa mémoire historique : l'articulation temporelle, la légitimité de la juridiction sur la Cyrénaïque et les autres régions, la parenté particulière du patriarcat avec le pouvoir politique, s'expriment à travers des documents, des récits historiques, des légendes, des figures de saints, qui changent au fil du temps, tout en conservant des éléments idéologiques constants.
Il metodismo, denominazione protestante nata nell'Inghilterra del Settecento per impulso del pastore anglicano John Wesley, quindi diffusasi negli Stati Uniti e in diversi luoghi di missione nel resto del mondo, giunse in Italia nel contesto risorgimentale e post-risorgimentale delle aspettative per una riforma religiosa che completasse quella politica avvenuta con l'unificazione nazionale. I missionari della Chiesa metodista britannica (wesleyana) avviarono l'attività nella Penisola nel 1861; quelli della Chiesa metodista episcopale statunitense arrivarono nel 1871, a seguito del "venti settembre". Ne derivò, nel giro di pochi anni, l'istituzione di due Chiese metodiste in Italia, che si uniranno nel 1946. La tesi, avvalendosi sia di fonti archivistiche inedite sia di fonti edite (tra cui i periodici) ma scarsamente o per nulla esaminate dalla storiografia, traccia un profilo storico-religioso del metodismo in Italia, affrontando il periodo che va dall'Unità nazionale (1861 e contesto) agli anni degli stretti rapporti che le denominazioni metodiste ebbero con Ernesto Buonaiuti (morto nel 1946), tra il primo dopoguerra e il secondo conflitto mondiale. Buonaiuti, figura chiave del modernismo cattolico italiano e accademico di rilievo internazionale nel campo della storia del cristianesimo e delle religioni, scrisse sul metodismo e collaborò a lungo con i metodisti italiani; la Chiesa wesleyana, in particolare, nei primi anni Trenta gli affidò una cattedra di studi neotestamentari nella propria Facoltà Teologica, oltre a investirlo ufficialmente della facoltà di predicare dai propri pulpiti. Dal 1926 egli era scomunicato vitando, e dal 1931 aveva perso anche la cattedra all'Università di Roma, a causa del mancato giuramento al regime. La ricerca intreccia storia degli avvenimenti e storia delle idee, collocando il metodismo italiano nel contesto storico e culturale del periodo in oggetto, rintracciandone le relazioni (esplicite e implicite, fattuali e intellettuali) con tradizioni e personaggi protestanti, cattolici, o del mondo accademico "laico", nonché verificando il suo posizionamento rispetto ad eventi cruciali come la Grande Guerra. Ampio spazio viene dedicato qui ad approfondire la produzione storico-teologica di questa denominazione, innovando così rispetto alla bibliografia specifica, che aveva focalizzato piuttosto la dimensione pratica del metodismo, mettendo in luce l'attività di evangelizzazione e le "opere sociali". Ma da una nuova, integrale riconsiderazione delle fonti emerge che, all'interno del metodismo italiano, vennero compiuti tentativi di approfondimento storico e teologico, soprattutto del pensiero di John Wesley e della storia delle origini del metodismo (ma, in misura minore, anche di altri momenti della Riforma), come pure vi fu una determinata, importante ricezione di testi e motivi patristici o del cristianesimo delle origini (in ciò riattualizzando proprio un'istanza wesleyana). Emergono, ad esempio, figure di intellettuali come Pietro Taglialatela, Enrico Caporali, Teofilo Gay. Questo studio tenta di indagare contesti, modalità e significato di tali nodi storici e teoretici.
Lo studio riguarda la committenza dei Ventimiglia, un'importante famiglia aristocratica di origine ligure, protagonista di larga parte della storia siciliana medievale, con la finalità di approfondire il legame tra il casato e la città di Cefalù, posta sulla costa tirrenica della Sicilia. Il centro, di antica origine, deve la sua prosperità e notorietà alla fondazione nel 1131 della cattedrale a opera del primo re di Sicilia, il normanno Ruggero II, e alla conseguente istituzione di una nuova sede vescovile, in posizione baricentrica tra le grandi diocesi di Palermo e Messina, nello spartiacque tra la parte occidentale e orientale dell'isola. I Ventimiglia, tra i più antichi casati nobiliari siciliani, sebbene fossero titolari di una vasta signoria nell'entroterra cefaludese, sul complesso montuoso delle Madonie, comprendente molti centri abitati, sin dal loro arrivo in Sicilia, alla metà del Duecento, hanno mostrato un vivo interesse per la città portuale di Cefalù, fino ad allora esclusivo appannaggio del vescovo locale. I giudizi antitetici che le fonti storiche hanno tramandato su di loro, definiti «defensores et filii spirituales» della Chiesa cefaludese e al contempo tiranni, «semper invasor rerum ecclesiasticarum», restituiscono in modo esemplare i due lati della stessa medaglia, che bene esemplifica il complesso rapporto tra le due maggiori forze presenti in città nel medioevo. Di fatto l'insediamento dei Ventimiglia si è attuato proprio a danno dei possedimenti e dei diritti della Chiesa e la loro presenza risulta così determinante nelle vita politica e sociale, che la storia della città, dalla metà del XIII secolo alla metà del XV, può identificarsi con le vicende del casato. L'arco temporale preso in esame è compreso tra la metà del Duecento, al tempo dell'arrivo in Sicilia dei primi esponenti della famiglia, e la fine del Trecento, quando, ristabilita l'autorità regia dopo una lunga fase di anarchia feudale, i Ventimiglia spostarono i loro interessi verso le città feudali dell'entroterra e poi verso Palermo, la capitale del regno. I capisaldi cronologici sono stati fissati nel 1247, probabile anno del matrimonio di Enrico, conte della città ligure di Ventimiglia, con Isabella Candida, erede del dominio territoriale madonita, primo nucleo della futura contea ventimigliana e nel 1398, anno in cui Antonio, uno degli ultimi esponenti della famiglia presenti in città, dopo aver occupato militarmente Cefalù ottenne l'indulto dal re Martino I d'Aragona. Dal quadro delle vicende sociali e urbane cefaludesi di questo periodo emergono come personaggi chiave Enrico Ventimiglia e il nipote Francesco II; il primo, forte del sostegno degli ultimi esponenti della dinastia sveva in Sicilia e in particolare di re Manfredi, depredò molti dei beni e dei proventi chiesastici, ma al contempo fu anche il committente dei lavori che conclusero il lunghissimo cantiere della cattedrale nel 1267 e la sua residenza cittadina, l'Osterio magno, palesò in forme concrete il nuovo potere laico presente in città. Nel secolo successivo, epoca dell'ascesa delle grandi famiglie feudali siciliane, la Chiesa cefaludese subì un'ulteriore erosione delle sue prerogative sul territorio e i Ventimiglia acquisirono il pieno controllo della città con Francesco II, che nel 1358 assunse la capitania di Cefalù. Obiettivo dello studio è stato quindi l'individuazione delle possibili ricadute sull'assetto urbano e sui principali manufatti architettonici, finora tracciate a grandi linee dalla storiografia e fuori dal quadro complessivo della storia familiare, nel tentativo di delineare un bilancio della committenza architettonica e artistica dei Ventimiglia a Cefalù. Le vedute urbane, come l'incisione di Benedetto Passafiume del 1645 [fig.5], ancora in epoca moderna evidenziano le due più rappresentative emergenze architettoniche della città: la cattedrale e l'Osterio magno, che spiccano nettamente dal restante tessuto urbano e segnano le due polarità contrapposte, ecclesiastica l'una e laica l'altra, teatro delle vicende che in più occasioni videro protagonisti i Ventimiglia e che sono oggetto principale di questo studio. La cattedrale, frutto della felice stagione architettonica inaugurata in Sicilia dai Normanni, presenta nella sua lunga e complessa storia costruttiva molti nodi problematici e irrisolti; nella rilevante mole di studi, avviati sin dal XIX secolo, si avverte come il prestigio della fondazione normanna abbia relegato in una posizione marginale le fasi conclusive del cantiere, riguardo al quale i Ventimiglia risultano invece aver avuto un ruolo molto rilevante. La fine della dinastia normanna aveva, infatti, determinato una fase di stasi nel cantiere, che si sarebbe protratto fino alla metà del Duecento. La ripresa dei lavori risulta documentabile solo dopo il 1254, anno della nomina episcopale di Giovanni II, ma il committente di questi lavori di restauro e di completamento, che sfociarono nella consacrazione del 1267, non fu un ecclesiastico, bensì il nobile Enrico Ventimiglia. Sebbene nella letteratura storiografica egli sia ricordato solamente come promotore del restauro del tetto, intervento documentato da due iscrizioni paleografiche dipinte sulla passerella che corre lungo la navata mediana, alcuni significativi indizi suggeriscono un ruolo effettivo di maggiore importanza nella fabbrica. Le tavole della passerella, la cui decorazione pittorica segna uno stacco netto dal repertorio figurativo del soffitto di epoca normanna, mostrano alcuni disegni a carattere architettonico finora trascurati dalle critica, tra cui la facciata di un edificio ecclesiastico, affiancata dagli stemmi araldici ventimigliani; le evidenti assonanze con la parte superiore del prospetto costruito hanno indotto ad approfondire le ricerche anche in tale direzione, per verificare le possibili tangenze fra le raffigurazioni della passerella e il completamento della fabbrica. Nel quadro degli interventi duecenteschi, inoltre, si è cercato di sciogliere anche il nodo relativo alla cappella gentilizia del casato all'interno della cattedrale, documentata per tutta l'epoca medievale e smembrata dopo il Concilio di Trento. Investendo le cospicue ricchezze derivanti dai possedimenti madoniti e dalle usurpazioni sistematiche ai danni della Chiesa, i Ventimiglia riuscirono ad edificare una magniloquente dimora, nota come Osterio magno, lungo l'asse urbano maggiore, collegamento obbligato fra il piano della cattedrale e la porta principale della città. Notevolmente ridimensionata nell'estensione e trasformata da secolari manomissioni, la residenza conserva l'imponenza dell'edificio nobiliare del tempo, mostrando nelle fabbriche che si snodano ad angolo dell'antica via regia la complessità della sua storia costruttiva, ancora non del tutto chiarita. Si è rivelata l'urgenza, quindi, di fissare con maggiore precisione i limiti temporali relativi alle diverse fabbriche del complesso e individuare i modelli tipologici di riferimento e i possibili nessi con il contesto d'origine dei Ventimiglia. L'edificazione dell'Osterio magno, con le sue torri a cavallo della via principale, segnò un nuovo punto nodale e creò un nuovo fulcro nella compagine cittadina medievale, fino ad allora condensata attorno alla cattedrale, ma per comprendere appieno la strategia insediativa adottata dai Ventimiglia si è cercato di identificare e ubicare correttamente anche gli altri possedimenti citati dalle fonti documentarie: la torre sulle mura, il balneum con le sue sorgenti d'acqua, i giardini e le vigne. L'indirizzo metodologico seguito nella ricerca si è così snodato: la preliminare ricognizione delle fonti bibliografiche al fine di tracciare il bilancio storiografico sulle tematiche in esame, sebbene in taluni casi esse si siano rivelate ristrette all'ambito prettamente locale; la revisione critica delle fonti documentarie, a volte resa necessaria da interpretazioni forzate, spesso assorbite dalla tradizione storiografica; lo studio sistematico di diversi fondi archivistici, custoditi presso varie istituzioni; l'indagine diretta sui manufatti architettonici e l'analisi metrologica; la raccolta e l'esame delle fonti iconografiche inedite o poco studiate.