Il concetto di "rifondazione" è alla base di quella parte della cultura più illuminata dell'epoca fascista. La proiezione verso il futuro nella proposta di una nuova modernità alternativa, presente nel pensiero di alcuni protagonisti della politica culturale degli anni Venti e Trenta quali Giuseppe Bottai, Antonio Pagano, Sergio Panuzio e della letteratura quali Massimo Bontempelli o lo stesso Filippo Tomaso Marinetti, può essere messa in relazione i "miti" e le idealità del lontano e più recente passato: dall'originario primordiale alla rivoluzione francese. Nell'opera degli artisti italiani degli anni Trenta il connubio moderno-antimoderno può essere assunto quale chiave di lettura di una comune matrice culturale che supera le convenzioni e gli stereotipi e che permette di andare non solo oltre la distinzione astratto e figurativo, ma anche oltre le categorie di avanguardia e di ritorno all'ordine. Tali concetti verranno esemplificati attraverso l'esperienza della rivista "Valori Primordiali" e del Gruppo Primordiali Futuristi, al fine di dimostrare come sia possibile affermare che alcuni motivi ispiratori dell'arte, della letteratura e del progetto architettonico degli anni Trenta, al di là delle convinzioni politiche individuali, ponessero al centro il tema appunto della "rifondazione" della cultura e della società più in generale. Così si spiega anche la promozione di un'arte come quella murale. I principi ispiratori di tale rifondazione, che pongono l'arte come una chiave di lettura del mondo, verranno inoltre analizzati in continuità con quanto avverrà negli anni a seguire, soprattutto in quelli in cui il rapporto arte-società diventerà imprescindibile nelle forme, per citare una formula della Biennale del 1976, di arte "come ambiente sociale". ; The concept of "recreating" is at the basis of the most enlightened culture during the fascist era. The yearning towards the future, and the proposal of a new, alternative modernity, as witnessed in the works of eminent cultural and political figures of the 1920s and 1930s - such as Giuseppe Bottai, Antonio Pagano, Sergio Panuzio, as well as writers Massimo Bontempelli and Filippo Tomaso Marinetti – can be connected to the "myths" and ideals of a both a remote and a more recent past: from the primordial origins to the French Revolution. In the work of Italian artists of the 1930s, the modern-antimodern conjunction can be assumed as a key to a common cultural matrix that overcomes conventions and stereotypes and accounts for an overcoming not only of the abstract-figurative distinction, but also of categories such as avant-garde and "rappel a l'ordre". These concepts will be exemplified through the experience of the journal "Valori Primordiali" and the group of Artisti Primordiali Futuristi, in order to show how several motifs in the art, literature and architectural design of the 1930s, regardless of the political ideas of the individual, centered on the theme of the "recreation" of culture and society in general. This also explains forms of art such as mural painting. The inspirational principles of such recreation, which place art as a key element for the understanding of the world, will also be analyzed in continuity with what happened in later years, especially as the drive towards society became indispensable in the forms of art as – to quote a formula from the 1976 Biennial – "a social environment".
Il volume intende proporre una lettura inedita dell'arte degli anni Trenta in Italia attraverso la presentazione di un movimento artistico che poggia teoricamente la sua costituzione sulle idee primordialiste elaborate da alcuni intellettuali e artisti guidati dal filosofo Franco Ciliberti (Laglio 1905-Como 1946) teorizzatore, appunto, del primordialismo e fondatore di una rivista nel 1938 e di un gruppo nel 1941, che riuniva quelle figure di intellettuali, artisti, architetti e letterati a suo parere riconducibili a una comune idealità primordiale. Le iniziative di Ciliberti si intersecano con la storia, la politica e l'estetica e si offrono quale occasione per riflettere sulla possibilità di individuare, nel panorama artistico italiano e internazionale, una linea dell'arte che univa filosofia, creatività e progettazione. Nel volume vengono ricostruite le iniziative e si riflette sull'elaborazione delle idee, mettendo in evidenza aspetti e intersecazioni tra opere e teorie estetiche. Il primordialismo può così configurarsi come una lettura alternativa dell'arte degli anni Trenta rispetto al realismo magico, all'astrazione e al futurismo, con i quali si confronta, ma dai quali allo stesso tempo si distingue. ; The book intends to propose an unpublished reading of the art of the Thirties in Italy through the presentation of an artistic movement that theoretically bases its constitution on the primordialist ideas elaborated by some intellectuals and artists led by the philosopher Franco Ciliberti (Laglio 1905-Como 1946), theorist of primordialism and founder of a magazine in 1938 and of a group in 1941, which brought together those figures of intellectuals, artists, architects and men of letters that in his opinion can be traced back to a common primordial ideality. Ciliberti's initiatives intersect with history, politics and aesthetics and offer an opportunity to reflect on the possibility of identifying, in the Italian and international art scene, a line of art that combined philosophy, creativity and design. The book reconstructs the initiatives and reflects on the elaboration of ideas, highlighting aspects and intersections between works and aesthetic theories. Primordialism can thus take the form of an alternative interpretation of 1930s art to magical realism, abstraction and futurism, with which it is confronted, but from which it stands out at the same time.
La stamperia d'arte di Giorgio Upiglio, che apre ufficialmente nel 1962 nella sede di via Fara 9, nasce a Milano nel fervente clima del dopoguerra in cui si delineano nuove tendenze sia in senso più sperimentale, sia nell'ambito del rinnovamento della pittura, tra "naturalismo lombardo" e "informale segnico-gestuale". La presenza di Wols e di Pollock a Milano - rispettivamente nella galleria del Milione nell'aprile 1949 e alla galleria del Naviglio nell'ottobre 1950 - ma anche il ritorno di Lucio Fontana dall'Argentina non passano inosservati e suggeriscono ai giovani artisti nuove sperimentazioni sulla superficie della tela, che diventa un vero e proprio "campo" d'azione. Anche l'ambito della grafica d'arte non è immune da tale impeto sperimentale. Nello studio di Giorgio Upiglio molti artisti, frequentatori del Bar Giamaica e alcune gallerie storiche come la Galleria del Naviglio, Il Milione o L'Annunciata e letterati, negli anni Sessanta trovano un luogo di incontro dove testare appunto tali nuovi linguaggi e tecniche, ma anche dialogare di arte e di politica, dei fenomeni di una società allora tutta tesa alla rinascita, allo sviluppo, attraversata dal miracolo economico e nello stesso tempo piena di contraddizioni. I pregiati fogli e in particolare i libri d'artista che escono dal torchio della stamperia non riproducono solo immagini, ma costituiscono veri e propri oggetti di sperimentazione, in cui l'immagine si associa alla parola e ai materiali più inconsueti. In particolare, il libro d'artista, diventa una forma di dialogo aperto tra la componente più materiale dell'oggettualità e degli strumenti realizzativi e quella immateriale del segno e della parola: sono luogo di incontro tra artisti figurativi e scrittori, come quello tra Giovanni Patani e Dino Buzzati o Wifredo Lam e René Char. I documenti autografi presenti nel Fondo Giorgio Upiglio dell'Archivio del Moderno a Mendrisio (CH) sono la fonte preziosa di una possibile ricostruzione di questa attività tra anni Sessanta e Settanta non ancora sufficientemente approfondita dalla critica d'arte. ; The art print shop of Giorgio Upiglio, which officially opens in 1962 at the headquarters in via Fara 9, was born in Milan in the fervent post-war climate in which new trends are delineated both in a more experimental sense and in the context of the renewal of painting, between "Lombard naturalism" and "informal sign-gestural". The presence of Wols and Pollock in Milan - respectively in the Milione gallery in April 1949 and at the Naviglio gallery in October 1950 - but also the return of Lucio Fontana from Argentina do not go unnoticed and suggest to the young artists new experiments on the surface of the canvas, which becomes a real "field" of action. Even the field of art graphics is not immune to such experimental impetus. In Giorgio Upiglio's studio many artists, frequenters of the Jamaica Bar and some historical galleries such as the Galleria del Naviglio, Il Milione or L'Annunciata and literati, in the Sixties find a meeting place where they can test these new languages and techniques, but also dialogue of art and politics, of the phenomena of a society then all tending to rebirth, to development, crossed by the economic miracle and at the same time full of contradictions. The precious sheets and in particular the artist's books that come out of the printing press do not reproduce only images, but constitute real experimental objects, in which the image is associated with the word and the most unusual materials. In particular, the artist's book becomes a form of open dialogue between the most material component of objectivity and of the realization tools and the immaterial component of the sign and the word: they are a meeting place for figurative artists and writers, such as the one between Giovanni Patani and Dino Buzzati or Wifredo Lam and René Char. The autograph documents in the Giorgio Upiglio Fund of the Archivio del Moderno in Mendrisio (CH) are the precious source of a possible reconstruction of this activity between the 1960s and the 1970s, not yet sufficiently detailed by the art critic.
Il cosiddetto movimento del '77, già negli anni della sua emersione ricondotto alle esperienze delle avanguardie artistiche del primo Novecento, riconfigurò i dispositivi di produzione-fruizione della cultura producendo un capovolgimento – orientato verso l'autorappresentazione politica dell'emergente proletariato giovanile – delle tradizionali categorie e mediazioni sociali ancora agenti nella società fordista.
Il testo è una prima riflessione, a partire dai precedenti contibuti di Ricci, Gentile e Nicoloso, sull'uso pubblco della storia in Italia e in Europa nella prima metà del Novecento. Anticipa, inoltre, una ricerca crata da chi scrive, sulle mostre d'arte in europa e sul tema della città come palcoscnico dell politica.
Il 21 aprile del 2006, ricorrenza del Natale di Roma, il sindaco Walter Veltroni inaugurò il nuovo Museo dell'Ara Pacis progettato dall'architetto statunitense Richard Meier. L'edificio sostituiva la precedente teca realizzata da Vittorio Ballio Morpurgo, tra il 1937 e il 1938, per la committenza di Benito Mussolini. A far da sfondo alla cerimonia del 2006, accompagnata da molte polemiche, il clima "infuocato" della campagna politica per l'elezione, imminente, del sindaco della capitale. Campagna elettorale che, sia nella costruzione del consenso sia nella creazione di un eventuale dissenso nei confronti della giunta in carica, vide al centro del dibattito elettorale anche l'edificio di Meier. L'autrice, dunque, a partire da questa evidenza, analizza nel saggio l'attenzione da parte della politica nei confronti di un progetto che solo ad una lettura disattenta risulta circoscritto all'archeologia, all'urbanistica e all'architettura. Una riflessione, quella proposta da Gabriella De Marco, sollecitata dagli strumenti metodologici della storia dell'arte. Lo scritto, quindi, non è centrato sull'analisi dell'edificio di Meier, sulle modalità dell'assegnazione dell'incarico e sulle altre questioni tecniche su cui esiste un'ampia e qualificata letteratura scientifica, ma sull'uso della storia, dell'archeologia e dell'urbanistica come forma attuale di comunicazione politica ed elettorale. ; On 21th April 2006, anniversary of the founding of Rome, the Major Walter Veltroni inaugurated the new Ara Pacis Museum designed by the American architect Richard Meyer. The building replaced the previous shrine created by Vittorio Ballio Morpurgo, between 1937 and 1938, and commissioned by Benito Mussolini. Background of the 2006 ceremony, not without controversy, was "the fiery climate" of the political campaign for the election of the Mayor of the city. Election campaign that put in the middle of the political clash, and of the political debate, the Museum designed by Meier. Therefore, in the essay, Gabriella De Marco analyzes the attention by the contemporary politic towards a cultural project that only a distracted reading may narrow to the specific context of the archaeology, the history and the urban planning. The author proposes a reflection conducted through the methodological tools of the history of art. The text, therefore, is not built on the analysis of the Museum of Meier and on the other technical matters, on which there is a wide and qualified scientific literature, but on the use of history, archaeology, and urban planning as a current form of political and electoral communication.
Conferenza a margine della mostra "Canova. I volti ideali", dal titolo "Canova, Elena e Isabella" (5 febbraio 2020, Galleria d'Arte Moderna di Milano, sala da ballo). Un approfondimento sulla scultura canoviana incentrato su quella che fu all'epoca la più celebre e ammirata delle "teste ideali" realizzate da Antonio Canova: il busto di Elena. Dedicato alla più bella delle donne, il busto è l'emblema della bellezza ideale canoviana e al centro di un complesso intreccio che unisce arte, letteratura, poesia e politica. Donato da Canova a Isabella Teotochi Albrizzi, fu ammirato da scrittori e poeti di tutta Europa e cantato da George Byron.
The intervention, included in the panel of the Conference dedicated to the monumental forms of political and cultural identities, proposed the analysis of some artistic decorations of monumental public building made in Sicily during the fascist regime, such as the pictorial cycle of the Palace of the Prefecture of Ragusa, the bas-reliefs of the Casa del Fascio in Messina and the mosaic of the Maritime Station of the same city. The institutional representation of the collective – the Conference's main subject of interest – was considered in the light of traditional themes of fascist ideology, such as Labour, and by episodes related to the local context, such as Mussolini's visits or mythicized historical moments of the island. In the group scenes represented, the tensions between the persistence of individual and regional stylistic intentions and the aesthetic codes of the regime, such as the stylization of the roman past or a certain stylistic rendering of the bodies, were also highlighted. ; La présentation s'inscrivait dans le dernier panel du Colloque, consacré aux formes monumentales des identités politiques et culturelles : étudiant certains grands décors de bâtiments publics construits en Sicile sous le régime fasciste (le cycle pictural du Palais de la Préfecture de Raguse, les bas-reliefs de la Casa del Fascio de Messine, ou la mosaïque de la salle d'embarquement de la gare maritime de la même ville), la représentation institutionnelle du collectif a été analysée à travers les thèmes traditionnels de l'idéologie fasciste (en particulier dans l'idée d'effort commun, pour le travail ou pour le combat). En outre, il a été montré de quelle manière le traitement d'événements comme les visites de Mussolini ou les épisodes du passé local mythifié permettaient aux artistes de proposer des « scènes de groupe » dans lesquelles se négociaient constamment les tensions entre d'un côté les codes esthétiques du régime (stylisation du passé romain et épure des corps), et de l'autre la persistance d'intentions stylistiques individuelles et régionales.
In Sicily, the walls of many public buildings built in the interwar period house scenes related to official events – historical milestones for the fascist government, such as the March on Rome or the creation of the Empire, and episodes referring to the "micro-history" of the island, such as the visits of Mussolini – or which depiction realistic characters evoking the local population in their context. These murals show the dichotomy of "central power/local technocracy", which affects the representation of local contexts, ideally placed within the national framework or, on the contrary, far removed from city centres and immersed in remote countryside. The link between the representation of the Sicilian people and the fascist ideology is expressed in images that link the figure of Mussolini to that of the crowd of peasants, fishermen, women with children or hierarchs: this is the case with the pictorial cycle by Duilio Cambellotti or the mosaic by Michele Cascella. The first decorates the official halls of the Palace of the Prefecture of Ragusa, while the mosaic decoration decorates the embarkation hall of the Messina maritime station, destined for the passage of many Sicilians: leaving their native land and embarking for "the mainland", perhaps the departors should have identified themselves in this representation, while passengers arriving in Messina could have seen it as a synthesis of Sicilian identity. Fascist symbols, on the other hand, seem to disappear in the decorative works of the new villages created by the colonization of the Sicilian latifundium. In fact, they are not present in the pictorial decorations of Borgo Fazio, Borgo Rizza or Borgo Bonsignore, painted by Alfonso Amorelli. The aim of these pictorial decorations is to build a collective identity, based on the daily work that would have united the new inhabitants – represented in the middle of the fields or converging towards the central square, the only place of association – and not on the official ideology of the central places of power. The intervention aims to reconstruct these cases briefly in order to understand their peculiarities and impact on local society at the time, while also clarifying the current reception and the different conservation states works of art, hidden for several years or almost abandoned.
Questo saggio ha come obiettivo l'analisi accademica di una serie di fenomeni legati agli sviluppi dell'arte indigena australiana contemporanea prodotta in contesti in cui il dialogo interculturale rappresenta una realtà tangibile, fertile, spesso problematica. Nel suo insieme, questa trattazione pone l'accento sulla dimensione sociale del divenire arte aborigena, segnata dalle implicazioni storiche, etiche e politiche specifiche di un moderno contesto post-coloniale, nei diversi significati che esso assume. Uno dei fili conduttori dei fenomeni qui indagati è rappresentato dal concetto di identità nella pluralità delle sue accezioni, e dal modo in cui l'azione di rivendicazione identitaria – etnica, politica, etica, culturale – articola e convoglia un patrimonio millenario.
Negli anni del Dopoguerra, sotto la spinta utopica della democratizzazione dell'arte, l'Unesco promosse lo sperimentale progetto di un archivio di fotoriproduzioni a colori dei capolavori dell'arte mondiale. Un museo ideale, di facsimile realizzati con le più avanzate tecnologie di riproduzione e di stampa, le cui istanze, tra dinamiche culturali, politico-diplomatiche, produttive, non nascondevano l'urgenza di documentare un patrimonio collettivo che si era visto drammaticamente minacciato durante il conflitto. Avviato nel 1947, con il contributo di una vasta rete di attori internazionali, il piano vide l'uscita due anni più tardi del primo catalogo dedicato all'arte contemporanea, Catalogue of colour reproductions of painting from 1860 to 1949, presto accompagnato da occasioni espositive, come la celebre Travelling Print Exhibition. From Impressionism till today presentata nello stesso 1949 a Parigi a cura di René Huyghe, e da una serie di iniziative editoriali diversificate. Prendeva così corpo, non senza contraddizioni, un sistema teso a codificare e diffondere un canone della modernità inteso come esemplare e universale, in un momento da considerarsi cruciale nel processo di storicizzazione della cultura artistica contemporanea. Discutendo una pluralità di fonti a stampa e d'archivio, perlopiù inedite, l'intervento tratterà questi problemi evidenziandone emergenze e nodi storiografici in una prospettiva d'indagine che agli strumenti della storia dell'arte e della critica affiancherà l'attenzione agli aspetti tecnici della riproduzione d'arte, decisivi non solo in rapporto alla materialità delle immagini ma altresì alla definizione di forme e strategie della divulgazione, per allargarsi a interrogare questioni al confine con ambiti disciplinari diversi, come la storia dell'editoria, la storia sociale e del gusto. Nel solco di questo approccio metodologico, le scelte intraprese dall'Unesco saranno esplorate sullo sfondo della complessa rete di esperienze e modelli in cui si inseriva il progetto – tra anni '30 e '50 del '900 – aprendo così una specifica riflessione intorno al tema della periodizzazione.
Oggetto della ricerca è stato lo studio e l'analisi del sistema dell'editoria d'arte contemporanea nella Milano degli anni trenta, a partire da una mappatura della produzione libraria specializzata uscita lungo il decennio di cui si sono messe a fuoco forme, meccanismi e protagonisti. Il lavoro ha avuto una frase preliminare di individuazione dei materiali di studio, di strutturazione dell'ambito e dei campi di ricerca, in una prospettiva storiografica sostanzialmente inedita, al confine tra la storia dell'arte e dell'editoria, in cui si intrecciano le dinamiche della promozione artistica e del suo consumo, del mercato editoriale e della filiera del libro. Le peculiarità dell'edizione d'arte, dal suo profilo materiale al pubblico a cui è indirizzata, ne fanno un prodotto con caratteristiche e problematiche distinte nel quadro allargato dell'industria editoriale. Tale specificità negli anni trenta si innesta in un dibattito cruciale sull'identità dell'arte contemporanea, prefigurando un quadro storico nuovo rispetto al periodo precedente in cui si assiste alla significativa fioritura di iniziative editoriali inedite tese alla codificazione e divulgazione dei valori della cultura figurativa del presente. L'intero studio si è fondato sulla mappatura sistematica delle pubblicazioni date alle stampe tra il 1929 e il 1943 – arco cronologico individuato come il più congruente ai fini dell'indagine – condotta sulla base dell'analisi di fonti d'epoca specializzate quali guide bibliografiche, bollettini, cataloghi di vendita dei libri, nonché i registri di carico delle biblioteche di settore. Il recupero, l'esame diretto e la schedatura delle singole edizioni attraverso parametri specifici, messi a punto tenendo conto della natura del libro d'arte e in particolare della centralità delle fotoriproduzioni nella filiera produttiva, ha portato alla realizzazione di un database, confluito in un repertorio organizzato in schede tecniche e indici delle presenze editoriali. I risultati scaturiti da questo ampio censimento hanno orientato la ricerca verso i grandi nodi del sistema produttivo, dei generi letterari emergenti e dei procedimenti di riproduzione e di stampa delle immagini, tra teoria e agganci ai testi, alle fonti a stampa e alla documentazione d'archivio, allargando il complessivo campo di indagine a una comparazione con la rispettiva produzione editoriale italiana e straniera coeva. La tesi si articola dunque in tre grandi parti, introdotte da un tentativo di definizione delle forme del libro d'arte contemporanea e da una verifica dell'andamento della produzione editoriale. Quest'ultima ha messo in luce l'esistenza di una periodizzazione interna agli estremi cronologici legata a doppio filo a una molteplicità di dinamiche in atto che incidono in modo diretto sull'editoria di settore, tra le quali il consolidamento di un nuovo collezionismo, i contestuali svolgimenti sul piano della politica delle arti e i progressi tecnici dell'industria grafica sono solo alcune delle più eloquenti. L'analisi del sistema editoriale si è rivolta anzitutto a definirne gli attori, vale a dire le figure direttamente coinvolte nella filiera produttiva, restituendo per la prima volta una mappa strutturata degli editori, dei fotoincisori, dei tipografi e stampatori. Tra le prerogative del settore spicca infatti la frammentazione dei soggetti imprenditoriali dovuta all'elevato standard di specializzazione richiesto dal libro illustrato, alla cui realizzazione concorrono necessariamente professionalità diverse. A monte, nel panorama degli editori è emersa una sensibile diversificazione tradotta in una sostanziale permeabilità al tessuto delle gallerie e del mercato e a quello delle riviste, permettendo di riconsiderare luoghi che per la storiografia vivono separati. Spostando l'obiettivo sulla produzione editoriale, ovvero sui libri oggetto d'indagine, si sono discusse le problematiche connesse alle forme della divulgazione dei nuovi valori figurativi, a fronte di un processo mobile teso a una loro compiuta definizione. Una prospettiva aderente alla mappatura, che facesse leva su uno sguardo d'insieme e sui molteplici aspetti del prodotto librario considerati nella ricerca, ha inteso mettere a fuoco i generi emergenti, dal libro-catalogo, al panorama, alle collane di monografie d'artista, riflettendo sulla loro fortuna, tra scarti, continuità ed elementi innovativi, anche attraverso un confronto con i modelli internazionali. Una parte centrale del lavoro è stata dedicata, infine, alla disamina dei diversi procedimenti fotomeccanici di riproduzione e di stampa impiegati nella realizzazione dei libri, un problema nodale, connaturato alle specificità stesse dell'editoria d'arte – fondata sulle riproduzioni e sulla loro mise en page – che tuttavia, allo stato degli studi, risulta sostanzialmente trascurato dalla storiografia. Attente alle attrezzature tecniche, ai passaggi di lavorazione e ai risultati grafici, le ricerche svolte hanno confermato il valore di questo filone di indagine, mettendo in luce il peso che negli anni trenta le innovazioni tecnologiche nel settore hanno giocato nel determinare non solo la fisicità e la grammatica delle immagini, e dunque la ricezione dell'arte, ma le stesse forme editoriali. Novità significative sono emerse, in particolare, in relazione alla riproduzione a colori e ai suoi rinnovati sistemi in rapida ascesa commerciale, come il fotocolor, di cui è stata ricostruita la prima diffusione. Il repertorio finale delle schede tecniche delle singole pubblicazioni, integrato da indici ed elenchi, tra cui i cataloghi completi delle collezioni editoriali, è presentato in appendice. ; The research aimed at studying and analysing the contemporary art publishing system in Milan during the Thirties, on the basis of a mapping of the specialised book production with a major focus on its forms, mechanisms and leading figures. The work spanned a preliminary phase designed to identifying the study materials, to defining the research boundaries and fields in a quite unusual historiographical perspective, poised between history of art and publishing, on a ground where the dynamics related to the artistic promotion and its consumption, to the publishing market and to the book production chain are mutually intertwined. Because of their peculiarities, such as the material profile as well as the target audience, art books prove to be products with distinct features and issues within the publishing industry. In the Thirties, such specificity interact with a crucial debate on the identity of contemporary art, prefiguring a new historical context characterised by the unprecedented development of editorial initiatives aimed at the codification and dissemination of the values of the current figurative culture. The entire study was based on the systematic mapping of publications issued between 1929 and 1943 – a chronological arc identified as the most congruent for the purposes of the investigation – carried out according to the analysis of coeval sources, such as bibliographic guides and bulletins, book sales catalogues, specialised libraries records. The evaluation and cataloguing of each editions took into account specific parameters selected depending on the nature of art books and more specifically considering the central role of photomechanical reproductions in the production chain. All information was gathered in a database converted into an organised repertory with technical entries and indexes of editorial presences. The results of this broad census led the research considering the great issues of the productive system, the emerging literary genres, and the reproduction and printing processes of images, making references to theory as well as to texts, printed and archive sources, until broadening the field of investigation to include a comparison with the related Italian and foreign coeval publishing. The thesis is thus divided into three main parts, introduced by an attempt to define the forms of contemporary art books and by a check of the performance of editorial production. This section shed light on an existing periodization within the chronological extremes closely intertwined with a wide variety of ongoing dynamics directly affecting the publishing sector, among which the consolidation of a new collecting, the contextual developments in the field of art politics and the technological advances of the graphic industry are just some of the most relevant. The analysis of the publishing system chiefly looked to define the players, actually the figures personally involved in the production chain, thus outlining for the first time a structured map of publishers, photoengravers, typographers and printers. In fact, among the prerogatives of the sector, one which undoubtedly stands out is the fragmentation of the entrepreneurial figures ascribable to the high specialization standards which illustrated books require and to the creation of which contribute multiple professional profiles and skills. The panorama of the publishers itself revealed a remarkable diversification corresponding to a consistent permeability to the context of the galleries and the art market as well as to the context of magazines, thus making it possible to reconsider places which according to historiography live apart. Shifting the goal to the publishing production, namely to the books object of the investigation, the work addressed the issues related to the forms of dissemination of new figurative values, in response to the coeval ongoing process aiming at their accomplished definition. In keeping with the mapping, and tapping into a comprehensive overview and a wealth of aspects typical of the product book considered in the research, the perspective aimed at highlighting the emerging genres, such as the book-catalogue, the panorama, the series of artist monographs, while reflecting on their fortune, among gaps, drifts, continuity and innovative elements, also based on a comparison with international models. Finally, a key part of the work consisted in examining the photomechanical reproduction and printing processes employed in the production of books: a crucial issue inherently belonging to the specificity of art publishing – based on reproductions and their mise en page – that, however, appears largely overlooked by historiography. Mindful of the technical equipment, the processing steps and the graphic results, the research carried out confirmed the value of this investigation line, while shedding light on the role that the technological innovations achieved in the Thirties played not only in determining the materiality and grammar of images, and hence the reception of art, but the very publishing forms. Significantly new features emerged, in particular, in relation to the colour reproduction and its renovated, quickly booming commercial systems, such as fotocolor, whose first diffusion this work retraced. The appendix presents the final catalogue of books entries as well as indexes and lists, including the complete listing of publishing series.
La mostra che presentava l'eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l'ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l'Archivio storico dell'Accademia e la contestualizzazione di questo progettom espositivo all'interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell'approccio all'architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d'oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L'impresa ebbe come protagonisti l'allora presidente dell'Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l'Istituto Luce, mentre l'architetto napoletano Vittorio Amicarelli fece i rilievi architettonici di maggiori monumenti della regione. Per la mostra e per il catalogo si scelse il criterio tipologico, con l'introduzione dello studio di caratteri urbani e l'accenno all'architettura barocca. Questo approccio, tipico della scuola romana di storia dell'architettura, si distinse dalle quintenssenzalmente amatoriali pubblicazioni degli iredentisti dalmati quali Tamaro e Dudan, o quelle divulgative di Amy Bernardi. Inoltre, nella prima fase delle preparazioni della mostra, tra 1941 e 1942, l'insistenza sui reperti antichi romani e sulla tradizione classica rivelava gli interessi dei cerchi professionali romani, mentre una maggior apertura all'eredita dell'epoca veneziana La mostra che presentava l'eredita architettonica della Dalmazia, aperta presso la Reale Accademia di San Luca a giugno 1943, rimane l'ultima iniziativa culturale a scopi propagandistici del regime fascista. La dettagliata analisi dei fondi relativi alla mostra presso l'Archivio storico dell'Accademia e la contestualizzazione di questo progetto espositivo all'interno della politica del regime, porta anche a inserirlo nel delineamento dell'approccio all'architettura storica degli architetti italiani e il dialogo tra le due storiografie. Lo scopo principale della mostra era di familiarizzare il pubblico romano con la neoacquisita provincia d'oltremare adriatico, interpretandone il passato in chiave imperialistica, di appartenza alla cultura italiana. L'impresa ebbe come protagonisti l'allora presidente dell'Accademia di San Luca, Alberto Calza Bini, e lo stretto collaboratore di Gustavo Giovanoni, architetto e archeologo Bruno Maria Apollonij Ghetti, mentre per il suo ruolo operativo come soprintendente ai monumenti dalmati venne coinvolto Luigi Crema. Inoltre, furono realizzate anche una la campagna fotografica in collaborazione con l'Istituto entra a far parte della mostra verso la sua finalizzazione in primavera 1943. Finalmente, la parabola della preparazione dell'esposizione segue anche quella dei rapporti tra l'Italia fascista e la Croazia di Ante Pavelić, esemplificatasi nella publicazione Italia e Croazia di Reale Accademia d'Italia del 1942, e l'avanzamento del movimento partigiano in Croazia e gli avvenimenti italiani dell'estate di 1943, particolarmente visibili nell'eco della mostra nella stampa del regime, dove viene considerata un tentativo contro "la barbarie panbolsevica slava".
Reflecting the growing interest in international artistic exchanges after World War II, a breif overview of third issue of "Italian Modern Art" aims to analyze the pivotal role played by the 1949 exhibition Twentieth-Century Italian Art at the Museum of Modern Art in New York, including a literature review, methodological framework, and acknowledgements. Twentieth-Century Italian Art exhibition was the first opportunity after World War II for American audiences to see the work of a substantial group of contemporary Italian artists. Curated by James Thrall Soby and Alfred H. Barr, Jr., the exhibition was followed by a vast campaign of acquisitions: MoMA added key Italian artists, from Umberto Boccioni to Lucio Fontana, to its permanent collection and thereby situated them within the museum's influential narrative of modernism. Further, the Italian show aided MoMA curators in revising their institutional perspective in the Cold War context, moving it beyond a Paris-centered canon. The intrduction highlighted the differences between the exhibition framework and the catalogue, focusing on methodologiacl features. Moreover, it presented different methodological approaches by several scholars, comparing exhibition histories, cultural transfer, cultural diplomacy, art and politics, the history of collecting, the history of the art market, and more.
The article deals with the critical reception of Italian artist Renato Guttuso in Socialist Europe from the late Forties up to the early Sixties. A Communist activist and an outstanding personality of cultural diplomacy in post-war Europe, Guttuso enjoyed a wide exposure in Central and Eastern Europe, where his artwork circulated both within itinerant exhibitions and as reproductions in the press. A further reason for his popularity was provided by his activity as an art critic and author of pamphlets against the hegemony of abstract art in the West. In the Fifties, Guttuso's paintings were presented as the work of a "Western realist", thus playing a crucial role in the art debates of each host nations, but also ending up adapted to the State promoted cultural policies. In Central-eastern Europe, and more specifically in Poland, Czechoslovakia and Hungary, the artist was greeted as an alternative to Soviet socialist realism, while in the German Democratic Republic as a master of anti-fascism, thus providing common ground for a shared critical discourse on interwar regimes, both in Italy and in Germany. Only starting from the late Fifties, Guttuso gained popularity in the Soviet Union as a neo-realist painter, thus echoing Italian popular cinema, which provided the critical framework for the reception and the popularization of his art. His first solo exhibition in the Soviet Union was planned and promoted in 1961 as a key event in the new cultural agenda between Italy and the USSR, paving the way for his popularity in the homeland of real existing socialism