La tesi è il frutto di una ricerca che ha inteso essere un tentativo di approfondimento della cosiddetta stagione della "stagnazione" del processo di integrazione comunitaria, e in particolare del ruolo svolto al suo interno dall'Italia, attraverso alcune delle personalità politiche designate a far parte della Commissione unica, nata nel luglio 1967 dalla fusione delle strutture di Ceca, Cee ed Euratom. Se in effetti nell'ultimo decennio non sono mancati validi contributi storiografici alla ricostruzione dell'operato dei politici italiani presso le giovani istituzioni comunitarie, un primo, oggettivo limite riscontrato in questi lavori si è presentato da subito nel loro termine temporale, sostanzialmente fermo al tornante del 1963-64, rendendo così auspicabile un suo superamento. Oltre a quello cronologico, l'altro piano che si è voluto affrontare è stato quello interpretativo, nel voler parzialmente rimettere in discussione l'impostazione corrente, tendente a relegare l'Italia in una posizione di secondo piano nella storia dell'integrazione tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Ottanta, ben lontana dai fasti della stagione degasperiana e dei trattati di Roma. Un ridimensionamento di cui si sarebbe resa protagonista in buona parte, suo malgrado, la classe dirigente politica a livello nazionale, e in primo luogo la stessa Democrazia Cristiana erede della tradizione dei Padri fondatori dell'Europa unita. Attraverso lo studio di una vasta documentazione inedita conservata presso gli Archivi storici dell'Unione europea, quelli della Commissione UE a Bruxelles, e l'Archivio storico dell'Istituto Luigi Sturzo di Roma, si è ricostruito l'impegno europeistico di Edoardo Martino, Franco Maria Malfatti, Carlo Scarascia Mugnozza e Lorenzo Natali. Un percorso certamente disomogeneo in quanto a tipologia e durata degli incarichi ricoperti, e ancor più sotto il profilo della quantità e reperibilità delle fonti, ma che nondimeno traccia una traiettoria alquanto differente rispetto alla tradizionale lettura di una marginalità italiana nelle Comunità europee. Un primo dato da rilevare è la centralità dei compiti che vengono affidati a queste personalità, che pure escono dall'attività politica nazionale in uno dei momenti certo di maggiore difficoltà interna e appannamento d'immagine conosciuti dall'Italia repubblicana a livello internazionale, e comunitario in primo luogo. L'attività di queste figure copre in effetti dossier essenziali nella politica europea. Dalle relazioni internazionali con Martino (1967-70), agli allargamenti mediterranei con Lorenzo Natali (1977-84), passando per la PAC e in seguito le politiche ambientali (Scarascia Mugnozza, 1972-77) e la stessa presidenza della Commissione, tenuta da Franco Malfatti per un breve ma significativo periodo tra il 1970 e l'inizio del 1972, gli "italiani a Bruxelles" contribuiscono in modo decisivo allo sviluppo, pure contraddittorio e non privo di ombre, della costruzione europea, gettando insieme all'intera classe dirigente comunitaria di quella fase le basi della successiva stagione del "rilancio", che contrassegnerà poi i lunghi anni della presidenza Delors. Altrettanto importante si è poi rivelata essere una certa affinità di vedute, emersa sottotraccia dalla documentazione archivistica, su quale dovesse essere il futuro delle Comunità e la loro collocazione nel delicato equilibrio bipolare. Proprio nel periodo che vede il consolidarsi definitivo di un impianto intergovernativo, specialmente dai primi Summit e dalla nascita del Consiglio europeo in avanti, non sono infatti pochi i commenti critici e le valutazioni negative, talvolta insofferenti, che i commissari italiani forniscono su questi sviluppi, in occasioni pubbliche come nella fitta corrispondenza privata, lamentando come il rischio maggiore la progressiva marginalizzazione dell'autonomia e del potere reale delle istituzioni comunitarie, già all'epoca limitate, e la conseguente definitiva scomparsa dall'orizzonte di quella soluzione federale - che tutti e quattro auspicano - che proprio quest'ultime avrebbero dovuto preparare come obiettivo finale. E come unica, vera realizzazione dei progetti originari dei fondatori. ; This thesis is the result of a research that has sought to be an attempt to deepen the so-called season of "stagnation" of the process of European Integration, and particularly the role played within it from Italy, through some of the political figures designated to be part of the single EC Commission. If indeed there have been valuable contributions to the reconstruction of the historical work of Italian politicians at European institutions in the last decade, a first, objective limit found in these works occurred immediately in their temporal term, essentially fixed on 1963-64, thus making it desirable for its overcoming. Besides that, the other issue that I wanted to deal with was that of the historiographical interpretation, in order to partially undermine the current setting, tending to relegate Italy on the back burner in the history of the Integration between the late 1960s and early 1980s, far from the centrality of the political season of Alcide De Gasperi and of the Treaties of Rome. The political establishment at the national level, primarily Christian Democracy, was pointed as the first responsible of this downsizing, having betrayed to some extent the tradition itself of the Founding Father of EU. Through the study of extensive documentation, which was previously unreleased and preserved in the Historical Archives of the European Union, those of the EU Commission in Brussels, and the Historical Archive of the Istituto Luigi Sturzo in Rome, it has been analysed the European commitment of Edoardo Martino, Franco Maria Malfatti, Carlo Scarascia Mugnozza and Lorenzo Natali. This path was certainly uneven in terms of type and duration of the offices, and even more in terms of quantity and availability of sources. Nevertheless it can draw a somewhat different trajectory than the traditional reading related to the Italian marginality in the European Communities during those years. A first issue to note is the centrality of the tasks that are entrusted to these personalities, who come out of the national political activity in one of the most difficult moments and international weakness known by the Italian Republic. The activity of these figures cover indeed essential dossier in European politics. From the International Relations (Martino 1967-70), to the Mediterranean Enlargements with Lorenzo Natali (1977-84), passing through the CAP and further Environmental policies (Scarascia Mugnozza 1972-77), and the same Commission Presidency, held by Franco Malfatti for a brief but significant period between 1970 and early 1972, the "Italians in Brussels" make a decisive contribution to the even contradictory development of European Integration. Together with the entire Community leadership of that period, they throw together the next season's bases of the so called "relaunch", which will mark then the long years of Delors Presidency. A certain unity of views was later revealed to be equally important. It emerged by the archival documentation of these Commissioners, and it dealed with the future development of Communities, and also with their same placement in delicate Cold War balance of power. Right around the time that sees the consolidation of an Intergovernmental system, especially from the first Summits and the rise of the European Council onward, there are many critical comments and ratings, sometimes even impatient, that the Italian Commissioners provide on these developments, in public occasions as in private correspondence, lamenting as the greatest risk the gradual marginalization of the already limited autonomy and the real power of the Community institutions. In their views, this would have permitted the subsequent definitive disappearance from the horizon of that Federal unification that the EC institutions themselves should have prepared as ultimate goal, and as the only real heritage of the original projects of the Founders.
La domanda può, a prima vista, suonare un po' accademica: si può misurare il valore di un sistema di controllo? La questione è, in realtà, molto concreta. In una fase, come quella che molte imprese stanno vivendo, di ripensamento dei modelli organizzativi e di business, rispondere è d'importanza cruciale per il management. Le imprese, in generale, hanno investito molto per rendere efficaci i controlli interni: più addetti, nuovi sistemi informativi, maggiore lavoro per tutta l'organizzazione. L'investimento è stato spesso dettato da recenti obblighi normativi e dalle sollecitazioni di regolatori e autorità di vigilanza. Altre volte si è trattato di una scelta determinata dall'operare in contesti di mercato impegnativi, per esempio quelli internazionali, che implicano l'adozione di standard adeguati. La voce controlli ha, in ogni caso, acquisito un peso crescente nel conto economico diventando, inevitabilmente, un possibile target quando, pressate dalla bassa congiuntura, molte imprese si sono trovate a dover stringere la cinghia. E allora anche per gli Internal Auditor è diventato importante dare una misura del proprio contributo al risultato. È in quest'ottica che l'Internal Audit costituisce un supporto per la corporate governance, offrendo un prezioso contributo alla valutazione del sistema di governo strategico e operativo dell'impresa e assumendo un atteggiamento proattivo per il suo miglioramento continuo. Tutto ciò determina lo sviluppo di una cultura del controllo interno, inteso non come un mero proliferare di controllori rispetto agli esecutori, ma come un sistema integrato d'azienda ove le attività di controllo si coniugano con quelle di gestione del business. La professione dell'Internal Auditor è stata caratterizzata, nel corso degli anni, da un'importante evoluzione storica, che ha determinato lo spostamento del suo raggio d'azione da verifiche limitate principalmente ad aspetti di conformità normativa e procedurale ad attività di maggiore ampiezza nell'ambito del controllo sistemico, della consulenza organizzativa e della governance aziendale. Questo processo evolutivo ha richiesto un incremento degli skill per lo svolgimento della professione e ha determinato una maggiore visibilità e credibilità della stessa Funzione aziendale. A tal fine l'Associazione Italiana Internal Auditor ha fornito un notevole contributo poiché, oltre a promuovere lo sviluppo delle tematiche di controllo interno e di gestione dei rischi verso tutti gli stakeholder interessati alla corporate governance, garantisce la diffusione degli Standard Internazionali per la Pratica Professionale dell'internal auditing (IPPF), sostiene la formazione continua per la professione e il conseguimento di certificazioni specifiche riconosciute a livello internazionale e contribuisce alla realizzazione di programmi di quality assurance. Le organizzazioni hanno la necessità di considerare nuovi approcci alternativi alle tradizionali attività di Internal Audit, spinti da business in continua trasformazione e dall'evoluzione del panorama normativo e regolatorio che esercitano pressioni sui costi, sulle persone e sui processi. Il Continuous Auditing e il Continuous Monitoring, che si configurano quali nuove opportunità da affiancare all'attività di Internal Audit, utilizzati in modo adeguato, possono aiutare le organizzazioni a gestire in modo efficace le esposizioni ai principali rischi, in quanto consentono di rilevare, monitorare e prevenire anomalie in modo più facile, completo e tempestivo rispetto agli approcci tradizionali. Il processo di Continuous Auditing contribuisce a garantire la conformità alle politiche e procedure aziendali. In molti casi, questo sistema può operare come strumento di «allarme» per individuare preventivamente aspetti critici del Sistema di Controllo Interno. Significa quindi, eseguire verifiche ad elevata frequenza (fino, addirittura, nel continuo) su base dati integrali (senza dover campionare) e in automatico (utilizzando i CAAT). L'uso implicito di strumenti automatizzati permette anche l'applicazione di nuove tecniche di analisi euristica in grado di evidenziare l'esistenza di problemi nascosti o non anticipati. Il processo di Continuous Monitoring permette, invece, di avere una visibilità realtime del corretto funzionamento e dei problemi dei processi operativi o di business dal punto di vista del manager. Il collegamento e l'osmosi di approcci tra i due processi arriva in profondità, a tal punto che in determinati casi gli strumenti automatizzati possono essere i medesimi, impiegati con ottiche e scopi diversi, ma sempre con l'obiettivo di minimizzare i tempi di intervento e le conseguenze di errori, di non conformità e di potenziali frodi. Appare evidente il vantaggio che le organizzazioni possono trarre dall'introduzione di approcci di questo tipo, in termini di risparmi diretti e di minori problemi dei sistemi operativi e di quelli di controllo. Non si tratta di abbandonare gli audit tradizionali, si tratta di introdurre nuove tecniche che consentano di aumentare la copertura della funzione e di focalizzare meglio la pianificazione degli audit tradizionali che per loro natura sono molto affidabili ma anche particolarmente dispendiosi in termini di tempo e costi. In quest'ottica, l'ottimizzazione della qualità dei controlli si lega alla capacità di prevedere i comportamenti a maggior rischio nei vari cicli aziendali che possono impattare sul business e quindi sul conto economico. La capacità di identificare ex ante un insieme di comportamenti anomali (dall'inosservanza delle procedure interne fino alla frode), costituisce la nuova sfida cui sono chiamate a rispondere le funzioni di controllo, congiuntamente alle funzioni di business. L'introduzione di strumenti di Continuous Monitoring o Continuous Auditing nelle organizzazioni consente la realizzazione di questi obiettivi. In una survey pubblicata cinque anni fa si prevedeva che " nei prossimi cinque anni gli internal auditor si focalizzeranno sempre più sui temi del continuous auditing and assessment, nel tentativo di ottimizzare e migliorare i processi di audit. Gli audit diventeranno più dinamici e saranno effettuati secondo necessità dettate più dai cambiamenti dei profili di rischio di volta identificati che da calendari di audit prestabiliti secondo le logiche tradizionali. In questa ricerca di maggiore efficacia ed efficienza gli auditor faranno leva sulla tecnologia combinata con la loro innata capacità analitica di identificare key risk indicators che possono monitorare al meglio le condizioni di rischio". Quella che cinque anni fa sembrava solo una possibile evoluzione, ottimisticamente azzardata, delle funzioni di controllo, in questi ultimi anni è diventata realtà: in tutto il mondo le organizzazioni più avanzate hanno compiuto questo fondamentale passo avanti nel percorso evolutivo della funzione di Internal Audit, e sono sempre più aziende che stanno seguendo l'esempio dei leader, affacciandosi con interesse a questa soluzione. La maturità raggiunta dalle funzioni di controllo e dai suoi protagonisti, unita a una tecnologia finalmente in grado di analizzare e rendere disponibili i risultati in real time, ci consente di vedere con chiarezza le future evoluzioni. Ecco che le imprese sono sempre più alla ricerca di tecnologie specifiche che garantiscano gli imprescindibili requisiti di trasparenza, sicurezza e disponibilità dei dati, nonché l'integrità di ogni singola transazione. Il software di data mining maggiormente adottato in relazione al rispettivo fabbisogno, è Audit Command Language (ACL), con la finalità di rielaborare le informazioni secondo alcuni algoritmi associati agli indicatori di rischio, i quali a loro volta hanno il compito di attivare dei segnali di "alert" in caso di superamento dei livelli di soglia predeterminati. Specificamente concepite per le attività di controllo e gestione dei rischi, le soluzioni ACL di Audit Management si rivelano essere le migliori attualmente sul mercato e sono riconosciute come leader nel campo della Data Analysis. Per questo oltre 14.500 aziende in tutto il mondo, di cui più di 100 tra le maggiori imprese italiane di tutti i settori, hanno già adottato ACL.
2006/2007 ; "Il grado di sicurezza misura la democrazia di un paese", con questa frase un esponente della destra salutava l'approvazione nel parlamento italiano del nuovo pacchetto di norme in tema, appunto, di sicurezza. L'affermazione indica sintomaticamente come la questione, seppur non nuova, abbia acquisito un ruolo centrale nel dibattito contemporaneo, facilitata da una perfusione mediatica che ha trasformato l'evento dei primi giorni del settembre 2001 nel simbolo controverso della crescente sensazione di incertezza globale. Le conseguenze sul vivere contemporaneo e sugli ambienti urbani sono ormai evidenti, così come l'inevitabile strumentalizzazione della paura da parte dei più diversi soggetti: politici, amministratori, sociologi, pubblicitari, opinion-leader (tutti gli studi sull'argomento mostrano come, nonostante l'insicurezza "percepita" abbia una relazione indiretta con le minacce reali, le sue conseguenze siano determinanti). Questo sta generando la formazione di un nuovo tessuto sociale, apparentemente assediato da una realtà urbana di cui non comprende i mutamenti (perché non è più capace e perché non interessa farlo) e barricato dietro la barriera tutta materiale dei prezzi della proprietà immobiliare, convinto di escludere quella quota di insicurezza che la presenza degli sconosciuti contiene in sé. L'insicurezza viene trasformata in materiale di base dalla pianificazione e in dispositivi dall'architettura; dispositivi che agiscono sulle minacce come deterrenti e/o strumenti di difesa e sulla percezione di ambienti più controllati e sicuri. Inevitabilmente la nozione di spazio pubblico ha subito un cambiamento radicale, diventando sempre più legata al controllo dei fruitori che alle sue caratteristiche fisiche. Le città sono disseminate di telecamere "amiche" collegate alle forze di polizia, pubblica o privata: si è passati da una società panottica a una post-panottica, in cui il controllore si è liberato dal legame fisico che lo vincolava al sorvegliato. Il vocabolo "sicurezza" identifica immediatamente determinate porzioni di città (escludendone automaticamente altre), ponendosi quale parametro qualitativo di analisi urbana e sociale e delineando una nuova cartografia basata su una unità di misura determinata dalla paura, che palesa l'esistenza di barriere, non fisiche ma mentali, all'interno di una città dove è smascherato l'equivoco tra tolleranza e indifferenza. L'ambizione della ricerca consiste nell'individuare quale sia il grado di trasformazione indotto nell'ambito disciplinare e il cambiamento incorso al processo di progettazione architettonica sotto la pressione della questione securitaria. A partire dalle mura di cinta costruite con massi ciclopici sino agli immateriali firewall a cui sono affidate le difese della nostra dimora nel cyberspazio, risulta chiaro come, seppur cambiati i materiali, le procedure difensive seguano inalterate logiche di fortificazione. In questo contesto sono state sviluppate alcune teorie e pratiche urbanistiche, tutte di matrice statunitense, che hanno favorito la pianificazione degli insediamenti nei territori suburbani sud e nordamericani, nordeuropei e africani. Agglomerati abitati da comunità il cui interesse principale (e comune) si sostanzia nel recintare la propria incolumità per trascorrere una vita nel pieno comfort, affidando le norme del vivere civile ai regolamenti redatti dagli sviluppatori edili e contribuendo alla dissoluzione dello spazio pubblico mediante la privatizzazione dello stesso. Gated communities, Walled Cities, Common Interest Development costituiscono i nuovi termini del vocabolario urbanistico suburbano. A partire dal basilare apporto di Jane Jacobs - che per prima comprese la necessità di un controllo nella città attraverso strumenti sociali (la territorialità, l'occhio sulla strada) - il primo capitolo illustra la nascita della teoria CPTED (Crime Prevention Through Environmental Design), fondamento della pianificazione securitaria, e le sue declinazioni contemporanee. E distorsioni. L'applicazione di tali teorie ha, infatti, favorito la nascita di enti certificatori che operano una valutazione, basata esclusivamente sulla congruenza del manufatto architettonico ai dettami securitari e sul raggiungimento del maggior grado di sicurezza. Le ricadute sulla pratica professionale e sul processo di progettazione di un tale procedimento fa sì che, dovendo rispondere ai requisiti codificati, la figura dell'architetto venga affiancato da esperti e consulenti, provenienti dal mondo della polizia. La certificazione ottenuta viene utilizzata dagli strateghi del marketing immobiliare quale strumento attraverso cui creare nuovi valori di mercato. L'ultima parte del capitolo è riservata alla realtà italiana che presenta delle variazioni metodologiche dettate dalle differenti condizioni territoriali e sociali rispetto al contesto in cui ha avuto origine il CPTED. La difformità più evidente consiste nel fatto che le teorie securitarie siano diventate materia di studi e ricerche accademiche piuttosto che motivazione dei programmi edilizi degli sviluppatori privati, così come accaduto negli Stati Uniti. Il dispiegarsi di nuove pratiche è supportato dalla comparsa di strumenti normativi che cercano di regolamentarne, o quantomeno indirizzarne, l'azione. Soprattutto nei Paesi dove la materia è relativamente recente. Il secondo capitolo illustra le linee guide e di indirizzo, redatte dagli organi tecnici della Comunità Europea, affinché i progettisti possano mettere in atto un corretto processo di progettazione capace di assicurare gli standard minimi di sicurezza. Anche il mercato corre a supporto del progettista fornendo di materiali sempre più ricchi e articolati "la sicurezza diventa una merce, prodotta e venduta sul mercato". Da asfalti anti-skaters a intonaci a prova di graffito, da sistemi di videosorveglianza ad antifurti satellitari, gli architetti dispongono di un'ampia scelta per dotare gli edifici di sistemi attivi e passivi in questa battaglia continua che la complessità dei fenomeni urbani costringe a combattere. Soldati formati e specializzati, grazie alla crescita esponenziale di corsi di laurea e master finalizzati alla definizione di nuove figure professionali pronte a decodificare le richieste e applicare le norme messe loro a disposizione. Insegnare la sicurezza diventa, così, un passaggio fondamentale nella nuova "filiera" dell'architettura, i cui prodotti a differente scala costituiscono l'argomento dell'ultimo paragrafo. Nel terzo capitolo, l'analisi spazia dalla crescente attenzione del design industriale ai ripensamenti riguardanti le periferie urbane, dalle pratiche partecipate come strumento di riappropriazione territoriale alle demolizioni di interi quartieri come unica soluzione dei problemi inerenti la politica del territorio. La parte finale focalizzerà l'attenzione sulle strategie alternative che, utilizzando proprio "l'incidente", l'indeterminato, come materiale architettonico attraverso cui proporre nuove soluzioni e modi d'uso, rovesciano concettualmente gli approcci "difensivi" più impiegati. Si tratta di ricerche architettoniche che mutuano dalla pratica artistica l'occupazione e la trasformazione dello spazio pubblico quale risorsa ancora necessaria per la vita metropolitana. Probabilmente alla fine della lettura, dopo avere visionato i diversi approcci nell'affrontare la crescente richiesta di sicurezza della società contemporanea (da quello "esclusivo" che utilizza la delimitazione fisica come strumento deterrente, a quello "inclusivo" in cui il pericolo diventa uno degli "ingredienti" del progetto) emergerà che il ruolo dell'architettura è ancora quello di porre domande e non di costruire certezze attraverso strumenti di controllo dettati dal mercato. Per un presente in costante accelerazione. ; XX Ciclo ; 1974
L'albo lapillo Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo 1922 a Bologna, prima tappa del lungo peregrinare della famiglia Pasolini imposto dalla professione del padre Carlo Alberto, ufficiale dell'esercito. Carlo Alberto appartiene ad una delle più illustri famiglie di Ravenna, i Pasolini Dall'Onda, nobili degli Stati della Chiesa che da sempre assolvono incarichi importanti in Vaticano. Tuttavia il padre, Argobasto, avvia la famiglia alla rovina a causa del gioco d'azzardo, rovina cui contribuirà a sua volta il figlio Carlo Alberto preda della medesima passione. L'aver scialacquato ciò che restava del patrimonio paterno, lo costringe nel 1915 ad abbracciare la vita militare, carriera che sopperiva ad un destino di degradazione economica. Carlo Alberto aderisce al fascismo e al riguardo, Enzo Siciliano addirittura si esprime con queste parole: "il fascismo apparteneva antropologicamente […] alla sua vanità, al suo evidente vitalismo, all'ombrosità del suo sguardo e ancor di più alla sua dissestata configurazione sociale, alla sua aristocrazia di sangue respinta verso le terre desolate della piccola borghesia" . L'angoscia del fallimento e il senso di solitudine che nasce da una passione non ricambiata spinge Carlo Alberto ai vizi perniciosi del vino e del gioco. Il dramma che suscitò nell'animo di Carlo Alberto lo "scandalo" del figlio, tralignò alla follia e unico rifugio, fino alla morte avvenuta nel 1958 per cirrosi epatica, lo trovò nel bere. Pier Paolo Pasolini nasce pochi mesi prima della storica Marcia su Roma, atto che sancisce la salita di Mussolini al potere. Le velleità dirigistiche e di controllo del fascismo coltivato dalla piccola borghesia che credeva di fare del Colpo di Stato delle camicie nere strumento per i propri fini particolari, viene travolta e rigettata. Questo il clima in cui cresce Pier Paolo Pasolini il quale, stabilitosi con la famiglia alla fine degli anni Trenta a Bologna, termina brillantemente gli studi liceali e si iscrive alla facoltà di Lettere. Pasolini amò profondamente il gioco del calcio, ma nella sua forma "pura": incontaminato, non degradato e inquinato come sarà quello reificato dalla società dei consumi, postindustriale, contro cui lancerà i suoi strali. È risaputo che si teneva in forma: aveva il terrore di invecchiare e negli ultimi anni della sua vita andò addirittura in Romania a fare la cura del Gerovital (a cui sottopone anche la madre). La prontezza del corpo fece di lui, come farà notare il suo amico Italo Calvino, uno dei pochi convincenti "descrittori di battaglie" della nostra letteratura recente. L'apparente normalità della sua vita si spezza l'8 settembre 1943, quando con lo storico armistizio, si frantumano le illusioni fasciste e l'Italia si trova allo sbando. Qui Pasolini prosegue la sua attività letteraria. Divenuto partigiano della brigata Osoppo, vicina al Partito D'Azione, cadrà vittima di quell'orribile episodio della Resistenza italiana che passò alla storia come "strage di Porzus", che vide i garibaldini e gli azionisti uniti contro le pretese territoriali sulle terre di confine delle truppe slovene fomentate dalla propaganda nazionalista e sciovinista di Tito. Questa pagina luttuosa e mesta della vita di Pier Paolo è calata nell'età storica dell'antifascismo segnata dal fenomeno della Resistenza, risultato dell'acuirsi del carattere politico-ideologico del conflitto tra il sistema democratico e i totalitarismi nazi-fascisti e che si traduce in una vera e propria resistenza nei confronti degli eserciti occupanti, sia in forma armata che in forma "passiva" (rifiuto del consenso, attività di intelligence e frenetica attività propagandistica di intellettuali e politici esuli). L'evento bellico della Liberazione attraversa e scuote tutta la penisola italiana, dalla Sicilia alle Alpi, lasciando un paese grondante di devastazione e distruzione. Enzo Siciliano parla di un'"ingenua furia romantica" del poeta Pasolini perché nel suo animo alberga il furore pedagogico di chi crede nella pregnante forza educatrice della poesia, della lingua che si fa storia e cultura attraverso il poeta che la plasma forgiando armi imperiture, vivificando una cultura locale in cui i poveri contadini possano riconoscersi e, insieme, superare l'eclissi e l'oblio dell'arcaicità d'espressione e dei costumi. Discutendo una tesi sulle Myricae di Pascoli, si laurea in Lettere a Bologna con Carlo Calcaterra, professore di storia della letteratura italiana che segnerà la formazione di Pasolini insieme a Roberto Longhi, professore di Storia dell'Arte, fondamentale nella successiva passione figurativa del Pasolini regista. È affascinato dal Friuli, a cui dona il suo cuore. Pasolini aderisce nell'ottobre-novembre 1945 all'associazione Patrie tal Friul, il cui programma politico era dichiaratamente autonomista. Nel 1947 Pasolini si iscrive al Pci, diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa e per vivere inizia ad insegnare italiano alle scuole medie statali a Valvasone (dopo una breve parentesi in una scuola privata a Versuta). Il paese lasciato in eredità dalla guerra alla nuova classe politica e dirigente è un paese umiliato, stremato, insozzato dalla ferocia sanguinaria della guerra civile, economicamente dipendente dagli aiuti stranieri; un paese che ha perso la sua credibilità all'estero, governato da una classe politica inesperta, conservatrice, che non ha saputo rispondere alle pulsioni modernizzatrici favorendo la sclerotizzazione della frattura tra un nord vivace, propositivo e attivo, e un sud dove ha prevalso l'impulso reazionario che ha favorito il ripristino del vecchio stato, dove le forze dell'ordine e la magistratura sono tutt'altro che convertiti alla democrazia e dove predominano due partiti di massa tra loro antitetici. Il sogno di una cosa viene visto come "lo sfondo mitico e contadino del romanzo "romano" (per) l'epicità del libro che trae sostanza dal senso di avventura che increspa il vivere dei tre protagonisti: soluzione stilistica a cui Pasolini arriva dopo Ragazzi di vita" . La situazione agraria e contadina, soprattutto nel sud Italia, risente fortemente della distruzione e degli sconvolgimenti causati dalla guerra. La manifestazione organizzata dalla Camera del Lavoro a San Vito del Tagliamento per ottenere i miglioramenti che il lodo prometteva agli agricoltori disoccupati e ai mezzadri danneggiati dalla guerra, è rivolta contro quei proprietari terrieri che si sono strenuamente opposti fino a quel momento all'applicazione della legge. La concezione ideologica di Pasolini si incarna in un personaggio del "romanzo" Il sogno di una cosa: una ragazza borghese, Renata, che abiura alle precedenti categorie di pensiero e all'impianto ontologico tipico della sua classe sociale, "che mai gliel'avrebbero perdonato", per farsi marxista. Pasolini dona così forma al suo "inconscio antropologico" (Enzo Siciliano), affidandolo alle parole di questa giovane ma anche a quelle del prete Paolo quando dice, ho notato quanto siano migliori i giovani del popolo da quelli della borghesia: è una superiorità sostanziale e assoluta, che non ammette riserve. Si insinua insidioso anche un altro tratto autobiografico, che lui avvertirà sempre come una colpa soverchiante e per cui i patimenti emotivi si susseguiranno fino alla fine della sua breve esistenza: l'omosessualità. Trauma inconscio che si riverbera nel suo atteggiamento sessuale adulto per cui Pier Paolo cerca "in folle caccia notturna" i ragazzi, stabilendo una distanza netta dalla sua realtà domestica. Muoio nell'odore di una latrina della mia infanzia, legato per sempre alla vita da una vespa che accende nell'aria l'odore dell'Estate. O anche "ciò che più tortura è il "cedere"/mi trovo al mesto bivio del peccato/e cedo […]". Isolato e epurato dal partito comunista -al tempo duro ed ortodosso in materia-, si decide alla partenza con la madre Susanna. Roma. Pasolini rimane pur sempre un "poeta" inteso, alla Elsa Morante, come scrittore che sa dar voce, anche con irriverenza, al proprio daimon, rimanendo fedele alla propria vocazione. Poeta vicino all'espressionismo, rifugge dalla trasposizione della realtà nella letteratura dove esprime invece tutto il suo disagio esistenziale. Nella capitale della neonata Repubblica Italiana, Pasolini arriva con la madre agli albori degli anni Cinquanta. Nel frattempo avrà l'occasione di un nuovo contatto con il cinema quando Mario Soldati lo invita a collaborare alla sceneggiatura, insieme anche a Bassani, del suo film del 1954, La donna del fiume. La prima opera in omaggio alla romanità è del 1955, Ragazzi di vita. Lapalissiano il fine politico: disvelare una realtà taciuta, volutamente emarginata anche geograficamente nelle borgate, nelle appendici da una società apparentemente riemersa dalle ceneri della guerra, sedicente superstite dell'horror vacui della disperazione e della distruzione che tende a celare a se stessa i propri dolori ed i propri mali. Ciò spiega il perché è addirittura la presidenza del Consiglio dei ministri, Antonio Segni, a muoversi scrivendo esso stesso al Procuratore della Repubblica di Milano, bollando il testo come "pornografico". Contro questi perbenisti piccolo borghesi detrattori di Pasolini, politici e non, Gadda (che definisce Ragazzi di vita una "colonna sonora"), Bertolucci, De Robertis, Bigongiari, Carlo Bo, Cassola, Sereni, Anna Banti, Mario Luzi e con loro altri esponenti della cultura del tempo, costituirono quella giuria che a Parma nell'estate del 1955 assegna al "romanzo" il premio "Colombi- Guidotti". Il plurilinguismo a cui è votato Pasolini lo riporta presto sulle scene con un'opera, forse l'unica che- data l'organicità della narrazione- può essere ascritto alla famiglia dei "romanzi", Una vita violenta (1959). È una sorta di manifesto letterario con cui sancisce il suo riavvicinamento al Partito Comunista. Questo è deducibile dalle parole di Pasolini il quale in un'intervista apparsa sulla rivista "Nuovi Argomenti" nel 1959 dirà io credo soltanto nel romanzo "storico" e "nazionale", nel senso di "oggettivo" e "tipico". Emblematico è a questo fine il titolo di una raccolta di undici componimenti poetici in lingua, Le ceneri di Gramsci, "i più intensi e profondi esperimenti poetici di Pasolini […] una vera e propria summa al contempo delle posizioni ideali del poeta e della sua visione del mondo" "una delle partiture più ingannevoli e più strabilianti di tutta l'opera di Pasolini" il cui segreto sta "nei poemi, che nelle intenzioni dovevano esprimere l'angoscia dell'inafferrabilità e dell'impermeabilità del reale, si trasformano in un flusso che riproduce il reale nei suoi tessuti e nelle sue strutture, come il continuum sintattico riproduce il continuum del paesaggio" , composti tra il 1951 e il 1956 e stampati nel 1957, precedente di due anni il romanzo Una vita violenta e intervallato da una collaborazione alla sceneggiatura di Le notti di Cabiria, a cui lo invita Federico Fellini, come revisore della parte dialettale romanesca (per cui si servirà della collaborazione di quello che diventerà uno dei suoi due pupilli e tenero amico, Sergio Citti). In questa raccolta di componimenti l'obiettivo è quello di dare un volto nuovo alla storia italiana e per farlo Pasolini indulge sul passato con brani dedicati alle origini medievali del canto popolare, al periodo classico, romano greco e barbarico, al periodo comunale: il tutto in un clima quasi di attesa, di sospensione del popolo che aspetta da sempre "mai tolto al tempo" (Il canto popolare) e quindi non obnubilato dalla modernità ma vivo, sopravvissuto nel Presente e emarginato, confinato, ghettizzato in vacui solitari e fatiscenti paesi di collina, in tuguri o baracche, in squallidi quartieri periferici che circondano, con ferina purezza e semplicità, le baldanzose, bislacche città frutto del tempo breve. L'occasione è data da una visita di Pasolini al "Cimitero degli Inglesi", accanto a Porta San Paolo a Roma, a ridosso del quartiere popolare il Testaccio, in cui era stato seppellito Gramsci. Pasolini contempla amareggiato la rovina storica, "in esso c'è il grigiore del mondo / la fine del decennio in cui ci appare / tra le macerie finito il profondo / e ingenuo sforzo di rifare la vita / il silenzio, fradicio e infecondo". In questi versi sono condensate tutte le cocenti delusioni che albergano nel cuore del poeta e la sofferenza per la sorte dell'Italia: i dieci anni di dominio della Democrazia Cristiana al potere, il tradimento della Resistenza, il naufragio delle speranze e la perdita degli affetti. Durante lo srotolarsi del poemetto, Gramsci abbandona le vestigia di ideologo e uomo di partito, di padre e diviene per Pasolini "umile fratello", completamente disarmato, non rivoluzionario bensì il Gramsci della sofferenza riflessiva della prigione da cui gemmano pagine di vibrante lirismo e puntigliosa razionalità, lucidità storica e politica. Confinato nella solitudine dalla mordacità dell'uomo e dalla crudeltà della storia. L'interesse è rivolto al giovinetto Gramsci, umiliato e vilipeso, partorito dalla sensibilità del poeta, non al personaggio storico. La protesta è rappresentata dall'essere "diverso", nella poesia come nella vita. Diverso da chi, da cosa? Diverso dai prodotti della mercificazione, dall'omologazione e dalla massificazione che crea e fa subire al popolo inerme e disarmato l'evoluzione della tecnica. Questo non farà che esacerbare ulteriormente le idiosincrasie all'interno del partito dal quale, in seguito agli scandali legati alla sua omosessualità, era stato espulso. Sono gli anni in cui all'interno del partito domina l'intransigenza teologica dei marxisti ("sono inflessibili, sono tetri, / nel loro giudicarti: chi ha il cilicio / addosso non può perdonare. Nel 1958 pubblica L'usignolo della chiesa cattolica, una summa del suo credo marxista intriso soavemente di pietas cristiana. L'attività critica di Pasolini vede la sua prima momentanea sistemazione nella raccolta saggistica del 1960 Passione e ideologia. Un profondo e drastico mutamento del clima culturale occorse negli ultimi anni prima della guerra. Questo nuovo clima non è infondato ma motivato dalla lotta vittoriosa del paese contro il fenomeno fascista e la riconquista che ne derivò della libertà e della democrazia. Il primo numero compare alla fine di settembre del 1945 e, novità, in edicola perché vuole assurgere subito a organo culturale di massa. Chiude la sua attività nel dicembre del 1947. L'editoriale del direttore Una nuova cultura apre il "Politecnico". Contrasti con la redazione e divergenze di vedute fra Vittorini e esponenti di spicco del Partito Comunista, di cui era un giovane neofita, portò alla chiusura dell'organo. I dissapori con i dirigenti comunisti, in particolar modo con Palmiro Togliatti e lo storico Alicata, ruotano intorno al valore che Vittorini attribuisce alla cultura nell'orientamento della storia e nella rinascita della società, compiti che il partito attribuisce più alla politica che alla cultura. La cultura invece non può non svolgersi al di fuori di ogni legge di tattica e di strategia sul piano diretto della storia. Vittorini tende, esecrabilmente, a mettere in discussione il rapporto organico tra intellettuali e partito che dominerà la vita culturale nei decenni successivi caratterizzando la storia della cultura a sinistra dell'Italia; si rifiuta di porre così dei limiti al suo lavoro, di assecondare i diktat del partito e chiude la rivista "Il Politecnico". Il "ceto intellettuale" svolge una funzione di prim'ordine nell'analisi gramsciana, per la formazione del "blocco storico" perché è l'unico che può condurre al cambiamento la società rifondandola. Da qui, la sua idea di "intellettuale organico" per indicare quell'intellettuale che si lega visceralmente ad una classe sociale e al suo destino e istaura un rapporto dialettico con il suo partito. Una tendenza volta a creare una cultura liberale nell'Italia dopo la Liberazione ma, al contempo, attenta ai problemi del socialismo e della democrazia, corrente di pensiero incarnata da Norberto Bobbio. Per ottenere questo fine, è necessaria la comprensione della realtà. Al cinema e nella letteratura il parlato e il dialetto si impongono sovrani. Asor Rosa parla, per introdurre Pasolini, di "apoteosi e crisi del neorealismo" ricordando al lettore che ogni periodo storico-letterario finisce sempre e comunque o per rottura o per eccesso. Quello fascista, ci dice, terminò bruscamente per rottura e si fa strada l'idea che una nuova fase debba aprirsi per rispondere alle speranze degli italiani, anche nel campo del gusto e della poesia. Si scontra allora con le posizioni ufficiali del Partito Comunista che lo accusa tramite la rivista culturale ufficiale del partito, "Il contemporaneo", fondata nel 1954 e diretta da Salinari e Trombadori, di deviare dalla via del realismo inserendo nelle sue opere elementi decadenti, irrazionalistici e vitalistici. Alla "Guerra Fredda" corrisponde una spartizione del mondo in due parti (a cui nel 1962 si aggiungerà una terza realtà che è quella del blocco dei cosiddetti "paesi non allineati" nata alla conferenza di Bandung), simbolicamente indicate nella carta geografica con due colori differenti, il blu per i paesi schierati con gli Stati Uniti e rosso per quelli che gravitano intorno all'Unione Sovietica. In seguito alla Conferenza di Yalta del 1945, che stabilisce la spartizione delle zone di influenza, l'Italia viene inserita nel gioco di alleanze della potenza americana. Nel nostro Paese, il lungo periodo inaugurato dalle elezioni politiche del 1948, che vedono la vittoria di De Gasperi e della Democrazia Cristiana e l'uscita di scena del blocco delle sinistre, viene vissuto in condizioni di sostanziale equilibrio politico: per quarantacinque anni si succederanno governi a guida democristiana il cui percorso è agevolato anche da quella conventio ad excludendum, grazie alla quale vengono respinte come forze di governo, le due frange estreme dello schieramento parlamentare (Msi, erede delle posizioni della Repubblica di Salò, e Pci) . Un Paese ancora impegnato sulla strada della ricostruzione della propria identità, materiale e spirituale. La quasi totalità degli italiani ancora era impegnata, per vivere, nei settori tradizionali- principe ancora l'agricoltura che all'inizio del 1950 assorbe ancora quasi il 50% della popolazione attiva, concentrata con picchi del 56-57% al Sud (Ginsborg) - a cui corrispondeva un basso tenore di vita legato, nel caso dell'agricoltura, all'arretratezza strutturale che rallentava la crescita e la produzione (unica eccezione quella delle aziende agricole, dinamiche, moderne e produttive della Pianura Padana). Ciò è legato sia ad una perdita di autorità del pater familias, per cui il figlio del mezzadro tende a non voler più seguire le orme del padre sia al fatto che il proprietario, dato il crollo dei profitti e gli alti prezzi del mercato, tende a vendere le proprie terre il più delle volte ai mezzadri stessi. Ugualmente nel sud Italia si avvia un processo di vendita di terra che, insieme alla legge del 1948 che stabilisce il sistema di crediti ipotecari rurali rimborsabili in quarant'anni, agevola la piccola proprietà contadina. La fine del protezionismo diede nuova vita all'economia del paese portandolo, quasi obtorto collo, a rimodernarsi. In breve tempo la produzione industriale, così sollecitata al dinamismo, supera quella di tutti gli altri settori e l'Italia da paese agricolo diviene una delle nazioni più progredite del continente. L'"urbanizzazione" cambia il volto del paesaggio umano e sancisce la morte dell'"homo italicus" (Asor Rosa) legato alla proprietà e alla coltivazione della terra, sovverte totalmente i precedenti rapporti di classe con la crescita esponenziale della classe operaia di fabbrica che sarà al centro delle lacerazioni che seguiranno questo primo periodo di ebbrezza e che trova sfogo nella dura politica antisindacale e persecutoria ai danni di operai di dichiarata fede comunista perseguita dalle imprese. Il clima sociale e politico si scalderà velocemente e le lotte, le manifestazioni, le repressioni e la rabbia sociale che questa realtà esacerberà tingeranno di nero molte pagine della storia politico- sociale della Prima Repubblica italiana. Il "miracolo economico" in realtà cova degli squilibri al suo interno. Ginsborg delinea perfettamente questa situazione: il boom si realizzò seguendo una logica tutta sua, rispondendo direttamente al libero gioco delle forze del mercato e dando luogo, come risultato, a profondi scompensi strutturali. Dunque, l'altro lato della medaglia vede quelle declinazioni obliate dalla vitalità del momento, i contraccolpi che cova al suo interno il "boom" e che, accanto al forte spaesamento culturale, genera bisogni difficilmente soddisfacibili, come la domanda aggiuntiva di case, ospedali e scuole essendo più rivolto alla produzione di beni privati, individuali o al massimo familiari a detrimento dei beni pubblici e dei servizi. Fomenta anche rancore sociale accanto alle rivendicazioni di nuovi diritti dei lavoratori, che cominciano a tradursi in fiammate di combattività, a partire dagli scioperi del 1962- che si concluderà con l'episodio tragico di Piazza Statuto - e soprattutto del 1969 con la rivendicazione di uguaglianza di salario e parità normative tra operai e impiegati (lo Statuto dei Lavoratori è del 1970). Le forme governative non sono pronte alla sfida che questi mutamenti sociali mettono in campo. Avvocato seguace della linea dura, della politica "legge e ordine", opportunista nelle sue strategie di alleanze, Tambroni non si schiera apertamente con l'ala destra o sinistra del suo partito e mantiene buoni rapporti sia con i dirigenti missini che del Psi (anche se sarà bollato come uomo di destra non solo per la politica perseguita contro i manifestanti ma perché ottenne la carica di presidente del Consiglio grazie al voto degli esponenti del Msi e dei monarchici). Tambroni risponde alle manifestazioni che si svolgono a Genova, a Roma e in Emilia Romagna nel 1960 in occasione del congresso nazionale dei missini che provocatoriamente annunciano di tenerlo a Genova, una delle patrie della Resistenza, merito riconosciutole istituzionalmente con una medaglia d'oro. La vicenda Tambroni, ci fa notare Ginsborg, ha il merito di chiarire una volta per tutte una costante della storia politica della nostra Repubblica: l'antifascismo è nel dna dell'ideologia egemone per cui qualsiasi velleità autoritaria o liberticida viene osteggiata fisicamente dalla massa e messa al bando. Inoltre questo episodio favorisce un avvicinamento della Dc con i socialisti con la conseguente avanzata delle sinistre alle elezioni. Nel gennaio 1961 viene eletto alla Casa Bianca il democratico John Kennedy che, dopo il rapporto stilato sulla situazione politica italiana da un suo funzionario, decide di appoggiare l'ascesa del Psi con il doppio scopo di oscurare il partito comunista -che aumenta il proselitismo di massa- e al contempo far uscire l'Italia dallo stallo in cui il vuoto riformista l'aveva incatenato. Un papa ieratico, lontano dal sentire della gente. "Riforme mancate e mancata riforma del sistema politico si intrecciano e si alimentano a vicenda, innescando un "cortocircuito perverso" che agisce in profondità, sotto l'apparente bonaccia che va dal superamento della crisi economica all'"esplosione" del 1968" . Togliatti si aprirà al policentrismo politico e culturale e caldeggerà il superamento dello schieramento ideologico dei due blocchi. Stalin è morto nel 1953 e nel corso del XX Congresso del Pcus, che si tenne a Mosca nel febbraio del 1956, il nuovo segretario Nikita Chruscev diffonde il rapporto segreto sui crimini nefandi commessi da Stalin, favorito in questo dal "culto della divinità" a cui aveva piegato non solo la popolazione ma anche tutti i suoi sodales. La tradizione culturale del comunismo italiano ha allora, con Togliatti e la sua necessità di "vie nazionali del socialismo", l'originalità di confondersi con quella liberale. Quest'ultimo aspetto è interessante perché testimonia un processo di unificazione nazionale frutto sia di un maggior intervento scolastico mirato all'aumento del tasso di alfabetizzazione sia dell'incontro di due realtà fino a quel momento agli antipodi, i contadini del sud e la classe operaia del nord. Affermato poeta e emergente cineasta, interviene nel dibattito sui caratteri dell'italiano nell'epoca del "miracolo economico" e dedica alla nuova questione linguistica una conferenza (apparsa sulla rivista "Rinascita" nel dicembre del 1964) dove denuncia un letale sovvertimento del tradizionale assetto dei rapporti comunicativi, inquinati dall'avvento dell'industrializzazione a-morale e selvaggia e alla diffusione sempre più massiccia della televisione che tende ad unificare al ribasso la lingua italiana dalla cui facies scompare, o comunque si erode irreversibilmente, la genuinità di un dialetto che si vede aggredito dai potenti mass media. I dati statistici sono a questo fine utile: nel 1958 solo il 12 percento delle famiglie italiane possiedono un televisore, nel 1965 la percentuale è già salita al 49, allo stesso modo il possesso di un frigorifero passa dal 13 al 55 per cento, quello di una lavatrice dal 3 al 23 mentre gli italiani che posseggono un'automobile passa da 342000 a 4670000. Cambiano le abitudini alimentari e il modo di vestire degli italiani. Tutto ciò avallato dallo Stato e dal suo lassismo, dalla pigrizia e inamovibilità dei governi che nel ventennio 1950-1960 concedono piena libertà all'iniziativa privata. Fu uno dei pionieri della critica serrata e violenta di questo nuovo stato di cose, sociale e politico e ferventi saranno gli attacchi che lancerà dalle pagine di quotidiani, in particolare il "Corriere della Sera". A lacerare il velo delle illusioni saranno, in campo politico-sociale, atti di terrorismo e violenza vigliacca che dopo il preludio sessantottino, dalla Strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 darà il via alla "strategia della tensione", allo stragismo nero e al fenomeno delle Br: vicende che tanto avviliranno la nostra democrazia. Il rifiutato è l'irruzione dell'estraneità e della diversità, l'oggetto inerte e passivo del rifiuto. L'essere del rifiutato è la sua povertà e la sua miseria inseparabili e irreparabili. Pasolini con la sua opera poetica, che contempla non solo la scrittura ma anche il cinema ("la lingua scritta della realtà"), offre al suo pubblico un ampio materiale di riflessione sulla figura del rifiutato, dell'emarginato e sulle sue implicazioni sociali, politiche e morali. Negli anni Sessanta la produzione culturale e artistica si sposta sul cinema perché ha una presa maggiore sul pubblico, è più sensibile alla quotidianità e fedele al paese che cambia. L'avventura del cinema lo porterà a viaggiare costantemente negli anni Sessanta. In Alì dagli occhi azzurri, un volume che raccoglie scritti tra il 1950 e il 1965, c'è un racconto in versi che presta il titolo alla raccolta, Profezia (1962-1964) in cui riversa la sua speranza nelle potenzialità rivoluzionarie dei popoli sfruttati del terzo mondo,essi sempre umili/essi sempre deboli/essi sempre timidi/essi sempre infimi/essi sempre colpevoli/essi sempre sudditi/essi sempre piccoli […] deponendo l'onestà/delle religioni contadine, /dimenticando l'onore/della malavita/tradendo il candore/dei popoli barbari, /dietro ai loro Alì/dagli occhi azzurri- usciranno da sotto la terra/per uccidere-/usciranno dal fondo del mare per aggredire/scenderanno dall'alto del cielo per derubare […]distruggeranno Roma/e sulle sue rovine/deporranno il germe/della Storia Antica. Accanto c'è anche il filone politico, di denuncia: Le mani sulla città di Francesco Rosi,1963, affronta il tema della speculazione edilizia a Napoli, o a Elio Petri, Marco Bellocchio (I pugni in tasca, 1965) etc. Accanto a questi registi Pier Paolo Pasolini è spinto al cinema dalla volontà di dare plasticità visiva alla sua immaginazione antropologica e poetica. Il suo è un cinema tutt'altro che consolatorio, non è foriero di speranze ed è colmo di rassegnazione e amarezza, sentimenti maturati in seguito al sopravvenire della crisi delle ideologie e allo sfigurarsi del mondo del "piccole patrie". Una nuova "Bibbia dei poveri". Un cinema che fa dell'intrattenimento piccolo-borghese una sorta di Moloch e che si staglia contro l'ipocrisia dei benpensanti attraverso l'esibizione del sesso senza veli, almeno finché il consumismo non farà della liberazione dai tabù sessuali un suo imperativo, trasformando lo stigmatizzato Pasolini in corifeo della nuova normalità borghese. In Pasolini il cinema si mostra da subito per ciò che è, "passione per la vita", un mezzo per portare la poesia nella realtà attraverso la chiarezza della prosa. "[…] Io amo il cinema perché con il cinema resto sempre al livello della realtà. Sempre del biennio 1968-69 sono La sequenza del fiore di carta e Porcile (a detta dell'autore, il suo film "che più tende al cinema di poesia") mentre successive altre significative produzioni, dall'Edipo Re (1967), a Medea (1969-'70), da la "Trilogia della vita" (stagione 1970-1974) che contempla Il Decameron I racconti di Canterbury Il fiore delle mille e una notte (una trilogia della "mancanza della vita", affermazione disperata di qualcosa che non esiste più) alla quale seguirà un documento scritto nel giugno 1975 (Abiura dalla Trilogia della vita) dove giustifica il suo gesto dell'abiura con la costatazione della scomparsa di quella gioventù capace di libertà e trasgressione a cui quasi lui inneggiava attraverso questi film. L'innocenza che lui aveva perseguito qui è cancellata dal meccanismo di emulazione dei modelli veicolati dalla televisione, figli della società capitalista che tutto ciò che tocca corrompe; alla violenza disarmante e demistificante di Salò o le Centoventi giornate di Sodoma (1975) in cui la rievocazione in chiave sado-masochista di un episodio della Repubblica fascista di Salò fa da metafora della situazione dell'Italia democratico-repubblicana; a cui avrebbe dovuto seguire Porno- Teo- Kolossal, progetto interrotto, insieme al suo romanzo Petrolio, dalla tragica fine dell'autore all'Idroscalo di Ostia. Riservandoci un'analisi più puntuale in un secondo momento, possiamo tuttavia cogliere la sua convinzione che sia in atto un mutamento socio- antropologico devastante, che oscura la prospettiva popolare della Storia spogliandola così del suo carattere "assoluto". Intuibile è, a questo punto, la sua netta condanna del movimento studentesco del 1968, da cui prende le distanze dichiarandosene estraneo perché avvertito come volontà di emancipazione piccolo- borghese. Lo stato d'animo del Pasolini degli ultimi anni è di "disperata vitalità": sa di non essere compreso. I suoi interventi si fanno sempre più numerosi e appassionati, ruotano intorno a ciò che Pasolini dice soggiacere alla base di questa drammatica realtà: l'esiziale vuoto democristiano, partito arroccato nel Palazzo per semplice tornaconto personale, l'inamovibilità del progressismo e gli errori tattici del Pci, la dissoluzione del mondo proletario- contadino. L'ingordigia dei governi di centro- sinistra che dominano la scena dal 1962 al 1968, rende sordi e ciechi i politici di fronte alle esigenze di un'Italia in rapido cambiamento. Le ragioni salienti del movimento studentesco vanno ricercate nelle riforme scolastiche degli anni Sessanta: con l'introduzione (1962) della scuola media dell'obbligo fino ai quattordici anni, si incentiva un livello di istruzione di massa oltre la scuola primaria ma contemporaneamente vengono alla luce le gravi carenze: dalla mancanza dei libri di testo alle gravissime lacune nella preparazione degli insegnanti, mai aggiornati. Il Sessantotto italiano nasce nelle università con la richiesta di un serio esame di coscienza alla cultura. Nel frattempo, nelle maglie comuniste torna in auge il pensiero marxista con la sua attenzione per i coni d'ombra aperti dallo sviluppo economico e la conseguente condizione della classe operaia. A completare il quadro, si aggiungono presto le influenze "terzomondiste" provenienti dall'America del Sud, a partire dalla morte di Che Guevara in Bolivia nel 1967 che diviene così il martire simbolo della rivolta. Siamo nell'autunno del 1967 e investe gli atenei a partire dalla facoltà di sociologia di Trento a cui seguono quelli di Milano, Torino, Pisa. La nuova lettura che viene data nel Sessantotto è libertaria e iconoclastica del materialismo storico. I lasciti saranno vari, non tutti della medesima natura: innegabile il forte impulso alla democratizzazione, alla modernizzazione e alla partecipazione con l'affermazione del primato dell'assemblea a detrimento della delega. Gli atti dimostrativi, provocatori, violenti e il disprezzo per le regole furono alla base del fallimento. Ebbero però l'intuizione della necessità di avere al proprio fianco gli operai, classe sociale sclerotizzata in una situazione intollerabile. La propaganda incendiaria inibisce qualsiasi istanza modernizzatrice, le modalità di rivendicazione sono corrotte da una torsione del marxismo e del leninismo, per cui la coronazione della lotta di classe si può ottenere solo per mezzo di un furore iconoclasta e casinista. Gli anni dal 1968 al 1972 vedranno un susseguirsi di tiepidi e brevi governi di coalizione, perlopiù di centro-sinistra, che tentano di mediare la protesta con una scialba politica riformatrice che favorirà l'istituzione delle Regioni, la regolamentazione del referendum abrogativo; in campo sociale la regolamentazione delle pensioni, la nascita (maggio 1970) per merito del socialista Giacomo Brodolini dello Statuto dei Lavoratori di cui si comincia da subito a fare largo uso, la conclusione della lunga lotta del Lid per l'introduzione del divorzio in Italia, intrapresasi dopo il progetto di legge del 1965 presentato dal socialista Fortuna, il cui iter parlamentare però venne bloccato dalla Democrazia cristiana. Una condizione di assoluta precarietà su cui si abbatterà la più grave crisi economica dopo quella del 1929 e che influirà sulle politiche economiche internazionali per tutti gli anni Settanta, conosciuta come crisi petrolifera perché generata dalla decisione dei paesi dell'Opec di aumentare del 70 per cento il prezzo del petrolio facendolo schizzare alle stelle e mostrando nella sua drammaticità la totale dipendenza dei paesi occidentali dall'esportazione del petrolio. Questa crisi si abbatte su una situazione internazionale già fortemente problematica: la rottura del sistema Bretton Woods con la conseguente incertezza sui mercati finanziari internazionali, la svalutazione del dollaro, l'esplosione dei tassi salariali europei, un eccesso di offerta sul mercato del lavoro e il rapido declino dei profitti. Interessante è l'analisi che fa dei motivi che soggiacciono a questo estremismo della "nuova sinistra" Silvio Lanaro. Si è molto discettato sull'anomalia del "bipartitismo imperfetto", sul blocco ultradecennale del quadro politico e sul "revisionismo" del Pci, accompagnato dalla tattica terzinternazionalista del far terra bruciata alla propria sinistra: e tuttavia non si è posto l'accento sullo scotoma idiomatico di cui soffre chi vive in un paese privo nel lungo periodo di tradizioni liberali, e dunque costretto ad articolare le proprie concettualizzazioni (e le proprie azioni) a seconda di quanto gli offre il mercato delle idee e dei linguaggi. Immediata l'accusa da parte di polizia e governo alle frange anarchiche con l'individuazione dei responsabili nel ballerino Valpreda (che dopo aver trascorso tre anni in galera, solo nel 1985 sarà prosciolto da ogni accusa) e nel ferroviere Pinelli che "cadrà" dalla finestra dell'ufficio del commissario Calabresi durante l'interrogatorio. Alla strage del 12 dicembre e alla tensione successiva si richiamerà il primo documento del Collettivo Politico metropolitano, da cui nasceranno le Brigate Rosse, gruppo che rimarrà isolato fino alle elezioni del 1972, quando il terrorismo si colora anche di rosso con l'incruento ma emblematico sequestro di un dirigente della Sit- Siemens. Nel marzo del 1972, al XIII Congresso del partito, viene eletto segretario Enrico Berlinguer. Alla strage di Piazza Fontana se ne aggiungono presto altre: Piazza della Loggia a Brescia, attentato al treno "Italicus" nel 1974 e attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. L'unico argine, nell'opinione di Berlinguer, sarebbe stata allora una grande alleanza che si concretizzasse politicamente in un accordo con la Dc, presentandolo come una strategia in cui comunisti e cattolici avrebbero condiviso un medesimo codice morale con il quale risollevare le sorti del paese. Questa strategia avrebbe avuto il merito indiscutibile di porre il Pci al centro della scena politica dopo anni di evanescenza. La sensazione che si ha è di essere di fronte alla nemesi del Partito democristiano, come si coglie dall'esigenza pasoliniana di un "Processo etico" al "Potere", ossia al partito che lo ha incarnato, al fine di riscrivere delle regole civili universali e inviolabili. A Pasolini il "coraggio intellettuale della verità" non manca: Io so. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili della strage di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. […] Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Colpa da cui discende la necessità di un processo, un "Processo come metafora" con cui "determinare nel paese una nuova coscienza politica" sancendo definitivamente la fine di "un'epoca millenaria di un certo potere", rendendo preclara una verità fondamentale, "che governare e amministrare bene non significa più governare e amministrare bene in relazione al vecchio potere bensì in relazione al nuovo potere", ossia alle esigenze etiche della collettività civile. Le successive elezioni politiche, 20 giugno 1976 -le prime aperte anche ai giovani tra i 18 e i 21 anni-, confermano la salita del Pci che con il 34,4 per cento dei voti si avvicina alla Dc che resta stabile al 38,7 per cento, grazie alla grande borghesia che fa quadrato intorno al partito (storico l'invito del più famoso giornalista conservatore italiano e direttore del "Giornale Nuovo", Indro Montanelli, a votare Dc "turandosi il naso") mentre il Psi esce indebolito (nel 1976 il segretario De Martino verrà sostituito da un esponente dell'ala destra del partito, Bettino Craxi). I due governi Andreotti che si susseguono tra il 1976 e il 1978 e che includono il Pci nell'area di governo, passeranno alla storia come governi di "solidarietà nazionale" all'interno dei quali si appannerà la diversità comunista, grazie anche all'abilità del fine statista Aldo Moro, che con l'ambiguità e la sottigliezza del suo linguaggio, favorisce il graduale inserimento del Pci nelle logiche del sistema dei partiti, processo vissuto come un tradimento da quegli elettori che avevano riposto vitali speranze in un partito per cui Pasolini spende queste parole: la presenza di un grande partito di opposizione come il Partito Comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. A provocare il fallimento della "solidarietà nazionale" è proprio l'assenza del soggetto "nazionale" con cui unanimemente si indica un agglomerato sociale relativamente uniformato da comportamenti e valori comuni. Questo avvenimento scuote le fondamenta del sistema spingendo alla riflessione parte della società civile sull'importanza di beni immateriali usurati fino a quel momento. La presa di coscienza di Berlinguer del fallimento del "compromesso storico", si ha a Genova dove, nel settembre 1978, durante la festa nazionale dell'"Unità" rivolgendosi alla folla dirà che è giunto il momento in cui "si possono e si devono cambiare" gli equilibri politici del paese. Tuttavia, la rottura della solidarietà nazionale segnerà anche il declino del Pci. Nelle manifestazioni giovanili del 1968, diviene inviso agli studenti, e a larga parte del Pci, per la netta posizione che assume. Individua una forte ambiguità nel movimento, all'interno del quale scorge elementi piccolo-borghesi. La polemica contro/il Pci andava fatta nella prima metà/del decennio passato. siamo ovviamente d'accordo con l'istituzione/della polizia.//a Valle Giulia ieri, si è così avuto un frammento/di lotta di classe: e voi cari (benché dalla parte/della ragione) eravate i ricchi/mentre i poliziotti (che erano dalla parte/del torto)erano i poveri. /Un borghese redento deve rinunciare a tutti i suoi diritti, /o bandire dalla sua anima, una volta per sempre/l'idea del potere. Il "perturbatore della quiete" Pasolini, ospite scomodo della cultura italiana, negli ultimi anni della sua vita sente il bisogno cocente di confrontarsi con l'opinione pubblica, atterrito da ciò che vede: un'omologazione incalzante di costumi e moralità cui si doveva celermente fuggire e contro cui doveva lanciare i suoi strali anche a costo di attirarsi critiche aspre, come fu. Nel frattempo, prende a scrivere caustici pamphlet politici nella prima pagina del "Corriere della sera" (possibilità che gli è data dalla successione a Giovanni Spadolini come direttore di Piero Ottone, più liberale e pronto a violare il moderatismo borghese a favore di una più vivace dialettica politica, al cui fine venne creata una "Tribuna aperta"). I bersagli di Pasolini sono il consumismo, l'esercizio democristiano del potere, il permissivismo nei giovani e la linea ufficiale dei comunisti. Il fine è quello di provocare accese polemiche, assumendo anche posizioni inaspettate, come nel caso del referendum sull'aborto del maggio 1974 la cui vittoria viene aspramente criticata da Pasolini perché dissolve definitivamente l'identità contadina, lasciando un vuoto riempito dalla "borghesizzazione", dai valori vacui ed effimeri di un consumismo sfrenato. La vertiginosa salita del Pci alle elezioni amministrative del giugno 1975, offre a un Pasolini galvanizzato da questa novità politica, da quella che sembra una nuova primavera nata da una restaurazione della sinistra -favorito anche dal consenso accordatogli dai ceti medi, i quali sembrano rispondere a quel sentimento di legittimità costituzionale che suscita nei confronti del Pci il terrorismo di destra-, l'occasione per delineare un suo personale progetto di riforma che prevede l'abolizione immediata della scuola media dell'obbligo e della televisione. Nei confronti del successo elettorale comunista però Pasolini tiene un atteggiamento di distacco . I "fascisti di sinistra" dal punto di vista della prassi, sono frange attive all'interno del partito e simili impurità rischiano di far perdere di vista le necessità della Storia. "Io mi sono sempre opposto al Pci con dedizione, aspettandomi una risposta alle mie obiezioni. Accanto alle passioni, l'eros e le abitudini sono recidive. Nei suoi vagabondaggi notturni si riverbera il deragliamento della società italiana. Sarà vittima di aggressioni, conati di violenze e intolleranza fino al triste epilogo: l'alba del 2 novembre 1975 consegna al mondo il corpo di Pasolini abbandonato su un anonimo terreno dell'Idroscalo di Ostia. Ogni società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue fila. Poi abbiamo perso un regista che tutti conoscono, […] ha fatto una serie di film alcuni dei quali sono ispirati al suo realismo che io chiamo romantico ossia, un realismo arcaico, gentile e al tempo stesso misterioso; altri ispirati ai miti, al mito di Edipo ad esempio, poi ancora al mito del sotto-proletariato il quale è apportatore […] di una umiltà che potrebbe portare ad una palingenesi del mondo. Lì si vede questo schema del sottoproletariato. Lo schema dell'umiltà dei poveri Pasolini l'aveva esteso in fondo al Terzo Mondo e alla cultura del Terzo Mondo. […] Allora il saggista era una novità (che) corrispondeva al suo interesse civico e qui si viene ad un altro aspetto di Pasolini cioè, benché fosse uno scrittore con dei frammenti decadentistici, benché fosse estremamente raffinato e manieristico tuttavia aveva un'attenzione profonda per i problemi sociali del suo paese, per lo sviluppo di questo paese. Gli anni del boom economico italiano vedono un'incontrollabile e apparentemente solida crescita industriale a cui si accompagna un decisivo aumento del reddito e il conseguente espandersi dei consumi privati. Questa visione idilliaca è turbata tuttavia da alcune degenerazioni del sistema. La deflagrazione industriale, l'impennata della produzione settoriale e la diffusione del benessere hanno come contraltare una serie di sovvertimenti sociali che si manifestano sempre in maniera più evidente e che vanno dall'abbandono delle terre nel Meridione alla convivenza coatta nelle città industrializzate tra culture antitetiche e sconosciute sino a quel momento l'una all'altra al vuoto etico generato dalla perdita di quei valori diacronici, consolidati e comuni che informavano la vita relazionale. dove non c'è libertà ma un nuovo "dentro": il "penitenziario del consumismo" i cui "personaggi principali" sono i giovani. Il fenomeno della perdita non risarcita dei valori è devastante sui giovani, è l'ipoteca più amara che grava sul loro futuro e la caduta del prestigio irrelato dei valori culturali non poteva non produrre una mutazione antropologica, una crisi. È un sostituto della magia […] Ernesto De Martino lo chiama "paura della perdita della propria presenza" e i primitivi, appunto, riempiono questo vuoto ricorrendo alla magia, che lo spiega e lo riempie. Nel mondo moderno, l'alienazione dovuta al condizionamento della natura è sostituita dall'alienazione dovuta al condizionamento della società: passato il primo momento di euforia (illuminismo, scienza applicata, comodità, benessere, produzione e consumo), ecco che l'alienato comincia a trovarsi solo con se stesso: egli quindi, come il primitivo, è terrorizzato dall'idea della perdita della propria presenza . Alla distruzione anomica del mondo popolare, sottoproletario e delle borgate che favorisce certi fenomeni di alienazione psichica, è imputabile il clima di criminalità brutale che si diffonderà in Italia. La crisi della cultura fa sì, infatti, che molti giovani siano letteralmente ignoranti. La società viene reificata dalla nuova realtà economica. In una lettera al suo amico Alberto Moravia esprime tutto il suo disagio esistenziale, la sua rabbia e la sua disperazione fisica di fronte al cataclisma che sta investendo la società italiana, Il consumismo consiste in un vero e proprio cataclisma antropologico: e io vivo, esistenzialmente, tale cataclisma che, almeno per ora, è pura degradazione: lo vivo nei miei giorni, nelle forme della mia esistenza, nel mio corpo. Nel delineare il profilo strutturale della nuova società edonistica e consumistica si serve molto della descrizione delle relazioni individuali e del significato che queste acquistano. Pasolini parla di "genocidio" richiamandosi a Marx, intendendo dunque una totale sostituzione di valori, il genocidio: ritengo cioè che la distruzione e sostituzione di valori nella società italiana di oggi porti, anche senza carneficine e fucilazioni di massa, alla soppressione di larghe zone della società stessa. Non è del resto un'affermazione totalmente eretica e eterodossa. Oggi l'Italia sta vivendo in maniera drammatica per la prima volta questo fenomeno: larghi strati, che erano rimasti per così dire fuori della storia- la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese- hanno subito questo genocidio, ossia questa assimilazione al modo e alla qualità di vita della borghesia . La dignità della povertà, elemento caratteristico del mondo contadino e che racchiude quasi in una dimensione sacra il mito pasoliniano, si perde nelle borgate romane degli anni Settanta (unica consolazione per lui sarà la realtà contadina del Terzo Mondo). Sentivano l'ingiustizia della povertà, ma non avevano invidia del ricco, dell'agiato. È attratto dal sottoproletariato di cui delinea il profilo in una delle riflessioni fatte nel corso di una serie di incontri tenutesi nel 1975 con il giornalista inglese Peter Dragadze e che lui stesso definisce un "testamento spirituale- intellettuale", mi attrae nel sottoproletariato la sua faccia, che è pulita (mentre quella del borghese è sporca); perché è innocente (mentre quella del borghese è colpevole), perché è pura(mentre quella del borghese è volgare); perché è religiosa (mentre quella del borghese è ipocrita), perché è pazza (mentre quella del borghese è prudente); perché è sensuale (mentre quella del borghese è fredda); perché è infantile (mentre quella del borghese è adulta); perché è immediata (mentre quella del borghese è previdente), perché è gentile (mentre quella del borghese è insolente), perché è indifesa (mentre quella del borghese dignitosa), perché è incompleta (mentre quella del borghese è rifinita), perché è fiduciosa (mentre quella del borghese è dura), perché è tenera (mentre quella del borghese ironica), perché è pericolosa (mentre quella del borghese è molle), perché è feroce (mentre quella del borghese è ricattatoria), perché è colorata (mentre quella del borghese è bianca) . Pasolini non volge la tua attenzione alla caotica realtà del Nord dove le borgate sono popolate da immigrati spuri, fagocitati dal sistema neocapitalista industriale al quale hanno volontariamente aderito abbandonando le loro terre al Sud. Piuttosto trova analogie tra la cultura del sottoproletariato meridionale e la cultura contadina di quello che chiama Terzo Mondo. Individua l'errore dell'Italia nella rapidità del cambiamento e ricorda spesso nei suoi scritti come il passaggio nel secondo dopoguerra dalla società preindustriale agricola e commerciale a quella industriale sia avvenuta in soli venti anni. Il neocapitalismo è includente, unificante, tende ad inglobare creando una "unità del mondo". Tutto questo perché il neocapitalismo coincide insieme con la completa industrializzazione del mondo e con l'applicazione tecnologica della scienza. Sicché l'unità del mondo (ora appena intuibile) sarà un'unità effettiva di cultura, di forme sociali, di beni e di consumi . (Non so quindi cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo) . Per Pasolini appare di precipua importanza rifondare i modelli culturali, teorici rinnovando l'analisi marxista e della sinistra del tempo. Il capitalismo cui si riferisce Pasolini non è più quello statico, meno interessato dagli effetti della tecnologia che caratterizzò la prima fase industriale; non a caso lui parla di "neocapitalismo", dominato da una classe borghese almeno potenzialmente egemone, che informa la società dei suoi peculiari valori e caratterizzato, a differenza del vecchio capitalismo, dalla mercificazione della cultura attraverso l'industria culturale e favorito in questo dalla nascita e dalla rapida diffusione su larga scala di mezzi di comunicazione di massa, tra cui domina la televisione. La crescita industriale schizofrenica non permette dunque alle classi sociali di sedimentarsi ma al contrario le obbliga a formarsi in brevissimi lassi temporali. Giulio Sapelli nel suo testo marca la distanza della realtà italiana sia da quella inglese dove, come Engels testimonia nella sua celebre opera del 1845, Condizione della classe operaia in Inghilterra, la formazione del proletariato prende corpo già nell'Ottocento, sia da quella francese e tedesca dove il proletariato è concomitante all'espansione della borghesia. Non siamo di fronte ad una lenta trasformazione culturale, dice Pasolini, ma ad una vera e propria rivoluzione, una "rivoluzione antropologica". Il rifiuto della modernizzazione è assoluto e disperato. La cultura italiana è cambiata nel vissuto, nell'esistenziale, nel concreto. La tolleranza è l'aspetto più atroce della falsa democrazia . Quello messo in atto dall'edonismo interclassista è in realtà un subdolo razzismo che ha il volto della discriminazione per cui l'unico modello accettato è quello della normalità piccolo- borghese veicolato dalla pubblicità. Che viene dunque mimato di sana pianta, senza mediazioni, nel linguaggio fisico- mimico e nel linguaggio del comportamento nella realtà. […] Appunto perché perfettamente pragmatica, la propaganda televisiva rappresenta il momento qualunquistico della nuova ideologia edonistica del consumo: e quindi è enormemente efficace . Ecco allora cosa rimpiange Pasolini, non l' "Italietta" ma l'universo gaio dei contadini e degli operai prima dello Sviluppo. Io credo che non solo sia la salvezza della società: ma addirittura dell'Uomo. Una orrenda "Nuova Preistoria" sarà la condizione del neocapitalismo alla fine dell'antropologia classica, ora agonizzante. L'industrializzazione sulla linea neocapitalistica disseccherà il germe della Storia . È un marxista sui generis Pasolini, non possiede l'elemento principale dei marxisti: la fede nel progresso sociale. "Illuminismo culturale". Il sacro è l'elemento dell'esperienza sottratto alla materialità della vita quotidiana, alla sua relazione immediata con la sfera della vita biologica, e soprattutto con quella della vita raziocinante […] una "sospensione della ragione" che affida l'uomo ad una potenza spirituale più grande e da lui separata […] rappresenta qualcosa di diverso dalla religione, che è diffusa a livello di massa . La crisi della chiesa diventa crisi del sacro. L'ideologia illuministica del capitalismo fa vacillare una delle due uniche possibili resistenze al suo trionfo, l'atavico sentimento cattolico italiano. Richiamandosi al concetto di Engels (Antiduhring, 1878) per cui il socialismo è l'affermazione del passaggio dell'umanità dalla preistoria alla storia, Pasolini ribatte al giudizio espresso dal suo intervistatore Alberto Arbarsino che valuta la diffusione della ricchezza e l'accesso di larghi strati popolari al benessere mai conosciuto prima un fatto positivo perché segna la "liberazione dal bisogno, dalla paura, dal ricatto della fame", con queste parole: Sai cosa mi sembra l'Italia? Un tugurio i cui i proprietari sono riusciti a comprarsi la televisione, e i vicini, vedendo l'antenna, dicono, come pronunciando il capoverso di una legge "Sono ricchi! Stanno bene!". Alla domanda di Arbasino "Tu cosa vedi?", la risposta è illuminante: Due Preistorie: la Preistoria arcaica del Sud, e la Preistoria nuova nel Nord. La consistenza delle due Preistorie (e la lenta fine della Storia, che si identifica ormai soltanto nella razionalità marxista), mi rende un uomo solo, davanti ad una scelta egualmente disperata: perdermi nella preistoria meridionale, africana, nei reami di Bandung, o gettarmi a capofitto nella preistoria del neocapitalismo, nella meccanicità della vita delle popolazioni ad alto livello industriale, nei reami della Televisione. La marxista liberazione dell'uomo non avviene a seguito della serie di cambiamenti che l'avvento della tecnologia mette in atto, non si entra nella Storia ma in una nuova preistoria, quella del cupio dissolvi, dello stillicidio culturale ben rappresentato dalla televisione e voluto dal capitalismo "caro ai liberali", depositari di un'ideologia tipicamente borghese. Tutti i mali del mondo si identificano per me nella borghesia, intendendo naturalmente non il singolo individuo, ma la classe nel suo insieme e per quello che essa rappresenta . Questa borghesia per la prima volta nella storia della società italiana si pone non più come classe dominante, ma come classe egemonica. Per cui si forma una classe borghese avulsa dalle altre, contraddittoria in se stessa perché mentre dovrebbe essere protestante e liberale, nasce nel segno della Controriforma, in un mondo di contadini. Durante un intervento al congresso del partito liberale, delinea il profilo degli "sfruttatori" della seconda rivoluzione industriale, quella tecnologica, consumistica, che non sono più identificabili come coloro che semplicemente producono merci ma "nuova umanità", nuovi rapporti sociali. b) è un medium di massa […] è manipolata per ragioni extra- culturali, e la sua diffusione deve tenere anticipatamente conto del bassissimo livello medio della cultura dei destinatari, a cui si asserve per asservirli. Non può che dire, da intellettuale, "no" alla televisione (eccetto una collaborazione a Tv 7 che accetta perché la ritiene una forma di contestazione alla televisione fatta dall'interno) perché non individua in questo strumento un'autonomia propria, concreta tipica invece del giornalismo o del cinema o dell'insegnamento (in realtà Pasolini individua un momento autonomo della televisione, la "presa diretta", il cui linguaggio però stenta ad affermarsi). L'idiosincrasia di Pasolini è totale, viscerale. È per questo che Pasolini sente su di sé il dovere civico e intellettuale di proporre una radicale riforma al sistema televisivo e al suo "culturame": Bisogna rendere la televisione partitica e cioè, culturalmente, pluralistica. Ogni Partito avrebbe diritto alle sue trasmissioni […], al suo telegiornale […] e dovrebbe gestire anche altri programmi . La televisione inoltre mette in atto un altro cambiamento: avvia un processo di reificazione al ribasso della koinè linguistica. Pasolini si sofferma molto su questo aspetto perché nella sua analisi la lingua è un elemento imprescindibile dal momento che è dall'ordito del linguaggio che si studia la società nella sua immediatezza. L'ethos borghese tende ad essere introiettato dalla nuova società e ad informare di sé lavoro, disciplinamento sociale e selezione culturale. La cultura italiana è cambiata nel vissuto, nell'esistenziale, nel concreto. Il cambiamento consiste nel fatto che la vecchia cultura di classe (con le sue divisioni nette: cultura della classe dominata, o popolare, cultura della classe dominante, o borghese, cultura delle elites) è stata sostituita da una nuova cultura interclassista: che si esprime attraverso il modo di essere degli italiani, attraverso la loro nuova qualità di vita . Il consumismo altro non è che una nuova forma totalitaria- in quanto del tutto totalizzante, in quanto alienante fino al limite estremo della degradazione antropologica, o genocidio (Marx)- e che quindi la sua permissività è falsa: è la maschera della peggior repressione mai esercitata dal potere sulle masse dei cittadini . Afasia intellettuale, falsa tolleranza, interclassismo edonista: questo il risvolto drammatico della nuova società neocapitalistica che si presenta inerme, come un re nudo agli occhi di Pasolini. Il pessimismo storico di Pasolini è totale (" […] sono disperatamente pessimista"). Nei teppisti meridionali non c'è un'inconscia protesta moralistica, ma un'inconscia protesta sociale: essi non appartengono […] alla classe borghese […] ma al popolo o al sottoproletariato […] non commettono reati gratuiti, ma reati ben giustificati dalla necessità economica e dalla diseducazione ambientale . Il più emblematico cambiamento nelle abitudini degli italiani, il più lento ma al contempo più parossistico, riguarda la sessualità, fino ad allora il più forte tabù sociale. Non si può tornare indietro, la tradizione ha ceduto alla modernizzazione, all'edonè consumista: Pasolini è apocalittico. Un'analisi dettagliata e chiara ce la offre Sapelli che ci richiama alla memoria l'"economia delle aspettative" scoperta dai grandi classici dell'economia, tra cui spicca Keynes i cui studi sulla logica del consumo descrivono a livello teorico i mutamenti individuati da Pasolini. Oggi, la mancanza di determinati beni privati porta addirittura ad una sorta di isolamento all'interno della società" . Troppo manichea, la posizione di Pasolini a tratti si lascia andare forse troppo al catastrofismo, la sua visione apocalittica inficia l'oggettività dell'analisi. Turba il sistema produttivo, è di ostacolo all'affermazione del neocapitalismo nelle sue diverse accezioni, "anzitutto l'omosessualità è totalmente distaccata dalla produttività puramente umana, quella della specie, nel senso che influirebbe piuttosto negativamente sullo sviluppo demografico se si generalizzasse" . Questo fomenta il disprezzo di Pasolini verso la borghesia, lo assolutizza. Il borghese non subisce questa anomia, non partecipa della sofferenza della classe proletaria e contadina, del disagio dei borgatari ma al contrario "non hanno fatto altro che aggiornare i loro modelli culturali" per cui può affermare stentoreamente di non nutrire alcuna pena per una classe sociale che non ha fatto altro, come afferma Marx nel Manifesto del 1848, che mostrare la sua natura solipsistica tesa ad assimilare tutto a se stessa. L'assoluta (apparente) libertà sessuale, ossia il libero arbitrio sul nostro corpo, è alla base di un pensiero complesso, se vogliamo anche distorto, di Pasolini che parte dall'analisi della "nuova donna" calata all'interno della rivoluzione delle classi medie: l'essere-nel-mondo è esattamente questo, sperimentare le nuove realtà e "codificarle" per farne, conformisticamente, delle abitudini. Il meccanismo di codificazione normativa che un tempo era della matrona, della padrona di casa, ora è della "nuova donna", istruita e colta, borghese e libera nelle sue scelte politiche e sessuali. Ecco il cambiamento antropologicamente drammatico indicato da Pasolini: la piccola borghesia fa propri i comportamenti tipici della destra più gretta e intollerante. Nel corso di un dibattito con la redazione di "Roma giovani" del 1974 alla domanda sul ruolo del Sessantotto nella sua critica all'alienazione della società capitalistica e di conseguenza sulla costruzione di un nuovo discorso politico e culturale, Pasolini risponde con un secco "no". La scissione avvenuta, per opera della classe dominante, tra "progresso" e "sviluppo" viene imputata da Pasolini anche alla sinistra e alla cultura cattolica le quali avrebbero dovuto assumere su di loro la responsabilità del momento, avvertirne l'urgenza e impegnarsi al fine di tutelare i valori. Questa esortazione si collega ad uno degli interventi più dissacratori e oracolari di Pasolini, intitolato "Bologna, città consumista e comunista", contenuto nelle Lettere Luterane, una raccolta di articoli e saggi politici molto pugnaci e demistificatori del sistema di potere italiano, usciti di volta in volta sul "Corriere della Sera", su "Mondo" e su "Vie Nuove" nel corso del 1975. Nel saggio sopracitato descrive il suo strazio nel constatare come anche sull' Emilia, e sulla sua amata Bologna nello specifico, si sia diffuso lo spettro della modernizzazione capitalistica che con la sua furia distruttrice ha demolito alla base la possibilità (ai suoi occhi un tempo concreta) di realizza
International audience ; Pour le sens commun, entretenu par un lectorat très typé, Joseph de Maistre représente bien évidemment l'apôtre de la Contre-Révolution la plus intransigeante. Au risque du poncif puisqu'avec lui peut être plus nettement encore qu'avec tout autre polémiste de pareille envergure, se pose le problème de la réception d'une œuvre paradoxale, à travers laquelle d'aucuns s'emploient depuis près de deux siècles avec une belle obstination à reconnaître l'une des sources homogène, flagrante, de théories politiques ou d'idéologies totalitaires parmi les moins recommandables.Parmi d'autres, ces dernières années, le politiste Jean Zaganiaris s'est fort heureusement astreint à l'exercice de dénonciation de telles lectures systématiquement partiales ou biaisées du corpus maistrien. Dans essai publié en 2005 il s'efforce même de rappeler comment le Maistre apparemment figé à jamais dans cette sombre posture a cependant pu être étonnamment associé à de tout autres courants de pensée, jadis, y compris de manière incidente et fugace. Il s'y attache notamment à reconstituer l'argumentaire de nos jours totalement tombé dans l'oubli visant, par exemple, à reconnaître en Joseph de Maistre non seulement un précurseur de certaines idées libérales mais aussi, avec des arguments discutables et de ce fait assez peu convaincants, de certaines propositions politiques revendiquées avec constance depuis près de deux siècles par la tradition républicaine accommodée à la mode française et parlementaire.Maistre libéral ? Vraie fausse révélation pour celui que nombre de biographes ont souvent surnommé le Montesquieu savoyard afin de rendre compte avec justesse de la posture intellectuelle, au cours d'une morne première partie d'existence de notable provincial, selon ses propres dires. Il convient pourtant d'être clair : Maistre n'est pas et n'a jamais été libéral au sens aujourd'hui parlementaire et connoté du terme. Pas plus avant 1789 qu'après ! Quand bien même il incarne sa vie durant une espèce de prototype de penseur des Lumières en magistrat éclairé dédaigneux de cet amas d'institutions d'un autre âge, issues de « lois gothiques » parasitant le fonctionnement idoine des monarchies d'Ancien Régime. Si Joseph de Maistre devient un temps la fugace égérie de militants libéraux, ce n'est donc que très indirectement, ainsi que l'a fort bien compris Jean Zaganiaris. Au surplus dans le contexte très particulier de la dissolution dans l'acide corrosif du Risorgimento, au milieu du XIXe siècle, de ce Royaume de Sardaigne dont il fut au-delà du raisonnable un serviteur fidèle et loyal, aux heures pénibles de l'exil. Curieusement, celui qui a entretenu sa vie durant des rapports particulièrement complexes — pour ne pas dire ambigus — avec son prince, voire avec sa contrée natale d'un duché de Savoie plus excentré que jamais à l'Ouest des Alpes au sein des possessions sardes dites de « Terre ferme », le cœur d'Etats de Savoie en sursis depuis 1815 et de plus en plus déroutants dans leur facture ou, tout au moins, leur logique géopolitique révélatrice de l'Ancien Régime, devient en effet sur le tard la soudaine coqueluche des courtisans ou affidés de la figure incontournable du personnel gouvernemental turinois, au cours de la décennie 1850-1860, en la personne haute en couleur du Comte Benso Camillo di Cavour. Se fondant sur la correspondance de nature diplomatique officielle, de très loin la part la plus méconnue de l'œuvre maistrienne, cette poignée de jeunes gens proposent ainsi une lecture iconoclaste de « vieux papiers » de prime abord sans grands liens, il faut le reconnaître, avec la somme devenue classique de la production spéculative légitimement passée à la postérité. C'est sur cet épisode oublié, longtemps oblitéré par la confiscation anhistorique d'un Joseph de Maistre désincarné, presque éthéré par la vénération partiale de ses dévots lecteurs de la droite légitimiste du XIXe siècle puis par son héritière nationaliste d'Entre-deux-Guerres, principalement en France, qu'il convient cependant de revenir à l'heure où, à la célébration du cent cinquantième anniversaire en Savoie de la disparition des Etats éponymes répond, sur l'autre versant des Alpes occidentales, celle de l'Unità italiana. Sans prétendre évidemment concurrencer la globalité d'une analyse éclairante à plus d'un titre, puisse ainsi le cadre monographique limité de cette étude parvenir à enrichir le propos imprécis de Jean Zaganiaris sur ce point, en dépit de son mérite d'avoir exhumé, loin de ces considérations anniversaires transalpines, le débat suscité il y a cent cinquante ans par l'interprétation polémique d'un pan toujours aussi sous-estimé de la prose maistrienne.
International audience ; Pour le sens commun, entretenu par un lectorat très typé, Joseph de Maistre représente bien évidemment l'apôtre de la Contre-Révolution la plus intransigeante. Au risque du poncif puisqu'avec lui peut être plus nettement encore qu'avec tout autre polémiste de pareille envergure, se pose le problème de la réception d'une œuvre paradoxale, à travers laquelle d'aucuns s'emploient depuis près de deux siècles avec une belle obstination à reconnaître l'une des sources homogène, flagrante, de théories politiques ou d'idéologies totalitaires parmi les moins recommandables.Parmi d'autres, ces dernières années, le politiste Jean Zaganiaris s'est fort heureusement astreint à l'exercice de dénonciation de telles lectures systématiquement partiales ou biaisées du corpus maistrien. Dans essai publié en 2005 il s'efforce même de rappeler comment le Maistre apparemment figé à jamais dans cette sombre posture a cependant pu être étonnamment associé à de tout autres courants de pensée, jadis, y compris de manière incidente et fugace. Il s'y attache notamment à reconstituer l'argumentaire de nos jours totalement tombé dans l'oubli visant, par exemple, à reconnaître en Joseph de Maistre non seulement un précurseur de certaines idées libérales mais aussi, avec des arguments discutables et de ce fait assez peu convaincants, de certaines propositions politiques revendiquées avec constance depuis près de deux siècles par la tradition républicaine accommodée à la mode française et parlementaire.Maistre libéral ? Vraie fausse révélation pour celui que nombre de biographes ont souvent surnommé le Montesquieu savoyard afin de rendre compte avec justesse de la posture intellectuelle, au cours d'une morne première partie d'existence de notable provincial, selon ses propres dires. Il convient pourtant d'être clair : Maistre n'est pas et n'a jamais été libéral au sens aujourd'hui parlementaire et connoté du terme. Pas plus avant 1789 qu'après ! Quand bien même il incarne sa vie durant une espèce de prototype de penseur des Lumières en magistrat éclairé dédaigneux de cet amas d'institutions d'un autre âge, issues de « lois gothiques » parasitant le fonctionnement idoine des monarchies d'Ancien Régime. Si Joseph de Maistre devient un temps la fugace égérie de militants libéraux, ce n'est donc que très indirectement, ainsi que l'a fort bien compris Jean Zaganiaris. Au surplus dans le contexte très particulier de la dissolution dans l'acide corrosif du Risorgimento, au milieu du XIXe siècle, de ce Royaume de Sardaigne dont il fut au-delà du raisonnable un serviteur fidèle et loyal, aux heures pénibles de l'exil. Curieusement, celui qui a entretenu sa vie durant des rapports particulièrement complexes — pour ne pas dire ambigus — avec son prince, voire avec sa contrée natale d'un duché de Savoie plus excentré que jamais à l'Ouest des Alpes au sein des possessions sardes dites de « Terre ferme », le cœur d'Etats de Savoie en sursis depuis 1815 et de plus en plus déroutants dans leur facture ou, tout au moins, leur logique géopolitique révélatrice de l'Ancien Régime, devient en effet sur le tard la soudaine coqueluche des courtisans ou affidés de la figure incontournable du personnel gouvernemental turinois, au cours de la décennie 1850-1860, en la personne haute en couleur du Comte Benso Camillo di Cavour. Se fondant sur la correspondance de nature diplomatique officielle, de très loin la part la plus méconnue de l'œuvre maistrienne, cette poignée de jeunes gens proposent ainsi une lecture iconoclaste de « vieux papiers » de prime abord sans grands liens, il faut le reconnaître, avec la somme devenue classique de la production spéculative légitimement passée à la postérité. C'est sur cet épisode oublié, longtemps oblitéré par la confiscation anhistorique d'un Joseph de Maistre désincarné, presque éthéré par la vénération partiale de ses dévots lecteurs de la droite légitimiste du XIXe siècle puis par son héritière nationaliste d'Entre-deux-Guerres, principalement en France, qu'il convient cependant de revenir à l'heure où, à la célébration du cent cinquantième anniversaire en Savoie de la disparition des Etats éponymes répond, sur l'autre versant des Alpes occidentales, celle de l'Unità italiana. Sans prétendre évidemment concurrencer la globalité d'une analyse éclairante à plus d'un titre, puisse ainsi le cadre monographique limité de cette étude parvenir à enrichir le propos imprécis de Jean Zaganiaris sur ce point, en dépit de son mérite d'avoir exhumé, loin de ces considérations anniversaires transalpines, le débat suscité il y a cent cinquante ans par l'interprétation polémique d'un pan toujours aussi sous-estimé de la prose maistrienne.
2011/2012 ; Il progetto di ricerca ha lo scopo di analizzare la terminologia giuridica in lingua inglese e italiana relativa alla figura della vittima di reato e radicata nello spazio giuridico europeo, caratterizzato dalla coesistenza dell'ordinamento giuridico sovranazionale dell'Unione europea (UE) e degli ordinamenti giuridici nazionali del Regno Unito e dell'Italia. Secondo l'ipotesi principale alla base del progetto, il linguaggio giuridico è intrinsecamente caratterizzato da un certo grado di dinamismo terminologico, che si esprime sia a livello linguistico, con una serie di termini utilizzati per riferirsi a uno stesso concetto, sia a livello concettuale, dove si riflettono le diverse concettualizzazioni della stessa area del diritto. Poiché la terminologia giuridica analizzata nella presente tesi si colloca in uno spazio giuridico che vede il sovrapporsi di vari ordinamenti, si presume che detto dinamismo si manifesti in due diversi contesti linguistici. Nel primo contesto, che è di tipo intralinguistico, viene presa in considerazione la terminologia utilizzata nelle varianti nazionale e sovranazionale della stessa lingua, mentre nel secondo contesto, di tipo interlinguistico, la terminologia è esaminata da una prospettiva multilingue. Al fine di verificare la veridicità di tale ipotesi, è stata sviluppata una metodologia per l'analisi della terminologia giuridica in cui la distinzione tra genotipi e fenotipi introdotta da Sacco (1991) si unisce ai principi metodologici proposti da Cabré (1999a) per il lavoro terminografico. Per poter applicare detta metodologia è stato necessario costruire un corpus bilingue di testi dell'Unione europea e una collezione di testi di origine nazionale, entrambi incentrati sulla figura della vittima di reato. L'analisi della terminologia estratta ha rivelato che, nel primo contesto linguistico, il dinamismo intralinguistico si riflette nella variazione terminologica, che può interessare sia la sfera linguistica della terminologia (variazione denominativa) sia la sfera concettuale (variazione concettuale). La variazione denominativa consiste nell'esistenza di più unità terminologiche per designare uno stesso concetto, che però non comporta modifiche sostanziali nei relativi fenotipi. Nel caso della variazione concettuale, invece, è possibile riscontrare un certo anisomorfismo nei fenotipi. In entrambi i casi, tuttavia, tutti i termini interessati dal fenomeno della variazione terminologica mantengono la relazione con uno stesso genotipo. Si è proposta una classificazione della variazione denominativa prendendo in considerazione quattro variabili, ossia il livello di specializzazione, il periodo temporale, l'ordinamento giuridico e la valenza giuridica. Visto l'approccio metodologico adottato nel presente progetto di ricerca, in cui la terminologia giuridica dell'Unione europea è presa come punto di partenza ai fini dell'analisi terminologica e della strutturazione preliminare del sistema concettuale relativo al dominio, la variazione concettuale è stata riscontrata con minor frequenza rispetto alla variazione denominativa. Nell'analisi del secondo tipo di variazione terminologica, ossia della variazione concettuale, è stata presa in considerazione un'unica variabile, ovvero l'ordinamento giuridico. In base a tale variabile, la variazione concettuale è stata classificata come intra-sistemica, qualora sia riscontrata nell'ambito dello stesso ordinamento giuridico, ed inter-sistemica, qualora l'ordinamento sovranazionale e quello nazionale elaborino due fenotipi concettualmente diversi che, a prescindere dalle divergenze concettuali, possono essere ricondotti allo stesso genotipo. Nel secondo contesto linguistico, ovvero quello multilingue, la terminologia giuridica si è dimostrata caratterizzata da diversi gradi di equivalenza interlinguistica. Essendo la terminologia esaminata radicata in tre sistemi giuridici diversi, sono stati individuati due diversi tipi di equivalenza terminologica, ossia l'equivalenza intra- e inter-sistemica, e tre diversi gradi di equivalenza terminologica, ovvero l'equivalenza assoluta, l'equivalenza relativa e la non equivalenza. Altro scopo della presente tesi era quello di registrare le informazioni terminologiche raccolte in una base di conoscenza terminologica orientata alla traduzione giuridica. Giacché la terminologia esaminata è caratterizzata da un alto tasso di dipendenza dall'ordinamento giuridico a cui fa riferimento, la base di conoscenza terminologica MuLex è stata concepita specificamente come ausilio alla traduzione giuridica. MuLex ha quindi lo scopo di esplicitare le differenze riscontrate tra i sistemi giuridici esaminati e spiegare le peculiarità dell'uso di tale terminologia giuridica agli utenti finali. Al fine di ottimizzare la rappresentazione della conoscenza soggiacente la terminologia giuridica, le schede terminografiche in MuLex sono dotate di uno strumento di visualizzazione che consente la rappresentazione grafica delle strutture relazionali concettuali che raffigurano i concetti analizzati registrati nella base di conoscenza stessa. ; The research project aims at studying the English and Italian legal terminology related to the area of law of victims of crime and embedded in the multi-level jurisdiction provided by the supranational legal system of the European Union (EU), on the one hand, and the British and Italian national legal systems, on the other. The main hypothesis is that legal language is inherently characterised by terminological dynamism, which emerges both at the linguistic level – with different terms used to refer to individual legal concepts – and at the conceptual level, where different conceptualisations of the same legal domain are reflected. Since the bilingual legal terminology that has been examined occurs within a judicial space in which several legal systems are interconnected, such dynamism is expected to manifest itself in two different linguistic settings. In the first, the terminology in a national and an EU variety of the same language is taken into consideration, while in the second setting, terminology is studied from a multilingual perspective. In order to verify the main hypothesis, a methodological framework has been set out, on the basis of both the methodological premises for terminological analysis proposed by Cabré (1999a) and the distinction between genotypes and phenotypes introduced by Sacco (1991). Such a methodology required the compilation of a bilingual corpus of EU legal texts and a collection of national legal texts focusing on the figure of the victim of crime. The examination of the terminology extracted has shown that in the first linguistic setting envisaged, intralingual dynamism is reflected in terminological variation, which can affect either the linguistic layer (denominative variation) or the conceptual layer (conceptual variation) of terminology, with denominative variation consisting in the co-existence of several terminological units in which no substantial difference in the phenotypes involved is produced, while in conceptual variation anisomorphism among the phenotypes can be observed. In both cases, all the terms affected by the phenomenon of terminological variation are related to the same genotype. A classification of denominative variation has been proposed based on four variables, i.e. degree of specialisation, time span, legal system, and legal force. Due to the methodology adopted in this research project, in which the EU legal terminology has been taken as the starting point for both the terminological analysis and the preliminary conceptual structuring of the legal area of the study, conceptual variation has emerged to be less frequent than denominative variation. By taking the legal system as a variable in the analysis of conceptual variation, such variation has been subdivided into intra-systemic variation, occurring within a single legal system, and inter-systemic variation, when the supranational and the national legal systems elaborate two conceptually different phenotypes which, in spite of their conceptual anisomorphism, can be linked to the same genotype. In the second linguistic setting, where terminology is studied from a multilingual perspective, legal terminology has turned out to be characterised by different degrees of interlingual equivalence. On account of the embeddedness of the legal terminology examined in three different legal systems, different types and degrees of terminological equivalence have been identified and discussed: the types of terminological equivalence are intra-systemic and inter-systemic equivalence, while the degrees of equivalence are absolute equivalence, relative equivalence and non-equivalence. Another aim of this thesis was to record the collected terminological data in a legal translation-oriented terminological knowledge base (TKB). The terminology under discussion is characterised by a high degree of dependency on the legal system it refers to and the MuLex terminological knowledge base was specifically designed for helping the work of legal translators. This TKB aims at capturing the differences among the legal systems involved in the study and showing the peculiarities in the usage of legal terminology in such legal systems to its end users. For optimising the representation of the domain-specific knowledge implied by legal terminology, in MuLex terminographic entries integrate a tool enabling the graphic representation of the conceptual relational structures among the concepts analysed and recorded in the TKB. ; XXV Ciclo ; 1982
Dottorato di ricerca in Ecologia e gestione delle risorse biologiche ; La crescente richiesta di energia elettrica per il funzionamento delle apparecchiature elettroniche di uso quotidiano, sia in ambito civile che industriale, ha provocato negli ultimi decenni il proliferare di centrali termoelettriche, con conseguente aumento della potenza di produzione e delle dimensioni delle singole unità produttive. La necessità di raffreddare i condensatori e, quindi, l'esigenza di disporre di ingenti quantitativi d'acqua atti allo scopo, ha reso sempre più pressante il problema di reperire siti idonei per l'istallazione delle centrali, motivo per cui la maggior parte di esse sono state collocate presso la costa, con evidenti vantaggi di presa di acqua e smaltimento del calore residuo direttamente a mare. Spesso non si è tenuto in debito conto che, l'utilizzo di notevoli masse di acqua, potesse provocare problemi ambientali, non solo come impatto sulle biocenosi nel bacino ricevente il refluo termico, ma anche con una serie di effetti nocivi sugli organismi associati al volume d'acqua prelevata, quasi sempre con conseguenze mortali. Studi sugli impatti degli scarichi di reflui caldi sulle biocenosi, hanno dimostrato che gli organismi viventi sottoposti all'effetto del "pennacchio caldo" possono subire shock termici dovuti a repentini cambiamenti di temperatura in un tempo così breve da non consentirne l'acclimatazione. Questi impatti, sono in grado di provocare cambiamenti sulle risorse trofiche dei pesci, anticipazione nel raggiungimento della maturità sessuale, aggregazione massiva di individui nelle aree di scarico, riduzione della ricchezza specifica della comunità. Per quanto riguarda i volumi di acqua prelevati dall'ambiente per i processi di raffreddamento delle centrali termoelettriche, l'impossibilità di resistere alla forza con cui l'acqua viene pompata nell'impianto, fa sì che un certo numero di organismi (pesci, molluschi e organismi planctonici) associati alla massa in ingresso, vengano trascinati verso l'interno della struttura. Gli organismi di taglia maggiore si arrestano contro le grate metalliche dei filtri, dove subiscono effetti dannosi dipendenti dall'esaurimento fisico, dal soffocamento e dall'impatto meccanico contro le barriere, tale fenomeno viene definito "impingement". Gli organismi di piccole dimensioni (fra cui larve e uova di pesci), vengono trascinati all'interno delle strutture di raffreddamento, fenomeno di "entrainment", dove subiscono abrasioni meccaniche, intossicazione per la presenza di biocidi e stress legati all'aumento di temperatura ed a cambiamenti di pressione. L'impatto delle centrali elettriche sulle comunità ittiche ha riscosso particolare attenzione nel Nord America ed in Canada, dove l'industria idroelettrica ha una lunga tradizione e l'entità delle ricadute economiche per il depauperamento di specie commerciali sono notevoli. In Italia la presa e restituzione di acqua per usi industriali è regolamentata dal Decreto Legislativo n.152 del 3 Aprile 2006 (Gazzetta Ufficiale n.88) anche se, nel detto decreto, non si fa cenno agli organismi viventi associati alla massa d'acqua utilizzata. Inoltre nonostante la maggior parte delle centrali Italiane siano collocate lungo la costa, non risultano studi sperimentali volti all'individuazione di un impatto sulle biocenosi, conseguente la presa di acqua marina. E' in tale ambito che è nata l'idea progettuale, indirizzata alla verifica di eventuali impatti sulla fauna ittica relativi alla presa e restituzione di acqua marina per il raffreddamento dei condensatori della centrale termoelettrica A. Volta nel Tirreno centrale. L'idea, seppur innovativa e mai sperimentata in Italia, non teneva in considerazione il sopraggiungere della crisi economica che ha, di fatto, dal 2008 ad oggi provocato la riduzione del quantitativo annuale di produzione elettrica della centrale, in conseguenza della chiusura in tutto il territorio nazionale di numerosi esercizi commerciali e fabbriche, con successiva minor richiesta energetica. L'altalenante funzionamento della centrale e quindi il ridotto prelievo di acqua marina, ha aumentato enormemente i livelli di variabilità del sistema, diminuendo al contempo la disponibilità programmatica per i campionamenti e la presenza costante di un refluo termico a mare consistente. Si è quindi deciso di concentrare le attività di ricerca nella valutazione del fenomeno dell'entrainment sugli stadi precoci dei teleostei, ricerca che presenta il maggior indice di innovazione, non essendo mai stata sperimentata in nessuna centrale Italiana e di cui non ci risulta esistano lavori analoghi in tutto il Mediterraneo. L'analisi ha riguardato la messa a punto di un sistema di campionamento particolare, dovendo operare all'interno delle strutture artificiali dell'impianto, con la scelta degli attrezzi da pesca più idonei, l'individuazione dell'area di prelievo, il lume della maglia più adatto ed i tempi di cala più redditizi, cioè in grado di armonizzare abbondanza di catture e rigurgito dovuto ad intasamento delle maglie. I campionamenti con reti da plancton per la componente ittioplanctonica e le uova sono state eseguite nei canali interni alla centrale nell'area antecedente i filtri. Le attività a mare invece, hanno riguardato il campionamento con sciabica da terra nell'area interessata dal refluo termico ed in due aree controllo a nord e sud dello stesso, per la cattura dei giovanili in fase d'insediamento. Le attività di campionamento interne alla centrale sono state condotte dal 2009 al 2011, con cadenza stagionale nei primi due anni. Durante le 384 ore di lavoro sono stati filtrati un totale di 235.574,5 m3 di acqua marina, suddiviso in 236 cale, la maggior parte delle quali nel 2009. Alcune cale sono state effettuate preliminarmente nel 2008, al fine di definire il disegno di campionamento per gli anni successivi ed individuare l'area di prelievo, la tipologia di rete adatta e standardizzare i tempi di cala più idonei. Le attività di smistamento e determinazione tassonomica hanno portato complessivamente alla raccolta di 668 individui suddivisi in 24 taxa e 2.459 uova di teleostei. Lo studio ha dimostrato, per il sistema di raffreddamento della centrale A. Volta, l'esistenza di un impatto sugli stadi precoci dei teleostei, in conseguenza del fenomeno di entrainment, con un prelievo stimato per l'anno 2009 di circa 12 x 106 larve e 24,5 x 106 uova, le sardine e le alici sono risultate le specie maggiormente impattate dalla centrale. Il peso stimato, circa 300 Kg, delle larve di sardina prelevate dalla centrale nel corso del 2009, è stato relazionato con i dati di cattura del bianchetto in Liguria. Il dato corrisponde a 50 giorni barca per il compartimento di Genova e 31 giorni barca per il compartimento di Savona, con una perdita economica che va dai 9.000,00 euro (vendita all'ingrosso) ai 15.000,00 euro (vendita al dettaglio). L'analisi statistica mediante PERMANOVA ha inoltre constatato differenze significative fra le comunità ittioplanctoniche nelle varie stagioni per i valori di abbondanza, mentre non sono risultati significativamente differenti i dati stagionali per numero di uova. L'estate si è confermata come il periodo con i valori di diversità, ricchezza specifica ed equitabilità più elevati, mentre l'inverno ha registrato il maggior numero di esemplari campionati. La relazione fra il numero di esemplari catturati e le fasi lunari ha mostrato una maggiore abbondanza di larve durante il I quarto lunare, fase in cui la differenza di marea manifesta un'escursione minore rispetto alla fase di luna piena o luna nuova. L'identificazione delle principali specie registrate nei diversi periodi, è stata confermata da dati di letteratura in aree limitrofe del Mediterraneo. Le catture con sciabica da terra non hanno mostrato differenze significative nelle comunità ittiche soggette al refluo caldo rispetto alle aree di controllo. ; Due to the large amount of natural water used in the cooling intake of electric power plants, resulting impact on marine organisms have been studied in different part of the world. Cooling water intake usually affect marine organisms in three different way: entrainment (where small aquatic organisms are carried by the cooling water into the power plant), impingement (where the cooling water intake traps larger organisms against the intake screens) and thermal outfall (hot water discharged on living organisms in the receiving water body). In this study (the first one carried out in Italy), the impact of the cooling water intake of the electric power plant of Montalto di Castro (VT) (Central Tyrrhenian Sea) on fish was determined by evaluating the effect of entrainment on eggs and larvae and that of thermal outfall on juveniles. A specific sampling design has been create to operate inside the artificial intake, with new methodology, different plankton nets and right time of haul. Sampling campaign have been conduct at sea, using a handed trawling net, to the catch of juveniles fish during settlement stage, in the thermal outfall area and in two control areas. Overall 668 fish larvae of 24 taxa and 2500 fish eggs were collected after filtering 235.574 m3 of marine water inside the intake. Impact of entrainment on early stage of fish was estimated to be of 12 x 106 larvae and 24,5 x 106 eggs per year. Sardina pilchardus was the most impacted species, with an estimated economic damage to the traditional fisheries, ranging between 9.000 and 15.000 euro per year. The highest values of diversity index, richness and evenness were recorded in summer, whereas the largest number of larvae were caught during winter.
2007/2008 ; Introduzione La Guerra Economica costituisce da almeno venti anni una delle più impegnative sfide del sistema internazionale. Essa, infatti, coinvolge numerosi elementi e fattori della competizione e della conflittualità tra Stati, e tra Imprese, in un quadro di elevata interdipendenza dell'intero sistema delle Relazioni Internazionali e della Geopolitica. Gli attori del sistema internazionale post bipolare hanno visto crescere la conflittualità su base economica in uno scenario internazionale sempre più dominato dal prevalere delle Organizzazioni Internazionali trans nazionali, regionali e tematiche. Stati ed Imprese competono sfruttando tutti gli elementi della Guerra Economica in un contesto spesso privo di diritto, di confini fisici, di strutture atte a regolamentarne la soluzione e soprattutto senza che l'opinione pubblica possa percepire che tale guerra sia in corso o sia avvenuta. Gli attori della Guerra Economica sfruttano ogni mezzo per poter compiere azioni belliche quali i classici strumenti del mercantilismo (dazi doganali, vincoli all'import/export, limiti alla produzione, sovvenzioni pubbliche alle imprese ed al consumo, strumenti finanziari) o ancora lo spionaggio industriale, l'azione lobbystica, le associazioni di categoria ed i gruppi di interesse. Tuttavia oggi si è rafforzato un altro strumento principe della Guerra Economica che si è affacciato con la fine della contrapposizione ideologica e soprattutto con la diffusione esponenziale dell'informazione (Tv, Radio, Giornali ed Internet): la Guerra dell'Informazione. Tale strumento, attraverso la copertura globale delle informazione a la loro diffusione in tempo reale, non costituisce solo un'opportunità per gli Stati e le Imprese di competere sul piano planetario nell'ambito della concorrenza ma anche un sottile ed efficace strumento di attacco bellico per colpire concorrenti e nemici. Colpire la reputazione di un Amministratore Delegato a livello personale, screditare un prodotto di un'azienda, accusare un politico influente nella realtà nazionale, immettere nel mercato delle informazioni notizie false in un quadro di diffusione globale significa applicare tecniche quali una strategia, tattiche, contromisure ed intelligence tipiche dello scenario bellico. La consapevolezza per uno Stato o per un'Impresa di avere a disposizione strumenti di attacco, come allo stesso tempo l possibilità di essere colpiti da altri, richiede da parte di tutti gli organi dello Stato e delle Associazioni imprenditoriali un senso di responsabilità tale da essere strettamente necessaria la condivisione delle informazioni e degli strumenti necessari a competere nel mercato globale. Se le Imprese hanno l'obbligo di tutelare i propri azionisti come anche i loro dipendenti a possibili tracolli economici, gli Stati hanno la necessità di sostenere le proprie Imprese, alcune delle quali formano l'interesse strategico nazionale: energia, telecomunicazioni, i trasporti, l'industria pesante e di alta precisione. Gli Stati hanno nella Guerra Economica il compito di tutelare, attraverso le proprie risorse e l'organizzazione, quello che viene definito "interesse nazionale" Se appare intuitivo comprendere l'importanza di alcuni settori strategici quali quelli sopra descritti, è altrettanto rilevante sottolineare l'importanza strategica di settori quali la grande distribuzione, la sanità o l'ambiente. Tutti questi elementi hanno delle radicali conseguenze se messi sotto stress da attacchi di Guerra Economica con ripercussione sui mercati, la società civile e la politica. Gli strumenti che caratterizzano la Guerra Economica sono molteplici e frutto di interazioni tra discipline diverse che vanno dalla linguistica all'analisi semantica dei testi, dall'intelligence economico allo sviluppo di tecnologie avanzate. Ma si tratta allo stesso tempo di mettere in stretta relazione metodologie e tecniche proprie dell'analisi geopolitica e geoeconomica insieme alle tecniche di analisi finanziaria o giuridica. Tutte queste scienze e discipline insieme compongono un piano estremamente complesso che permette alle aziende ed allo Stato di competere con maggiore efficienza sui mercati internazionali. Tuttavia la consapevolezza di dover acquisire e soprattutto sviluppare queste tecniche ancora non è particolarmente chiaro ai decisori politici ed economici dell'Italia e dell'Europa Unita. I passi di maggiore spessore e rilevanza sono stati fatti in Francia soprattutto grazie École de Guerre Économique, un'istituzione nata dall'interazione tra Dipartimento della Difesa, Diartimenti universitari in Geopolitica e Geostrategia ed Economisti. L'insieme ha portato alla realizzazione di un luogo deputato allo studio della Guerra Economica, dell'analisi di casi concreti e ancor più rilevante di ipotizzare non solo attacchi a livelli internazionale ma anche a tutela degli interessi nazionali francesi. Sebbene negli Stati Uniti non vi siano scuole di questo tenore e soprattutto chiamate esplicitamente in tal senso, esiste a livello diffuso tra le diverse amministrazioni dello Stato la consapevolezza ce le risorse del paese sono destinate a svolgere l'unico vero compito di guerra oggi disponibile, vale a dire la Guerra Economica. All'interno di questa espressione si sviluppano concetti quali la Guerra Cognitiva, l'Intelligence economico, le Lobby e la diplomazia parallela. Tutti concetti sfuggevoli alla dottrina scientifica ma decisamente importanti nell'analisi della Guerra Economica. Lo sviluppo di questa disciplina e di quelle ad essa collegate dipende interamente dalla scelta dei Governi e dalla pressione che le altre istituzioni locali e regionali assieme all'imprenditoria privata riescono a compiere. Risorse e coordinamento scientifico sono alla base di una disciplina che difficilmente potrà prendere piede a livello accademico ma che potrebbe trovare nell'accademia un valido sostegno soprattutto di carattere culturale e metodologico. Studiare la competizione tra le aziende a tutti i livelli, giuridico, economico, tariffario, finanziario e di conseguenza anche geopolitico, geoeconomico e secondo le dinamiche della Guerra dell'Informazione aiuterebbe a sviluppare strategie e contromisure. Le Università italiane in particolare sono carenti sotto questo aspetto. Non solo perché sono scarse le risorse destinate alla ricerca ma soprattutto perché manca indiscutibilmente il concetto di sistema paese a tutela degli interessi nazionali. Questa espressione studiata sia sotto il profilo giuridico che filosofico senza dimenticare l'aspetto prettamente geostrategico tralscia un importante elemento, vale a dire la difesa degli interessi economici del paese. La Guerra Economica ha lo scopo di dare un apporto significato allo studio scientifico, sistematico e strategico proprio di questo lato dell'interesse nazionale. Il problema delle risorse potrebbe essere un problema ampiamente superabile. Lo Stato infatti troverebbe nelle aziende private validi partner strategici per sviluppare le migliori tecniche e allo stesso tempo offrirebbe al paese spazi di utilizzo, casistiche particolareggiate e un valido contributo alla sinergia tra Stato e privati. La Guerra Economica racchiude un elevato numero di tecniche di analisi, indagine, azione ed una metodologia che oggi comunemente in accademia viene definita multi disciplinare. Economia, diritto, scienza politica, geografia, filosofia, socio linguistica, semantica, sono solo alcune delle scienze che possono contribuire a quella che non può e non deve essere definita come una scienza. La Guerra Economica, al pari della Geopolitica delle origini, costituisce uno strumento per il decisore politico ed economico che deve operare in contenti di conflittualità economica e che allo stesso tempo deve scegliere quali strumenti adottare di volta in volta. La Guerra economica, proprio per la sua natura difficilmente riconducibile ad un percorso accademico di base, propedeutico, dovrebbe essere oggetti studio attraverso fondazioni private a partecipazione universitaria e privata per garantire all'utilizzatore la massima flessibilità di pensiero e strumenti. La competizione globale difficilmente nel prossimo futuro vedrà confrontarsi sul piano militare quelle che oggi sono le potenze economiche mondiali. Queste infatti già competono proprio sul piano strategico economico senza dover mettere in campo eserciti e forze militari per adempiere alle proprie necessità di potenza. Gli elementi pratici descritti che comprendono il mercato dell'acciaio negli ultimi anni e quello dei subprimes dell'autunno scorso, riflettono una tendenza che andrà sempre più ad ampliarsi nel contesto globale. La discussione del futuro, infatti, non sarà più concentrata sull'importanza di questa disciplina ma piuttosto sull'importanza degli strumenti da adottare, la tecnologia da sviluppare e gli effetti che si verificheranno sui mercati. Lo sviluppo tecnologico non comprende solo ed esclusivamente la capacità di costruire strumentazione sempre più sofisticata nella raccolta delle informazioni ma piuttosto sarà necessaria una tecnologia adatta all'elaborazione delle informazioni attraverso idee e strategie adatte alle sfide che si verranno a creare. La salvaguardia degli interessi nazionali quali le infrastrutture e la loro gestione, le risorse energetiche, le telecomunicazioni sono solo alcuni aspetti fondamentali ripresi dalla geopolitica. Il futuro riguarderà la Grande Distribuzione, l'immobiliare, le Banche e numerosi altri elementi che oggi riteniamo minori perché occupano quote meno rilevanti del sistema economico. La situazione italiana in relazione alla disciplina è piuttosto scarsa. Sebbene di vitale importanza per tutti i paesi appartenenti al G8 e in un molto prossimo futuro a tutti i paesi del G20, realisticamente più descrittivi della situazione economica mondiale, l'Italia non si è dotata di strumenti teorico/pratici adeguati al problema. Gli Istituti di Politica Internazionale presenti sul nostro territorio sono particolarmente orientati allo sviluppo di studi politologici o economici e nessuno in stretta relazione uno con l'altro. La Guerra economica rimane quindi una disciplina nel contesto italiano relegata a qualche appassionato che, con strette relazioni internazionali e visione strategica di lungo periodo, ne ha compreso l'importanza. Un Istituti di ricerca e formazione quale è l'ISPI (Istituto di Politica Internazionale) nato nei primi anni '30 proprio dall'esigenza delle grandi aziende italiane allora del triangolo industriale di essere presenti all'estero con analisi e studi di penetrazione economica, oggi non possiede al suo interno alcun elemento che possa far pensare ad uno sviluppo della disciplina attraverso il coinvolgimento diretto del Ministero degli Esteri e delle Aziende partner. L'ISPI si troverebbe in un'ottima posizione avendo come obbiettivo statutario lo sviluppo della strategia aziendale all'estero e allo stesso tempo avendo una cultura ed una tradizione legata all'ambiente diplomatico e politico del paese. ; XXI Ciclo
2006/2007 ; Una ricerca sulla supervisione professionale agli Assistenti Sociali . Anna Maria Giarola frequentante il III anno di Dottorato in "Sociologia, Scienze del Servizio Sociale e Scienze della Formazione"di Trieste, XX Ciclo. tutor Prof.Franco Bressan co-tutor Dott.ssa Elisabetta Neve Premessa Un breve inquadramento storico della supervisione in Servizio Sociale, ci condurrà alle motivazioni sottese alla ricerca svolta. Nell'ambito della formazione e della pratica professionale degli assistenti sociali è sempre stata presente la supervisione, che ha rappresentato il punto di raccordo tra la dimensione formativa e quella lavorativa della professione. Lo sviluppo teorico e metodologico della pratica della supervisione nel Servizio Sociale è stato ampiamente influenzato dal modello statunitense. Iniziata negli anni Trenta, la supervisione nei servizi sociali statunitensi era fortemente improntata a una funzione "amministrativa" di controllo della qualità e della produttività del lavoro degli assistenti, sulla base degli standard, degli scopi e degli obiettivi fissati dall'Ente, secondo uno stile di management ripreso dal modello produttivo e organizzativo aziendale americano.(Cortigiani M.,2005) A questa iniziale impostazione, vennero apportate nel nostro Paese delle correzioni decisive nel senso di dare alla supervisione anche la funzione di garantire agli operatori un supporto tecnico, formativo e personale.(Tommassini G.,1962) I supervisori lavoravano all'interno degli Enti di assistenza ed erano gerarchicamente incastonati nell'apparato amministrativo, ricoprendo quattro funzioni (Hester, 1951) : 1) funzione amministrativa e cioè controllo sull'operato, sulla qualità, sulla programmazione, pianificazione e distribuzione del lavoro; 2) funzione valutativa dei risultati, 3) funzione didattica volta ad integrare e completare la formazione dell'operatore svolta prima dell'ingresso nell'Ente; 4) funzione di consultazione relativamente ai casi specifici per i quali l'operatore necessiti di un supporto tecnico da parte di un operatore più esperto. Queste funzioni erano combinate con pesi e misure diverse a seconda dell'ambito della loro implementazione, ma la figura del supervisore restava una figura chiave all'interno degli Enti erogatori dei servizi e l'elemento di riflessività, che la connotava, portava un valore aggiunto all'operatività dell'assistente sociale. La peculiarità del Servizio Sociale di mettere in stretta, dipendente, relazione prassi operativa ed elaborazione teorica, trovava appunto nella supervisione un elemento forte di riflessione sulla propria operatività, da tradurre o rapportare al paradigma teorico. ( Neve E., 2000) Quando nel nostro Paese, in virtù della riforma dell'assistenza e del decentramento della responsabilità del ruolo assistenziale ai Comuni, gli Enti vennero chiusi e gli assistenti sociali decentrati nelle unità territoriali, la figura del supervisore, così come era stata fino ad allora concepita, tese a sparire. Lo sviluppo del Servizio Sociale è stato da allora molto complesso e la professione si è arricchita di nuove e maggiori competenze nei vari ambiti, ma la figura del supervisore non ha più trovato una chiara rappresentazione al suo interno. Sembra esserci oggi tuttavia una percezione diffusa del crescere di una domanda di supervisione da parte dei professionisti, sia in concomitanza con i rilevanti mutamenti nelle politiche di welfare e nell'organizzazione dei servizi socio-sanitari, sia sull'onda di una più pressante esigenza di qualità nell'erogazione di servizi. Il tema della supervisione professionale nel Servizio Sociale è stato oggetto negli anni, di approfondimenti ed analisi da parte di molti autori appartenenti spesso al mondo dell'operatività : fatto questo che dimostra come per l'assistente sociale risulti necessario trasferire l'esperienza legata alla prassi ad un livello di elaborazione teorica, attraverso una riflessione costante sulle proprie modalità operative. Nonostante i dibattiti attorno a questa tematica, le esperienze formative in questo senso sono restate purtroppo episodiche ed isolate: in pratica, non esiste un percorso formativo istituzionale per i supervisori, né tantomeno un riconoscimento professionale di questa figura. La formazione del supervisore risulta, seppur in taluni casi molto ampia ed articolata, non omogenea e talvolta con imprinting estremamente personali. La nostra ricerca nasce proprio dal desiderio di conoscere le varie esperienze di supervisione in servizio agli assistenti sociali nel nostro Paese, di rilevare le eventuali carenze e positività, di conoscere il percorso formativo dei supervisori che attualmente operano, le loro modalità e le loro opinioni in merito alla necessità di un percorso formativo specifico. Essa si ricollega ad altre più illustri ricerche teoriche, che hanno avuto il pregio di riportare in evidenza una tematica come quella della supervisione, che, tra alterne vicende, è sempre stata presente nel mondo del servizio sociale. Ricordiamo infatti le ricerche teoriche di E.Allegri che hanno messo in luce le inalienabili valenze di supporto alla professione, di valutazione di qualità e di auto-valutazione del lavoro sociale, intrinseche alla supervisione.(Allegri E.,1997,2000) 1. LA RICERCA. La ricerca è finalizzata a rilevare empiricamente, attraverso una serie di indagini, quanto la percezione diffusa dei professionisti e la recente elaborazione teorica hanno messo in evidenza, relativamente alla supervisione agli assistenti sociali in servizio. Essa è finalizzata a : - diffondere la conoscenza, consentire l'elaborazione teorica, contribuire a creare sensibilità e consapevolezza dell'utilità, se non della necessità, di incentivare la pratica della supervisione; - fornire suggerimenti per l'istituzione o sperimentazione di percorsi formativi, dei quali abbiamo la percezione ci sia carenza, ma anche necessità. Il progetto di questa ricerca è articolato nelle seguenti fasi : - costruzione del quadro teorico di riferimento e prima ricognizione panoramica sulla supervisione in Italia. - indagine empirica sulle esperienze esistenti, sia sul piano della domanda che dell'offerta di supervisione. Rilevazione della percezione del fabbisogno di supervisione sia da parte della professione che, indirettamente, da parte dei contesti istituzionali dei servizi; Per la ricerca è sembrata prioritaria una ricognizione sullo "stato" dell'esercizio della supervisione che comprendesse : - indicazioni riguardanti le esperienze già esistenti di supervisione ad assistenti sociali già in servizio, cercando di sondare le modalità e le tipologie esistenti e quantificare anche la disponibilità attuale a tale pratica ; per un quadro della situazione è stato utile indagare sulle tipologie di supervisione esistenti (individuale o di gruppo, mono o pluri-professionale) poiché le diverse tipologie sono sottese da motivazioni ed esigenze diverse (rafforzamento dell'identità professionale, capacità di cooperazione ed integrazione etc,) e possono dare un quadro più significativo della situazione attuale; - indicazioni riguardanti la quantità e la qualità potenziali della domanda di supervisione da parte sia dei singoli professionisti, sia, indirettamente, delle organizzazioni pubbliche e private di servizi ; è stato interessante indagare attorno alle motivazioni sottese alla richiesta di supervisione da parte dei diretti interessati, anche attorno alla "contestualizzazione" della supervisione e cioè se la stessa debba essere intesa fornita da operatori esterni o interni al servizio ed in quale posizione rispetto all'organizzazione; -indicazioni, anche se indirette, sul potenziale grado di disponibilità dei responsabili delle politiche e delle istituzioni di servizi ad attivare con proprie risorse o ricorrendo all'esterno, percorsi di supervisione per i propri operatori ; Si ritiene che questa ricerca possa collocarsi nell'ambito delle ricerche qualitative, nel senso che si darà ampio spazio al punto di vista o, più generalmente, alla prospettiva di chi è protagonista, come fruitore o come propositore, del nostro oggetto di studio. Gli interrogativi che ci siamo posti hanno una natura fondalmentamente descrittiva del fenomeno e non nutrono ambizioni di spiegazioni di portata generale. Il dato quantitativo misurato, relativamente alla presenza di tale prassi nel nostro Paese, sarà di aiuto comunque nel formulare ipotesi di fabbisogno e di intervento, in ambito formativo, sostenute da dati standardizzati. 2. IL PERCORSO DI RICERCA Si è ritenuto quindi opportuno, per le nostre finalità, articolare la ricerca come segue: 1) una ricognizione teorica, che ha preso in esame la letteratura italiana di servizio sociale sul tema, anche in chiave storica, e quella inerente la supervisione in altri ambiti professionali( psicologico, psicoterapeutico, psichiatrico, pedagogico-educativo .) Tale ricerca di sfondo aveva lo scopo, oltre a quello dell'approfondimento della conoscenza dell'oggetto di studio e della familiarizzazione con il contesto, di far emergere i nodi da indagare quali : i componenti del setting della supervisione( Assistente Sociale, Supervisore, Organizzazione ed Utente) , le funzioni della supervisione, la formazione dei supervisori, la scelta tra una supervisione implementata da un professionista interno od esterno all'ente, e tra una supervisione individuale o di gruppo ed infine, un breve excursus sulla supervisione nelle altre professioni d'aiuto ( infermieri professionali, psicologi, educatori professionali, psichiatri). 2) una prima ricognizione sulle esperienze italiane esistenti, attraverso materiale documentario e la somministrazione di un breve questionario a soggetti privilegiati, quali gli Ordini Nazionale e Regionali degli assistenti sociali ed altri organismi di rappresentanza degli stessi ( A.i.do.S.S, S.U.N.A.S, AS.Na.SS…) 3) una serie di interviste destinate ai supervisori esperti, molti dei quali docenti universitari, presenti nel nostro Paese, che hanno implementato tale prassi, nelle varie realtà italiane ( i nominativi ci sono stati forniti dagli Ordini Regionali degli assistenti sociali, ma risultavano già noti, per la grande rilevanza che essi hanno nel panorama formativo della professione ). La numerosità dell'elenco ci ha costretti, per motivi di ordine squisitamente tecnico, a suddividere il campione e a predisporre un questionario da inviare ad una parte dei supervisori. La scelta dei membri dei due sottogruppi è dovuta soltanto alla cronologia della somministrazione. 4) una indagine, attraverso un questionario, presso gli assistenti sociali, estratti casualmente dalle liste degli Albo Regionali, sulla reale possibilità di accedere ad un percorso di supervisione e sulle opinioni in merito degli operatori coinvolti. Si tiene a sottolineare come il nostro piano di indagine non fosse comunque rigido e stabilito, prima dell'inizio stesso dello studio, ma come esso sia emerso e sia stato definito nel dettaglio, durante la raccolta dei dati, una volta terminata l'analisi preliminare. Crediamo infatti che, per la buona riuscita della ricerca, sia necessario attenersi a canoni di flessibilità e adattamento al contesto e ai soggetti coinvolti. Come premesso, attraverso questi strumenti, intendiamo assumere informazioni sul panorama attuale italiano riguardo la supervisione in servizio agli assistenti sociali, ipotizzando che essa ponga reali problemi non solo sul piano del suo concreto esercizio, ma anche sul piano dei requisiti e quindi della formazione dei supervisori di professionisti, che operano in realtà alquanto complesse, come quelle dei Servizi Sociali, sia pubblici, che del privato sociale. 3. GLI STRUMENTI DEL PERCORSO 1.3 Questionario per gli Ordini e le Agenzie Formative. L'approfondimento teorico e documentario, che ha avuto valore di "ricerca di sfondo" ci ha permesso di definire, almeno in prima battuta, i concetti relativi al tema della ricerca ed i nodi attorno ai quali sono state strutturate le nostre indagini. E' stata effettuata una prima panoramica sulle esperienze italiane esistenti attraverso la somministrazione di un questionario a tutti gli Ordini Nazionale e Regionali ed alle Associazioni di categoria ( Associazione Nazionale Servizio Sociale, Associazione Italiana Docenti di Servizio Sociale, Sindacato Unitario Nazionale Assistenti Sociali ). Essa aveva un duplice scopo : 1) avere una prima fotografia delle esperienze esistenti in Italia e delle opinioni in merito da parte delle voci "ufficiali" della professione; 2) ottenere informazioni circa l'entità e la dislocazione di esperienze e persone cui poter fare riferimento per la rilevazione. Il questionario postale, a domande aperte, chiede informazioni sull'esistenza di esperienze recenti o attuali di supervisione in servizio, su chi sono i supervisori, sull'esistenza o meno di corsi di formazione dei supervisori. La scelta di un questionario postale a domande aperte deriva da riflessioni di ordine metodologico e di tipo economico : il questionario a domande aperte infatti può essere immaginato come uno strumento a cavallo tra qualità ( capacità conoscitiva del punto di vista dell'intervistato ) e quantità, essendo la redazione e l'ordine delle domande esattamente uguale per tutti gli intervistati (possibilità di giungere alla costruzione di "matrici di dati") . 2.3 Intervista e Questionario ai Supervisori. Una delle domande del questionario somministrato agli Ordini ed alle Agenzie formative riguarda la conoscenza da parte di questi, di professionisti o agenzie pubbliche o private che forniscono supervisione in servizio agli assistenti sociali nel nostro Paese. Accanto ad altri interessanti dati, abbiamo potuto accedere a molti nominativi di Supervisori, che negli ultimi dieci anni hanno effettuato supervisioni ad assistenti sociali in servizio, nelle loro regioni. Ne è emerso un elenco di circa sessanta professionisti, alcuni dei quali sono nomi estremamente significativi nell'ambito dell'elaborazione teorica e della formazione del Servizio Sociale. Abbiamo ottenuto quindi un campione di supervisori rappresentato dalla totalità dei nominativi fornitaci dai vari Ordini regionali ( campionamento a valanga o snow-ball). Possiamo quindi affermare che non si tratta della selezione di un campione, quanto piuttosto di una scelta degli interlocutori ( nel nostro caso tutti segnalati da Organismi rilevanti all'interno della comunità, alla quale la ricerca è diretta), operata sulla base della significatività dell'esperienza e della collocazione dei soggetti da intervistare relativamente alla più ampia finalità dell'indagine, come pure in ordine alla loro posizione nel contesto di studio. Appoggiandoci alla tripartizione individuata da (Gorden R.1975) che classifica in tre tipi generali gli interlocutori destinati ad una intervista ( chiave, privilegiati, significativi) possiamo affermare che il nostro campione appartiene alla categoria del tipo privilegiato o meglio "specializzato". Questa definizione intende qui una persona che dà informazioni "specialistiche", cioè direttamente rilevanti per gli obiettivi dello studio, scelta sulla base della sua posizione strategica nella comunità scientifica di appartenenza, gruppo o istituzione oggetto di studio.( G.Gianturco 2005) Si è pensato quindi, anche per motivi strettamente economici, di suddividere il campione in due sottogruppi. Tale suddivisione ci ha consentito di individuare, in ordine esclusivamente cronologico, i soggetti da intervistare direttamente e quelli ai quali inviare ( per posta ordinaria o telematica ) un questionario da auto-compilare. L'intervista è articolata in quattro sezioni, con domande aperte, riguardanti : -esperienze di supervisione fatte ed in atto; -riflessioni e commenti sulle esperienze -stima, in prospettiva, del fabbisogno di supervisione per gli assistenti sociali -problemi e prospettive circa la formazione dei supervisori -opinioni su nodi problematici Abbiamo pensato a questo tipo di intervista semistrutturata focalizzata su un determinato argomento, detta anche standardizzata non programmata (Gianturco,2005)che prevede una gestione della relazione di intervista flessibile e con una bassissima direttività. Essa " concede ampia libertà all'intervistato ( gestione dell'ordine ed eventualmente dell'approfondimento delle domande/stimoli) ed intervistatore ( ampiezza della risposta e del racconto, inserimenti di altri elementi non previsti dallo stimolo.) garantendo nello stesso tempo che tutti i temi rilevanti siano discussi e che tutte le informazioni necessarie siano raccolte" (Corbetta,1999) Questa opzione ci è stata suggerita proprio dalla tipologia delle persone, che siamo andati ad intervistare : professionisti esperti, che accanto alle informazioni necessarie alla ricerca potevano fornire ampi ed approfonditi commenti al fenomeno, oggetto di studio, in generale. Non si tratta infatti, di un semplice elenco di argomenti, ma di una struttura ramificata in cui ogni argomento è suddiviso in temi e ogni tema in sotto-temi, con la possibilità di procedere ulteriormente nella scomposizione fino a raggiungere il livello di specificità richiesto dalle finalità conoscitive da perseguire. I supervisori raggiunti con l'intervista, la cui traccia con temi e sottotemi è stata anticipata per posta elettronica, sono stati 18. Abbiamo poi raggiunto con un questionario postale da autocompilare, anticipato da un contatto telefonico, altri 42 supervisori. Il questionario è stato formulato mantenendo gli stessi obiettivi conoscitivi dell'intervista, utilizzando domande chiuse, domande aperte e scale di valutazione, onde ottenere la possibilità di un minimo di standardizzazione dei risultati e contemporaneamente lasciare spazio ad opinioni ed osservazioni utili ad una più ampia conoscenza dell'oggetto indagato. Il questionario, molto simile per costruzione e contenuti alla traccia dell'intervista, è diviso in cinque sezioni, che riguardano: -modalità irrinunciabili, atteggiamenti -opinioni su nodi problematici ( posizione del supervisore, funzioni della supervisione) -esperienze di supervisione fatte ed in atto (sottotemi: condizioni e contesto,contenuto della supervisione,modalità della supervisione, riferimenti teorici) -riflessioni e commenti sulle esperienze ( fattori ostacolanti e favorevoli, obiettivi generali, stima, in prospettiva, del fabbisogno di supervisione per gli assistenti sociali) -problemi e prospettive circa la formazione dei supervisori ( esperienze del supervisore, competenze indispensabili, luoghi e modalità dei percorsi formativi) I nodi che si sono voluti indagare sono emersi, e dalla rilevazione teorica effettuata come ricerca di sfondo, e dagli stimoli derivanti dai questionari destinati agli Ordini e alle agenzie formative. Il questionario è stato utilizzato dopo essere stato "provato" nella fase di pre-test con alcuni assistenti sociali esperti di supervisione, che si sono prestati a testare la sua affidabilità. 3.3 Questionario agli assistenti sociali. Parallelamente ai pareri dei supervisori intervistati, che hanno fornito interessanti dati e ampie considerazioni sia sulle loro esperienze, sia sulle ipotesi di fabbisogno di supervisione agli assistenti sociali, i pareri di coloro che hanno usufruito della supervisione avrebbero completato il quadro, dando maggiore consistenza all'analisi della situazione attuale, nonché alle prospettive di diffusione della supervisione. Qui sono sorti alcuni problemi di metodo. Risultava impraticabile il reperimento di tutti gli assistenti sociali che, magari molti anni fa, hanno usufruito della supervisione; inoltre gli stessi supervisori non sempre erano in grado di fornire i dati relativi ai propri "utenti", spesso soggetti a grande mobilità tra i servizi e nei vari territori. E se anche si fosse riusciti a reperire un numero consistente di questi assistenti sociali, sparsi in vaste zone del territorio nazionale, un'intervista diretta – o tipo focus group - a gruppi omogenei (cioè supervisionati dallo stesso supervisore) avrebbe inficiato le risposte, in quanto influenzati dalla particolarità di quel preciso supervisore. L'ipotesi poi di ovviare a questa distorsione effettuando una serie elevata di focus-group con gruppi misti di assistenti sociali, fruitori cioè della supervisione di diversi professionisti, avrebbe comportato ancora maggiori difficoltà pratiche oltre che costi elevati. Si sarebbe anche potuto limitare l'ambito dell'indagine a livello regionale, o di due o tre regioni limitrofe, ma si sarebbe troppo sacrificata la rappresentatività dell'universo degli assistenti sociali "utenti" di supervisione, che pare essere andato assumendo ormai dimensioni nazionali. Ci siamo perciò orientati a modificare completamente il target, pensando ad un campione indifferenziato di assistenti sociali su tutto il territorio nazionale, svincolandoci sia dall'individuazione di coloro che erano stati supervisionati dai supervisori intervistati, sia da modalità di indagine attraverso interrogazione diretta. Naturalmente questo tipo di scelta ha posto ulteriori problemi, ma ha rilevato anche dei vantaggi: il target non era più costituito solo da persone che hanno già avuto esperienza di supervisione, ma da molte altre, che potevano anche non conoscerne l'esistenza o le caratteristiche peculiari. Questo ha dato la possibilità di rilevare una stima del fabbisogno di supervisione non solo da parte di chi ne era in qualche modo condizionato avendone avuto diretta esperienza, ma anche da parte di chi non ne aveva finora usufruito, per i motivi più diversi, potendo così allargare il panorama delle diverse percezioni degli operatori. La scelta poi del questionario postale, anziché dell'intervista, avrebbe facilitato la rilevazione attraverso la somministrazione ad un campione rappresentativo di tutti gli assistenti sociali italiani. Sul piano metodologico si è posto perciò il problema del campionamento, ben sapendo che qualsiasi esso fosse stato, non vi era alcuna garanzia che esso avrebbe rispecchiato la proporzione tra chi conosce la supervisione per averla sperimentata e chi non vi ha mai partecipato. Il campionamento è stato curato dal Prof. Franco Bressan, Statistico e Presidente del corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale dell'Università di Verona. Si è deciso di puntare, in prima istanza, a disporre di un campione pari o possibilmente superiore a 250 unità ( gli assistenti sociali iscritti nelle liste degli Albi Regionali sono complessivamente 32000 circa e l'intento era quello di avvicinarsi ad numero vicino al 10% della popolazione totale), sufficiente comunque a dare una buona informazione sul senso che assume per l'assistente sociale la supervisione in Italia. Per ottenere tale rappresentatività sono stati inviati circa 500 questionari. La scelta campionaria, di tipo stratificato, ha seguito le proposte di un importante strumento delle tecniche di campionamento , il Cochran (Sampling Techniques, Wiley NY 1963), e si è deciso di utilizzare la procedura di allocazione ottimale su campionamento stratificato per proporzioni per campionamento senza reinserimento. Su di questa ci siamo basati per identificare alcuni presupposti necessari alla definizione della numerosità del campione negli strati selezionati. CONCLUSIONE L'esperienza, nel complesso è stata, anche se faticosa, altamente gratificante. I dati emersi sono numerosi e talvolta preziosi, nonché, come spesso la ricerca propone, di stimolo per ulteriori approfondimenti. La fase conclusiva è forse carente di una analisi in profondità, ma la ricerca è, e vuole essere, una raccolta di informazioni sulla supervisione, fruibili per l'avvicinamento e approfondimento a tematiche ad essa intrinseche o correlate: nuove elaborazioni teoriche, istituzione di percorsi formativi per i supervisori, ricerca di forme di sensibilizzazione alla fruizione della supervisione, ricerca di forme di valutazione scientifica dei suoi effetti….etc. La ricerca si conclude ( ma possiamo ritenerla conclusa ?) con la lettura dei dati rilevati e qualche tentativo di confronto, e con i dati emersi dalla ricerca di sfondo, e tra i vari soggetti coinvolti nell'indagine, lasciando intravedere possibili sviluppi futuri. Bibliografia -Allegri E. (2000)Valutazione di qualità e Supervisione Lint,Trieste. -Allegri E.(1997) Supervisione e lavoro sociale, La Nuova Italia Scientifica,Roma. -Bressan F., Giarola A.M.,"Riflessioni metodologiche sulla ricerca : La supervisione agli assistenti sociali in servizio" su Rassegna di Servizio Sociale 1/2007 . -Cochran (Sampling Techniques, Wiley NY 1963). -Corbetta P.(1999) Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna. -Cortigiani M.(2005) La supervisione nel lavoro sociale Il Minotaruro,Roma. -Gianturco Giovanna(2005) L'intervista qualitativa Guerini Scientifica, Milano. -Gorden R.,(1975)Interviewing,Strategy,techniques and tactis, Dorsey Press, Homewood, Illinois -Gui L.(1999) " Servizio Sociale tra teoria e pratica : il tirocinio, un luogo di interazione",Lint,Trieste. -Hester M.C.,(1951) Il processo educativo nella supervisione,in "Social Case-work"n°6. Il Mulino, Bologna. -Losito Gianni (2004) L'intervista nella ricerca sociale Editori Laterza, Roma. -Marradi A. (2007) ( a cura di R.Pavsic e M.C.Pitrone) Metodologia delle Scienze Sociali. -Mauceri Sergio(2003) Per la qualità del dato nella ricerca sociale Franco Angeli, Milano. -Neve E. (2000) Il servizio sociale Carocci,Roma. -Nigris D. (2003) Standard e non-standard nella ricerca sociale. F.Angeli, Milano -Tomassini S.(1962) La supervisione nel servizio sociale. "Servizi Sociali" n°2.
Il lavoro di tesi si pone l'obiettivo di effettuare un'analisi critica del costo del lavoro in Italia, componente del mercato del lavoro fondamentale nel determinare i livelli occupazionali di un'economia, dato che influenza l'allocazione delle risorse tra i fattori della produzione all'interno di un paese e le condizioni di competitività dello stesso sullo scenario internazionale. La struttura e l'evoluzione del costo del lavoro e delle retribuzioni costituiscono, infatti, elementi importanti del mercato del lavoro, che rispecchiano l'offerta di lavoro dei singoli individui e la domanda di lavoro da parte delle imprese. Dal lato delle imprese il costo del lavoro è uno dei principali fattori determinanti della competitività (insieme al costo del capitale e all'innovazione tecnologica); dal lato dei lavoratori dipendenti il compenso percepito per il proprio lavoro, normalmente denominato retribuzione o salario, rappresenta in genere la principale fonte di reddito e quindi incide in modo rilevante sulla capacità di spesa o di risparmio. La ragione che ci induce ad affrontare un simile tema va ricercata nel particolare rilievo che ha acquisito il tema del costo del lavoro all'interno del recente dibattito politico ed economico, a seguito della grave crisi che ha colpito molti comparti dell'industria italiana. Al giorno d'oggi, il costo del lavoro è più che mai un problema strutturale che sollecita interventi diretti a garantire maggiori margini di competitività alle imprese, senza tuttavia andare contro alla garanzia costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente. Fra i diversi aspetti posti al centro dell'analisi si possono individuare due correnti che recentemente hanno avuto una maggiore attenzione rispetto ad altre: la prima è quella dei divari nei livelli del costo del lavoro fra i paesi europei e dei loro riflessi sulla competitività economica delle imprese, la seconda è quella della elevata tassazione che grava sul lavoro, ovvero la questione del "cuneo fiscale". La rilevanza di questi temi va ricondotta anche alla crisi economica e alla particolare attenzione con cui si guarda all'andamento della competitività delle imprese italiane e alle prospettive di crescita dei settori più esposti alla competizione internazionale. Infatti, la globalizzazione da un lato e la crisi economico-finanziaria dall'altro hanno causato delle profonde trasformazioni nel nostro sistema economico e sociale accelerando la trasformazione della struttura produttiva delle economie avanzate, portando all'abbandono di diversi settori da parte di molti paesi e favorendo spinti processi di delocalizzazione che hanno aumentato la concorrenza fra i lavoratori a più basso salario, contribuito all'aumento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito, penalizzando in particolare i redditi dei ceti medio-bassi. Tuttavia, negli ultimi anni la posizione competitiva dei maggiori paesi si sta nuovamente modificando in misura sostanziale. A causa dell'aumento del costo del lavoro cinese, infatti, si sta verificando un cambiamento delle convenienze relative. Di conseguenza, anche in Italia, sia pure su scala ridotta, si contano le prime esperienze di reshoring degli investimenti. L'importanza del livello e della struttura del costo del lavoro a livello nazionale e internazionale, quindi, ne giustifica la centralità all'interno del dibattito politico. In particolare, nel corso degli ultimi anni è stato frequentemente posto l'accento sul tema della fiscalità sui redditi da lavoro: l'esigenza di ridurre il cuneo fiscale pone al centro dell'agenda dei Governi il tema del rispettivo finanziamento. Le strade da percorrere passano inevitabilmente per una ricomposizione della struttura fiscale o per una fase di ricomposizione e razionalizzazione della spesa pubblica. Nel primo capitolo, a partire da una schema analitico sulla composizione del costo del lavoro dipendente, così come definito nel regolamento (CE) n. 1737/2005 del 21 ottobre 2005, si è improntato un dibattito sul tax wedge e sugli effetti che un'elevata tassazione possa avere sul mercato del lavoro e sulla crescita economica del paese. Un aspetto importante che è emerso è che la pressione fiscale apparente in Italia, ovvero quella che non tiene conto della dimensione dell'economia sommersa e dell'evasione fiscale, è tra le più alte tra i paesi OCSE e ha presentato di recente una perniciosa dinamica crescente. Pur nell'incertezza dei dati comparativi, si ritiene che la situazione dell'Italia in ambito europeo si caratterizzi per un'elevata incidenza della tassazione sul lavoro e degli oneri sociali, in presenza di un differenziale negativo dei livelli retributivi lordi e netti rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea. A fronte di questa situazione, nel corso della legislatura, è emersa l'esigenza di agire, nell'ambito delle politiche per l'occupazione, verso una progressiva riduzione della pressione fiscale sul lavoro e dei costi non salariali dello stesso. Tale linea politica, come quella più generale di riduzione del carico fiscale complessivo, si è dovuta peraltro confrontare con l'obiettivo prioritario dell'equilibrio finanziario dei sistemi di previdenza sociale. Nel secondo capitolo, dopo aver espresso alcune considerazioni sul forte aumento dei contributi sociali verificatosi negli ultimi decenni in Europa e su come tale tendenza sia all'origine di un livello del costo del lavoro che indebolisce la struttura produttiva e causa disoccupazione, al fine di impostare correttamente lo studio degli effetti dei contributi sociali sul mercato del lavoro e dell'eventualità che il finanziamento del sistema previdenziale introduca forme di tassazione nascosta, ci si è soffermati sulle tecniche dirette di riduzione del costo del lavoro che il Governo ha approvato a partire dal Decreto legge n. 66/2014 tramite le "Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale" e successivamente grazie agli interventi diretti sul mercato del lavoro attuati attraverso il Jobs Act e la legge di Stabilità 2015. Tali tecniche sono di carattere strutturale, che comportano una riduzione intersettoriale e stabile nel tempo del carico contributivo e quelle di carattere agevolativo, direttamente legati alla creazione di nuovi posti di lavoro ed aventi operatività limitata a periodi, aree territoriali e settori limitati. In particolare, gli interventi di carattere strutturale sono concentrati sulla riduzione di alcune voci della contribuzione a carico dei datori di lavoro, con particolare riferimento ai contributi sociali, ciò al fine di diminuire il cuneo fiscale e contributivo, cioè la forbice tra il costo del lavoro per le imprese, a cui concorrono i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, e quanto effettivamente percepito come retribuzione netta dal lavoratore. Agli interventi di carattere strutturale si sono accompagnate misure di incentivazione economica direttamente collegate alle assunzioni effettuate dalle imprese, volte ad aumentarne la convenienza economica, riducendo, tramite la leva contributiva e fiscale, il costo del lavoro almeno nella fase iniziale del rapporto. Più in generale altri interventi hanno previsto agevolazioni fiscali o contributive per un limitato periodo, al fine di ridurre il costo del lavoro per imprese di settori in difficoltà. Il capitolo affronta, inoltre, la questione del decentramento contrattuale, soprattutto alla luce degli studi che mirano a studiare gli effetti della tassazione sul mercato del lavoro della presenza dei sindacati, un fattore che può imporre rigidità al mercato del lavoro e che può ostacolare, in teoria, il meccanismo di aggiustamento tra domanda e offerta di lavoro. In particolare, negli ultimi anni le politiche di sostegno alla produttività del lavoro hanno cercato di coniugare la riduzione del cuneo fiscale con il decentramento contrattuale, autorizzando, in tal modo, uno spostamento della struttura retributiva in direzione di una valorizzazione del salario variabile, a scapito della parte fissa della retribuzione, che comporta sì la possibilità di un alleggerimento del costo del lavoro, ma anche una chiara erosione della "funzione solidaristica" del CCNL. Inoltre, partendo dalle considerazioni svolte sui legami che intercorrono tra i contributi sociali versati e i benefici attesi e da alcuni studi in cui si analizzano gli effetti di una possibile completa privatizzazione del sistema previdenziale, è stata compiuta un'analisi sulle regole che stanno alla base del funzionamento dei diversi sistemi pensionistici e si è evinto che, data la molteplice natura a cui assolve il risparmio previdenziale, appare preferibile un sistema previdenziale misto, quale appunto quello italiano, rispetto a un sistema puro costituito da una sola delle due alternative, a capitalizzazione o a ripartizione. Le distorsioni sembrerebbero derivare, invece, dalla presenza di un'aliquota per i lavoratori dipendenti alta e costante nel tempo e dalla cattiva allocazione del portafoglio previdenziale, quando si considera la differenza tra il tasso di rendimento di mercato di un sistema a capitalizzazione e quello generato in un sistema a ripartizione; questi, pertanto, sarebbero i principali problemi da affrontare. Nel terzo capitolo, infine, l'analisi si concentra sulle tecniche indirette di riduzione del costo del lavoro, ovvero quelle che vanno a toccare gli aspetti legati alla flessibilità in entrata e in uscita del rapporto di lavoro, oltre che il ruolo degli ammortizzatori sociali. Il licenziamento motivato da finalità di riduzione dei costi, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno ad orario "ridotto, modulato o flessibile", lo jus variandi nella disciplina delle mansioni, le strategie di esternalizzazione aziendale sono tutti aspetti indirettamente legati alla finalità ultima non tanto rivolta alla tutela dei lavoratori, quanto al sostegno al sistema produttivo nel suo complesso, dove la "produttività" sembra assurgere a interesse pubblico generale per il suo ruolo funzionale al rilancio della competitività dell'impresa. L'attenzione si è spostata poi sul ruolo degli ammortizzatori sociali, ovvero di tutta quella serie di misure che hanno l'obiettivo di offrire sostegno economico ai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro e alle quali ricorrono le aziende che si trovano in crisi e che devono provvedere a riorganizzazione la loro struttura e, dunque, a ridimensionare il costo del lavoro. In ultima analisi, considerando che la correlazione positiva tra pressione fiscale complessiva e livello del cuneo fiscale è caratterizzata da una diversa distribuzione del carico fiscale tra fattori della produzione, consumi e patrimonio, l'attenzione è stata rivolta al tema del tax shift, ovvero sull'opportunità di una riforma fiscale orientata a un sostanziale spostamento del carico fiscale "dalle persone - alle cose - alle case", che al di là dei contenti etici e filosofici dell'argomento, pare essere un orientamento seguito a livello comunitario al fine di ridefinire l'intera politica fiscale in chiave di riequilibrio economico e di riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. L'affermazione del Primo Ministro belga Guy Verhofstadt, ovvero che "l'interesse per il tax shifting è sicuramente legato al fatto che i paesi dell'Unione Europea nel loro insieme, e a dispetto degli impegni assunti in senso contrario, hanno in genere avuto un successo limitato nel ridurre l'onere fiscale complessivo. Di qui, l'interesse per le formule che non prevedono tagli alla spesa pubblica, ma semplicemente il cambiamento del modo in cui viene innalzato il livello delle entrate", fa infine, riflettere sulla circostanza che a livello nazionale una riduzione in generale della pressione fiscale e in particolare del costo del lavoro e del cuneo fiscale non può essere perseguita se non attraverso una strategia di ricomposizione della spesa pubblica unita a una politica di lotta all'evasione fiscale che possa liberare risorse aggiuntive restituite poi ai contribuenti mediante la riduzione delle aliquote.
I campi profughi sono luoghi in cui sono ospitati i rifugiati. Con il termine rifugiato si intende chi è fuggito o è stato espulso a causa di discriminazioni politiche, religiose o razziali dal proprio paese e trova ospitalità in un paese straniero. Ciò che lo caratterizza è l' aver ricevuto dal paese che lo ospita questo status e la relativa protezione mediante l' asilo politico. Il fenomeno ha assunto dimensioni rilevanti dopo la seconda guerra mondiale, quando è stato fondato dalle Nazioni Unite un organismo appositamente chiamato a tutelare i rifugiati, l' Alto commissariato per i rifugiati ( ACNUR in inglese United Nations Hight Commissioner for Refugees, UNHCR ). A livello nazionale invece la gestione dell' emergenza profughi viene gestita dal Dipartimento di Protezione Civile facente capo alla Presidenza del consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana che si occupa della previsione, prevenzione, gestione e superamento dei disastri, calamità umane e naturali, di situazioni di emergenza e in generale di eventi straordinari. La più importante organizzazione Governativa è la Croce Rossa. A questi si affiancano le Organizzazioni Non Governative, in sigla ONG che sono delle particolari ONLUS che nascono dall' esigenza di singoli di porsi in alternativa o come completamento alle organizzazioni nazionali o sovranazionali. I due caratteri essenziali sono il carattere privato, appunto non governativo e da quello dell' assenza di profitto dell' attività. Caratteristica di queste organizzazioni è anche una forte spinta ideale di contribuire allo sviluppo sociale dei paesi socialmente più arretrati. Le principali ONG sono Medici senza Frontiere e Emergency. Nella gestione sanitaria di un campo possiamo distinguere due momenti: - La fase iniziale dell' emergenza sanitaria: concentrata per la preparazione del modulo sanitario e la gestione delle principali malattie; - Successivamente si devono valutare e gestire gli eventi che hanno conseguenze sugli individui sani, tutto ciò per tutelare la salute pubblica e la qualità della vita. I mezzi utilizzati sono principalmente due: la sorveglianza igienico-sanitaria e il supporto psicologico. Il personale viene preparato preventivamente medi - Dei corsi di formazione. Durante i quali si perfeziona la rapidità di attivazione e l' allestimento del campo. Il team infatti si deve preparare per la partenza nel più breve tempo possibile, per un efficienza ottimale dovrebbe attivarsi in 3-6 h. Le prime strutture ad essere attivate sono le unità operative sanitarie che sono tre: - un poliambulatorio; - Un' ospedale da campo: atta ad intervenire nelle emergenze di massa ed in grado di coprire emergenze polispecialistiche con strutture ad alta tecnologia. Il personale ospitante all' interno è: - Personale medico: chirurghi d' urgenza, anestesisti, rianimatori, medici di pronto soccorso, ortopedici, psicologi ecc - Personale non medico: infermieri, tecnici, strumentisti di sala operatoria Amministrativi, elettricisti e meccanici. Funzioni del personale sanitario sono quelle: - Seguire la popolazione residente e il personale di protezione civile impiegato all' interno; - Relazionarsi con gli operatori della struttura sanitaria locale già esistente; - Monitorare la situazione igienico-sanitaria. Successivamente invece ci si occupa della gestione del campo adibita all' accoglienza della parte sana della popolazione, cercando di individuare ed eliminare i fattori di rischio che possono minacciare la sanità pubblica e peggiorare la qualità di vita. Non è infatti infrequente all' interno dei campi attuare misure di prevenzione primaria per prevenire il contagio e la diffusione di malattie infettive. Questo attraverso: Una profilassi aspecifica: - Verifiche di bonifica e di disinfestazione per l' eliminazione di eventuali artropodi e di vettori meccanici e biologici di malattie infettive; possono esserci infatti all' interno dei campi animali da compagnia ai quali deve essere assicurato un corretto nutrimento oltre che ad un iniziale screening per pulci e zecche da un apposito medico veterinario. Se presenti animali randagi bisogna attivare appositi servizi di controllo e cattura. Possono essere presenti anche topi e ratti per i quali viene attuato una derattizzazione attraverso il posizionamento di esche protette. Inoltre artropodi quali blatte, mosche, pulci , zecche e rettili che possono provocare non solo delle gravi epidemie ma anche un' intensa reazione emotiva da parte degli ospiti di cui bisogna tener conto in quanto persone già segnate da gravi avversità e incertezze. - La promozione della Pulizia, dell' Igiene e della disinfezione della persona e dei luoghi pubblici in cui i rifugiati si trovano, per garantire la diffusione di ambienti corretti e la diffusione delle regole; importante l' individuazione dell' area dove collocare la cucina da campo e la mensa; oltre che dei servizi igienici che vanno tenuti a una certa distanza dal campo e sempre perfettamente puliti, individuare inoltre l' area per lo stoccaggio dei rifiuti, in genere i rifiuti di fortuna vengono sotterrati con l' aggiunta di calce viva, mentre nei campi stabilizzati raccolti in contenitori e prelevati periodicamente per il trasporto in discariche. Tutto ciò per evitare la proliferazione di animali indesiderati e di microrganismi potenzialmente patogeni. È inoltre importante il controllo delle derrate alimentari fresche, il controllo delle date di scadenza degli alimenti conservati. È di primaria importanza la verifica igienica del personale impiegato nelle varie fasi di preparazione e distribuzione pasti, oltre che sulle modalità di conservazione degli alimenti. Tutto il personale infatti deve essere fornito di guanti camice e mascherina oltre che di aver lavato accuratamente le mani prima di poter toccare ogni alimento. Naturalmente importante è anche il coinvolgimento attivo dei richiedenti asilo per i quali è necessaria una rigorosa igiene personale, una pulizia giornaliera della tenda e disinfezione settimanale di lenzuola e federe. L' obbiettivo è infatti quello di rendere gli abitanti del campo non solo dei beneficiari passivi ma dei protagonisti attivi dell' aiuto e del supporto della loro comunità. La profilassi specifica è invece basata su : - Le vaccinazioni: principalmente i bambini per poliomelite e morbillo; - La sieroprofilassi passiva: per fornire anticorpi già attivi atti a contrastare il proliferarsi dell' infezione; - La chemioprofilassi: per esempio antimalarici o pasticche contro vermi intestinali a persone esposte a un rischio di contagio con lo scopo di bloccare lo sviluppo del processo infettivo; - La profilassi comportamentale: con cui si attuano determinati comportamenti atti a prevenire l' esposizione al vettore, per esempio gli spray anti -zanzara contro la malaria. Tutto questo è finalizzato a diminuire il rischio epidemie. Diffuse sono colera, poliomelite e morbillo insieme a epatite, malaria, tifo e tubercolosi che colpiscono i soggetti più vulnerabili quali donne e bambini e per i quali vengono attuate grandi campagne di vaccinazione per evitare gravi degenerazioni sanitarie di una popolazione già molto provata dalla sofferenza. Importante è anche in questi contesti il supporto psicologico. L' ospite può arrivare al servizio psicologico da solo già consapevole del significato che questo servizio può avere o attraverso un invio effettuato da un' infermiera del campo. Il primo colloquio viene fatto con lo psicologo quindi ed è molto importante. Si cerca di ricostruire le loro storie traumatiche, si valuta la presenza di disagi psichici per i quali se necessario viene richiesta la consulenza psichiatrica e le eventuali cure farmacologiche. Attualmente però esiste un dibattito in corso rispetto alle diagnosi classiche per descrivere i quadri psichici riscontrati nelle popolazioni rifugiate perché rischiano di applicare un' etichetta psicopatologica a dei vissuti che sono solo un adeguata risposta a eventi traumatici e violenti. È possibile infatti considerare affetto da un disturbo paranoide una persona che proviene da un' etnia che da secoli è vittima di persecuzioni e che continua a sentirsi minacciato anche se queste minacce non sono presenti? Le reazioni maggiormente riscontrate sono le seguenti: - Reazioni di adattamento: avviene durante i primi mesi di soggiorno, reazioni di spaesamento con ansietà, depressione, difficoltà a orientarsi nelle scelte; - Reazioni psicosomatiche: le emozioni negative come il risentimento e il rimpianto possono mantenere il sistema nervoso autonomo simpatico in uno stato sempre attivo e il corpo in uno stato di eccitazione e di emergenza continuo che può provocare danni agli organi più deboli. Si può manifestare nell' apparato gastroenterico, cardiaco e respiratorio con: gastriti, tachicardie, aritmie, asma bronchiale; può colpire anche l' apparato urogenitale con: dolori mestruali, impotenza ed eiaculazione precoce; il sistema cutaneo e muscolo scheletrico con: psoriasi, prurito, acne, orticaria, cefalea, mialgie e artralgie; - Quadri psicotici: deliri a sfondo persecutorio, allucinazioni o forme maniacali; - Disturbo post – traumatico da stress: entità che ha implicato morte o minaccia di morte, o gravi lesioni, o minaccia all' integrità fisica propria o di altri. Tale disagio può produrre una vera e propria menomazione dal punto di vista sociale per questo bisogna intervenire rapidamente associando alla psicoterapia cure farmacologiche. Il Centro di Accoglienza che ho seguito qui a Pisa in via Pietrasantina è nato 2 anni fa quando 30 mila persone in fuga dal nord africa presentarono domanda di protezione internazionale sul territorio italiano. L' allora governo italiano decretò lo stato di emergenza dichiarando l' EMERGENZA NORD AFRICA. Il centro è stato gestito per due anni dalla Croce Rossa, il 28 febbraio del 2013 lo stato non ha più concesso finanziamenti e la Croce Rossa stava per chiudere il centro quando i ragazzi hanno occupato e autogestito. Era abitato da 44 ragazzi provenienti dal Ciad, Mali, Sudan ed Etiopia, attualmente sono in 10 principalmente del Ciad e del Mali. Io faccio la volontaria nel centro e aiuto nella gestione sanitaria. I ragazzi principalmente presentano disturbi psicosomatici: principalmente colpiscono l' apparato gastro- enterico con gastriti e coliti; l' apparato muscolo scheletrico con cefalee, per le quali prendono spesso antinfiammatori; l' apparato urogenitale con impotenza e eiaculazione precoce e il sistema cutanea, importante è un caso di prurito sine materia senza segni obbiettivi rilevanti era semplicemente la manifestazione del conflitto che il corpo aveva segnalando l' estraneità rispetto al contesto. La pelle diventa sede del conflitto di adattarsi alla nuova realtà e il timore di perdere se stessi , la propria identità di partenza ed il rassicurarsi restando se stessi con il conseguente timore di restare sempre emarginati rispetto al contesto. Un caso molto difficile è stato un caso di un sudanese che aveva problemi di alcolismo e che spesso creava scompiglio all' interno del centro probabilmente nell' alcol riversava tutta la sua sofferenza legata all' abbandono della propria terra e dei propri familiari. Importante anche il caso di G. di etnia somala di depressione conclusasi con un suicidio. Si è infatti lanciato dal quarto piano dell' edificio in cui abitava a Firenze in quanto dopo il 28 Febbraio la comunità somala si era spostata li a causa della sospensione delle cure mediche che non aveva più ricevuto dopo la chiusura del centro. In realtà G. è morto di disamore è indifferenza. Schiacciato dai traumi di un passato violento e sofferente e svuotato dall' arroganza e dall' ignoranza di un paese che discrimina sfrutta e respinge piuttosto che integrare ed accogliere le vite di coloro che cercano protezione e aiuto.
2010/2011 ; Il presente lavoro intende sviluppare una riflessione a partire dall'individuazione di due aree tematiche: - la definizione del concetto di impoverimento; - una riflessione attorno ai concetti di soggettività a valori da cui far scaturire la ricerca empirica. A partire dalla scelta del titolo si è voluta mettere in evidenza la progressiva fragilizzazione degli attori sociali nel passaggio dalla modernità societaria (Magatti, 2006) alla seconda modernità (Giddens, 1994), passaggio caratterizzato da un'indefinitezza del sistema sociale nel quale sono inseriti gli stessi attori sociali, indefiniti anch'essi dal punto di vista identitario. Da questo sfondo scaturisce la struttura del presente lavoro, che si compone di due parti: nella prima ci si pone l'obiettivo di andare a definire i concetti di povertà ed impoverimento, operando una contestualizzazione degli stessi ai livelli europeo, italiano e del Friuli Venezia Giulia, regione questa in cui si è svolta l'analisi empirica del presente lavoro; nella seconda parte invece si è sviluppata una riflessione a partire da possibili definizioni teoriche dei concetti di soggettività e valori per poi passare alla costruzione metodologica dell'indagine e all'analisi empirica. Si è partiti dalla domanda di fondo: "quante povertà?". Da un approccio dicotomico su relativo/assoluto, oggettivo/soggettivo, essere/sentirsi poveri, si è passati attraverso i concetti di vulnerabilità (Levi Strauss 1969, Simmel 1989, Castel 1996), rischio povertà (Giudicini e Pieretti 1988, 1995, Francesconi 2003) per arrivare al concetto di povertà provvisorie o oscillanti (Siza 2009) che è diventato l'assunto di base per la riflessione attorno alle soglie di povertà relativa. Si sono poi presi in considerazione gli studi su quella che si è definita la "povertà del benessere"; Dal consumo vistoso (Veblen 1899) alla teoria della deprivazione relativa (Stouffer 1949), dai concetti di gruppi di appartenenza/riferimento e di funzioni manifeste/latenti (Merton, 1971) ai poveri "consumatori" (Nanni, 2006). Si è poi arrivati a considerare gli studi relativi al concetto di impoverimento, la sua polisemicità, multidimensionalità, processualità, relativizzazione e soggettivizzazione. Il lavoro è proseguito con un confronto tra concetti e misure, cioè con esperienze di applicazione di modelli teorici a sistemi di welfare. Dall'uguaglianza di capacità (Sen 1980) con il lavoro della commissione britannica EHRC all'uguaglianza di opportunità (Arneson 1989, Cohen 1989, Fleurbaey 2005, Roemer 2009) con il Libro Bianco britannico sino alle riflessioni su esclusione/inclusione/coesione sociale (Lenoir 1974, De Hann 1997, Barry 1998, Burchardt 2000, Rovati, 2003, Barca 2009) con le esperienze della Comunità europea in tema di politiche sociali. Si è partiti da questo lavoro sulla letteratura per poter andare a costruire una definizione del concetto di impoverimento. La prima definizione "oggettiva" presa in considerazione è quella di "rischio povertà" e da questa si è costruita la definizione assunta per la tesi e cioè l'impoverimento . Si passa quindi dalla spesa per consumi ai redditi e si assumono le oscillazione, analizzate dalla letteratura, della condizione di impoverimento che colpiscono quelle famiglie che si trovano nella vita a fluttuare attorno alla linea di povertà relativa con un movimento che, più che di scivolamento verso il basso, è appunto ondulatorio tra la condizione di quasi poveri e appena poveri. Definito il concetto di impoverimento, ci si è soffermati sulla contestualizzazione del tema povertà ed impoverimento attraverso il problema degli indicatori e delle fonti per l'analisi. Si è provveduto ad operare un'analisi secondaria relativa alla dimensione europea (Eu-Silc), italiana (Istat, Banca d'Italia, Isae) ed infine del Friuli Venezia Giulia. Per questa ultima analisi si sono considerate le stime nazionali (Istat), il tema dei redditi, dell'esclusione sociale, del rischio povertà, del disagio economico e dell'intensità del lavoro (Eu-Silc), gli utenti e gli interventi dei Servizi Sociale dei Comuni (Regione Friuli Venezia Giulia) e gli utenti e gli interventi dei Centri d'Ascolto Caritas (Osservatorio Caritas FVG). Infine si è provveduto ad analizza gli strumenti messi in campo dalle stesse Caritas del Friuli Venezia Giulia per sostenere le situazioni di impoverimento collegati alla crisi economico-finanziario con una valutazione specifica del progetto di Accompagnamento Economico della Caritas di Trieste. Nella seconda parte del lavoro si è voluto costruire una cornice di riferimento teorico a partire dai concetti di soggettività e valori per poi andare a definire l'oggetto di interessa conoscitivo, la costruzione metodologica dell'indagine ed infine l'analisi empirica. ; Obiettivo conoscitivo della ricerca intende essere quello di evidenziare similitudini e differenze nel vissuto quotidiano delle famiglie socialmente inserite, di quelle che sono state definite in una condizione di impoverimento ed infine di quelle che si trovano in situazione di povertà conclamata. In particolare si è cercato di rispondere alla seguente domanda: a parità di condizioni economiche, vi sono differenti percezioni dell'impoverimento, collegate alla sfera della soggettività e, quindi, a reti di relazioni, ad aspetti valoriali, alla partecipazione sociale e più in generale al well being? Lo scopo è stato quindi quello di realizzare uno studio empirico che non si concentrasse solamente sul disagio sociale ma anche sugli aspetti del vissuto quotidiano delle famiglie, allo scopo di poter effettuare utili confronti tra "famiglie della normalità", famiglie in situazione di difficoltà conclamata e, infine, famiglie che si trovano in situazioni a rischio povertà. Il confronto tra le varie tipologie di famiglie ha avuto lo scopo di cogliere in modo anticipato i segnali del disagio, del rischio sociale soggettivamente percepito anche tra le famiglie della "normalità". Per questi motivi, si è privilegiata l'analisi dei "processi dinamici", cioè l'individuazione di fattori di entrata/uscita nelle situazioni di disagio attraverso analisi che non si limitassero ad una semplice "fotografia" delle varie situazioni patologiche in atto, per poter cogliere alcuni segni di impoverimento, la cui percezione è generalmente diffusa ma che, la ricerca sociologica fatica tuttora a delineare. In quest'ottica si è avuta una particolare attenzione per quei gruppi sociali più vulnerabili. Con l'approccio utilizzato però si è voluto spingersi a sondare non solo gli aspetti economici del problema ma, come detto, soprattutto le dimensioni legate alle reti di relazioni e agli aspetti valoriali e culturali che si è ipotizzato possano incidere nell'attribuzione di significati dell'impoverimento vissuto. Si è voluta quindi predisporre un'analisi delle possibili variabili che incidono significativamente nelle traiettorie biografiche degli individui e che influenzano la capacità/incapacità di fronteggiamento degli stessi nel caso sopravvengono situazioni di vulnerabilità che coinvolgono persone e famiglie le quali, nel volgere di breve tempo, si vedono costrette a ridimensionare il loro tenore di vita, ad affrontare rischi che non pensavano di dover correre, a cercare soluzioni che non erano nemmeno psicologicamente preparate ad affrontare e a rivedere al ribasso i loro progetti futuri. Tutto ciò nel contesto storico legato alla profonda crisi economico-finanziaria che ha colpito diffusamente la società a partire dalla fine del 2008. È risultato interessante indagare questi aspetti delle biografie personali per far emergere, in una dimensione processuale, quella fluidità sociale che, seppur limitata agli strati sociali inferiori, possa individuare processi coesivi in un'ottica di prevenzione e/o accompagnamento sociale rispetto a situazioni conclamate di povertà. Il riferimento territoriale è quello del Friuli Venezia Giulia. Il confronto è stato realizzato tra famiglie prese in carico dai progetti di contrasto della crisi, messi in campo dalle quattro Caritas di Friuli Venezia Giulia e famiglie nella "normalità". Per operare questa distinzione si è fatto riferimento alle sogli di povertà definite dall'Istat nell'annuale studio sulla povertà in Italia con degli aggiustamenti legati all'inflazione del 2010. ; Per la costruzione di una prospettiva teorica si è partiti dal rapporto tra soggettività e ricerca sociale tracciando l'evoluzione che, con riferimento all'individuo come unità di analisi, ha portato a spostare l'asse dalla dimensione strutturale all'approfondimento sulla qualità della vita e quindi agli studi degli anni settanta con la costruzione di indicatori soggettivi sul benessere (self-reported satisfation). Si è dedicato uno spazio alla riflessione su contemporaneità e soggettività partendo dal minimalismo sociologico per poi soffermarsi sul quadro di riferimento adottato nella tesi e che fa riferimento alla nuova prospettiva del costruzionismo umanista (Cesareo e Vaccarini, 2006). Il prospettiva "costruzionista" prende spunto dal costruzionismo sociale (Corcuff 1995) e dal solco tracciato da Simmel, Schutz e dall'interazionismo simbolico con la necessità di non prescindere dall'azione degli individui e dai loro scambi simbolici ma anche da modelli teorici di studiosi che hanno cercato di raccordate approcci sistemici con sociologie dell'azione e dell'interazione sociale (Elias 1988, Giddens 1991, Bordieu 1995). Il logica "umanista" nasce dall'idea che l'essere umano partecipa alla costruzione della realtà sociale non come individuo ma come persona. Si passa quindi dall'astrattezza intesa come astrazione dal contesto relazionale di riferimento, considerato nella sua generalità, all'unicità data dalla storia e dai legami sociali che connettono le storie degli uomini. Infatti, per quanto si riconoscono contesti socio-culturali che trascendono l'essere umano, le sue condotte non sono mai prevedibili. Il costruzionismo umanista riconosce quindi alla persona una potenziale capacità di liberarsi dai condizionamenti dei contesti stessi. Dal un punto di vista di storicizzazione di tale pensiero, ci si riferisce al 1971, anno in cui esce Una teoria della giustizia di Rawls con la sua forte impronta liberista a cui si contrappose il pensiero dei cosiddetti communitarians (Mac Intyre 1988, Sandel 1994, Etzioni1998). Due concezioni differenti di uomo sono alla base di questi due approcci: da un lato un'idea atomista e astratta e dall'altro di un sé fortemente contestualizzato. Anche se negli anni le posizioni si "ammorbidirono", una sintesi equilibrata di questi due approcci fu portata avanti da Charles Taylor a partire dal suo Le radici dell'Io (1993), in cui traccia una prospettiva etico-politica, centrata sul tema dell'identità. Due sono i cardini di tale riflessione: l'autonomia di scelta e la responsabilità che si traducono sul piano dell'operativizzazione in soggettività e significatività esistenziale. La prima si compone di tre elementi: riflessività, autonomia di scelta e originalità; la seconda fa riferimento ad un'identità realizzata che trascende dalla routine quotidiana attraverso un quadro di riferimento valoriale con cui l'essere umano giudica se stesso e gli altri. Collegato a questo, si sono presi a riferimento i "classici" della sociologia e le riflessioni attorno al concetto di valore. Ed è proprio questo complesso quadro di riferimento valoriale a costituire il frame nella costruzione dell'indagine oggetto di questo lavoro. ; Rispetto alla ricerca empirico, le cui linee generali di indirizzo si sono già delineate sopra, ci si è posti i seguenti obiettivi conoscitivi: - analizzare le caratteristiche strutturali degli intervistati partendo da una ridefinizione delle soglie di povertà dell'Istat, tenendo conto delle variazioni collegate ad aspetti inflattivi ed individuando nella fascia gravitante attorno alla soglia di povertà relativa la "soglia di impoverimento"; - sondare alcuni aspetti collegati all'utilizzo del credito al consumo e i rischi connessi ad un suo utilizzo non aderente alla reale capacità economica di quanti ne fanno uso. Si è analizzata anche la percezione di rischio causato da eventi imprevisti e le possibili reti di contrasto attivabili. Inoltre si è costruito un indice, denominato di rischio insolvenza, che, mettendo in relazione i dati economici relativi a redditi e finanziamenti con una serie di indicatori di rischio, ha cercato di individuare delle soglie di pericolosità nella capacità delle famiglie di far fronte agli impegni economici collegati al mondo dei finanziamenti; - rispetto ai percorsi biografici non collegati ai bisogni collegati al disagio ma al normale svolgimento della vita quotidiana, si è analizzato il capitale relazionale delle persone intervistate, rispetto alla rete primaria, a quella secondaria e ai tempi di vita. L'obiettivo è stato quello di individuare, incrociando queste informazioni con le soglie di povertà, possibili affioramenti di dinamiche di disagio che possano lasciare prefigurare possibili sviluppi in direzione dell'impoverimento se non proprio della povertà e dell'esclusione sociale; - si è voluto analizzare il vissuto delle persone intervistate rispetto alla dimensione spirituale, legata ad una propria fede. L'obiettivo è stato quello di misurare l'influenza che un credo religioso possa avere negli stili di vita e di consumo. Per fare ciò si sono incrociati i dati relativi all'uso delle finanziarie e le motivazioni di tale utilizzo; - l'ultima parte del lavoro empirico si è invece soffermato sulla dimensione valoriale. Attraverso l'utilizzo di domande aperte, si sono volute sondare le opinione sul concetto di povertà e ricchezza e si sono ricondotte le risposte a dimensioni afferenti alle categorie dei valori materialistici e post materialistici (Maslow 1973, Inglehart 1983). Anche in questo caso si sono incrociati i dati con le fasce di povertà per comprendere similitudini e differenze all'interno delle differenti soglie. ; XXIV Ciclo
Il concetto fondante e le motivazioni alla base di questo lavoro di tesi sono costituiti dalla volontà di analizzare a fondo la problematica energetica ed ambientale, focalizzando l"indagine sul ruolo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e contestualizzandola nel contesto "locale" relativo alla Regione Emilia Romagna: questo lavoro di tesi, infatti, è stato sviluppato nell"ambito di un progetto di collaborazione stipulato tra Università e Regione Emilia Romagna e si è svolto all"interno dell"Assessorato alle Attività Produttive della Regione, lavorando con il "Servizio Politiche Energetiche" emiliano-romagnolo. La crisi energetica (e, contestualmente, la crisi ambientale) rappresenta una problematica al centro del dibattito globale da oltre mezzo secolo, affrontata finora in maniera non organica e realmente efficace dalle nazioni e dagli organismi sovranazionali coinvolti in tale dibattito. Tale tematica è divenuta ancora più pregnante (e la ricerca di una "soluzione" al riguardo, ancora più pressante) negli ultimi anni, in seguito alla deflagrazione di una crisi globale –economica e sociale- che ha intaccato i modelli di crescita e sviluppo (anche tecnologico) conosciuti finora, ponendo di fronte agli occhi dell"umanità la necessità impellente di ridefinire politiche economiche, ambientali e, conseguentemente, energetiche, caratterizzate da una maggiore sostenibilità globale. La continua crescita della popolazione e il progressivo incremento generalizzato (e disomogeneo) degli standard di vita alimentano con ritmi esponenziali la domanda –e la conseguente produzione- di energia, inevitabilmente correlata (proprio a causa dei modelli di sviluppo seguiti finora) ad un drammatico incremento delle emissioni climalteranti, che continuano a nuocere irreversibilmente alla salubrità del nostro fragile ecosistema. Oltre alla problematica ambientale si aggiunge, con impellenza sempre più marcata, quella relativa alla disponibilità delle principali fonti energetiche (quelle fossili), che si profilano in esaurimento entro lassi temporali che potrebbero divenire drammaticamente prossimi: il "rischio reale" connesso alla prosecuzione di politiche energetiche poggiate sullo sfruttamento intensivo di tali fonti non è tanto connesso all"eventuale esaurimento assoluto delle risorse stesse, quanto ad una loro progressiva riduzione, tale da renderle viepiù costose e sempre meno convenienti economicamente. Uno scenario di questo tipo si tradurrebbe inevitabilmente in una condizione per la quale solamente i Paesi più ricchi potrebbero usufruire di tali risorse, estremamente costose, mentre i Paesi meno evoluti economicamente rischierebbero di trovarsi nell"impossibilità di approvvigionarsi, andando incontro a condizioni di deficit energetico: uno scenario inquietante, che però non appare così "ipotetico", se si tiene conto di come –già ora- siano in aumento segnali di allarme e di conflitto, attivati da localizzate insufficienze energetiche. In un quadro globale di questo tipo le strade risolutive finora riconosciute e percorse dal mondo scientifico, politico ed economico sono sostanzialmente due: - L"implementazione del risparmio energetico, in un"ottica di drastica riduzione dei consumi globali; - La "conversione" della produzione energetica (attualmente fondata sulle fonti convenzionali, ossia quelle fossili) verso le cosiddette "Fonti Energetiche Alternative". Questa seconda direttrice di marcia sembra poter essere quella in grado di reindirizzare verso un orizzonte di maggiore sostenibilità l"attuale sistema energetico globale, e in quest"ottica assumono quindi enorme importanza strategica le tecnologie alternative e, prime tra tutte, le Fonti Energetiche Rinnovabili (FER). Queste consentirebbero infatti sia di ridurre l"impatto ambientale connesso alla produzione energetica da fonti convenzionali, che di implementare politiche di autosufficienza energetica per quei Paesi che attualmente, dal punto di vista del bilancio energetico interno, dipendono in misura marcata dall"importazione di combustibili fossili dall"estero. La crisi energetica e il conseguente ruolo chiave delle Fonti Energetiche Rinnovabili è quindi il punto di partenza di questa tesi, che ha voluto confrontarsi con tale problematica globale, misurandosi con le azioni e con i provvedimenti intrapresi al riguardo a livello locale, focalizzando l"attenzione sulla realtà e sugli sviluppi delle Fonti Energetiche Rinnovabili nella Regione Emilia Romagna. Per sviluppare il lavoro si è proceduto definendo prima di tutto un quadro complessivo della situazione, in termini di problematica energetica e di stato attuale delle Fonti Energetiche Rinnovabili, scendendo progressivamente nel dettaglio: partendo da una fotografia a livello mondiale, quindi europeo, successivamente italiano (basandosi sui dati di pubblicazioni italiane ed estere, di enti competenti in materia come Terna, il GSE o l"Enea per l"Italia, e l"IEA, l"EIA, l"UE per l"Europa e il resto del mondo). Nella terza parte della tesi si è scesi al dettaglio di questo stato attuale delle Fonti Energetiche Rinnovabili a livello Regionale (Emiliano-Romagnolo) e Provinciale (le nove Province della Regione): per procedere alla definizione di questo quadro la "tecnica operativa" è consistita in una raccolta dati effettuata in collaborazione con il "Servizio Politiche Energetiche" della Regione Emilia Romagna, estesa alle 9 Province e ai 348 Comuni del territorio emiliano-romagnolo. La richiesta di dati avanzata è stata relativa agli impianti alimentati da fonte energetica rinnovabile in esercizio e a quelli in fase di valutazione sul territorio afferente all"Ente considerato. Il passo successivo è consistito nell"aggregazione di questi dati, nella loro analisi e nella definizione di un quadro organico e coerente, relativo allo stato attuale (Ottobre 2010) delle Fonti Energetiche Rinnovabili sul territorio emiliano-romagnolo, tale da permettere di realizzare un confronto con gli obiettivi definiti per le FER all"interno dell"ultimo Piano Energetico Regionale e con lo stato delle FER nelle altre Regioni italiane. Sono stati inoltre realizzati due "Scenari", relativi all"evoluzione stimata del parco "rinnovabile" emiliano-romagnolo, definiti al 2012 ("Breve Termine") e al 2015 ("Medio Termine"). I risultati ottenuti hanno consentito di verificare come, nell"orizzonte "locale" emiliano-romagnolo, il sistema globale connesso alle Fonti Energetiche Rinnovabili abbia attecchito e si sia sviluppato in misura marcata: gli obiettivi relativi alle FER definiti nel precedente Piano Energetico Regionale sono infatti stati sostanzialmente raggiunti in toto. Dalla definizione degli "Scenari" previsionali è stato possibile stimare l"evoluzione futura del parco "rinnovabile" emilianoromagnolo, verificando come questo risulti essere in continua crescita e risulti "puntare" su due fonti rinnovabili in maniera particolare: la fonte fotovoltaica e la fonte a biocombustibili. Sempre dall"analisi degli "Scenari" previsionali è stato possibile stimare l"evoluzione delle singole tecnologie e dei singoli mercati rinnovabili, verificando limiti allo sviluppo (come nel caso della fonte idroelettrica) o potenziali "espansioni" molto rilevanti (come nel caso della fonte eolica). Il risultato finale di questo lavoro di tesi è consistito nel poter definire dei nuovi obiettivi, relativi alle differenti Fonti Energetiche, da potersi inserire all"interno del prossimo Piano Energetico Regionale: l"obiettivo "complessivo" individua –avendo il 2015 come orizzonte temporale- una crescita incrementale delle installazioni alimentate da FER pari a 310 MWe circa. Questo lavoro di tesi è stato ovviamente organizzato in più "Parti", ciascuna ulteriormente suddivisa in "Capitoli". Nella "Prima Parte", costituita dai primi 4 Capitoli, si è proceduto ad introdurre la problematica energetica e il contesto in cui si muovono le decisioni e le politiche (comunitarie, nazionali e sovra-nazionali) destinate a trovare soluzioni e risposte: Il Primo Capitolo, introduttivo, definisce prima di tutto gli "strumenti" e i concetti che verranno successivamente richiamati più volte nel resto della Tesi, partendo dal concetto di "energia", definito sia "concettualmente" che attraverso le unità di misura utilizzate per quantificarlo. Il passo successivo è stato quello di contestualizzare l"evoluzione dello sfruttamento di questa "risorsa", in relazione allo sviluppo delle tecnologie e delle stesse condizioni di vita umane, così da definire un background storico per le considerazioni introdotte nel Capitolo successivo. Il Secondo Capitolo, infatti, introduce la problematica attuale (ma mutuata dal background storico evidenziato in precedenza) della "crisi energetica" e della "crisi ambientale" ad essa correlata, considerandone gli aspetti prima di tutto globali, connessi a considerazioni di natura sociale, demografica e –conseguentemente economica e sociale: all"interno di questa analisi, vengono citati anche gli scenari previsionali elaborati da numerosi enti di ricerca e istituzioni, coinvolti su più livelli nell"ottica di riuscire ad individuare una "risposta" alle problematiche sollevate dallo sfruttamento intensivo della risorsa energetica per vie convenzionali. Tale risposta è rappresentata dalle normative sovranazionali, europee e italiane varate nell"ottica di attuare una "transizione etica" in materia di sviluppo sostenibile, impatto ambientale e sfruttamento energetico: un presupposto imprescindibile per la transizione energetica sostenibile è proprio l"impegno a livello locale (quindi anche e prima di tutto di istituzioni quali, in Italia, le Regioni, le Province e i Comuni), senza il quale difficilmente si potranno raggiungere traguardi avanzati, che implicano anche un sostanziale cambio di mentalità. Nell"ottica di approfondire ulteriormente il contesto all"interno del quale vengono adottate azioni e intrapresi provvedimenti utili a concretizzare risposte a livello italiano –nazionale e locale- il Terzo Capitolo introduce il tema delle "politiche energetiche sostenibili", partendo dalla definizione dell"attuale condizione Italiana (in termini di inquinamento atmosferico e di sfruttamento intensivo della risorsa energetica, nonché di scenari previsionali), per definire successivamente le politiche nazionali per le fonti rinnovabili, per il settore dei trasporti, del riscaldamento e del raffreddamento, della pianificazione energetica e della generazione distribuita. Il Capitolo introduce anche il tema degli interventi in ambito di fiscalità energetica ("Certificati Verdi", "Certificati Bianchi" e il "Conto Energia"). Proprio per definire al meglio i meccanismi di incentivazione, il Quarto Capitolo esplicita (facendo riferimento alla documentazione pubblicata da enti quali GSE, Terna, GRTN) il meccanismo del cosiddetto "mercato elettrico" e degli scambi che vi avvengono, in modo tale da comprendere come i metodi di incentivazione alle fonti alternative che si appoggiano su interventi di fiscalità energetica, riescano ad avere –o meno- presa sul sistema. La "Seconda Parte" (costituita dai Capitoli dal 5° al 13°) è invece dedicata al necessario approfondimento sullo stato delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER): in ogni capitolo è stato infatti approfondita la condizione attuale delle principali FER (fonte a Biocombustibili, Eolica, Geotermica, Idraulica, Solare Fotovoltaica, Solare Termica, Solare Termodinamica). Tale approfondimento è stato condotto in termini di sviluppo della tecnologia, incidenza e contributo della singola FER sui bilanci elettrici (considerando prima il quadro mondiale, quindi quello europeo, per scendere infine al dettaglio italiano). Nella parte finale di ogni capitolo sono state riportate anche le principali criticità riscontrate per ogni fonte presa in considerazione, oltre che gli scenari previsionali stimati considerandone i potenziali sviluppi, in un"ottica di medio termine e di lungo termine. La "Terza Parte" (comprendente i Capitoli dal 14° al 22°) di questa Tesi raccoglie invece il lavoro svolto e i risultati ottenuti e permette di definire lo stato attuale e gli scenari previsionali (a breve termine e a medio termine) per le Fonti Energetiche Rinnovabili nella Regione Emilia Romagna, con un livello di dettaglio sia Regionale che Provinciale. Il lavoro, come detto, è consistito nella raccolta dati effettuata presso gli enti di "governo territoriale" emiliano-romagnoli (la Regione, le 9 Province e i 348 Comuni) e nella successiva aggregazione, elaborazione e interpretazione di questi stessi dati. I Capitoli dal 15° al 19° definiscono lo stato attuale (all"Ottobre 2010) e gli scenari previsionali (a breve termine e medio termine) per le differenti FER (rispettivamente, Biocombustibili, Eolica, Fotovoltaica, Geotermica e Idroelettrica), prima a livello Provinciale, quindi a livello Regionale. Nella conclusione di ogni Capitolo è contenuto un confronto con lo stato della FER presa in considerazione relativo agli anni precedenti, oltre che il confronto con gli obiettivi definiti per la tecnologia al 2010 dal precedente Piano Energetico Regionale. Questi Capitoli si chiudono con l"analisi del trend storico della Fonte Energetica Rinnovabile considerata e con la conseguente individuazione dei potenziali obiettivi al 2012 e al 2015 da inserire nel prossimo Piano Energetico Regionale. E" presente anche l"evoluzione stimata del "mercato" della singola FER presa in considerazione, oltre che della "tipologia tecnologica" sulla quale gli installatori e gli investitori tenderanno ad orientarsi sia nel breve che nel medio termine. I Capitoli 20°, 21° e 22° contengono invece lo stato "riassuntivo" delle Fonti Energetiche Rinnovabili, definite per il panorama emiliano-romagnolo (anche in questo caso, prima a livello Provinciale, successivamente a livello regionale) sotto un"ottica temporale differente: il Capitolo 20° riassume lo stato attuale del parco "rinnovabile" complessivo emiliano-romagnolo, definendone l"evoluzione storica e confrontandolo con gli obiettivi fissati al 2010 dal precedente Piano Energetico regionale, permettendo così di verificare –nel complesso- se le stime del 2004 erano state corrette. Il Capitolo 21° definisce l"evoluzione del parco "rinnovabile" complessivo emiliano-romagnolo al 2012, sia a livello Provinciale che Regionale, definendone in questo modo un trend stimato di crescita e dei conseguenti obiettivi di breve termine, riferiti alle singole FER. Il Capitolo 22° definisce infine l"evoluzione del parco "rinnovabile" complessivo emiliano-romagnolo al 2015 (ancora una volta, sia a livello Provinciale che Regionale) permettendo così di ricavare un trend stimato di crescita e, soprattutto, gli obiettivi di medio termine -riferiti alle singole FER- da inserire all"interno del prossimo Piano Energetico Regionale. La conclusione permette di chiudere sinteticamente il lavoro svolto in precedenza, traendo le indicazioni più rilevanti dai dati e dalle considerazioni pregresse: come si evincerà, l"Emilia Romagna risulta una Regione in cui gli obiettivi rinnovabili (e di "conversione energetica") sono stati sostanzialmente raggiunti e, in alcuni casi, perfino superati. Il mercato rinnovabile è in crescita e le politiche locali e sovra locali evidenziano una marcata volontà di puntare prevalentemente su settori e tecnologie quali quella della biomassa e quella solare fotovoltaica. Nonostante questo, si evidenzia anche la necessità di lavorare a livello di enti regionali e provinciali, per omogeneizzare ulteriormente la distribuzione energetica "rinnovabile" sul territorio (implementando lo sviluppo di determinate fonti su distretti territoriali al momento non ancora raggiunti da tali mercati) e per provvedere ad una riduzione dei consumi energetici che consenta alle FER di avere una maggiore incidenza sui bilanci energetici ed elettrici, locali e regionali. Si ricorda che la "costruzione" di questa tesi è stata sviluppata parallelamente ad un"attività di stage presso il settore Politiche energetiche dell"Assessorato alle Attività Produttive della Regione Emilia – Romagna, che in questa fase sta procedendo alla definizione del nuovo Piano Energetico Regionale, e alla conseguente individuazione d
Il lavoro prende in considerazione i principali avvenimenti che hanno influenzato l'evoluzione economica finanziaria del nostro Paese nella crisi del cambio 1992,ho voluto concentrare l'attenzione sugli avvenimenti a partire dal 1979 e analizzando l'intervento delle autorità monetarie. Allora non esisteva l'Euro, esisteva il Sistema Monetario Europeo con una sorta di valuta di riferimento, l'ECU, a cui le varie valute nazionali aderenti al sistema dovevano stare agganciate, entro una percentuale di scostamento non superiore al 2,25% per alcune e al 6% per altre, fra cui la lira. La Germania vantava di un'economia più solida di altri, con un sistema produttivo di avanguardia e con una moneta forte che faceva da riferimento per tutte le economie. L'Italia aveva un' economia che si doveva adattare continuamente alle conseguenze di una gestione del paese sconsiderata, miope e orientata al breve termine, frutto di una incompetenza della classe politica. Nel marzo 1979, l'Italia aveva aderito al Sistema Monetario Europeo, una decisione orientata, insieme con la politica estera, al rafforzamento dei vincoli comunitari nell'intento di dar luogo alla creazione di un'Europa Unita; consapevoli che questa sarebbe stata una scelta più di carattere politico che economica. L'adesione allo Sme avvenne in un clima di divergenza, Paolo Baffi allora governatore della Banca d'Italia, faceva infatti presente che una valuta debole come la lira, avrebbe trovato difficoltà ad abbandonare il regime delle svalutazioni facile. diversi economisti, oltre a Baffi,al di là di dove sedessero, se in Parlamento come Luigi Spaventa o alla direzione della Banca d'Italia o ancora all'interno del governo come Rinaldo Ossola, sostenevano la loro contrarietà all'ingresso nel Sistema Monetario Europeo, esponendo motivazioni tra loro eterogenee. Tutti si attendevano che il vincolo esterno dei cambi stabili costringesse il paese a seguire una politica di rigorosa stabilità monetaria. L'Italia aveva ottenuto il privilegio di una banda di oscillazione del 6%, contro il 2,5% degli altri paesi, ma tutti intendevano che l'adesione all'accordo di cambio avrebbe imposto una politica di rientro all'inflazione. Contro le aspettative generali, l'inflazione proseguì invece più violenta di prima. Il tasso di cambio, assunse con l'avanzare del progetto unitario una significatività crescente, aggiungendo alla sua funzione di strumento di orientamento, quella di fattore di credibilità. Le autorità monetarie italiane non accettarono mai una svalutazione esterna della lira pari a quella interna. Fra il 1980 e il 1987, i riallineamenti di parità nell'ambito dello Sme si susseguirono numerosi e coinvolsero numerose valute. Ogni riallineamento segnò una svalutazione della lira rispetto al marco. Dopo il 1987, i riallineamenti vennero sospesi e il corso della lira subì un solo ritocco al ribasso, in occasione del rientro della banda stretta. La politica di fatto seguita fu dunque quella di una graduale rivalutazione della lira, in termini reali, rispetto al marco. All'inizio degli anni novanta venne firmato il trattato di Maastricht, il contenuto degli accordi si inseriva in un contesto politico- sociale interno altamente critico, nel quale le energie politiche a lungo represse dalla guerra fredda si erano liberate, grazie al crollo del Muro di Berlino, spingendo quindi gli equilibri del sistema politico e economico con una rottura che si verificò del tutto nel 1992. Se il processo d'integrazione europeo era stato spesso rappresentato dalla classe politica come una sorta di panacea alle tare italiane, a Maastricht, si celebrò l'innocenza dell'europeismo italiano che vide stravolgere e crollare la visione retorica con la quale aveva guardato alla costruzione europea a partire degli anni '70. Per la storia dell'integrazione europea, il trattato di Maastricht rappresenta una pietra miliare, anche se con l'entrata in vigore ha creato ancora più instabilità, in quanto caratterizzato da uno scarso realismo degli obiettivi di convergenza delle variabili macroeconomiche, da mancanza flessibilità e insieme da asimmetrie dei comportamenti possibili delle banche centrali. La scena economica internazionale era segnata da: tendenze divergenti dei tassi di interesse, al ribasso negli Stati Uniti per rilanciare l'economia, al rialzo in Germania per gli effetti dell'unificazione tedesca, con conseguenti indebolimenti del dollaro, rafforzamento del marco, tensione nello Sme; le incertezze circa il completamento della unificazione monetaria in Europa, quale è stata sancita nel trattato di Maastricht. Questi sviluppi esterni coglievano l'economia italiana in una fase di attività produttiva debole, inflazione in lenta discesa, squilibri irrisolti nella finanza pubblica. Tra gli accadimenti che sono susseguiti, sono da richiamare i seguenti: l'esito negativo del referendum danese sul trattato di Maastricht del 2 giugno, infatti il referendum di Copenaghen si conclude al fotofinish (50,7%) di no contro il (49,3%) di si; mancata riduzione dei tassi di interesse in Germania; voci di svalutazione della lira; rialzo dei tassi ufficiali in Germania. Nel corso dell'anno 1992 si assiste a una piena recessione, infatti con il debito pubblico al 105,5 del Pil, con un fabbisogno attorno al 10,4 del Pil, con il passivo della bilancia dei pagamenti di parte corrente in crescita, la crisi era alle porte. Il 6 giugno la Banca d'Italia aumenta il tasso sulle anticipazioni a scadenza fissa di mezzo punto percentuale, irrigidendo così la politica monetaria, Moody's mise sotto controllo l'Italia per la sua incapacità nella riduzione del debito pubblico. Il 29 giugno il cambio contro il marco arrivò a 756,54 a fronte di una sostanziale stabilità nei confronti della sterlina e della peseta, Amato per effettuare un risanamento economico annunciò il 5 luglio la manovra da 30000 miliardi di lire, e con quella successiva di 100000 miliardi dà inizio al risanamento finanziario del Paese. Le vicende relative alle turbolenze che hanno sconvolto le parità valutarie dei paesi aderenti allo Sme hanno avuto inizio con la svalutazione del 7% della lira, la quale appariva quasi un riallineamento da manuale. Il 21 settembre, la Banca d'Italia, annunciò che le autorità monetarie si sarebbero astenute all'effettuare la quotazione ufficiale della lira. Questo fu un colpo durissimo per l'Italia che fino a quella data, aveva fatto del cambio della lira l'architrave della sua politica economica e finanziaria, sostenendo pesanti oneri in termini di riserve valutarie, infatti tra il giugno e il settembre vennero impiegate 53000 miliardi di riserve; colpo durissimo anche per la Comunità, colpita al cuore proprio nello strumento fondamentale, lo SME, investito nel ruolo di preparare e garantire le condizioni di stabilità, generalizzata e consolidata, che avrebbero dovuto, poi consentire quel salto di qualità dell'Europa, con il decollo della Unione Economica e monetaria, la moneta unica e il sistema delle banche centrali europee. Successivamente le tensioni speculative investono la lira , la sterlina e la peseta: momento in cui Italia e Gran Bretagna annunciano di uscire dagli Accordi europei di cambio. Subito dopo la svalutazione del 1992, si aprì un periodo di svalutazione generale della lira rispetto alle altre monete, periodo che si protrasse all'incirca fino al marzo 1993. Tra il 1992 e 1993 vennero firmati due accordi triangolari il protocollo Amato 31 luglio 1992 che abolì il sistema di scala mobile, completato da Ciampi nel luglio 1993, con la quale si fissarono gli obiettivi comuni di politica di reddito. Dopo di allora la lira rimase agganciata al dollaro. Il legame fra lira e dollaro potrebbe essere frutto dell'agire spontaneo dei mercati, ma potrebbe anche essere scaturito dalla decisione delle autorità monetarie italiane di ritornare alla vecchia linea di cambio differenziato, già seguita negli anni prima del 1979, fino all'ingresso dello Sme. Il problema essenziale delle autorità di governo era quello di evitare che la svalutazione esterna della lira si traducesse in inflazione importata, l'aver agganciato la lira al dollaro può essere inteso come una misura ragionevolmente coerente con l'obiettivo della stabilità monetaria. Di certo che la svalutazione della lira non ha contribuito alla soluzione del problema economico italiano, ha rischiato di aggravarlo producendo perdita di credibilità per il Paese. La crisi del sistema monetario europeo ha favorito una ripresa dei dibattiti teorici sui modelli di crisi valutarie, che si distinguono tra prima e seconda generazione, quelli di prima collegano l'emergere della crisi all'incompatibilità tra politiche macroeconomiche e stabilità del cambio; quelli di seconda, il cui sviluppo è stato stimolato dagli stessi fatti del 1992, nella quale l'emergere di una crisi appare come una scelta endogena, effettuata dalle autorità in base alle proprie preferenze e all'interazione con gli agenti economici privati. Analizzando i modelli si può concludere che mentre la rappresentazione di un regime di cambio fisso per mezzo di un livello puntuale del cambio non rappresenta un limite interpretativo rilevante, le ipotesi relative al processo di espansione del credito e all'esistenza di un livello di soglia delle riserve, nei modelli di Krugman, non sembrano dar conto adeguatamente della realtà dei fenomeni economici. I modelli di prima generazione danno una spiegazione "fondamentalista" delle crisi nel senso che fanno risalire la crisi allo sfasamento dei fondamentali macroeconomici dell'economia, in particolare l'esistenza di politiche fiscali espansive e prolungati deficit di bilancio incompatibili con un impegno di cambio fisso. I modelli di seconda generazione sottolineano il comportamento ottimizzante del policy-maker che non subisce più la crisi, ma decide di avviarla perché tale scelta minimizza i costi, nel senso che i costi in termini di reputazione a cui il governo va incontro uscendo dall'impegno sono comunque minori dei costi di rimanere in termini di incremento dei tassi di interesse e riduzione delle riserve valutarie. I modelli di terza generazione pongono enfasi sulla presenza di squilibri di natura finanziaria con la conseguenza che delle crisi valutarie non sono più viste come fenomeni a sé stanti ma come parte di una crisi sistemica in cui le crisi valutarie e bancarie si autoalimentano. Le ipotesi di perfetta previsione, d'altra parte, implicano che la razionalità degli agenti sia tale da non permette il realizzarsi di peso problem, i quali invece vengono osservati nella realtà. (Riassunto tradotto in inglese) Labour takes into account the main events that influenced the financial economic development of our country in the 1992 exchange rate crisis, I wanted to focus on the events since 1979 and analysing the intervention of the monetary authorities. At that time there was no euro, there was the European Monetary System with a kind of reference currency, the ECU, to which the various national currencies participating in the system had to be hooked, within a variance rate of no more than 2.25% for some and 6% for others, including the lira. Germany boasted of an economy stronger than others, with a state-of-the-art production system and a strong currency that was the benchmark for all economies. Italy had an economy that had to adapt continuously to the consequences of a reckless, short-sighted and short-term management of the country, the result of an incompetence of the political class. In March 1979, Italy had joined the European Monetary System, a decision aimed, together with foreign policy, at strengthening EU ties in order to create a united Europe; aware that this would be a more political than an economic choice. The accession to the Sme took place in a climate of divergence, Paolo Baffi then governor of the Bank of Italy, in fact, pointed out that a weak currency such as the lira, would find it difficult to abandon the regime of devaluations easy. several economists, in addition to Baffi, beyond where they sat, whether in Parliament as Luigi Spaventa or at the management of the Bank of Italy or even within the government as Rinaldo Ossola, argued their opposition to entry into the European Monetary System, exposing heterogeneous motivations among themselves. Everyone expected that the external constraint of stable exchange rates would force the country to follow a policy of strict monetary stability. Italy had obtained the privilege of a 6% swing band, compared with 2.5% in the other countries, but all wanted that accession to the exchange agreement would impose a policy of returning to inflation. Against general expectations, however, inflation continued more violent than before. The exchange rate, as the unitary project progressed, became increasingly significant, adding to its role as a guideline, that of a credibility factor. The Italian monetary authorities never accepted an external devaluation of the lira equal to the internal one. Between 1980 and 1987, the realignments of parity within the Sme followed numerous and involved numerous currencies. Each realignment marked a devaluation of the lira against the mark. After 1987, the realignments were suspended and the course of the lira underwent only one downward adjustment, on the occasion of the return of the narrow band. The policy followed was therefore that of a gradual revaluation of the lira, in real terms, with respect to the mark. At the beginning of the 1990s the Maastricht Treaty was signed, the content of the agreements was part of a highly critical internal political-social context, in which political energies long repressed by the Cold War had been freed, thanks to the collapse of the Berlin Wall, thus pushing the balance of the political and economic system with a break that occurred entirely in 1992. If the process of European integration had often been portrayed by the political class as a kind of panacea to the Italian tare, in Maastricht, the innocence of Italian Europeanism was celebrated, which saw the rhetorical vision with which it had looked to the construction of Europe since the 1970s, overturned and collapsed. For the history of European integration, the Maastricht Treaty represents a milestone, although with the entry into force it has created even more instability, as it is characterized by a lack of realism in the convergence objectives of macroeconomic variables, lack of flexibility and at the same time as asymmetries of the possible behaviour of central banks. The international economic scene was marked by: divergent trends in interest rates, downwards in the United States to boost the economy, up in Germany due to the effects of unification Germany, resulting in a weakening of the dollar, a strengthening of the mark, tension in the SME; The uncertainty about the completion of monetary unification in Europe, as enshrined in the Maastricht Treaty, is. These external developments caught the Italian economy in a period of weak production activity, slow-falling inflation, unresolved imbalances in public finances. Among the events that have followed, the following are to be recalled: the negative outcome of the Danish referendum on the Maastricht Treaty of 2 June, in fact the Copenhagen referendum ends at photofinish (50.7%) no versus (49.3%) yes; failure to reduce interest rates in Germany; rumours of the valuation of the lira; official interest rates in Germany. During the year 1992 there is a full recession, in fact with public debt at 105.5 of GDP, with a requirement around 10.4 of GDP, with the passive of the current account balance growing, the crisis was upon us. On 6 June, the Bank of Italy increased the rate on fixed-term advances by half a percentage point, thus tightening monetary policy, and Moody's brought Italy under control for its inability to reduce public debt. On 29 June, the exchange rate against the mark reached 756.54 in the face of substantial stability against the pound and the peseta, Amato to carry out an economic recovery announced on 5 July the maneuver of 30000 billion lre, and with the next one of 100000 billion begins the financial consolidation of the country. The events surrounding the turmoil that have disrupted the currency parities of the SME member countries began with the devaluation of 7% of the lira, which appeared to be almost a textbook realignment. On 21 September, the Bank of Italy announced that the monetary authorities would refrain from making the official listing of the lira. This was a very serious blow for Italy, which until that date had made the lira change the backbone of its economic and financial policy, bearing heavy burdens in terms of foreign exchange reserves, in fact between June and September 53 trillion reserves were used; It is also a very serious blow for the Community, which has been struck at the heart by the fundamental instrument, the EMS, which has been invested in the role of preparing and guaranteeing the conditions of stability, generalised and consolidated, which should have allowed Europe to jump in quality, with the take-off of the Economic and Monetary Union, the single currency and the system of European central banks. Subsequently, speculative tensions hit the lira, sterling and peseta, when Italy and Great Britain announced they were leaving the European Exchange Agreements. Immediately after the devaluation of 1992, a period of general devaluation of the lira against the other currencies opened up, which lasted approximately until March 1993. Between 1992 and 1993, two triangular agreements were signed, the Amato protocol on 31 July 1992, which abolished the escalator system, which was completed by Ciampi in July 1993, which set common income policy objectives. After that, the lira remained pegged to the dollar. The link between the lira and the dollar may be the result of the spontaneous action of the markets, but it could also have stemmed from the decision of the Italian monetary authorities to return to the old differentiated exchange line, which was already followed in the years before 1979, until the entry of the Sme. The main problem of the government authorities was to prevent the external devaluation of the lira from translating into imported inflation, the having pegged the lira to the dollar can be understood as a measure reasonably consistent with the objective of monetary stability. Certainly the devaluation of the lira did not contribute to the solution of the Italian economic problem, it risked aggravating it, producing a loss of credibility for the country. The crisis in the European monetary system has encouraged a resumption of theoretical debates on currency crisis patterns, which stand out between the first and second generations, those of first generation link the emergence of the crisis to the incompatibility between macroeconomic policies and exchange rate stability; Second, the development of which was stimulated by the same events of 1992, in which the emergence of a crisis appears to be a choice "It's not just a way of using private economic agents," he said. By analysing the models, it can be concluded that while the representation of a fixed exchange rate regime by means of a timely exchange rate does not represent a relevant interpretive limit, assumptions about the credit expansion process and the existence of a level of reserve threshold, in Krugman's models, do not seem to adequately account for the reality of economic phenomena. First-generation models give a "fundamentalist" explanation of crises in the sense that the crisis is traced back to the shift in macroeconomic fundamentals of the economy, in particular the existence of expansionary fiscal policies and prolonged budget deficits incompatible with a fixed exchange rate commitment. The second-generation models emphasize the optimising behaviour of the policy-maker who is no longer suffering from the crisis, but decides to start it because this choice minimizes costs, in the sense that the reputation costs that the government faces by exiting the commitment are still lower than the costs of staying in terms of raising interest rates and reducing currency reserves. Third-generation models place emphasis on financial imbalances, with the consequence that currency crises are no longer seen as stand-alone phenomena but as part of a systemic crisis in which currency and banking crises feed themselves. The hypotheses of perfect prediction, on the other hand, imply that the rationality of the agents is such that it does not allow the realization of weight problem, which instead are observed in reality.