This book is a collection of articles by Italian and foreign scholars designed to offer an overview of the processes and issues involved in the history of the confraternity movement, as yielded by studies in the historical, social, legal, literary and artistic spheres in the course of the twentieth century. The articles deal with the historical context of western Europe, and more specifically with Italy, in the period comprised between the Middle Ages and the early Modern Age. The collection is divided into four sections: Individuals and groups, which explores the emergence of an interest in confraternity communities in disciplines addressing the history of social groups, of the rural world, of women and of young people. The legal and institutional framework deals with issues of legitimacy and institutional structure. The economics of charity analyses the relations between the confraternities and the hospital structures, the procedures for the administration of the assets, and the strategies of governance underlying the policies of aid of which the confraternities were the principal instrument. Finally, the section Theatrical, musical, artistic and documentary evidence is devoted to the sources that have handed down evidence of the operation of the confraternities. - Il volume raccoglie interventi di studiosi italiani e stranieri miranti a offrire una panoramica di percorsi storiografici e di problematiche relativi alla storia del movimento confraternale, così come sono emersi nell'ambito di discipline storiche, sociali, giuridiche, letterarie e artistiche sviluppatesi nel corso del Novecento. I contributi si riferiscono al contesto storico dell'Europa occidentale, con più specifico riguardo per l'Italia, nel periodo compreso fra medioevo e prima età moderna. La raccolta si articola in quattro sezioni: Individui e gruppi, che sonda l'emergere di un interesse verso le comunità confraternali all'interno di ambiti di studio come la storia dei gruppi sociali, del mondo rurale, delle donne, dei giovani; L'inquadramento giuridico e istituzionale, che affronta problemi di legittimità e di assetto istituzionale; L'economia della carità, che analizza il rapporto delle confraternite con gli enti ospedalieri, le modalità amministrative dei patrimoni confraternali, le culture di governo che sottostanno a politiche assistenziali di cui le confraternite sono tramite principale; Testimonianze teatrali, musicali, artistiche, documentarie dedicata alle fonti che le confraternite hanno saputo trasmettere.
Un quinto del XXI secolo è già alle nostre spalle e l'insieme delle musiche d'arte composte dal 2001 ad oggi è a dir poco imponente. Le domande che si può porre uno storico della musica dinanzi all'attuale scenario sono molteplici. In che modo le musiche d'arte d'inizio Duemila si distinguono – se davvero si distinguono -- da quelle del tardo Novecento? Si deve parlare di un Novecento di longue durée oppure emergono fattori di discontinuità? E l'eventuale discontinuità tra XX e XXI secolo è in qualche modo paragonabile alle maggiori svolte storico-musicali registrate, per esempio, a cavaliere tra Cinque e Seicento oppure tra Otto e Novecento? E ancora: come interagisce il corpus odierno di Western Art Music con le musiche 'altre'? E in che rapporto esso si pone con le varie arti contemporanee, dalla letteratura alle arti visive, dal cinema all'architettura? Qual è l'impatto sulla creatività musicale delle nuove tecnologie, di Internet, dei new media, dell'intelligenza artificiale? Come si ridefiniscono i rapporti tra committenti, editori, compositori, interpreti, critici, fruitori? Come si può promuovere la musica dal vivo durante un'emergenza sanitaria? Alcune indicazioni e numerosi spunti di riflessione emergono nei saggi del presente volume che raccoglie gli atti di un incontro di studi promosso dall'Università di Napoli "Federico II" e svoltosi in streaming il 13 aprile 2021. Vi contribuiscono Marco Bizzarini (Oltre il postmoderno), Gianluigi Mattietti (Realtà virtuali e aumentate), Mauro Montalbetti (Teatro musicale, cronaca e politica in Haye: le parole la notte), Lisa La Pietra (La pluridimensionalità della voce nel XXI secolo), Tommaso Rossi (Organizzare la musica durante la pandemia), Simona Frasca (La canzone napoletana fra vecchie tecnologie e pratiche contemporanee). È prevista la pubblicazione di un secondo volume che offrirà ulteriori approfondimenti.
Il tema di questa ricerca è la ricostruzione della rete di relazioni stabilite in Italia da Theodor Mommsen tra il 1844 e il 1870 con studiosi e istituzioni attraverso la corrispondenza che lo storico tedesco intrattenne con coloro che, direttamente o indirettamente, collaborarono con lui nella realizzazione del Corpus Inscriptionum Latinarum. Il 1844 è l'anno della prima venuta nella penisola del giovane Mommsen, che aveva appena conseguito il dottorato presso l'Università di Kiel, l'ateneo dove si era anche laureato. Cittadino danese, in quanto nato a Garding, una cittadina dello Schlesig- Holstein allora appartenente alla Danimarca, Mommsen era titolare di un Reisestipendium biennale assegnatogli dal governo su raccomandazione dell'università di Kiel, per completare la sua raccolta di fonti giuridiche romane. Il mio scopo ufficiale è la nuova edizione dei monumenta legalia di Haubold con testo riveduto e ampio commento; lei vede che i confini del mio piano sono abbastanza ristretti e quindi praticabili e che mi rimane tempo a sufficienza [.]. Genova, Firenze, Roma e Napoli sono i punti in cui senz'altro mi condurrà il mio piano di viaggio; oltre al mio preciso scopo, penso di fare qualche interessante bottino epigrafico. In questo, conto particolarmente sul suo amichevole aiuto; lei non pianterà in asso il suo allievo nell'epigrafia. La mia intenzione è di rivolgermi anzitutto all'Accademia di Berlino, che certamente appoggerà il mio progetto, se lei lo raccomanda. Così scriveva Mommsen al suo maestro e mentore Otto Jahn, appena ricevuta la notizia che la sua domanda di sovvenzione per un viaggio di studio in Italia era stata accolta: parole che esprimono senza ombra di dubbio le intenzioni e i progetti – sia immediati sia a più lungo raggio – del giovane giurista, niente affatto desideroso di dedicarsi alle professioni legali, bensì propenso a intraprendere la ricerca storica ed epigrafica e, come si vedrà, la carriera universitaria. Tuttavia, benché al momento di iniziare quello che sarà il 'primo' viaggio nella penisola Mommsen nutrisse già verso l'Italia e l'antichità romana interessi molto forti, questi ancora non erano precisamente delineati. Mommsen giunge in Italia alla fine del novembre 1844, dopo un soggiorno di due mesi in Francia, con tappe a Parigi – dove soggiorna oltre un mese –, Lione, Montpellier, Nîmes, Marsiglia; da qui il 23 novembre si imbarca per Genova. Dopo alcuni giorni di permanenza in Liguria, attraverso la Toscana, giunge negli ultimi giorni dell'anno a Roma, dove, grazie all'appoggio dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica e alla collaborazione di Wilhelm Henzen, farà base per tutta la durata del soggiorno che si concluderà alla fine del maggio 1847, con frequenti e lunghi trasferimenti in altre regioni, prevalentemente a Napoli e nell'area meridionale. Fino a quel momento gli interessi di Mommsen si erano orientati per lo più allo studio delle istituzioni romane e avevano portato alla pubblicazione di due opere, il De collegiis et sodaliciis Romanorum e il Die romischen Tribus in administrativer Beziehung, che lo avevano fatto conoscere presso gli specialisti italiani – soprattutto la prima, scritta in latino, la lingua della «repubblica delle lettere». Si è visto quali fossero i reali progetti di vita del neodottorato giurista: tuttavia, benché la raccolta di iscrizioni latine rientrasse nelle sue prospettive di studio, gli giunse inaspettata, mentre era in Italia, la proposta di divenire coordinatore del progetto di un corpus epigrafico inizialmente promosso dal filologo danese Olaus Christian Kellermann. Il progetto languiva dopo la morte di Kellermann, avvenuta il 1° settembre del 1837 a Roma, ed era fallito anche l'analogo e pressoché contemporaneo progetto francese. Allo stesso tempo viene inoltre prospettato a Mommsen di assumere la cattedra di materie giuridiche a Lipsia. Entrambe le proposte – alle quali non poteva che rispondere positivamente – nell'immediato spiazzano il giovane e ambizioso ricercatore e imprimono alla sua vita un indirizzo diverso dal previsto. A quel punto, i cambiamenti intervenuti rispetto al piano iniziale agiscono da moltiplicatori dell'interesse di Mommsen per la filologia e per le fonti epigrafiche e dal soggiorno italiano nascono, oltre agli interventi e alle periodiche rassegne per il bollettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, tra cui le Iscrizioni messapiche, gli Oskische Studien e gli studi pubblicati dopo il rientro in Germania, in particolare le Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae. Secondo la testimonianza del suo allievo Christian Schüler, Mommsen, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, avrebbe detto di quel suo viaggio: «Der Jurist ging nach Italien – der Historiker kam zurück». Una battuta efficace, senza dubbio, ma forse eccessivamente tranchant: dopo la morte di Mommsen, non pochi tra quanti ne hanno tracciato la biografia hanno messo in luce il peso determinante della sua formazione giuridica nello studio dell'antichità romana e nelle stesse indagini epigrafiche. Dalla permanenza in Italia, come è evidente, è derivata la messa a fuoco dell'area napoletana come microcosmo rappresentativo di tutte le questioni che attengono in realtà alla nascita della moderna disciplina archeologica e al contempo alla capacità delle istituzioni – culturali, universitarie – di gestirsi, di organizzare gli studi e di confrontarsi con le proprie e più profonde radici culturali: tutte questioni rese tanto più cruciali dalle condizioni politiche dell'Italia, in parte paragonabili a quelle della Germania preunitaria. Le questioni erano tutte in nuce già nei primi contatti di Mommsen con i corrispondenti italiani e si manifestarono con particolare evidenza con gli studiosi dell'area napoletana. La carriera universitaria a Lipsia subì una battuta d'arresto nel 1851, anno in cui Mommsen fu costretto a dimettersi per essersi compromesso con la partecipazione ai moti del '48; tra il 1854 e il 1856 venne portata a termine, insieme con altri importanti studi di filologia, la Römische Geschichte e, soprattutto, l'impegno per il Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL) assunse una crescente e assoluta preminenza nell'attività – e, si potrebbe dire a buon diritto, nella vita – di Mommsen. Il termine ad quem del periodo fatto oggetto della mia ricerca, il 1870, momento cruciale nella storia politica europea perché segna l'unificazione politica della Germania e il compimento dell'unità italiana con l'annessione di Roma, è significativo anche per Mommsen, per i suoi interessi e i suoi rapporti con l'Italia stessa, poiché a partire da quel momento si avviarono profonde trasformazioni nella politica culturale dei due paesi e si definirono le sorti future delle "due patrie". In Italia a completamento dell'unificazione tornano sul tappeto i nodi critici dell'organizzazione degli studi e, si può dire, degli stessi fondamenti della identità nazionale. Sono efficaci le parole che Mommsen rivolge a Gian Carlo Conestabile Della Staffa in una lettera del 1873, indicando tra le «piaghe d'Italia», non ultimo quel quotidiano deperimento degli studii classici ed archeologici che pur per voi sono anche patrii, e quanto questo deperimento impoverisce l'intelligenza della vostra nazione, creata larga e grande, come chi togliesse all'uomo maturo i ricordi della casa paterna e della bella sua gioventù. Ed io che conosco l'Italia da trent'anni e che l'amo come era e come è con tutti i suoi difetti, non posso nascondermi che, se sotto quasi tutti gli altri rapporti vi vedo un bel progresso, gli studii classici fanno un'eccezione assai triste e che nell'Italia del 1873, nell'Italia felicemente risorta noi altri poveri pedanti pur cerchiamo invano, non già l'Italia del 1843, ma bensì l'Italia dell'Avellino, del Furlanetto, del Cavedoni, del Borghesi. Il percorso inizia dal punto di approdo, cioè dal 1870, e prosegue, à rebours, con due capitoli che abbracciano il primo gli anni 1844-1847, il secondo il decennio successivo, cioè il periodo che corre tra la prima venuta in Italia di Mommsen e la data di pubblicazione dell'ultimo volume della prima edizione italiana della Storia romana: si tratta di un arco di tempo finora poco considerato dagli studi che hanno messo a fuoco soprattutto il Mommsen compilatore del CIL e molto meno l'autore della Römische Geschichte. In realtà è proprio in questo periodo che ha inizio l'ultradecennale legame dello studioso tedesco con l'Italia e la nascita di quella rete con i sodali italiani che avrebbe reso possibile la costruzione del CIL. Si tratta di rapporti che ebbero origine da una conoscenza diretta fatta durante il primo e i successivi viaggi e si consolidarono poi attraverso un fitto scambio epistolare finalizzato al reperimento delle fonti per il CIL. Successivamente ai capitoli riguardanti i rapporti con i corrispondenti italiani tra il 1844 e il 1857, l'indagine si concentra sul periodo 1847-1857, denso di eventi politici che, come si è accennato, influiranno decisivamente sulla vita di Mommsen: si intensificano, in questi anni i rapporti con l'Italia, estendendosi dalle regioni meridionali – oggetto delle ricerche che avevano portato alla pubblicazione delle Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae – alle regioni del nord-est a dominazione austriaca. Infine, la parte relativa agli anni 1857-1870 approfondirà, attraverso i percorsi paralleli della costruzione del CIL e dell'unificazione italiana, le relazioni di Mommsen con il contesto istituzionale italiano. In questo periodo Mommsen si immerge, totalmente e letteralmente, nel lavoro per il CIL e, in conseguenza di questo, nell'Italia e nelle sue istituzioni a cavallo dell'unificazione politica. L'esperienza risente inevitabilmente del contesto politico-amministrativo con il quale lo studioso e i suoi corrispondenti e amici devono confrontarsi per condurre a termine la loro impresa ed è in questa fase che si inaugura uno stretto confronto con gli uomini delle istituzioni, i quali prendono a riconoscere in Mommsen uno dei loro interlocutori di maggior peso. È importante sottolineare il fatto che Mommsen ha sempre nutrito forti interessi per la vita politica, fin da quando la partecipazione alla mobilitazione del 1848 gli era costata la perdita della cattedra di cui era titolare a Lipsia. Successivamente aveva fatto parte, schierandosi con l'ala progressista liberale, sia del Parlamento prussiano tra il 1863 e il 1879 sia del Reichstag dal 1881 al 1884. Eppure, nel 1870, l'esponente illustre del partito liberal-progressista e fiero oppositore di Bismarck si schiera toto corde con la politica nazionalista della Prussia, divenuta capofila dell'unificazione tedesca: un orientamento sostenuto in alcuni interventi pubblicati sui giornali italiani che ebbero un'eco potente in tutta Europa e provocarono forti reazioni sia nelle fila degli intellettuali francesi (famose quelle di Numa Fustel de Coulanges ed Ernest Renan, tra gli altri) sia nel dibattito pubblico in Italia, anche perché veicolate dalla stampa di tutti gli schieramenti politici. Mommsen era stato osservatore costante e partecipe della situazione politica italiana e aveva seguito il processo di unificazione con profonda empatia, sia per le analogie con la situazione tedesca, sia per le aspettative da lui nutrite di una "rigenerazione" degli studi classici e delle istituzioni culturali grazie alle trasformazioni indotte dall'unità politica e dalla nascita dello uno stato liberale. Il lavoro ha l'obiettivo di illustrare le forme di collaborazione attuata da Mommsen in Italia per la realizzazione del grande progetto cooperativo del CIL principalmente attraverso le corrispondenze inviate a Mommsen dagli studiosi italiani. La ricerca, perciò, ha preso le mosse dal censimento dei mittenti italiani di Mommsen ed è proseguito con la consultazione delle relative lettere presenti nel Nachlass Mommsen della Staatsbibliothek di Berlino. Oltre alle 'carte Mommsen' (corrispondenza, diario di viaggio in Italia e altro) presenti nella Staatsbibliothek, la ricostruzione del contesto non ha potuto non tenere in conto la documentazione presente nell'archivio del Corpus Inscriptionum Latinarum conservato presso l'Akademie der Wissenschften di Berlino, responsabile del grande repertorio, tuttora in corso di pubblicazione. Alle vicende del Nachlass dal momento in cui furono depositate dagli eredi presso le istituzioni bibliotecarie della Berlino imperiale di inizio Novecento, all'attuale sistemazione nella capitale della Germania unificata e alle trasformazioni subite dal CIL e dall'Accademia delle Scienze dopo la seconda guerra mondiale è dedicato uno specifico capitolo del lavoro, nella consapevolezza che in ogni ricerca non solo vanno accuratamente considerate le "fonti della storia", ma che anche la "storia delle fonti" svolge un suo specifico e cruciale ruolo. La ricerca si concentra sui mittenti italiani di Mommsen, e su come una cerchia di intellettuali e di responsabili delle istituzioni, che si amplia progressivamente negli anni per effetto della sempre più intensa attività di Mommsen nella raccolta delle testimonianze epigrafiche, risponda alle sollecitazioni dello studioso e rappresenti uno spaccato del dibattito culturale e, al tempo stesso, delle difficoltà e contraddizioni che le classi dirigenti italiane si trovarono ad affrontare sul terreno dell'organizzazione degli studi. La raccolta delle lettere inviate da Mommsen ai suoi collaboratori italiani è da tempo al centro di uno specifico progetto che ha dato luce a una estesa pubblicazione curata da Marco Buonocore, le Lettere di Theodor Mommsen agli italiani: la mia ricerca, si parva licet, integra in parte il quadro degli scambi epistolari di Mommsen con una specifica attenzione dedicata alle lettere inviate a Mommsen dai suoi corrispondenti italiani, che sono state finora meno valorizzate, con poche eccezioni, quale il carteggio di Pasquale Villari, che si collocano tuttavia in gran parte nell'ultimo trentennio del XIX secolo, quando, nell'Italia unita, lo studioso tedesco era famoso e particolarmente stimato dal mondo della cultura e delle istituzioni italiane. Molto meno considerate, invece, le relazioni che Mommsen fresco di laurea (ma già ambizioso e consapevole dell'impegno della propria ricerca) intraprende con un'Italia ancora in fieri, alla quale si accosta con un misto di ammirazione per le antiche vestigia e l'immenso patrimonio archeologico e di malcelato terrore per le condizioni di arretratezza della 'prigione esperia', come la definisce nel suo diario di viaggio. La prima tessitura di queste relazioni e l'accoglienza di Mommsen da parte degli italiani viene soprattutto sottolineata dalla mia ricerca, che si concentra non tanto sui dettagli "epigrafici" della collaborazione prestata a Mommsen dagli italiani quanto piuttosto sul terreno dal quale si svilupparono tali rapporti, fortemente condizionati, sotto il profilo istituzionale, dalla divisione della penisola e dalle dinamiche politico- amministrative interne agli stati preunitari. Indubbiamente, fin dal primo soggiorno si radica in Mommsen quell'attaccamento all'Italia che, negli anni successivi, si sarebbe espresso nel rimpianto di non essersi potuto trasferire stabilmente nella sua patria elettiva e nel riconoscere negli italiani quei tratti di gentilezza e di tolleranza, che ancora sottolineava a Pasquale Villari con lettera del 30 gennaio 1903, viceversa del tutto assenti nel popolo tedesco. Molte delle sue lettere costituiscono un vero e proprio spaccato della società di specifiche aree geografiche italiane; sono fonte preziosa per determinare – con ricchezza di particolari del tutto sconosciuti – la storia culturale, il dibattito scientifico, il tessuto sociale ed umano della nostra Italia di secondo Ottocento; ci consentono di calarci con sensibilità e rispetto nelle pieghe della storia locale, dialogando con i fatti, antichi e recenti, di modellare una scandita e precisa ricostruzione storico-culturale. Uno strumento, quindi, assai utile per tracciare a tutto tondo la sua presenza in Italia, il suo interesse verso l'Italia, le sue priorità scientifiche che scaturivano dallo studio delle irripetibili bellezze storiche e artistiche che il suolo nazionale generosamente gli concedeva; e, di converso, esso ci dà l'opportunità a tutti noi di seguire con maggiori dettagli quelle personalità italiane che caratterizzarono, ciascuno con il proprio spessore, il dibattito culturale della seconda metà dell'Ottocento. Condividevano – Mommsen e gli italiani – gli stessi interessi di studio, le stesse aspettative politiche, lo stesso 'linguaggio'? Fino a che punto – uomini e istituzioni –furono coinvolti dai progetti di Mommsen? E fino a che punto l'attività di Mommsen nel Corpus Inscriptionum Latinarum e nei Monumenta Germaniae Historica può rappresentare una cartina di tornasole delle trasformazioni in atto nel cuore dell'Ottocento in un paese che si apprestava, tra fughe in avanti e pesanti arretramenti, a raggiungere la propria unità politica? Questi gli interrogativi sottesi alla ricerca, che hanno orientato le mie scelte nella vastissima area delle fonti epistolari mommseniane.
Con questa ricerca si sono volute ripercorrere le diverse fasi storiche e le motivazioni che, nel corso del Novecento, hanno portato la razza bovina Frisona Italiana, conosciuta per la sua alta produttività lattifera, ad affermarsi come la più allevata sul territorio della Penisola. Al di là di una ricostruzione fattuale si sono volute comprendere le strategie dell'innovazione tecnologica in campo zootecnico negli ultimi decenni. Il lavoro prende avvio dall'emergere tra Sei e Ottocento in Gran Bretagna, nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti di una speciale attenzione alla riproduzione animale. Viene poi analizzata l'introduzione in Italia di capi Friesian olandesi a partire dalla fine dell'800 e di quelli Holstein-Friesian nordamericani nel periodo tra le due Guerre Mondiali. Infine viene ricostruita l'opera di miglioramento della popolazione in esame, arrivando a una nuova sottorazza, col tempo divenuta oggetto anche di esportazione. Nel lavoro viene analizzato infine il ruolo delle istituzioni e dell'associazionismo, amplificatosi dopo la seconda guerra mondiale, tramite la ricostruzione dei rapporti dialettici tra queste istituzioni collettive da un lato e gli ispettorati agrari e il MAF dall'altro, in ordine alla gestione dei libri genealogici e alla definizione degli indirizzi zootecnici. ; With this research we wanted to reconstruct the different historical phases and the reasons that, during the XX century, led the Italian Friesian breed of cow, known for its high milk productivity, to become the most widespread breed on the Peninsula. Besides a reconstruction of the facts, we wanted to understand the strategies for the technological innovation in the field of zootechnics during the last ten years. The work starts with the emergence, between the XVII and the XIX century in Great Britain, in the Low Countries and in the United States of a special attention for animal reproduction. Then, we examined the introduction in Italy of Dutch Friesian heads, from the end of the XIX century, and of North-American Holstein-Friesian, in the period between the two world wars. Finally, we reconstructed the process of improvement of the population here analysed, which led to a new sub-breed, later exported. Finally, we analysed the role of institutions and associations, increased after the Second World War, by reconstructing the relations between them.
Lo studio dell'architettura rurale in Italia si sviluppa con un carattere sistematico dai primi decenni del novecento. Già dalla metà degli anni cinquanta l'esigenza di conoscere a caratterizzare le tipicità locali, ha spinto gli studiosi a definire la geografia dell'edilizia rurale individuando il rapporto fra le forme dell'insediamento nel paesaggio e le funzioni rispondenti a specifiche esigenze produttive e di vita quotidiana, in stretta relazione con i canoni della storia agraria, economica e politica. Questi principi si radicano su uno scenario naturale, che nel tempo, influenza e condiziona lo sviluppo e l'evoluzione dei caratteri insediativi dell'edilizia storica. Gli studi sull'architettura rurale nella pianura modenese sono volti a definire una metodologia di ricerca, che individui un'area di riferimento particolarmente significativa, da osservare a scala territoriale "insediamento per insediamento", sino alla scala architettonica "edificio per edificio", come evoluzione degli studi geografici e tipologici per macroaree del CNR. Attraverso la sequenza della cartografia storica è stato individuato il periodo ultimo di passaggio dal "paesaggio storico" (agrario) al "paesaggio moderno" (industriale), ridisegnando tutto il territorio nelle sue componenti essenziali: edifici, aree di pertinenza, appoderamenti, strade e corsi d'acqua. Attraverso le sequenze storiche, è stata delineata una puntuale evoluzione dei sistemi insediativi, stabilendo relazioni, significati, varianti e invarianti tipologiche. Sono stati individuati circa 180 casi studio significativi per forma, funzione, tipologia, e definito un catalogo dei tipi insediativi e dei tipi edilizi, definendo le forme compositive più significative. Dal ridisegno del territorio prende corpo l'analisi delle forme insediative per giungere a tracciare un'ipotesi circa l'origine della forma architettonica rurale nella pianura modenese, studiandone le aggregazioni funzionali e le variazioni compositive. ; Rural architecture study in Italy is developed with a systematic character from the first decades of the twentieth century. Already by the mid-fifties the need to know to characterize the local specialties, has led scholars to define the geography of rural buildings by identifying the relationship between the settlement forms in the landscape and the functions that meet specific production requirements and daily life, in close relationship with the canons of agrarian history, economics and politics. These principles are rooted on a natural setting, which over time, influence and affects the development and evolution of the historical construction of settlements characters. The rural architecture studies in Modena plain is aimed at defining a methodology of research, that individuals of particularly significant reference area, to be observed on a regional scale "settlement to settlement", up to architectural scale "building by building," as evolution of geographical studies and typological by macro of CNR. Through the sequence of historical maps it was identified last period of transition from the "historic landscape" (agrarian) to "modern landscape" (industrial), redesigning the entire territory in its essential components: buildings, areas of relevance, farms, roads and waterways. Through historical sequences, it has been outlined a detailed evolution of settlement systems, establishing relationships, meanings, typological variations and invariants. Approximately 180 significant case studies have been identified for form, function, type, and defined a catalog of settlement and building types, composition types, defining the most significant compositional forms. The redrawing of the territory takes shape the analysis of settlement patterns to reach trace hypothesis about the origin of the rural architectural form in the plain of Modena, studying the functional groupings and compositional variations.
Questa antologia è un'occasione per tutti coloro sono accomunati dalla passione per l'educazione motoria e sportiva di ripensarle entrambe. Questo significa fondamentalmente due cose: prima di tutto, ricercare le origini e lo sviluppo di queste pratiche, sulla base del principio che la ricostruzione storico-critica della loro genesi aiuta a capire meglio la complessità dei problemi; in secondo luogo, fortificati dall'acquisizione di questa prospettiva storica, provare a ridare un senso, nell'oggi, allo statuto epistemologico e al significato sociale di questi due oggetti culturali di lunga durata. Il suo testo pone questioni serie sia all'educazione motoria sia a quella sportiva, ed è per questo che il lettore deve essere consapevole della realtà sociale e culturale che costituisce lo spessore storico di queste pratiche. Non mi stanco di ripetere più volte "storico", perché proprio in un periodo come quello odierno, abituato all'immediatezza sterile della polemica televisiva e alla progressiva incapacità di affrontare come complesse questioni che lo sono davvero, c'è bisogno di recuperare un minimo di capacità di lettura tridimensionale dei problemi. Questo vale anche per l'educazione motoria e sportiva, argomenti riguardo ai quali alla consumistica fruizione dei roboanti messaggi della grancassa massmediatica non sempre corrisponde la possibilità di una riflessione pacata, in controluce, che perda un po' di tempo a ricostruire, comprendere e approfondire. Da un lato, infatti, l'educazione motoria, neologismo recente, riassume in sé tutto il cammino della ginnastica e dell'educazione fisica fin dalle origini delle società umane; dall'altro l'educazione sportiva nasce, non con questo nome ovviamente, con la ginnastica greca e la rete dei giochi antichi, ma si rende autonoma solo in tempi relativamente recenti. Prima di passare alla presentazione vera e propria dei testi e dei passi critici, si provi a ripercorrere brevemente le tappe di questi due percorsi, la cui storia globale è reperibile in altre pubblicazioni, per offrire al lettore una chiave di lettura più intrigante, che permetta di ottenere una descrizione più spessa delle questioni sul tappeto. L'educazione motoria: uno sguardo storico L'educazione motoria nasce con le pratiche motorie ritualizzate delle società nomadi di caccia e raccolta e delle prime grandi civiltà fluviali, agricole e stanziali: queste pratiche sono una serie di gesti e movimenti corporei, funzionali alla riproduzione sociale, come le tecniche di caccia e di difesa, che vengono inquadrate nella stessa cornice magico-religiosa che garantisce la coesione sociale, al punto che non possiamo scinderle da questa, come capita invece oggi nelle nostre società post-industriali, in cui la pratica motoria è affidata alla sfera del privato e completamente laicizzata. Prosegue poi con la ginnastica greca, l'arte di compiere movimenti corporei in situazione di nudità (questo è il significato etimologico di "ginnastica") e di educare il corpo ad una gestualità socialmente rilevante: raggiungere il bello e al tempo stesso risultare utili alla polis, specialmente nel periodo dello sviluppo delle grandi fanterie politiche del V secolo. La civiltà greca è quella che sviluppa l'educazione motoria in senso ludico, ma sempre in una cornice religiosa, con la nascita dei "giochi" che solo anacronisticamente possiamo chiamare "sportivi", ma che sono in realtà manifestazioni nelle quali la nazione greca si riconosce come una sola, e questo accade precipuamente nei cosiddetti "giochi del periodo" o "panellenici", o nelle quali una comunità locale esprime la sua storia e la sua cultura, e questo è testimoniato dalla miriade di giochi locali che si celebrarono in Grecia dal VII secolo a. C. e fino all'età imperiale. Con la conquista romana della Grecia, l'idea "agonale" dei giochi, basata sulla competizione tra uomini liberi per la gloria individuale e per l'immagine della polis di provenienza, già peraltro messa a dura prova dalla conquista macedone, cede il passo definitivamente al ludus, di orgine etrusca, come testimoniano i meravigliosi affreschi di Tarquinia3, cioè ad una performance attivata prevalentemente da schiavi e finalizzata unicamente allo spettacolo, che in molti casi è uno spettacolo sanguinario come il combattimento dei gladiatori. L'avvento del cristianesimo, come una delle tante religioni misteriche prima e come religione di stato poi, implica una profonda rivoluzione nella concezione del corpo e del movimento: eliminati i giochi greco-romani come forme di paganesimo, la preparazione fisica viene concepita dalla maggioranza dei Padri della Chiesa come un uso positivo di un dono di Dio, purché rimanga sempre un mezzo, per raggiungere finalità spirituali, e mai diventi fine a sé stante, legato alla materialità caduca e potenzialmente "peccaminosa" della corporeità. Pur non essendo però implicito, nel pensiero patristico, un radicale dualismo anima-corpo, la cultura cristiana finì di fatto per svalutare la dimensione corporea, sottomettendola di fatto alla dimensione intellettuale e spirituale. Si deve attendere il movimento umanistico, che pure affonda le sue radici nel cristianesimo, ma in un cristianesimo al quale si affianca una nuova valutazione delle capacità umane, per ottenere una sostanziale pari dignità tra anima e corpo, come si evince dall'esame dei curricoli delle nuove scuole. Storicamente, come abbiamo detto in apertura di queste brevi considerazioni introduttive a questo lavoro, lo sport, la sua pratica e la sua cultura sono vicende relativamente recenti, se riferite alla loro nascita "moderna". La "storia dello sport" non è infatti una narrazione che senza soluzione di continuità inizia da Olimpia e porta a Seul e Tokio, ma è la storia di eventi che, per quanto simili nel contenuto, sono stati vissuti con significati completamente diversi nelle diverse epoche storiche in cui sono apparsi o in quelle in cui sono stati rivitalizzanti: solo un atteggiamento veteropositivistico potrebbe infatti farci tracciare una linea retta (e magari ascensionale in quanto "progressiva" verso il meglio) dalle prime testimonianze di attività "sportive" dell'antico Egitto, le vivide immagini dei lottatori delle tombe di Ti e di Fta-hotep4, al mondo dello sport contemporaneo, al tempo stesso pratica di massa, business, fenomeno culturale e sociale di amplissima portata. Bisogna essere infatti coscienti del fatti che solo per assimilazione analogica, non priva di una inevitabile vena anacronistica, noi chiamiamo "sportivi" gli agoni ginnici ed ippici dell'antica Grecia, i ludi romani e i giochi di squadra con la palla del periodo medievale e rinascimentale. I primi erano però prima di tutto cerimonie religiose, o meglio, erano gare "sportive" inserite in una cornice religiosa che ne forniva anche la ragion d'essere: non c'era gioco che non derivasse da cerimonie funebri o religiose, che non fosse dedicato a qualche divinità, che non si svolgesse in una rigorosa sequenza di riti religiosi. Si badi bene che l'aspetto religioso non era accessorio o complementare: era lo loro essenza, come dimostra il fatto che, quando con l'imperatore Teodosio il cristianesimo divenne religione di stato, le Olimpiadi e tutti i giochi antichi furono immediatamente aboliti, in quanto percepiti dalla nuova coscienza religiosa cristiana come perniciosi riti pagani, e non come innocue e neutrali manifestazioni di atletismo. Anche i ludi romani presentano aspetti simili allo sport moderno, primo fra tutti l'enfasi sulla spettacolarizzazione dell'evento, ma non dobbiamo dimenticare il fatto che questi erano spettacoli svolti principalmente da un numero ristretto di praticanti, sia da atleti professionisti, visto che l'agonistica ginnico-atletica era stata copiata dai Greci e adattata a giochi istituiti in età romana, sia da schiavi, e questo vale specialmente per i ludi gladiatorii, tipico prodotto della romanità, che ancora oggi suscita interrogativi inquietanti su una civiltà che, se da un lato dotava quella che poi sarebbe divenuta l'Europa di infrastrutture e strumenti culturali, dall'altro metteva in scena lo spettacolo della morte come valvola di sfogo delle tensioni sociali inconsce e per puri fini di divertimento. Speriamo che questa carrellata storica, questa specie di "macchina del tempo" applicata all'educazione fisica e allo sport, abbia creato le giuste premesse per apprezzare ancora di più un testo che si propone di fare accedere alle fonti dirette e alle loro più ravvicinate interpretazioni. Questo testo cerca di far vedere i problemi dell'educazione fisica e dello sport da un punto di vista genuinamente educativo, mettendo in luce l'assoluta necessità, per chi l'educazione fisica e lo sport vogliono insegnare, di operare pedagogicamente, cioè dotarsi di capacità riflessive sugli eventi educativi, sapendo andare oltre la loro immediatezza. Non basta più l'esperienza personale, che per quanto ricca risulta sempre limitata dalle circostanze uniche ed irripetibili che l'hanno generata: occorre una cultura pedagogica di riferimento per inquadrare in modo adeguato gli eventi educativi dei quali saremo protagonisti. Questo è uno dei motivi seri per i quali le discipline pedagogiche devono assolutamente essere mantenute e potenziate anche nei curricoli di base delle scienze motorie, per formare professionalità attente alla portata educativa dei comportamenti messi in atto.
ITALIANO: Il volume raccoglie interventi di studiosi italiani e stranieri miranti a offrire una panoramica di percorsi storiografici e di problematiche relativi alla storia del movimento confraternale, così come sono emersi nell'ambito di discipline storiche, sociali, giuridiche, letterarie e artistiche sviluppatesi nel corso del Novecento. I contributi si riferiscono al contesto storico dell'Europa occidentale, con più specifico riguardo per l'Italia, nel periodo compreso fra medioevo e prima età moderna. La raccolta si articola in quattro sezioni: Individui e gruppi, che sonda l'emergere di un interesse verso le comunità confraternali all'interno di ambiti di studio come la storia dei gruppi sociali, del mondo rurale, delle donne, dei giovani; L'inquadramento giuridico e istituzionale, che affronta problemi di legittimità e di assetto istituzionale; L'economia della carità, che analizza il rapporto delle confraternite con gli enti ospedalieri, le modalità amministrative dei patrimoni confraternali, le culture di governo che sottostanno a politiche assistenziali di cui le confraternite sono tramite principale; Testimonianze teatrali, musicali, artistiche, documentarie dedicata alle fonti che le confraternite hanno saputo trasmettere. / ENGLISH: This book is a collection of articles by Italian and foreign scholars designed to offer an overview of the processes and issues involved in the history of the confraternity movement, as yielded by studies in the historical, social, legal, literary and artistic spheres in the course of the twentieth century. The articles deal with the historical context of western Europe, and more specifically with Italy, in the period comprised between the Middle Ages and the early Modern Age. The collection is divided into four sections: Individuals and groups, which explores the emergence of an interest in confraternity communities in disciplines addressing the history of social groups, of the rural world, of women and of young people. The legal and institutional framework deals with issues of legitimacy and institutional structure. The economics of charity analyses the relations between the confraternities and the hospital structures, the procedures for the administration of the assets, and the strategies of governance underlying the policies of aid of which the confraternities were the principal instrument. Finally, the section Theatrical, musical, artistic and documentary evidence is devoted to the sources that have handed down evidence of the operation of the confraternities.
Immaginate un paesaggio verdeggiante e idilliaco, sovrastato da un manto cristallino le cui uniche screziature sono date da qualche cirro vagabondo. Immaginate di essere sdraiati sul prato, intenti a gustarvi un panino e la compagnia della vostra dolce metà, con lo sguardo piacevolmente proiettato verso il veleggiare delle nuvole. L'aria è fitta di profumi inebrianti e una brezza squisita rende l'atmosfera ancora più amena e carezzevole. Il flebile boato di qualche aereo – che sfreccia in lontananza fino a diventare un puntino impercettibile nell'oceano di azzurro – è l'unico rumore umano udibile in chilometri e chilometri di placida quiete bucolica. Nulla potrebbe perturbare l'assoluto riserbo d' un'oasi paradisiaca del genere,¬ pensate, quando all'improvviso dei tizi visibilmente agitati emergono dalla macchia boscosa, urlando come ossessi. Hanno un'aria piuttosto anonima, insignificante, e indicano qualcosa di terribile nel cielo, sfoderando una serie di sguardi tra lo sgomento e l'inquisitorio. Li sentite farfugliare incomprensibili astrusità come "geoingegneria clandestina" e "aerosolterapia", mentre ¬– ancora mezzi rintronati dal sonno, dalla sorpresa e dal tepore – vi sforzate di capire il motivo di tanto apparentemente ingiustificato allarmismo. Se fate notare ai misteriosi figuri che ciò che si scorge nel cielo, dal vostro punto di vista, sono solo normalissime nuvole o al limite innocue scie di condensazione, la reazione è brusca e apocalittica: i vostri interlocutori si fanno beffe di voi, sostengono che quelle che appaiono nubi sono in realtà il sostrato di venefiche sostanze sparse nel cielo da infidi aerei militari, pilotati da diaboliche quanto famigerate organizzazioni occulte volte alla distruzione del genere umano. In tutto ciò, voi siete i complici inconsapevoli e acquiescenti di una abominevole macchinazione caldeggiata dal silenzio criminale delle principali istituzioni statali e dai media di regime. La grottesca situazione che ho appena descritto, indubbiamente inverosimile se trasposta nel mondo reale, rispecchia in modo fedele quanto succede quotidianamente su migliaia di blog e pagine di social network. Senza tregua, una massa spropositata e crescente di individui produce e immette a ritmi verti-ginosi, sui principali circuiti informativi odierni e in particolar modo su internet, un'impressionante quantità di materiale fotografico amatoriale riguardante cieli e formazioni nuvolose, al fine di sostenere e fomentare una teoria – la cosiddetta teoria delle scie chimiche – che se fosse attribuita ad una singola mente o a un gruppo ristretto di individui verrebbe bollata senza troppi tentennamenti come psicotica. Parlerò diffusamente di questa e di altre teorie del complotto, figlie o meno della modernità, nel corso della mia tesi. Quanto mi preme sottolineare in quest'introduzione è che viviamo in un momento storico che ha del prodigioso. Sguazziamo in un sistema socioeconomico il cui transito di beni materiali, servizi e informazioni è teso verso un'irresistibile liquefazione, con conseguente sovrabbondanza e dispersione degli output, eppure una considerevole percentuale d'utenti dei maggiori mezzi di comunicazione di massa si può ritenere alla stregua d'un esercito di analfabeti semantici, incapace di cogliere e decodificare in maniera corretta la sconfinata ricchezza di immagini, simboli e segni più o meno manifesti da cui siamo subissati incessantemente. Nell'ambito di una società tecnocratica improntata alla sistematica soppressione di qualsiasi elemento sia intriso di misticismo, magia e superstizione, germogliano epidemiche e inarrestabili delle forme relativamente nuove di pensiero magico: le teorie complottistiche. I cosiddetti complottisti hanno una spiccata tendenza ad attribuire a specifici avvenimenti, a sfondo microsociale o perfino mondiale, una determinazione – o una concatenazione di determinazioni fra loro interconnesse – che presenta una scarsissima aderenza ai fatti o alla logica. Si potrebbe essere portati a pensare che costoro siano individui paranoici, dotati di scarsa cultura e magro intelletto e privi di quegli strumenti scientifico\cognitivi che permettano di discernere criticamente una spiegazione attendibile di un fenomeno da un'altra strampalata e insussistente, ma non è così. L'intero percorso dell'umanità è costellato di visioni del mondo di carattere onnicomprensivo, paranoide e irrazionale, indipendentemente dalle latitudini, dalla eterogeneità delle culture e dalle epoche storiche di riferimento. Con ciò non si vuole destituire di fondamento qualsiasi visione della realtà e della sua inesauribile complessità che esuli dal senso comune o dalle tanto vituperate "versioni ufficiali", ma solo porre l'accento sulle degenerazioni più macroscopiche e perverse d'un trend potenzialmente dannoso per la stessa tenuta del tessuto sociale. E' un dato di fatto che mai come negli ultimi 50 anni ci sia stata una proliferazione così accentuata di questa tendenza a elaborare spiegazioni "alternative" dei fenomeni mondiali, in alcuni casi tanto assurde quanto straordinariamente pittoresche e fantasiose. Da queste considerazioni si può dedurre che nella natura umana esista una qualche tendenza innata, o per meglio dire archetipale, a costruire mitologie basate su un'idea strisciante di macchinazioni occulte e oscuri e indecifrabili intrecci, attribuiti a enti o soggetti sempre diversi ma in ogni caso finalizzati allo sradicamento di un sistema di valori o un regime istituzionale ben consolidati. Allo stesso modo, però, ci si deve chiedere quali siano state le condizioni specifiche, intervenute nell'arco dell'ultimo secolo, tali da favorire e amplificare quei fattori psicosociali da cui scaturisce la genesi e la diffusione incontrollata delle idealizzazioni cospirazioniste. Ciò che mi propongo di fare con la stesura di questa tesi è fornire un'analisi esaustiva del fenomeno complottista in tutte le sue declinazioni – storiche e attuali – per poi pervenire successivamente a un modello interpretativo che fornisca allo studio dell'argomento una prospettiva multisfaccettata. Partendo da un ambito storico\sociologico, che ritengo possa afferrare solo alcune dimensioni del problema, intendo abbracciare altre discipline maggiormente idonee a decodificarne i meccanismi più radicati e ricorsivi. Nel primo capitolo mi occuperò di presentare un lungo excursus storico-culturale sul complottismo in occidente, isolando e analizzando quelli che ritengo dei prototipi di molte teorie cospirazioniste venute alla ribalta nella modernità e nella post-modernità: dal complottismo di orbita intellettuale cattolica (la caccia alle streghe) ai complottismi di contrapposto orientamento politico sorti contestualmente alla Rivoluzione Francese (il complotto massonico per scardinare le monarchie e il complotto cristiano-monarchico per restaurare l'ancien régime). Qualche pagina sarà spesa nello studio della massoneria, intesa in una duplice dimensione: 1) storico\culturale: come agenzia di potere clandestina opposta tradizional-mente al Vaticano e artefice di occulte macchinazioni verso il regime economico e il potere costituito. 2) mitologico\funzionale: come ente ad altissimo tasso evocativo accorpato –nell'immaginario comune e non solo – alle più disparate teorie del complotto, a causa della sua ambigua natura esoterica o per mere ragioni ideologiche e stru-mentali. E' impossibile separare le intricate vicende che hanno determinato uno dei principali nodi della modernità, la Rivoluzione Francese, dall'azione – spesso sotterranea – di quelle società di liberi pensatori, intellettuali e philosophes d'ispirazione o natura massonica. In seguito focalizzerò la mia analisi su quella che può esser letta come la pri-ma vera teoria complottistica moderna: i Protocolli dei savi anziani di Sion. Sebbene si tratti di un falso storico oramai incontestabile, elaborato dall'autocrazia russa in funzione antiebraica, esso ha ottenuto una diffusione talmente capillare da acquistare una vita propria in ciascuno dei contesti nazionali in cui ha attecchito, al punto da costituire anche oggi l'ossatura di molteplici teorie del complotto d'impronta ideologica trasversale. Per spiegare questo formidabile successo, analizzerò i suoi caratteri avveniristicamente "moderni", come ad esempio la visione del mondo totalitaria\distopica e il riferimento ai popoli come "masse" suscettibili di divenire una risorsa politica se adeguatamente manipolate. In seguito cercherò di evidenziare, parlando delle logiche strutturali del totalitarismo, quanto di religioso e dogmatico vi sia nella visione del mondo complottista in seno ad essi e quanto di ideologico, al contrario, sussista nei complottismi d'ispirazione religiosa. Nel terzo capitolo cercherò d'inquadrare concettualmente e storicamente il fenomeno del populismo, evidenziandone le caratteristiche precipue, mettendolo in relazione col substrato culturale italiano e infine estrapolandone quegli elementi strutturali che ne fanno un perfetto complemento, o un humus favorevole, al dilagare del complottismo. Come referente attuale e pragmatico della mia analisi prenderò in considerazione un prodotto relativamente nuovo del laboratorio politico italiano: il Movimento a 5 stelle, con particolare enfasi sul suo marcato accento personalistico (il cosiddetto "grillismo"). Vista l'impossibilità di scindere l'analisi del grillismo da uno studio sui nuovi mezzi di comunicazione di massa, intorno ai quali il movimento è stato edificato e ha proliferato, mi sforzerò di relazionare il populismo alle nuove prospettive multimediali e interazionali offerte dal web 2.0 e 3.0, al fine di soppesarne pro e contro ed eventuali effetti collaterali nella nascita e diffusione incontrollata di letture complottistiche della realtà. L'obiettivo che mi prefiggo con questa tesi è quello di dimostrare una mia intuizione:l'inclinazione alla mentalità cospiratoria - di qualsiasi segno, orientamento, epoca storica sia - si può sempre ricondurre a una forma, spesso dissimulata, di teismo. L'anti-scientismo tornato in auge negli ultimi decenni, il riproporsi di forme arcaiche di pensiero magico pagano e pre-pagano e la diffusione di teorizzazioni new age e nostalgie primitivistiche sempre più accentuate, sono altre sfaccettature di questo fenomeno, inscindibili l'una dall'altra e necessarie per comprendere l'inarrestabile vena complottista e irrazionalistica che pervade il nostro tempo.
Nei variegati eserciti alleati che presero parte alla Seconda guerra mondiale contro le potenze dell'Asse vi furono combattenti che avevano un'origine italiana, erano cioè figli di emigranti partiti dall'Italia fra Otto e Novecento. Centinaia di migliaia furono gli italoamericani presenti nelle forze armate statunitensi, ma vi erano anche italobritannici, italocanadesi, italoaustraliani e italobrasiliani che sostennero lo sforzo bellico dei rispettivi paesi. Presenti in tutti i teatri di guerra, questi lottarono anche in Italia, paese che molti conoscevano solo attraverso i racconti dei genitori. La mostra ricostruisce una storia affascinante e poco conosciuta, raccontando le vicende di uomini che contribuirono alla vittoria degli Alleati. ; Combatants of Italian descent were present in the various Allied armies that took part in World War II against the Axis Powers. They were mostly sons of emigrants who had left Italy between the late nineteenth and early twentieth centuries. Hundreds of thousands were Italian Americans serving in the U.S. military, but British Italians, Italian Canadians, Italian Australians, and Italian Brazilians also contributed to the war efforts of their countries. Being present in all theaters of the war, they also fought in Italy, a country many knew only through stories from their parents. The exhibition reconstructs this fascinating and lesser known story by recounting the affairs of these men who contributed to the Allied victory.
Profondamente convinta che un'analisi in chiave cognitiva del rapporto tra le donne e la partecipazione politica richieda, per la sua complessità un approccio che non sia solo monodimensionale (quindi non solo giuridico o storico o statistico o sociale) ma che abbia più ampie modalità interpretative, proprie della Scienza Politica, ho scelto - d'intesa con il mio tutor, prof. Grilli - l'aspetto della qualità della democrazia, partendo dall'ipotesi che esista una correlazione tra di essa e la maggiore o minore rappresentanza politica femminile. Nella mia ricerca intendo utilizzare i dati e le informazioni relativi alla presenza delle donne nelle istituzioni e nei partiti come indicatore della qualità democratica, sia nello scenario italiano sia anche in quello di una realtà nazionale diversa, quale è la Spagna, paese che presenta svariati aspetti similari dal punto di vista storico/politico e sociale con l'Italia. Durante gli anni appena trascorsi, mi sono recata personalmente, in Spagna, più precisamente a Madrid presso la Biblioteca e l'Archivio del Congreso de los Diputados e presso la sede dell'Instituto de la Mujer, ed a Siviglia, presso la sede locale dell'Instituto de la Mujer. Ho così potuto raccogliere dati direttamente in loco da fonti dirette, e avere accesso a letteratura scientifica che qui in Italia è di difficile reperimento. Di contro per la raccolta dei dati relativi all'Italia i miei principali punti di riferimento sono state la Biblioteca del Senato e quella della Camera dei Deputati. Ho inoltre istituito contatti – e ricevuto suggerimenti e indicazioni – da studiosi italiani e spagnoli (soprattutto Anna Bosco, Andrea Graziosi, Simonetta Soldani, Tania Vergè e Celia Valiente). La tesi, così come rielaborata sotto la supervisione del mio tutor, si compone di una parte a carattere teorico e di una parte dal profilo empirico. Ho ritenuto fondamentale, prima di iniziare i lavori, esplicitare, in una premessa metodologica l'ipotesi di base, i casi di studio individuati, la metodologia di ricerca usata, la struttura della ricerca e gli obiettivi prefissati. La questione delle dimensioni qualitative della democrazia cerca ancora una uniformità metodologica, considerato che gli interessi conoscitivi degli scienziati politici che l'hanno trattata sono stati molteplici, come anche molteplici le strategie di ricerca adottate e le indagini empiriche utilizzate. Agli studi a carattere comparativo fortemente denotativo come quelli di Lijphart, di Morlino, di Altman e Pérez-Liñán (con un'alta casistica corredata da un raffronto sistematico in termini quantitativi) se ne affiancano altri precipuamente connotativi, focalizzati su un minor numero di casi ma con maggior dovizia di approfondimenti analitici ed un bilanciato utilizzo di tecniche quantitative e qualitative (come la ricerca di Diamond e Morlino). Prendendo spunto dalla letteratura riguardante la valutazione delle democrazie, secondo cui le democrazie possano essere classificate, in relazione alla qualità, anche in termini empirico-valutativi, l'ipotesi di base è dunque che in quei paesi in cui c'è una pari rappresentanza politica maschile e femminile ovvero una comunque elevata presenza femminile nella politica, si registra un livello più alto di qualità della democrazia. La domanda che mi sono posta in partenza è se incrementando la rappresentanza politica femminile, come fattore di sviluppo delle potenzialità democratiche, sia possibile migliorare la qualità democratica, attraverso le potenzialità dei cittadini e delle istituzioni. Ed è questo ciò che intendo verificare nel mio studio. Ho scelto l'Italia e la Spagna quali oggetti di studio, in quanto presentano realtà geograficamente, socio-culturalmente, etnicamente e religiosamente abbastanza vicine: sebbene i due paesi abbiano collaudato il loro processo di democratizzazione in differenti momenti storici ed in differenti contesti istituzionali, la Spagna costituisce un modello con cui confrontarsi, specie per quanto riguarda l'impatto delle questioni di genere nella legislazione, nei regolamenti parlamentari e negli statuti dei partiti. La mia ricerca è iniziata sia dall'analisi della letteratura relativa alla qualità democratica sia dallo studio del materiale storico per contestualizzare i casi di studio nella dimensione sincronica. La fase successiva ha riguardato il reperimento e l'analisi dei dati in merito alla rappresentanza politica femminile nelle istituzioni italiane e spagnole e nei partiti, non senza aver dato un'occhiata fuggevole al quadro costituzionale e normativo, aspetti che costituiscono la base per un'analisi del rapporto tra le donne e l'attività politica e per poter istituire un confronto in chiave cognitiva sulle caratteristiche di una situazione che, per la sua complessità, non si presta ad essere trattato con un approccio monodimensionale (ad esempio solo giuridico o storico o solo statistico o sociale) ma richiede più ampie modalità interpretative. Il taglio utilizzato è quello comparativo, più specificatamente ho utilizzato la comparazione binaria su due "most similar systems" (Przeworski e Teune, 1970): tale strategia di ricerca (comparazione qualitativa) ha posto l'attenzione sulle somiglianze e differenze dei casi di studio, il che mi ha permesso di osservare un'ampia serie di fattori, mediante l'adozione della parametrizzazione di alcune caratteristiche di tipo politologico - storico – geografico - culturale. La mia ricerca è dunque fondata su una comparazione di tipo qualitativo della rappresentanza politica femminile, basandosi sul raffronto dei casi e delle relative caratteristiche simili o differenti, secondo la loro presenza o assenza, e sviluppandosi in una comparazione di tipo sincronico. I dati sono stati raccolti da fonti secondarie affidabili ed ufficiali (quali, tra l'altro, le banche dati Inter Parliamentary Union, ONU, UE, ISTAT e quelle dei Parlamenti italiano e spagnolo, nonché del Dipartimento per le Pari Opportunità e dell'Instituto de la Mujer). La tesi si compone di due parti: la prima teorica, in cui vengono fornite definizioni, tassonomie e concettualizzazioni della qualità democratica, e descritti gli indicatori utilizzati dai principali scienziati politici che, nel corso del tempo, si sono occupati di questo argomento. Nella seconda parte dello studio, che ho dedicato alla sperimentazione empirica di due differenti contesti nazionali, le ipotesi formulate in precedenza, vengono sottoposte a controllo sistematico mediante l'esame dei dati raccolti. Due i focus nella prima parte della ricerca: uno è rivolto allo studio di un preciso indicatore di qualità democratica, utilizzato dallo studioso olandese Lijphart, la rappresentanza politica femminile. L'altro focus è dedicato alla natura delle gender equality policies e alla contestualizzazione dei gender studies all'interno della scienza politica e, più in particolare, all'interno degli studi sulla qualità democratica. Lo scopo dello studio è verificare la presenza o meno di qualità democratica ed il suo eventuale livello, all'interno dei due paesi democratici scelti come casi di studio, in base al loro effettivo modellarsi ed al concreto funzionamento utilizzando come indicatore di qualità democratica – cioè come «espressione del legame di rappresentazione semantica fra il concetto più generale ed un concetto più specifico di cui possiamo dare la definizione operativa» (cfr. Morlino 2005) - la rappresentanza politica femminile, stabilendo un nesso causale fra una o più variabili. Tenendo presenti come variabili indipendenti (o cause) quelle normative, culturali ed istituzionali (e le relazioni tra di esse) di ciascun ordinamento preso in considerazione, ho analizzato empiricamente le conseguenze e gli effetti da queste prodotti sulla rappresentanza politica femminile, prestando particolare attenzione al denotarsi o meno di una democrazia di qualità (considerata in questo studio come variabile dipendente, o effetto). Il numero delle variabili indipendenti scelte è ridotto a tre (politiche, normative, storico-culturali) per non incidere sulla purezza della relazione causa - effetto ipotizzata. Con l'intento di sperimentare la validità dell'indicatore preso in esame, ho analizzato diversi altri aspetti ad esso collegati, quali le gender equality policies, i gender studies nonché le istituzioni gender friendly. Gli obiettivi rivestono, innanzitutto, un carattere conoscitivo, nonché applicativo per la migliore valorizzazione dei risultati attesi. Con questa mia ricerca ho voluto affrontare un tema in continuo divenire nella produzione scientifica italiana, il quale per tale ragione costituisce un'importante occasione di riflessione e di approfondimento sulla rappresentanza politica e, in particolare, sulla disciplina della partecipazione della donna alla vita democratica dei Paesi che costituiscono i due casi di studio individuati. Questo studio vuole dunque essere un'occasione di dettagliata osservazione circa gli studi sulla qualità democratica e la democrazia stessa attraverso l'osservazione, in un'ottica di genere, delle sue sedi istituzionali e dei suoi attori politici (le assemblee parlamentari ed i partiti): l'attenzione per la rappresentanza femminile all'interno delle assemblee parlamentari e dei partiti politici costituisce un punto di vista utile per contribuire agli studi sulla valutazione della qualità della democrazia. La Prima parte si apre (Capitolo I – Introduzione e § 1) dando spazio, innanzitutto, alle analisi e alle teorie (ripercorrendo il punto di vista storico/filosofico/politico di numerosi autori) relative al concetto e alle tipologie di democrazia, termine maggiormente usato in campo politologico, sin dai tempi di Aristotele. Esso ha percorso un lungo iter connotato da svariate ed affatto univoche considerazioni e sicuramente ciò è collegato alla diversità dei momenti temporali o dell'ottica ideologica o culturale attraverso le quali lo si è declinato. A tutt'oggi, non esiste "la" definizione di democrazia ma, come sottolinea Dahl (2002), «Dopo più di due millenni da quando il termine è stato coniato nell'antica Grecia, non siamo ancora venuti a capo di una definizione generalmente accettata». Tuttavia «definire la democrazia è importante perché stabilisce cosa ci aspettiamo da essa» (Sartori, 1993), ed è dunque imprescindibile partire da una sua definizione operativa che non coincida né con un'ideologia, né con una dottrina politica, né con una particolare forma di governo. Il successivo § 2 del capitolo si sostanzia nell'analisi di definizioni, tassonomie e concettualizzazioni della qualità democratica e nella descrizione dei principali indicatori utilizzati dagli scienziati politici che, nel corso del tempo, si sono occupati di questo argomento; partendo dalla procedura, maggiormente puntuale e sicuramente più utilizzata, elaborata da Morlino (2005 e 2013) risulta chiaro che la nozione di qualità democratica ha un'essenza multidimensionale e pluralistica; numerosi scienziati politici e 4 studiosi concordano sul fatto che uno studio empirico, che valuti se una democrazia sia qualitativa o meno, debba considerare almeno otto dimensioni di variazione o indicatori di qualità della democrazia (analiticamente esaminati nel paragrafo), relativi alla valutazione di contenuti, procedure e risultati. Il § 3, conclusivo, spiega quanti e quali siano i modi in cui la qualità democratica è stata studiata: affrontare lo studio della qualità democratica stessa, con le sue dimensioni a volte in contrasto l'una con l'altra, può voler dire analizzare prevalentemente una qualità piuttosto che un'altra e spiegare un certo risultato in un paese in quanto a qualità. Anche se appare evidente che la vivace attività di ricerca sulla qualità democratica non gode di una univoca metodologia, è innegabile, tuttavia, che gli scienziati politici stiano studiando soluzioni per valutarla al meglio; attraverso un breve focus sull'insieme di valori che riguardano il funzionamento di una democrazia ideale e l'insieme delle caratteristiche che identificano empiricamente tali valori, ho voluto ipotizzare una classificazione degli studi sulla qualità democratica - alcuni dei quali sono presi come spunto e trovano applicazione nel dibattito politico - categorizzandoli in base a parole chiave quali i diritti, le libertà e l'uguaglianza, la valutazione della stabilità delle istituzioni. Il Capitolo II è dedicato alla presenza delle donne nelle istituzioni come indicatore della qualità democratica; ho dedicato parte dell'Introduzione a delineare un breve quadro della condizione femminile nei più recenti e deleteri regimi dittatoriali del recente passato europeo, cioè la Germania nazista e il comunismo sovietico (Bock, 2007; Navailh, 2007), al fine di chiarire come un grado, più o meno alto, di gender equality sia "univoco" indicatore della democrazia di un paese e della sua qualità (ricordo che in tali regimi l'uguaglianza tra i sessi, per alcuni versi, era apparentemente più garantita che in molte odierne democrazie). Ciò premesso, è tuttavia da sottolineare come sia orientamento ormai riconosciuto dalla comunità scientifica, politica e sociale che una partecipazione femminile maggiore dell'attuale, in ambito politico, e una rappresentanza paritaria, costituiscano indicatori concorrenti in una analisi sulla qualità democratica. Se dunque il concetto di pari opportunità è ormai riconosciuto come principio fondamentale della democrazia (Brezzi, 2014) in quanto afferente sia alla sfera dei diritti sia a quella delle libertà, è consequenziale che l'utilizzo di indicatori gender sensitive sia un importante strumento per contribuire alla valutazione di una democrazia piena e completa di tutti i cittadini (uomini e donne) nel processo di decision making e negli altri aspetti della vita democratica di un paese. È in questa ottica che ho rivolto particolare attenzione alle teorie dello studioso olandese Lijphart ed alla sua fondamentale analisi delle diverse "forme di democrazia" e della loro performance (1984, I ediz., 1999, II ediz. e 2012 ultima edizione). Nelle sue ricerche ha costruito (1999; 2012) ha costruito un preciso indicatore di qualità democratica (la rappresentanza politica femminile nelle istituzioni democratiche) che risulta essere uno degli indicatori maggiormente interessanti in questo ambito. Il § 1, analizzando il contributo del grande studioso da cui conseguono alcune interessanti considerazioni, indaga su quali risultati deve produrre il sistema della rappresentanza per porre in essere una democrazia di qualità. Egli include tra i numerosi indicatori di risultato usati per misurare la qualità della democrazia consensuale (variabile indipendente misurata nella dimensione esecutivo e partiti) la rappresentanza politica delle donne (nel legislativo e nell'esecutivo) e la disparità tra donne e uomini (indice disuguaglianza di genere). L'autore ritiene la rappresentanza politica femminile una «misura importante» per una attenta valutazione sia della qualità sia della rappresentanza democratica in assoluto; anche perché può aiutare a valutare in modo indiretto – utilizzandola quale proxy – la rappresentanza in generale delle minoranze (ad esempio etniche e religiose), misura difficilmente individuabile a causa della loro irregolare distribuzione sul territorio; pertanto si può far riferimento ad una «minoranza politica» e non demografica, quella di genere, che è riscontrabile e comparabile in modo sistematico. La rappresentanza politica femminile è utilizzato come indicatore anche in numerosi indici, sia semplici che compositi, e nell'ambito di molteplici dimensioni che li compongono. È di questo che si occupa il § 2, in cui riporto i principali indici internazionali che utilizzano indicatori relativi alla rappresentanza politica di genere, argomento di base di questo studio, prima di passare a una sintetica trattazione di questi indici. Nel Capitolo III, con il quale si chiude la parte teorica della tesi, ho trattato l'argomento dei Gender Studies, partendo (Introduzione) da alcuni brevi cenni definitori e concettualizzazioni, per evitare ambiguità lessicali che possano nuocere alla linearità della successiva trattazione, di temi quali l'empowerment e il mainstreaming di genere, le differenze tra sesso e genere, tra gender studies e women's studies nonché tra ricerca gender oriented e gender sensitive; si tratta di argomenti da qualche tempo inseriti nel dibattito scientifico, anche sotto l'aspetto dell'elaborazione di adeguati strumenti d'indagine per evidenziare l'esistenza di ruoli e relazioni correlati al genere. La contestualizzazione dei gender studies nella Scienza Politica costituisce l'argomento del § 1: la loro prolungata invisibilità ha fatto sì che la notevole mole di ricerca, condotta in quest'ottica, producesse ramificazioni e sbocchi multidisciplinari, anche dal taglio metodologico innovativo. D'altra parte la prospettiva del genere ha, in qualche modo, contribuito a rimodulare l'approccio metodologico e ad arricchire la pluralità dei soggetti trattati dalle più disparate discipline scientifiche, imprimendo impulso a nuovi campi di ricerca (Piccone Stella, 2010). È dunque possibile affermare che essi sono volti allo studio dell'identità di genere, attraverso un approccio multidisciplinare, interdisciplinare e plurimetodologico. Quanto detto porta direttamente a dover rispondere ad alcuni interrogativi, pivotali per gli argomenti trattati in questa ricerca, su come si collocano tali studi all'interno di un ambito disciplinare quale è quello della Scienza Politica. Non è possibile disconoscere il contributo dato dalle teorie femministe alla trasformazione del dibattito contemporaneo e di molte teorie politiche nonché alla progressiva evoluzione di alcune norme (Lois, Alonso, 2014): in questo senso Rosalind Sharon Krause (2011) afferma che gli studi di teoria politica degli anni '70, anche quelli che non si incentrano sulle donne o sul genere, si sono arricchiti progressivamente di una consapevolezza critica circa la qualità che l'ottica di genere porta nelle relazioni di potere. L'introduzione degli studi di genere nella Scienza Politica è avvenuta grazie all'«interazione delle teorie più importanti su sesso biologico, genere socialmente costruito e vita politica» (Tolleson-Rinehart, Carroll, 2006), cosicché i temi sui quali si è principalmente focalizzata l'attività di ricerca sono quelli riferiti alle politiche pubbliche e all'interazione tra strutture istituzionali, che sono maggiormente coinvolti nella realizzazione della parità di genere e della tutela dei diritti delle donne nelle democrazie contemporanee. Il tema del § 2 sono proprio le gender equality policies, viste come strumento di qualità democratica nonché le loro strategie (statuizioni normative, azioni positive e strategie di gender mainstreaming), e le gender friendly institutions (women's policy agencies, Parlamenti gender sensitive). Infatti, nell'ottica della concretizzazione della prospettiva di genere nella Scienza Politica, ho ritenuto di accennare alcuni elementi relativi alla completa attuazione dei processi di gender equality policies, nonché analizzare anche "come" le donne vengono (o sono state) "integrate" nelle istituzioni democratiche. Una delle linee di ricerca politologica più promettenti rispetto allo studio delle istituzioni è quella che riguarda l'incorporazione della prospettiva di genere nelle attività istituzionali di un paese. Questa linea di ricerca parte dalla premessa che le istituzioni non risultano neutrali rispetto al genere, finché riproducono le norme e i valori preminenti relativi alla disuguaglianza tra uomini e donne. La Scienza Politica ha, pertanto, iniziato a occuparsi di analizzare e rendere visibili i processi che intendono evitare il perpetuarsi nelle istituzioni di relazioni asimmetriche di potere tra i sessi (Lois, Alonso, 2014). La trasformazione delle istituzioni da strutture statiche a dinamiche è favorita dalla scelta di una prospettiva di genere: si tratta di un cambiamento che deve avvenire dall'interno (Vingelli, 2005), ma che può essere favorito da una pressione esterna, e porta all'instaurarsi di nuove procedure che diventano routinarie, così come le vede Jepperson (1991). La Seconda parte dello studio è dedicata alla sperimentazione empirica delle ipotesi formulate in precedenza, sottoposte a controllo sistematico mediante l'esame dei dati raccolti riguardanti i due casi di studio individuati. Nell'Introduzione a questa parte del lavoro, che ho dedicato alla nascita e al percorso del concetto di cittadinanza in un'ottica di genere, ho voluto ripercorrere – in una sintetica esposizione a carattere cronologico – le principali tappe che hanno segnato il lungo cammino delle donne verso l'acquisizione, per lo meno dal punto di vista formale, di quell'insieme di diritti civili e politici che qualificano chi ne è titolare come "cittadino" (Godineau, 2000; Fraisse, Perrot, 2000; Sineau, 2007). Storicamente l'argomento della cittadinanza è stato analizzato da un punto di vista univoco senza utilizzare la categoria del genere e quindi non differenziando i diversi percorsi temporali, politici e giuridici compiuti dall'esperienza maschile e da quella femminile. Nella precedente parte teorica, più volte ho rilevato che insito nel concetto stesso di democrazia è il principio di uguaglianza, al cui aspetto formale deve corrispondere quello sostanziale (Caravita, 1990; Ainis, 1999; Sartori, 2003; Pasotti, 2005; Gianformaggio, 2005; Celotto, 2009). Perciò il fine ultimo si concretizza nel raggiungimento di una uguaglianza sociale e, inevitabilmente, soprattutto politica, in quanto la mancanza di un equilibrio sociale comporta senza dubbio ripercussioni su quello politico. Infatti, senza l'uguaglianza dei diritti politici non sarebbe possibile giungere alla libertà della collettività che è un'unità politica omogenea; la sfera politica e quella sociale sono, dunque, strettamente interrelate: ad uno scarso potere sociale corrisponde uno scarso potere politico e viceversa. Tutto questo richiede la partecipazione di ogni cittadino alle attività politiche fondamentali. 7 Il Capitolo IV è dedicato all'Italia. Nel § 1, ricollegandomi a quanto già trattato nella prima parte dell'Introduzione del Cap. II, traccio un excursus del lungo cammino storico – culturale che ha portato nel nostro paese all'affermazione della parità tra i sessi, con particolare riguardo all'azione politica, perché se è vero che la nostra Costituzione repubblicana ha dato alle donne i pieni diritti di cittadinanza, è altrettanto vero che una radicata "legge privata" è stata troppo spesso più resistente delle pressioni democratiche. Il ritardo con cui è stato applicato il principio di uguaglianza nel nostro Paese, ha avuto una duplice valenza sia nella delicatezza del problema sia nella difficoltà di applicazione. Si tratta quindi di una trattazione che, utilizzando al categoria del genere, affronta la condizione femminile – dal punto di vista storico, giuridico, ma soprattutto politico – a partire dall'instaurarsi della Repubblica (Marcucci, Vangelisti, 2013) senza però trascurare il substrato precedente tramite una breve analisi delle condizione femminile nell'Italia post – unitaria e durante il fascismo (Duby, Perrot, 2007; De Grazia, 2007). Il Capitolo V è dedicato al caso spagnolo. Anche qui affronto nel § 1 un breve excursus storico-politico della condizione femminile dal periodo pre –democratico della Spagna (Bussy Genevois, 2007) alla fase di democratizzazione, per contestualizzare la rappresentanza e la partecipazione femminili nella politica attuale: la Costituzione spagnola del 1978 ha significato una autentica ridefinizione dello status giuridico/politico femminile (e non solo), sia nello spazio pubblico che in quello privato (García Mercadal, 2005; Aguado, 2005), nell'ambito di quello che molti analisti e scienziati politici, specialmente tra i più recenti, (Paleo e Diz, 2014; Alonso e Muro, 2011; Gunther e Montero, 2009; Bosco, 2005) hanno definito "modello spagnolo" di transizione democratica, emulato anche in altre realtà che successivamente si sono accostate alla democrazia, in America Latina come in Europea orientale. Sia per il caso italiano (cap. IV), sia per quello spagnolo (cap. V) ho elaborato in grafici e tabelle i dati raccolti, inseriti poi nei rispettivi § 2 e § 3, i quali riguardano le politiche di genere, che ciascuno dei due paesi utilizza per mantenere stabile o incrementare la rappresentanza politica femminile, e la qualità della democrazia (i meccanismi di riequilibrio: quote costituzionali, legislative e di partito; le istituzioni gender friendly) nonché la rappresentanza politica femminile (con i dati sugli organi elettivi e di governo e quelli sui principali partiti). Infine nelle Conclusioni traccio un bilancio in chiave comparativa di quanto emerge dalle ricerche effettuate, mostrando l'importanza del collegamento con le teorie enunciate dai politologi illustrate nella parte teorica. Sulla scorta del confronto tra i due casi di studio e di quanto affermato dalla politologia e dagli studi di genere contemporanei presentati, si può affermare a conclusione di questo lavoro che a pieno titolo entrambe i paesi corrispondono sicuramente a democrazie di «buona» qualità. Prendendo come indicatore la sola rappresentanza politica femminile, probabilmente la Spagna risulta avere un livello più avanzato, non tanto per il dato numerico maggiore, ma perché osservando e sommando il dato costituzionale e legislativo, i regolamenti, l'attenzione partitica nella selezione delle cariche, la cultura politica, l'influenza femminile nel processo di policy making, essa sembra avere interiorizzato maggiormente la cultura della parità. 8 Tuttavia sia per l'Italia che per la Spagna, a livello di importanza e qualità di incarichi, il cammino per raggiungere una piena situazione di parità, che elevi ulteriormente il livello di qualità democratica, sembra essere ancora lungo per entrambe i paesi.
Terra di luce e di sole, Trapani è un territorio la cui bellezza incontaminata incanta grazie alla sua natura ricca, che offre un paesaggio luminoso dove il cielo si tinge di forti colori, quasi accecanti, ingentiliti dal verde delle vigne, degli ulivi . Affacciato su un mare ricco e pescoso questo territorio, caratterizzato prevalentemente da dolci colline, è infatti la regione più vitata d'Italia. L'analisi è stata condotta concentrando l'attenzione su alcuni aspetti chiave rivolti ad illustrare i possibili strumenti per la valorizzazione della provincia di Trapani, evidenziando il significato, gli obiettivi, le attività, le capacità e in particolare, le attitudini a fronteggiare eventuali situazioni di cambiamento. La tesi è strutturata in Sei capitoli: Nel primo capitolo si cerca di costruire una breve sequenza ragionata delle politiche di sviluppo nella provincia di Trapani evidenziate negli strumenti di programmazione negoziata e sviluppo locale presenti sul territorio. Dallo "intervento straordinario", che certamente oggi non suscita alcun sentimento nostalgico, ai possibili interventi per rafforzare la rete di uno sviluppo che cessi di essere subalterno e dipendente, attraverso "l'elaborazione di un quadro di interventi possibili orientati non da una dispersione a tappeto, ma da un ragionamento organizzato da una logica. Obiettivo da perseguire non di certo con una corsa agli aiuti finanziari "a pioggia" visti come un'automatica sorgente di crescita, ma facendo un uso ragionato degli aiuti europei e statali, supportati da un'efficace programmazione, capace di offrire soluzioni riconosciute come essenziali. Una programmazione che si è basata su due gambe: partecipazione attiva dei privati e creazione, da parte dell'operatore pubblico, delle condizioni in cui ai soggetti privati siano facilitati comportamenti virtuosi; tutto ciò contornato da una negoziazione tra operatori pubblici e privati, volta alla realizzazione di accordi, a livello locale, per colmare lo svantaggio tra le aree. Già con la riforma dei Fondi strutturali si è tentato di apportare significative modifiche. Innovazioni come quelle dei principi generali di partenariato, programmazione, addizionalità, valutazione e monitoraggio; classificazione per obiettivi ed iniziative che hanno sicuramente imboccato una nuova strada per una nuova politica per il Mezzogiorno. Certamente non si è riusciti a stravolgere i risultati avuti in passato ma si è acquisita un'esperienza su un periodo di programmazione che ha aiutato a calibrare il tiro per il futuro. I risultati dell'analisi e di contesto che il presente capitolo fornirà, la valorizzazione dei risultati degli interventi di politica di sviluppo locale (Learder, Patti territoriali, PIT) e di incentivi a compensazione delle diseconomie e delle inefficienze di contesto, consentono una più forte integrazione con le istanze espresse dal territorio, un'efficiente programmazione e valutazione dell'efficacia delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi. Programmi di iniziativa comunitaria (Leader), strumenti di progettazione integrata (P.I.T.), definiti come modalità operativa di eccellenza per l'attuazione del POR, permettono alle Autonomie locali di identificare le opportunità del territorio e di formulare in piena autonomia, seppur ascoltando il partenariato sociale-economico, le proposte progettuali coerenti con gli obiettivi definiti dalla Regione e di gestire gli interventi. Saranno analizzati gli strumenti di programmazione negoziata, sviluppo locale e incentivazione operanti nella provincia di Trapani al fine di riportare, per grandi linee, l'impatto che le risorse hanno avuto sul territorio provinciale. Nel secondo capitolo l' attività di analisi territoriale ha portato a focalizzare l'attenzione su quattro settori che rappresentano il motore trainante dell'economia: Il settore Turistico è il più dinamico dell'economia trapanese con flussi di domanda crescenti che già si stanno trasformando in domanda immobiliare, esistono le condizioni per indirizzare tale domanda verso la riqualificazione di immobili di pregio in stato di abbandono o sottoutilizzo. Il comparto turistico della provincia di Trapani si è sviluppato grazie all'importanza storica e culturale, nonchè a quella paesaggistica e naturalistica, dei vari comuni e delle isole che rientrano in questo comprensorio provinciale. Esso si basa su un'offerta decisamente varia: archeologia, poiché si trovano qui gli avanzi di numerosi insediamenti sia greci che punici (le aree archeologiche di Selinunte, Segesta, Mozia) ma anche splendidi ambienti naturali come quello della riserva naturale dello Zingaro, la prima istituita in Sicilia, e delle saline con i mulini a vento. E ancora, tradizioni popolari, feste dei santi patroni, spettacoli ed eventi culturali, al largo di Trapani, fanno parte della provincia le isole dell'arcipelago delle Egadi e, molto più lontano, più vicina alla costa africana che a quella siciliana, l'isola di Pantelleria, profumata di capperi e zibibbo. Nel settore Ittico i contributi apportati risultano essere di estrema importanza per coloro che vogliono conoscere e approfondire il vasto pianeta pesca da diverse angolature tutte correlate tra loro. Si va dall'aspetto giuridico a quello economico, dalla sostenibilità ambientale del Mediterraneo alla sicurezza del lavoro in tutta la filiera ittica, dall'importante e delicato passaggio dal FEP al FEAMP alle innovazioni portate avanti dalla Blue Economy, da un'attenta e dettagliata descrizione dei dati salienti del settore alla situazione socio-economica alieutica di alcuni paesi che si affacciano nel Mediterraneo. Un settore, quello della pesca, che in Sicilia contribuisce notevolmente alla storia, alla cultura e soprattutto all'immagine dell'Isola. Il settore olivicolo è il secondo più importante settore agricolo, obiettivo fondamentale è realizzare "interventi mirati allo sviluppo dei servizi in agricoltura". Per questo motivo le iniziative promosse in ambito regionale sono considerate "il punto di confluenza di tutte le iniziative previste dal P.O.". Le Unità Operative Territoriali (U.O.T.) sono aree pilota individuate in ogni regione meridionale dagli organismi competenti per progettare e realizzare un intervento di divulgazione e di consulenza alle imprese che possa poi essere utile in sede di programmazione a consolidare, migliorare o impostare il modello dei servizi regionali. Esso rappresenta un valido contributo per ottenere una olivicoltura efficiente, in grado di offrire ai mercati nazionali ed esteri un prodotto alimentare altamente qualificato e garantire all'olivicoltore la necessaria redditività. Il settore vitivinicolo è il comparto economicamente e socialmente più importante del trapanese che sta attraversando una crisi gravissima con gravi rischi economici e sociali, attraverso gli IDE è possibile se non risolvere quanto meno mitigare la crisi del settore. Il mondo del vino è una realtà molto complessa che si basa su un paradosso: gli elementi della tradizione territoriale si contrappongono al processo continuo di innovazione e sviluppo globale. Il vino possiede un'importante aspetto culturale, legato al territorio, ma nello stesso tempo svolge un'importante funzione economica nello scenario nazionale e soprattutto internazionale. In sostanza, nel vino, gli aspetti locali, legati alla cultura e alla tradizione, si mescolano agli aspetti economici e consumistici. Queste considerazione trovano una conferma nel caso della Provincia di Trapani. Quest'area si caratterizza, da un lato, per lunga storia vitivinicola in grado di offrire una produzione di qualità e, dall'altro, per un'eredità agricola frammentata e tendente alla produzione di qualità media. Negli ultimi anni, inoltre, lo scenario commerciale dei vini siciliani è stato connotato da una sostanziale staticità in termini organizzativi e promozionali, che contrasta con il dinamismo di altre aree viticole nazionali. Queste ultime hanno preso atto che il vino rappresenta un prodotto complesso e dinamico. Oltre a essere un fenomeno di costume, il vino è un elemento del mercato economico e finanziario, costituisce un'esperienza culturale e gioca un ruolo sempre più attivo nel campo della gastronomia. Costituisce, quindi, una risorsa fondamentale per lo sviluppo della cultura e dell'economia di uno specifico territorio. Il terzo capitolo si inserisce in quel filone di ricerche che esamina l'implementazione del marketing, attraverso lo svolgimento di indagini empiriche condotte sulle imprese di trasformazione, sulla base di quelle recenti costruzioni teoriche che considerano le imprese quali aggregati di attività generatrici di valore, mediante l'impiego di risorse e capacità. La prospettiva teorica della "configurazione d'impresa" può rappresentare una chiave di lettura della pratica attuale del marketing in esse applicato; nello specifico, essa indirizza l'analisi, da un lato, verso il contenuto e le eventuali modifiche intervenute nelle attività di marketing e, dall'altro, verso la sensibilizzazione del management nei confronti di tematiche ormai ampiamente sviluppate e consolidate negli studi teorici, quali quelli relativi, appunto, alle risorse e alle capacità. Il lavoro è stato articolato in due parti. La prima parte pone l'accento sull'evoluzione avvenuta nel trapasso dall'era industriale a quella post industriale (e fino ai giorni nostri), in relazione ai postulati del marketing mix, rispetto al quale anche le imprese vitivinicole siciliane hanno implementato la propria attività, e tutto ciò specialmente per quelle ad alto grado di orientamento al mercato. La seconda parte invece prende le mosse da una indagine condotta sulle imprese agroalimentari marketing oriented. La presente ricerca intende infatti aggiornare ed approfondire i risultati di quell'indagine, estendendola, per quanto è possibile, a tale fine è stata imperniata esclusivamente sulle imprese vitivinicole ad alto grado di orientamento di mercato, mediante l'impiego di una scheda–questionario; una tale scheda tende ad acquisire dettagliate informazioni, oltre che sui principali caratteri strutturali e gestionali delle imprese, sulle modalità di adozione delle attività di marketing, attraverso il ricorso agli strumenti del marketing mix. Pur rappresentando queste ultime un'esigua minoranza delle imprese vitivinicole della Sicilia, le analisi svolte consentiranno di illustrare i risultati ottenuti da una frangia di imprese, destinate ad espandersi negli anni avvenire, attraverso l'adozione delle strategie di marketing, ampliando la loro sfera di influenza sulla vitivinicoltura siciliana e sul mercato dei relativi prodotti.Dall'indagine empirica condotta sulle imprese vitivinicole di trasformazione emergono alcuni elementi estremamente significativi. Il marketing è ben concepito e realizzato nelle sue dimensioni culturali ed operative, per quanto si sia in presenza di una certa diversità di schemi di interpretazione e di attuazione della pratica del fenomeno. Le evoluzioni intervenute nelle attività di marketing nelle imprese vitivinicole esaminate si sono concretizzate in un avvicinamento dell'impresa al cliente e al mercato. L'obiettivo di sviluppare un'impresa maggiormente customer–oriented non sembra trovare tuttavia, supporto nell'adozione di una logica processuale delle attività di marketing e nella gestione e sviluppo delle capacità aziendali. Occorre pertanto attendere che il movimento evolutivo avviatosi una decina di anni fa, e che ha visto un crescente ricorso alle attività di marketing nelle imprese di trasformazione del comparto dei vini, si accresca ulteriormente negli anni avvenire, anche sotto lo stimolo dell'azione pubblica; quest'ultima non può disinteressarsi infatti di un processo evolutivo che ha investito (ed investirà sempre più) l'intera filiera produttiva dei vini siciliani, con particolare riguardo a quelli di qualità. Nel quarto capitolo si affrontano i problemi derivanti dalla crisi di un settore vitivinicolo, quando questo sistema produttivo, rappresenta grande parte dell'economia di un'area e, più nello specifico, di un'area di ritardo nello sviluppo, occorre porsi, in primo luogo, il tema del capitale umano. Il lavoro di carattere eminentemente qualitativo di questo documento, assieme al lavoro più quantitativo rappresentato da "Analisi di Contesto", rappresentano una base conoscitiva sufficientemente ampia per offrire elementi decisionali di carattere strategico. La condivisione degli elementi strategici contenuti in questo capitolo con molti tra gli operatori locali e diversi tra gli operatori nazionali, che comunque ben conoscono la realtà locale, ci ha confortato sulla correttezza delle linee individuate. Certo, esistono sfumature, sovente dettagli, che non sempre paiono completamente condivisibili, da parte di qualcuno, ma il senso generale, l'impostazione ed il metodo, pare largamente accettato. Con il nuovo quadro di programmazione, con la riforma dell'OCM di settore, sulla base dell'analisi dei mercati potenziali e dei più tradizionali e sulla base del posizionamento dei più temibili competitor, si è definito uno scenario che consente di guardare alla situazione con un'ottica diversa dal passato. Da queste considerazioni nasce il presente capitolo, contiene elementi di forte innovazione, capaci di suscitare legittime ansie e preoccupazioni, che nascono proprio nella consapevolezza della debolezza del capitale sociale ed umano dell'area: su quali spalle si potrebbe appoggiare un piano così ambizioso? Questa è la principale domanda che gli interlocutori si pongono, non sulle scelte, non sugli strumenti, non sulle modalità; il problema è chi. Questo richiede uno sforzo particolare da parte dei decisori politici, che certo non possono scegliere i soggetti, ma che possono definire un contesto normativo che favorisca l'emergere di nuovi gruppi dirigenti. In questo senso segnali interessanti stanno apparendo nell'orizzonte regionale. Questi, che sinora appaiono come semplici segnali debbono, però, solidificarsi in un disegno strategico coerente. Se questo lavoro potrà servire ad aprire la discussione sulle linee strategiche, un obiettivo molto importante sarà stato raggiunto. L'analisi condotta ha precise implicazioni sul piano della strategia da implementare per attrarre investimenti esteri nella provincia di Trapani. I fattori critici evidenziati dagli attori della business community non si riferiscono a carenze nei contenuti o negli strumenti della comunicazione, ma sono elementi di debolezza che possono essere superati solo attraverso precisi interventi di carattere strutturale. In queste condizioni un'azione di promozione degli investimenti generalizzata a tutti i settori darebbe luogo solo ad una dispersione delle risorse nel tentativo inutile di compensare con iniziative di comunicazione i problemi strutturali nazionali e regionali, che spingono gli investitori stranieri a scegliere altri paesi. La situazione descritta porta, infatti, ad escludere la classica azione di promozione degli investimenti esteri "ad ombrello" che, da un lato interessa in modo indifferenziato tutti i settori produttivi del trapanese, e dall'altro cerca di attrarre investitori esteri in modo non selettivo. Coerentemente con i risultati dell'analisi SWOT, la strada che si è scelto di percorrere riconosce in pieno le difficoltà in cui versa il nostro Paese ed il Meridione in generale, di cui Trapani fa parte a pieno titolo, e segue pertanto una strategia alternativa, più complessa sul piano analitico e operativo ma sicuramente più efficace in termini di risultati attesi. La linea d'azione che verrà percorsa si articola in 3 fasi: 1) identificazione di quei comparti in cui le condizioni per gli investimenti esteri sono più favorevoli e i vantaggi per gli investitori sono tali da soverchiare i fattori disincentivanti nazionali e locali. 2) scelta della tipologia di investimenti da attrarre. Non tutti gli investimenti esteri sono benefici per un territorio, alcuni possono avere addirittura effetti negativi. Fra le diverse tipologie di investimenti esteri connessi al comparto prescelto verranno identificati quelli più desiderabili per il loro impatto sul settore stesso e sull'economia trapanese in generale. 3) selezionata la tipologia di investimenti desiderabile verrà definita la strategia di attrazione di tali investimenti più adeguata, tenendo conto delle caratteristiche degli investitori, dei loro interessi e dei loro possibili obiettivi. Dunque la selezione del settore da proporre alla business comunità come possibile oggetto di IDE scaturisce dalla convergenza di due criteri di giudizio: il primo è direttamente legato alle convenienze economiche che si creano all'interno di specifici settori dell'economia trapanese di cui un investitore esterno può beneficiare, il secondo è invece connesso agli effetti positivi che l'investimento estero può generare sul settore stesso o sul sistema trapanese in qualche suo aspetto. Il quinto capitolo si articola in 3 parti corrispondenti a tre differenti livelli conoscitivi ed operativi. La prima parte può essere considerata come una fase preliminare del lavoro. Essa è dedicata all'analisi del terroir : una specifica conoscenza delle condizioni climatiche, delle caratteristiche del terreno e delle peculiarità dei vitigni e dei portinnesti, oltre che lo studio del risultato dell'interazione di questi elementi con il fattore umano, costituiscono la base per una corretta gestione del "sistema vigneto", a partire dalle fasi di progettazione ed impianto dello stesso fino alla scelta delle più idonee pratiche colturali, il tutto sulla base di ben precisi obiettivi enologici, che tengano conto delle esigenze del mercato. La seconda parte, di carattere più tecnico, si presenta come una guida pratica nella scelta e nell'effettiva realizzazione di tutte le operazioni di campo che risultano necessarie a partire dalla fase precedente all'impianto, ed in seguito sia nei vigneti di nuovo impianto che in quelli già in produzione. Il tutto deve essere effettuato in modo da poter conseguire il duplice obiettivo della redditività dei viticoltori e della qualità del prodotto ottenuto, nel pieno rispetto dell'ambiente. Si trova infine un riferimento alle attività svolte dai servizi allo sviluppo per agevolare i viticoltori nella effettuazione delle diverse operazioni e guidare la gestione dei vigneti verso condizioni di maggiore efficienza. La terza ed ultima parte è costituita dai "disciplinari": una raccolta di regole indirizzate ai viticoltori nate dalla considerazione congiunta delle caratteristiche del territorio, degli obiettivi enologici e delle esigenze del mercato. L'obiettivo è quello di offrire ai viticoltori uno strumento di analisi per conoscere gli eventuali problemi, accrescere le proprie conoscenze per inseguire la via del miglioramento per il futuro. Le ultime due annate possono essere considerate agli antipodi sotto tutta una serie di profili. Le condizioni registrate hanno sicuramente avuto un'influenza sugli aspetti quali-quantitativi della produzione. In viticoltura le variabili della natura possono essere tanto favorevoli quanto pericolose nell'influenzare il percorso produttivo e il raggiungimento degli obiettivi di ciascun viticoltore. La conoscenza, il monitoraggio degli elementi presi in esame e lo studio dei risultati raccolti possono aiutare nella definizione delle azioni future da intraprendere nel corso del lavoro in vigna. Il valore intrinseco e il risultato consequenziale delle scelte è infinitamente importante, ed è inscindibile da ciò che sta a monte e a valle delle stesse: è fondamentale fare la cosa giusta al momento giusto. La filosofia è quella della sostenibilità, sotto varie declinazioni e applicazioni. Ma il raggiungimento di questo faticoso equilibrio in ogni azienda vitivinicola passa attraverso un percorso che prevede la conoscenza, l'osservazione e la misura di tutti quegli elementi che intercorrono nella definizione di sostenibilità. Il Consorzio è lo strumento attraverso il quale la Regione, promuove ed organizza la bonifica come mezzo permanente di difesa, conservazione, valorizzazione e tutela del suolo, di utilizzazione e tutela delle acque e salvaguardia dell'ambiente, inoltre si mette in evidenza anche come il Consorzio di tutela sia un ottimo strumento per promuovere, valorizzare informare il consumatore e curare gli interessi generali della DOC "Sicilia". Il sesto capitolo si propone di individuare i percorsi di valorizzazione della produzione vinicola, attraverso l'esperienza diretta ed interviste si focalizza l'attenzione su due casi di successo, nonché leader nel settore vitivinicolo; le aziende: "Florio S.p.a" e "Pellegrino & C. S.p.a". L'obiettivo è quello di evidenziare gli elementi di forza e di criticità di un'offerta per i mercati esteri che ha saputo declinare le leve del marketing con il valore aggiunto rappresentato dall'immagine territoriale. La strategia di internazionalizzazione di queste storiche imprese Siciliane dimostra come oggi per approdare all'estero in maniera competitiva occorra individuare strategie innovative fondate sull'immagine del territorio. In questa prospettiva, il valore simbolico del vino e del suo territorio devono essere rinnovati per poter trovare posto nell'universo valoriale di consumatori sempre più attenti, oltre che alla qualità del prodotto, ai significati culturali che esso veicola.
[Italiano]: Un quinto del XXI secolo è già alle nostre spalle e l'insieme delle musiche d'arte composte dal 2001 ad oggi è a dir poco imponente. Le domande che si può porre uno storico della musica dinanzi all'attuale scenario sono molteplici. In che modo le musiche d'arte d'inizio Duemila si distinguono – se davvero si distinguono -- da quelle del tardo Novecento? Si deve parlare di un Novecento di longue durée oppure emergono fattori di discontinuità? E l'eventuale discontinuità tra XX e XXI secolo è in qualche modo paragonabile alle maggiori svolte storico-musicali registrate, per esempio, a cavaliere tra Cinque e Seicento oppure tra Otto e Novecento? E ancora: come interagisce il corpus odierno di Western Art Music con le musiche 'altre'? E in che rapporto esso si pone con le varie arti contemporanee, dalla letteratura alle arti visive, dal cinema all'architettura? Qual è l'impatto sulla creatività musicale delle nuove tecnologie, di Internet, dei new media, dell'intelligenza artificiale? Come si ridefiniscono i rapporti tra committenti, editori, compositori, interpreti, critici, fruitori? Come si può promuovere la musica dal vivo durante un'emergenza sanitaria? Alcune indicazioni e numerosi spunti di riflessione emergono nei saggi del presente volume che raccoglie gli atti di un incontro di studi promosso dall'Università di Napoli "Federico II" e svoltosi in streaming il 13 aprile 2021. Vi contribuiscono Marco Bizzarini (Oltre il postmoderno), Gianluigi Mattietti (Realtà virtuali e aumentate), Mauro Montalbetti (Teatro musicale, cronaca e politica in Haye: le parole la notte), Lisa La Pietra (La pluridimensionalità della voce nel XXI secolo), Tommaso Rossi (Organizzare la musica durante la pandemia), Simona Frasca (La canzone napoletana fra vecchie tecnologie e pratiche contemporanee). È prevista la pubblicazione di un secondo volume che offrirà ulteriori approfondimenti./[English]: A fifth of the 21st century is already behind us and the set of art music composed from 2001 to today is impressive. The current scenario raises many questions. How does the art music of the early 2000s differ - if it does - from that of the late twentieth century? Should we consider the twentieth century of 'longue durée' or do factors of discontinuity emerge? And is the alleged discontinuity between the twentieth and twenty-first centuries in some way comparable to the major turning points in music history, such as, for instance, those that happened between the 16th and 17th centuries or between the 19th and 20th centuries? And again: how does the contemporary corpus of Western Art Music interact with other genres? And how does it relate to the various contemporary arts, from literature to the visual arts, from cinema to architecture? What is the impact on musical creativity of new technologies, the Internet, new media, artificial intelligence? How are the relationships between organizers, publishers, composers, performers, critics, and audiences redefined? How can live music be promoted during a health emergency? Some indications and numerous insights emerge in this volume which collects the proceedings of a study meeting promoted by the University of Naples "Federico II", which took place in streaming on April 13, 2021. It features Marco Bizzarini (Beyond the postmodern), Gianluigi Mattietti (Virtual and augmented reality), Mauro Montalbetti (Musical theater, current events and politics in the opera Haye: le parole la notte), Lisa La Pietra (The multidimensionality of the voice in the 21st century), Tommaso Rossi (Organizing music during the pandemic), Simona Frasca (The Neapolitan song between old technologies and contemporary practices). A second forthcoming volume will add further details.
L'applicazione del principio di avidità in un mondo caratterizzato da incertezza, quale di fatto è quello su cui vengono scambiati i prodotti finanziari, implica la necessità che alla considerazione del possibile rendimento futuro di qualsivoglia portafoglio finanziario debba essere associata la considerazione del rischio finanziario concernente la variabilità del futuro valore del medesimo. All'interno delle diverse tipologie di rischio che concorrono alla formazione del rischio finanziario di un portafoglio, quelle sulle quali si è maggiormente incentrato l'interesse degli studiosi e degli operatori, anche in adempimento a precise normative legislative relative alle attività di vigilanza degli intermediari finanziari, sono costituite dal rischio di mercato e dal rischio di credito. Mentre il rischio di mercato si associa al rischio di prezzo di un dato portafoglio, incentrando così l'analisi sulle possibili fluttuazioni delle variabili di mercato rilevanti, il rischio di credito (credit risk) considera l'eventualità che il valore di un portafoglio sia influenzato dalla situazione finanziaria dei soggetti in esso coinvolti. La quarta fonte di rischio è il rischio internazionale (international risk). Un'impresa si trova a dover fronteggiare questo tipo di rischio quando la valuta nella quale sono misurati gli utili ed è espresso il prezzo del titolo azionario è diversa dalla valuta dei flussi di cassa del progetto, come accade nel caso di progetti intrapresi al di fuori del mercato nazionale. La principale innovazione introdotta da Markowitz nella misurazione del rischio di un portafoglio consiste nella considerazione della distribuzione congiunta dei rendimenti di tutti i titoli in esso presenti. Il modello media varianza, sebbene sia tuttora largamente utilizzato nella pratica, presenta limiti intrinseci dovuti alla considerazione esclusiva dei primi due momenti della distribuzione dei rendimenti. In primo luogo, deve tenere in debito conto la dispersione dei rendimenti effettivi attorno al rendimento atteso, misurata dalla varianza (o dallo scarto quadratico medio) della distribuzione; maggiore è la differenza fra rendimenti effettivi e rendimento atteso, maggiore è la varianza. 2.2.2. Rendimento e rischio: la frontiera efficiente Supponiamo che un investitore abbia delle stime dei rendimenti attesi, degli scarti quadratici medi dei singoli titoli e delle correlazioni tra i titoli. Nella scelta della migliore combinazione di titoli da detenere, un investitore cercherà ovviamente un portafoglio con un rendimento atteso elevato e un basso scarto quadratico medio dei rendimenti. Pertanto è opportuno considerare: la relazione tra il rendimento atteso dei singoli titoli e il rendimento atteso di un portafoglio composto da questi titoli; la relazione tra gli scarti quadratici medi dei singoli titoli, le correlazioni tra questi titoli e lo scarto quadratico medio di un portafoglio composto dagli stessi. Consideriamo un portafoglio composto da due titoli. Il titolo A ha un rendimento atteso di µA e una varianza dei rendimenti di σ2A, mentre il titolo B ha un rendimento atteso di µB e una varianza dei rendimenti di σ2B . Il rendimento atteso e la varianza di un portafoglio di due titoli può essere scritta come funzione di questi input e del peso che questi hanno sul valore del portafoglio. Dove e rappresentano la quota del titolo A e del titolo B nell'intero portafoglio. L'eliminazione di parte del rischio è possibile perché di solito i rendimenti dei singoli titoli non sono perfettamente correlati tra loro; pertanto parte del rischio viene "eliminata grazie alla diversificazione". Concettualmente, il rischio di un singolo titolo dipende da come il rischio di un portafoglio cambia quando quel titolo viene aggiunto. Come avremo modo di evidenziare in seguito, il Capital Asset Pricing Model (CAPM) mostra che il rischio di un singolo titolo è rappresentato dal suo coefficiente beta che, in termini statistici, indica la tendenza di un titolo azionario a variare nella stessa direzione del mercato (per esempio, l'indice composito S&P): il beta misura la reattività del rendimento di un singolo titolo rispetto al rendimento del portafoglio di mercato. In generale, il numero dei termini di covarianza può essere scritto come una funzione del numero dei titoli. dove n è il numero dei titoli presenti nel portafoglio. Per motivi di semplicità, assumiamo che i titoli abbiano in media una deviazione standard dei rendimenti di , che la covarianza dei rendimenti tra coppie di titoli sia in media e che i tutti i titoli siano presenti nel portafoglio nella stessa proporzione: Il fatto che la varianza possa essere stimata per portafogli composti da un ampio numero di titoli suggerisce un approccio di ottimizzazione nella costruzione del portafoglio, nel quale gli investitori contrappongono rendimento atteso e varianza. Se un investitore può specificare l'ammontare massimo di rischio che è disposto a sopportare (in termini di varianza), il problema dell'ottimizzazione del portafoglio diventa la massimizzazione dei rendimenti attesi dato questo livello di rischio. Graficamente, questi portafogli possono essere rappresentati sulla base delle dimensioni del rendimento atteso e della deviazione standard come nella figura sottostante. Per passare dall'approccio tradizionale di Markowitz a quello del Capital Asset Pricing Model, dobbiamo considerare l'aggiunta di un titolo privo di rischio all'interno del mix dei titoli rischiosi. Il titolo privo di rischio, per definizione, ha un rendimento atteso che risulta sempre uguale al rendimento attuale. Mentre il rendimento dei titoli rischiosi varia, l'assenza di varianza nei rendimenti dei titoli privi di rischio li rende non correlati con i rendimenti dei titoli rischiosi. Per esaminare ciò che accade alla varianza di un portafoglio che combina un titolo privo di rischio con un portafoglio rischioso, assumiamo che la varianza del portafoglio rischioso sia e che sia la quota dell'intero portafoglio investita in questi titoli rischiosi. Il rendimento atteso cresce data la pendenza positiva della retta passante per il livello del tasso privo di rischio. Detta retta prende il nome di Linea del mercato dei capitali o Capital Market Line (CML). Piuttosto, combinerà i titoli di M con l'attività priva di rischio nel caso in cui abbia un'alta avversione al rischio. In un mondo in cui gli investitori tengono una combinazione di due soli titoli (titolo privo di rischio e portafoglio rischioso) il rischio di ogni titolo individuale verrà misurato in base al portafoglio di mercato. In particolare, il rischio di ogni asset diverrà il rischio aggiunto al portafoglio di mercato. Per giungere all'appropriata misurazione di questo rischio aggiunto assumiamo che sia la varianza del portafoglio di mercato prima dell'aggiunta del nuovo titolo, e la varianza del titolo individuale che verrà aggiunto a questo portafoglio sia . Il peso del titolo sul valore di mercato del portafoglio è e la covarianza dei rendimenti tra il titolo individuale e il portafoglio di mercato è . Conseguentemente, il primo termine dell'equazione dovrebbe essere prossimo a zero, e il secondo termine dovrebbe tendere a , lasciando così il terzo termine ( , la covarianza) come misura del rischio aggiunto dal titolo i. Dividendo questo termine per la varianza dei rendimenti del portafoglio di mercato si determina il beta del titolo: Beta del titolo = 2.2.3. Un esempio di diversificazione Supponiamo di fare le seguenti tre ipotesi : 1. tutti i titoli hanno la stessa varianza, che indichiamo con . Il rischio di portafoglio ( ), è il rischio corso anche dopo aver raggiunto la completa diversificazione. Il rischio di portafoglio è spesso chiamato anche rischio sistematico o rischio di mercato. Nel modello base si stabilisce una relazione tra il rendimento di un titolo e la sua rischiosità, misurata tramite un unico fattore di rischio, detto beta. Il beta misura quanto il valore del titolo si muova in sintonia col mercato. Matematicamente, il beta è proporzionale alla covarianza tra rendimento del titolo e andamento del mercato; tale relazione è comunemente sintetizzata tramite la Security Market Line (SML) , illustrata nel grafico sottostante. Figura 3.1. La Security Market Line: relazione tra rischio (beta) e rendimento atteso nel CAPM La SML, solitamente chiamata linea di "mercato degli investimenti", presenta come intercetta il tasso privo di rischio e come pendenza la differenza tra il rendimento del mercato e quello privo di rischio: la retta è positivamente inclinata se il rendimento atteso del mercato è maggiore del tasso privo di rischio ( È facile dimostrare che la linea della Figura 5 è retta. Questo aggiustamento dei prezzi farebbe aumentare i rendimenti attesi dei due titoli e continuerebbe finché i due titoli non si trovassero sulla linea di mercato degli investimenti. La linea del mercato rappresenta la frontiera dei portafogli efficienti formati sia da attività rischiose che dall'attività priva di rischio; ogni punto sulla retta rappresenta un intero portafoglio. Il portafoglio composto da ogni attività trattata sul mercato viene chiamato portafoglio di mercato (market portfolio). Seguendo tale impostazione ogni investitore sceglierà lo stesso identico portafoglio, cioè il portafoglio di mercato, quindi la diversa propensione al rischio di ciascun investitore nelle scelte di investimento emerge nella decisione di allocazione, vale a dire nella decisione di quanto investire nel titolo privo di rischio e quanto nel portafoglio di mercato. Investitori più avversi al rischio sceglieranno di investire gran parte o la totalità del proprio patrimonio nel titolo privo di rischio, mentre investitori meno avversi al rischio investiranno principalmente o esclusivamente nel portafoglio di mercato. Anzi, potranno investire nel portafoglio di mercato non solo tutto il loro patrimonio, ma anche fondi presi a prestito al tasso privo di rischio. La prima è che esista un titolo privo di rischio, ovvero un titolo il cui rendimento atteso sia certo. La seconda è che gli investitori, per ottenere la combinazione ottimale fra titolo privo di rischio e portafoglio di mercato (data la propria propensione al rischio), possano dare e prendere in prestito fondi al tasso privo di rischio. Come già ricordato in precedenza il rischio di ciascuna attività per un investitore corrisponde al rischio aggiunto da quell'attività al suo portafoglio. Nel contesto del CAPM, dove tutti gli investitori scelgono di detenere il portafoglio di mercato, il rischio di una singola attività per un investitore corrisponde al rischio che quest'attività aggiunge al portafoglio di mercato. Statisticamente, questo rischio addizionale è misurato dalla covarianza dell'attività con il portafoglio di mercato. Maggiore è la correlazione fra l'andamento di un'attività e l'andamento del portafoglio di mercato, maggiore è il rischio aggiunto da tale attività ( i movimenti non correlati all'andamento del portafoglio di mercato vengono invece eliminati quando si aggiunge un'attività al portafoglio). Possiamo tuttavia standardizzare la misura del rischio dividendo la covarianza di ciascuna attività con il portafoglio di mercato per la varianza del portafoglio di mercato. Otteniamo in questo modo il cosiddetto beta di un'attività: Dato che la covarianza del portafoglio di mercato con se stesso non è altro che la varianza del portafoglio di mercato, il beta del portafoglio di mercato (e quindi il beta di una ipotetica attività media) è 1. Quindi le attività più (meno) rischiose della media saranno quelle con un beta superiore (inferiore) ad 1. Il titolo privo di rischio avrà ovviamente un beta pari a zero. Il fatto che ciascun investitore possieda una combinazione del titolo privo di rischio e del portafoglio di mercato ha un'importante implicazione: il rendimento atteso di un'attività è strettamente correlato al suo beta. In particolare, il rendimento atteso di un'attività sarà una funzione dal tasso di rendimento del titolo privo di rischio e del beta dell'attività. Il nucleo del CAPM è una relazione attesa tra il rendimento di un qualsiasi titolo ( ) e il rendimento del portafoglio di mercato, che può essere espressa come: dove sono il rendimento lordo del titolo in questione e del portafoglio di mercato e è il rendimento lordo privo di rischio. Secondo questa formula il rendimento atteso di un'attività rischiosa è dato dal rendimento di un titolo privo di rischio maggiorato di un premio per il rischio, che sarà più o meno elevato a seconda del rischio aggiunto dall'attività al portafoglio di mercato. È chiaro quindi che per usare il CAPM sono necessari i seguenti tre input: Tasso di rendimento del titolo privo di rischio. Per titolo privo di rischio si intende il titolo il cui rendimento atteso nel periodo di riferimento sia noto all'investitore con certezza. Di conseguenza, il tasso di rendimento di un titolo privo di rischio da utilizzare nel CAPM varierà a seconda che il periodo di riferimento sia 1, 5 o 10 anni. • Premio per il rischio. Il premio per il rischio indica la remunerazione richiesta dai risparmiatori per investire nel portafoglio di mercato (che comprende tutte le attività rischiose) piuttosto che nel titolo privo di rischio. Il beta è l'unico input specifico del titolo analizzato (ad es. un'azione). Per esempio, abbiamo ipotizzato che investire nei Buoni del Tesoro sia completamente senza rischio. (Nel CAPM, tali portafogli sono i Buoni del Tesoro e il portafoglio di mercato.) Nei CAPM modificati i rendimenti attesi dipendono ancora dal rischio sistematico, ma la definizione di rischio sistematico dipende dalla natura del portafoglio di riferimento. Il CAPM ipotizza che un investitore richieda un rendimento atteso più elevato per un rischio maggiore, e non ammette che un investitore accetti un rendimento minore, o un rischio maggiore, ceteris paribus. L'ipotesi cruciale nella derivazione proposta sopra è che le preferenze degli investitori siano formulate esclusivamente in termini di media e varianza dei rendimenti dei titoli; l'ipotesi di normalità dei rendimenti (lognormalità dei prezzi) è una condizione sufficiente, ma non necessaria, affinché ciò sia verificato. Il CAPM ipotizza che il profilo rischio-rendimento atteso di un portafoglio possa essere ottimizzato, determinando un portafoglio ottimo, che presenti il minimo livello di rischio possibile per il proprio rendimento atteso. Nel secondo passo, si utilizzano le stime come osservazioni dei regressori nei modelli di regressione lineare, nella dimensione cross-section: Il CAPM risulterà non rifiutato se, sulla base della regressione sopra, il coefficiente a sarà pari al tasso d'interesse privo di rischio , e se il coefficiente b sarà pari al premio per il rischio del portafoglio di mercato. Usando dati dagli anni trenta agli anni sessanta, alcuni ricercatori dimostrarono che il rendimento medio di un portafoglio di azioni è una funzione crescente del beta del portafoglio , una scoperta coerente con il CAPM. In sostanza, qualunque test del CAPM sarebbe per Roll riconducibile all'ipotesi che il portafoglio di mercato, il cui rendimento è indicato da sopra, appartenga alla porzione efficiente della frontiera dei portafogli. Un test del CAPM si tradurrebbe di fatto in un test sull'appartenenza alla frontiera efficiente della particolare proxy del portafoglio di mercato utilizzata. La popolarità del CAPM è essenzialmente legata alla sua semplicità, nonché alla capacità di ricondurre il valore di un titolo a un singolo fattore di rischio, rappresentato dal rischio legato al portafoglio di mercato. Dunque, un investitore può creare un portafoglio abbastanza simile al portafoglio di mercato del CAPM combinando vari fondi indicizzati, ciascuno in proporzione al valore di mercato del mercato cui l'indice fa riferimento. Così, in questo periodo di 60 anni, i rendimenti sono davvero aumentati all'aumentare del beta. Come risulta dalla Figura 3.2, il portafoglio di mercato negli stessi 60 anni ha fornito un rendimento medio di 14 punti percentuali sopra il tasso risk-free e , è ovvio, ha avuto un beta pari a 1. Il CAPM sostiene che il premio per il rischio dovrebbe aumentare in proporzione al beta, in modo che i rendimenti di ciascun portafoglio si collochino sulla linea del mercato azionario inclinata positivamente delle Figure 3.4 e 3.5. Figura 3.4. Premio per il rischio e beta dei dieci investimenti nel periodo 1931-1965 Figura 3.5. Premio per il rischio e beta dei dieci investimenti nel periodo 1966-1991 Poiché il mercato ha fornito un premio per il rischio del 14%, il portafoglio dell'investitore 1, con un beta di 0,49, dovrebbe avere fornito un premio per il rischio leggermente inferiore al 7% e il portafoglio dell'investitore 10, con un beta di 1,52, dovrebbe avere fornito un premio leggermente superiore al 21%. Sia l'APT che il CAPM implicano una relazione crescente tra rendimento atteso e rischio. Inoltre l'APT considera il rischio in maniera più generale rispetto alla semplice covarianza standardizzata o al beta di un titolo con il portafoglio di mercato. Come il CAPM, anche l'Arbitrage Pricing Model scompone il rischio in rischio specifico d'impresa e rischio-mercato. In primo luogo, il rendimento normale o atteso del titolo, cioè la parte del rendimento che gli azionisti sul mercato prevedono o si aspettano. La seconda parte è il rendimento incerto o rischioso del titolo. Nella misura in cui gli azionisti avevano previsto l'annuncio del governo, tale previsione dovrebbe essere incorporata nella parte attesa del rendimento calcolato all'inizio del mese, cioè in . D'altro canto, se l'annuncio del governo è una sorpresa, nella misura in cui influenza il rendimento del titolo azionario farà parte di U, la parte non anticipata del rendimento. La parte non anticipata del rendimento, quella che deriva dalle sorprese, costituisce il vero rischio di ogni investimento. In termini statistici, 4.2. Le fonti del rischio-mercato Il fatto che le componenti non sistematiche dei rendimenti di due società non siano correlate tra loro non implica che anche le componenti sistematiche siano incorrelate. Nonostante il CAPM e l'APM facciano entrambi una distinzione fra rischio specifico d'impresa e rischio-mercato, essi si differenziano poi nell'approccio alla misurazione del rischio-mercato. Il coefficiente beta, β, indica la reazione del rendimento di un titolo azionario a un tipo di rischio sistematico. Nel CAPM il beta misurava la variazione del rendimento di un titolo a uno specifico fattore di rischio, il rendimento del portafoglio di mercato. Viene utilizzato questo termine perché l'indice impiegato come fattore è un indice dei rendimenti dell'intero mercato (azionario). Il modello di mercato può essere quindi espresso come M) + ε dove rappresenta il rendimento del portafoglio di mercato e β è detto coefficiente beta. Considerando Xi la proporzione del titolo i nel portafoglio, sappiamo che la loro somma deve essere pari a 1 e che il rendimento del portafoglio è la media ponderata dei rendimenti delle singole attività nel portafoglio Nel paragrafo precedente abbiamo visto che il rendimento di ciascuna attività è a sua volta determinato sia dal fattore F che dal rischio non sistematico rappresentato da . La prima riga è la media ponderata dei rendimenti attesi dei singoli titoli. Il rendimento di un portafoglio può essere rappresentato come la somma di due medie ponderate: la media ponderata dei rendimenti attesi delle attività nel portafoglio e al media ponderata dei beta associati a ciascun fattore. La componente dei rendimenti specifica della singola impresa (ε) scompare a livello di portafoglio per effetto della diversificazione. Se assumiamo infatti che il portafoglio sia composto da molti titoli tutti presenti nella medesima proporzione , possiamo notare che al crescere del numero dei titoli compresi nel portafoglio la componente del rischio idiosincratico si annulla: Per ogni singola azione ci sono due fonti di rischio. Il premio atteso per il rischio di un'azione dipende dai fattori macroeconomici di rischio e non è influenzato dal rischio specifico. Il portafoglio A ha un beta (rispetto a questo unico fattore) di 2,0 e un rendimento atteso del 20%; il portafoglio B ha un beta di 1,0 e un rendimento atteso del 12%; il portafoglio C ha un beta di 1,5 e un rendimento atteso del 14%. Si noti che investendo la metà del proprio patrimonio nel portafoglio A e la metà nel portafoglio B, si potrebbe ottenere un portafoglio con un beta (sempre rispetto all'unico fattore) pari a 1,5 e un rendimento atteso del 16%. Di conseguenza nessun investitore vorrà investire nel portafoglio C finché non scenderanno i prezzi delle attività in tale portafoglio, portandone così il rendimento atteso al 16%. In alternativa, un investitore può comprare la combinazione dei portafogli A e B, con un rendimento atteso del 16%, e vendere il portafoglio C, con un rendimento atteso del 15%, ottenendo così un profitto pulito dell'1% senza investire nulla e senza assumere alcun rischio. Per impedire tale "arbitraggio", il rendimento atteso di ciascun portafoglio deve essere una funzione lineare del beta. Ogni azione deve offrire un rendimento atteso coerente con il suo contributo al rischio del portafoglio. Secondo l'APM questo contributo dipende dalla sensibilità dei rendimenti dell'azione alle variazioni inattese dei fattori macroeconomici. 5.1. Il tasso di interesse privo di rischio La maggior parte dei modelli di rischio e rendimento in finanza partono da un investimento definito "privo di rischio" e considerano il rendimento atteso da quell'investimento come tasso privo di rischio . I rendimenti attesi da investimenti rischiosi vengono poi calcolati aggiungendo al tasso privo di rischio un premio per il rischio atteso. Abbiamo definito "investimento privo di rischio" un'attività della quale l'investitore conosce con certezza il rendimento atteso. Il rendimento atteso su di un portafoglio pienamente diversificato deve essere misurato in relazione al tasso di rendimento atteso su un titolo privo di rischio . Quando ci riferiamo ai rendimenti (yields) di un titolo di stato come titolo risk-free rate, ci riferiamo al fatto che esso sia privo del rischio di fallimento, riconosciamo però che esso incorpori il maturity risk: la sola parte del rendimento che risulta priva di rischio è dunque la componente degli interessi. Come risultato, l'evidenza empirica di lungo termine è che i rendimenti dei bond a lunga scadenza in media eccedono i rendimenti dei T.Bill. L'horizon premium compensa gli investitori per questo rischio di mercato. Nel primo caso, dovrebbe utilizzare come tasso privo di rischio il tasso di un Treasury Bond statunitense, nel secondo invece un tasso privo di rischio in pesos. Per calcolare un rendimento atteso in termini reali, è necessario partire da un tasso di rischio espresso in termini reali. La soluzione più comune in questi casi (sottrarre al tasso di interesse nominale un tasso di inflazione attesa) fornisce nel migliore dei casi soltanto una stima approssimativa del tasso privo di rischio in termini reali. Nell'approccio basato sul premio per il rischio realizzato, la stima dell'ERP è il premio per il rischio (rendimento azionario realizzato in eccesso rispetto al tasso privo di rischio) che gli investitori hanno, in media, realizzato su periodi di investimento passati. Se i rendimenti periodali dei titoli azionari (ad esempio rendimenti mensili) non sono correlati (i rendimenti di questo mese non sono stati adeguatamente predetti dai rendimenti dell'ultimo mese) e se i rendimenti attesi sono stabili nel tempo, allora la media aritmetica dei rendimenti storici fornisce un'adeguata stima dei rendimenti futuri attesi. Conseguentemente, la media aritmetica dei premi per il rischio realizzati fornisce una stima appropriata dei premi per il rischio futuri attesi (ERP). Differenze nell'approccio per la stima dell'ERP scaturiscono dalla misurazione dei rendimenti attesi sui titoli rischiosi (equity securities). Nell'applicare l'approccio basato sul premio per il rischio realizzato, l'analista seleziona il numero di anni dei rendimenti storici da includere nella media. L'SBBI Yearbook contiene il riassunto dei rendimenti delle azioni e dei titoli di Stato degli USA derivanti da questi dati . (Nel primo periodo, il mercato era composto quasi interamente da titoli bancari, mentre nella metà del diciannovesimo secolo, il mercato era dominato dai titoli delle ferrovie. ) Per questi periodi sono stati assemblati anche i rendimenti dei titoli governativi. La tabella 5.1 fornisce il premio per il rischio medio annuo realizzato da titoli azionari tratti da varie fonti con riferimento a differenti periodi fino al 2006. Si misura il premio per il rischio realizzato confrontando i rendimenti del mercato azionario realizzati durante il periodo con il rendimento dei titoli governativi di lungo termine (o lo yield to maturity per gli anni precedenti il 1926). Dall'osservazione del tabella quello che può risultare sorprendente è che il valore più grande della media aritmetica dei rendimenti annui è quello degli 81 anni dal 1926 al 2006. Per il calcolo dell'ERP viene impiegato il rendimento dei titoli governativi a lungo termine perché in ogni periodo rappresenta il rendimento atteso dei titoli al tempo dell'investimento. Tabella 5.1 Premi per il rischio storici: Rendimenti del mercato azionario – T.Bond 5.3. Il premio per il rischio (risk premium) Il premio per il rischio è un elemento essenziale nel contesto dei modelli di rischio e rendimento. Nel presente paragrafo esamineremo le determinanti fondamentali del premio per il rischio e diversi approcci pratici alla sua stima. Nel CAPM il premio per il rischio misura il rendimento addizionale richiesto in media dagli investitori per spostarsi da un investimento privo di rischio a investimenti rischiosi (il portafoglio di mercato). Ne consegue che il premio per il rischio dovrebbe essere una funzione di due variabili: L'avversione degli investitori al rischio: maggiore l'avversione al rischio, maggiore il premio richiesto dagli investitori. Tale avversione al rischio è in parte congenita, ma dipende anche dalla situazione economica (in un'economia in crescita, gli investitori saranno più propensi ad assumere rischi) e dalla recente performance del mercato (il premio per il rischio tende a salire in seguito a un significativo calo del mercato). Allo stesso modo, nell'APM e nei modelli multifattoriali, i premi per il rischio utilizzati per ciascuno dei fattori saranno pari alla media ponderata dei premi richiesti dai singoli investitori per ciascuno dei fattori. 5.3.1. Equity Premium Puzzle In finanza, l'Equity Premium Puzzle o enigma del premio azionario si riferisce all'osservazione empirica che i rendimenti osservati sui mercati azionari nell'ultimo secolo sono stati superiori a quelli dei titoli di stato; in particolare, il premio per il rischio medio per i titoli azionari nell'ultimo secolo sarebbe pari a circa il 6%, laddove il rendimento medio dei titoli di stato a scadenza breve (considerato una buona approssimazione del rendimento privo di rischio) sarebbe intorno all'1%. La teoria economica suggerisce che gli investitori dovrebbero sfruttare l'evidente opportunità d'arbitraggio rappresentata dalla differenza tra premio per il rischio azionario e rendimento medio dei titoli di stato. Una maggiore domanda provocherebbe a sua volta un aumento dei prezzi medi dei titoli azionari; essendo il rendimento nient'altro che una misura dello scarto tra il prezzo attuale e quello futuro, un aumento del prezzo attuale, ceteris paribus, riduce il rendimento atteso, e con esso il premio per il rischio (dato dalla differenza tra rendimento atteso e tasso di rendimento privo di rischio). In equilibrio, si ridurrebbe dunque lo scarto tra il premio per il rischio dei titoli azionari e il tasso di rendimento privo di rischio, fino al punto in cui tale scarto riflette il premio per il rischio che un investitore rappresentativo richiede per investire nei titoli azionari, caratterizzati da una maggiore rischiosità. Rovesciando questo ragionamento, lo scarto osservato tra i due rendimenti dovrebbe riflettere la valutazione del rischio da parte dell'investitore medio. Gli studiosi che negano l'esistenza del premio per il rischio fondano il proprio convincimento nelle seguenti considerazioni: L'evidenza empirica mostra che negli ultimi quaranta anni (1969-2009) non c'è stato un significativo premio per il rischio azionario sul mercato USA; - Errori di selezione (selection bias) del mercato statunitense: il mercato azionario di maggior successo nel corso del XX° secolo. 5.4.2. Premi storici Il metodo più comune per stimare il premio (o i premi) per il rischio nei modelli di rischio e rendimento è l'estrapolazione da dati storici. Nel CAPM il premio viene calcolato come differenza fra rendimenti medi azionari e rendimenti medi su titoli privi di rischio lungo un esteso periodo di tempo. Nella maggior parte dei casi, questo tipo di approccio consta di tre tappe successive: 1) definire un arco temporale per la stima; 2) calcolare il rendimento medio di un indice azionario e il rendimento medio di un titolo privo di rischio nel periodo in questione; 3) calcolare la differenza fra tali rendimenti e utilizzarla come stima del premio per il rischio atteso per il futuro. La rischiosità media del portafoglio "rischioso" (l'indice azionario nel nostro caso) non sia cambiata in modo sistematico nel tempo. 5.4.3. Premi azionari impliciti Esiste un altro approccio alla stima dei premi per il rischio che non richiede dati storici né correzioni per tenere conto del rischio-Paese. Sottraendo da tale rendimento il tasso privo di rischio, si ottiene un premio implicito per il rischio azionario. Inoltre affinché il premio per il rischio risultasse positivo , dovrebbe verificarsi che: Al fine di illustrare questo metodo, supponiamo che il livello attuale dell'indice S&P 500 sia 900, che il tasso di dividendo atteso sull'indice sia del 2%, e che il tasso di crescita atteso degli utili e dei dividendi nel lungo termine sia del 7%; risolvendo per il rendimento atteso sul capitale netto otteniamo: ; Dato un tasso privo di rischio del 6%, il premio implicito per il rischio azionario sarà pari al 3%. • Risolvendo l'equazione per r, si ottiene una stima del rendimento atteso sul capitale netto pari a 8,39%. Sottraendo da tale stima il tasso dei Treasury Bond (4,02%) si ottiene un premio azionario implicito del 4,37%. Da tali input emerge un rendimento azionario atteso del 10,70% che, se confrontato con il tasso dei Treasury Bond a quella data (4%), implica un premio azionario implicito del 6,70%. Questo fatto ha interessanti implicazioni per la stima del premio per il rischio. Allo stesso modo, il premio del 2% che abbiamo osservato alla fine della bolla speculativa delle società Internet (dot-com boom) degli anni '90 è tornato rapidamente ai livelli medi, durante la correzione del mercato del 2000-2003. Data questa tendenza, possiamo concludere con una migliore stima del premio per il rischio implicito, guardando non solo al premio corrente, ma anche alle linee di tendenza storiche. Tre motivi, tuttavia, spiegano l'esistenza di stime del premio per il rischio così diverse. Ad esempio, data una deviazione standard annuale dei prezzi azionari fra il 1928 e il 2003 pari al 20%, la Tabella 6.1 riporta l'entità dell'errore standard associato alla stima del premio per il rischio in funzione della lunghezza del periodo di stima. Tabella 6.1 Errori standard nelle stime dei premi di rischio La scelta del titolo privo di rischio La banca dati Ibbotson riporta i rendimenti si a dei Treasury Bill sia dei Treasury Bond, sicchè il premio per il rischio degli investimenti azionari può essere stimato rispetto a entrambi. Il tasso privo di rischio alla base della stima del premio deve essere coerente con il tasso privo di rischio utilizzato nel calcolo dei rendimenti attesi. Nella maggior parte dei casi, in finanza aziendale, il tasso privo di rischio rilevante è quello di lungo periodo. Le medie aritmetiche e geometriche Un ultimo elemento di controversia nella stima dei premi storici consiste nel modo in cui calcolare le medie dei rendimenti. La media aritmetica consiste nella semplice media dei rendimenti annuali, mentre la media geometrica si riferisce al rendimento composto. In effetti, se i rendimenti annui non sono correlati nel tempo, la media aritmetica rappresenta la stima più corretta del premio per il rischio atteso per l'anno prossimo. In primo luogo, studi empirici sembrano indicare che i rendimenti degli investimenti azionari sono negativamente correlati nel corso del tempo. Tabella 6.2 Premi di rischio storici (%) del mercato statunitense, 1928-2008 Tirando le somme, le stime del premio per il rischio possono variare a seconda delle differenze in termini di periodo di stima, scelta del titolo di Stato come tasso privo di rischio (a breve o lungo termine), e utilizzo di medie aritmetiche oppure geometriche. Se ci atteniamo al proposito di selezionare un premio basato sulla media geometrica a lungo termine rispetto al tasso dei Treasury Bond a lungo termine, la stima migliore del premio per il rischio sulla base di dati storici è 4,82%. 6.1. Periodicità dei dati storici Anche se accettiamo l'ipotesi che i rendimenti siano effettivamente indipendenti, la media aritmetica dei premi per il rischio realizzati basati su rendimenti di 1 anno potrebbe non essere la migliore stima dei rendimenti futuri. I tradizionali modelli dei rendimenti dei titoli (es. CAPM) sono generalmente modelli uniperiodali che stimano i rendimenti su orizzonti di tempo non specificati. Allora nell'utilizzare i rendimenti realizzati per stimare i rendimenti attesi, dobbiamo calcolare i rendimenti realizzati su periodi di due anni (media geometrica dei rendimenti annui di due anni consecutivi) e poi calcolare la media aritmetica delle medie geometriche dei due anni per ottenere una stima incondizionata dei rendimenti futuri. Gli autori mostrano che l'utilizzo della media geometrica dei rendimenti storici a un anno produce una stima dei rendimenti cumulati che approssima maggiormente la mediana dei rendimenti cumulati (il 50% degli investitori realizzerà un rendimento maggiore di quello mediano e il 50% un rendimento inferiore a quello mediano). Essi dimostrano che la differenza tra la mediana dei rendimenti cumulati ottenuta dall'impiego della media aritmetica rispetto alla media geometrica dei rendimenti storici a un anno aumenta poiché aumenta l'orizzonte d'investimento atteso. 6.2. Selezione del periodo di riferimento Il premio per il rischio realizzato medio risulta essere sensibile al periodo che viene scelto per calcolare tale media. I modelli di rendimento possono cambiare nel tempo. Concentrandosi sul recente passato si ignorano i drammatici eventi storici e il loro impatto sui rendimenti del mercato. Gli anni dal 1942 fino al 1951 furono un periodo di stabilità artificiale dei tassi dei bond statunitensi. Includendo questo periodo nel calcolo dei rendimenti realizzati equivale a valutare i titoli delle linee aere di oggi facendo riferimento ai titoli delle linee aeree prima della deregulation. Tabella 6.4 Premi per il Rischio realizzati sui rendimenti dei T.Bond Se il premio per il rischio medio è cambiato nel corso del tempo, allora la media del rischio realizzato utilizzare la più lunga serie dei dati disponibili diviene discutibile. A partire dalla metà degli anni '50 fino al 1981, i rendimenti dei bond hanno registrato un trend crescente, dettando una generalizzata diminuzione del prezzo dei medesimi. I rendimenti realizzati dai bond erano generalmente più bassi dei rendimenti attesi al momento della loro emissione (l'investitore che avesse venduto prima della scadenza avrebbe registrato una perdita). Dal 1981 i rendimenti dei titoli di Stato hanno iniziato a diminuire, provocando una generalizzata crescita del loro prezzo. Nella tabella 6.5 presentiamo statistiche riassuntive per i rendimenti dei titoli azionari, dei Treasury Bill a 6 mesi e dei Treasury Bond a 10 anni dal 1928 al 2008: Tabella 6.5 Statistiche riassuntive Utilizzando questa tabella possiamo iniziare a stimare un premio per il rischio facendo la differenza tra il rendimento medio delle azioni e il rendimento medio dei titoli di Stato: il premio per il rischio è del 7,30% per le azioni rispetto ai T.Bills (11,09% - 3,79%) e 5,64% per le azioni rispetto ai T.Bonds (11,09% - 5,45%). I premi per il rischio storici per i mercati emergenti possono fornire interessanti spunti di riflessione, ma non possono essere impiegati nei modelli di rischio e rendimento. Consideriamo per prima cosa l'assunzione fondamentale che il premio per il rischio per gli investitori non sia cambiato nel corso del tempo e che l'investimento rischioso medio (nel portafoglio di mercato) sia rimasto stabile nel periodo di tempo esaminato. Nel periodo compreso tra il 1926 e il 2000, gli investimenti in molti degli altri mercati dei capitali avrebbero prodotto premi molto più contenuti rispetto al mercato USA, e alcuni di essi si sarebbero tradotti, per gli investitori, in rendimenti più contenuti o negativi nel corso del periodo. Tabella 6.7 Premi per Rischio storici di differenti mercati: 1900-2005 Dall'analisi della tabella risulta che i premi per il rischio, risultanti dalla media dei 17 mercati, sono più bassi dei premi per il rischio degli Stati Uniti. Per esempio, la media geometrica del premio per il rischio tra i vari mercati è solo del 4,04%, più bassa del 4,52% del mercato USA. La figura 5.1 riporta i premi per il rischio – ossia i rendimenti addizionali – ottenuti investendo in azioni piuttosto che titoli di Stato a breve e lungo termine nel periodo in questione per ciascuno dei diciassette mercati. In Francia, invece, le cifre corrispondenti sarebbero state del 9,27% e del 6,03%. Nella prima parte di questa sezione, rimarremo all'interno del mercato statunitense tentando di apportare delle modifiche al premio per il rischio facendo riferimento a specifiche caratteristiche dell'impresa (la capitalizzazione del mercato rappresenta l'esempio più comune). Nella seconda parte, estendiamo l'analisi osservando mercati emergenti come Asia, America Latina e Europa orientale, provando l'approccio basato sulla stima del premio per il rischio Paese che aumenta poi il premio per il rischio statunitense. Il primo si riferisce a se ci dovrebbe essere un premio per il rischio addizionale quando si valutano i titoli in questi mercati, dovuto al rischio Paese. Il secondo quesito si ricollega invece alla stima del premio per il rischio dei mercati emergenti. L'altro è considerare i rendimenti eccedenti come l'evidenza che i beta sono misure inadeguate del rischio e come compensazione del rischio tralasciato. Per giungere a questo premio gli analisti fanno riferimento ai dati storici sui rendimenti degli small cap stocks e del mercato, aggiustato per il beta risk, e attribuiscono il rendimento eccedente allo small cap effect. Tabella 6.8 Excess Returns per classi del valore di mercato: titoli USA 1927-2007 Se si aggiunge al costo del capitale delle piccole imprese uno small cap premium del 4-5%, senza attribuire tale premio ad un rischio specifico, siamo esposti al pericolo di conteggiare doppiamente tale rischio. 6.5.2. Il Premio per il Rischio Paese Per molti mercati emergenti, sono disponibili pochissimi dati storici, e quelli che esistono sono troppo volatili per giungere a una stima sensata del premio per il rischio. In questi casi, il premio per il rischio può essere così calcolato: Il premio per il rischio-Paese riflette il rischio addizionale associato a un mercato specifico. Per determinare il premio base per un mercato azionario maturo è opportuno fare riferimento al mercato azionario statunitense che, oltre ad essere il mercato finanziario più efficiente, offre dati storici sufficienti a ottenere una stima ragionevole del premio per il rischio. 1. Gli analisti che utilizzano i differenziali per il rischio di insolvenza come misure del rischio-Paese di solito li sommano sia al costo del capitale netto sia a quello del debito di ciascuna impresa quotata nel Paese in questione. Per esempio, il costo del capitale netto di una impresa brasiliana, stimato in dollari statunitensi, sarà del 2,15% maggiore del costo del capitale netto di un'impresa statunitense simile. Dato un premio per il rischio per i mercati azionari maturi (Stati Uniti) del 4,00% e un tasso privo di rischio del 3,80% (Treasury Bond statunitensi), il costo del capitale netto di una società brasiliana con un beta di 1,2 può essere stimato nel modo seguente: Alcuni analisti sommano il differenziale per il rischio di insolvenza al premio per il rischio statunitense, moltiplicando la somma così ottenuta per il beta. Questo procedimento risulta in un maggiore (minore) costo del capitale netto per le imprese con beta maggiore (minore) di 1. Volatilità del mercato azionario rispetto a mercati azionari maturi Alcuni analisti ritengono che i premi per il rischio azionario dei mercati debbano riflettere le differenze in termini di volatilità fra i diversi mercati. Una misura convenzionale del rischio azionario è la deviazione standard dei prezzi azionari: deviazioni standard più elevate indicano di solito un rischio maggiore. Questa deviazione standard relativa, moltiplicata per il premio utilizzato per le azioni statunitensi, fornisce una possibile stima del premio per il rischio totale di un mercato. Se assumiamo una relazione lineare tra il premio per il rischio e la deviazione standard del mercato azionario, oltre alla possibilità di calcolare il premio per il rischio del mercato statunitense (utilizzando ad esempio dati storici), allora il premio per il rischio del Paese X è: Assumiamo, per il momento, di utilizzare per gli Stati Uniti un premio per il rischio del 4%. La tabella 6.9 elenca i dati della volatilità del Paese per alcuni mercati emergenti ed i risultanti premi per il rischio totale e Paese per questi mercati, basato sull'assunzione che il premio per il rischio degli Stati Uniti sia del 4%. Tabella 6.9 Volatilità del mercato azionario e Premi per il rischio Per esempio, il premio per il rischio della Cina è 5,52%, utilizzando questo approccio, ben al di sopra del premio per il rischio di Nigeria, Namibia e Egitto, ognuno dei quali dovrebbe essere un mercato rischioso quanto la Cina. Differenziali per il rischio di insolvenza + volatilità del mercato rispetto ai titoli di Stato I differenziali per il rischio di insolvenza del Paese associati ai rispettivi rating, pur rappresentando una prima tappa importante, misurano soltanto il premio per il rischio di insolvenza. Per capire di quanto, si può calcolare la volatilità del mercato azionario di un Paese rispetto alla volatilità dei titoli di Stato utilizzati per la stima del premio per il rischio azionario del Paese. A titolo illustrativo, prendiamo il caso del Brasile. Il premio addizionale per il rischio azionario del Paese che ne risulta per il Brasile è il seguente: Va notato che il premio per il rischio del Paese aumenterà al crescere del differenziale per il rischio di insolvenza del Paese e della volatilità del mercato azionario. Inoltre, va ricordato che esso va sommato al premio per il rischio azionario di un mercato maturo. I primi due approcci per la stima dei premi per il rischio del Paese tendono a risultare in una stima più bassa rispetto al terzo. Nel caso del Brasile, per esempio, i premi per il rischio del Paese vanno dal 2,76% (secondo approccio), al 6,01% (primo approccio), fino a un picco del 4,43% (terzo approccio). Va ricordato che l'unico rischio rilevante ai fini della stima del costo del capitale netto è il rischio di mercato, ossia il rischio non diversificabile. Se, al contrario, i mercati azionari dei Paesi si muovono nella stessa direzione, il rischio-Paese avrà una componente di rischio di mercato no diversificabile e per la quale è necessario un premio. 7. PARAMETRI DI RISCHIO Gli ultimi dati di cui abbiamo bisogno per mettere in pratica i nostri modelli di rischio e rendimento sono i parametri di rischio per una specifica attività. Nel CAPM il beta di un'attività deve essere stimato rispetto al portafoglio di mercato. Nel contesto del CAPM, il beta viene poi ottenuto esaminando la relazione fra questi rendimenti e i corrispondenti rendimenti di un indice del mercato azionario. Infine, nell'APM è l'analisi fattoriale dei rendimenti azionari a fornire i vari beta. 7.1.1. Procedura per la stima dei parametri del CAPM Il beta di un'attività può essere stimato come coefficiente di una regressione dei rendimenti di una singola azione (Rj) sui rendimenti del mercato azionario (Rm). L'intercetta della regressione fornisce una semplice misura della performance effettivamente ottenuta nell'arco temporale analizzato, rispetto alla performance attesa alla luce del CAPM. Dal punto di vista finanziario va interpretato come proporzione del rischio complessivo di un'azione (varianza) attribuibile al rischio di mercato; ne segue che la differenza (1-R2) indica invece la proporzione del rischio complessivo di un'azione attribuibile al rischio specifico d'impresa. Un ultimo dato statistico di interesse è l'errore standard della stima del beta. La prima riguarda la durata del periodo di stima. 7.1.2. Procedura di stima dei parametri di rischio nell'APM e nel modello multifattoriale Come il CAPM, anche l'APM considera solo il rischio non diversificabile; tuttavia, nella misurazione del rischio, a differenza del CAPM, l'APM tiene conto di una molteplicità di fattori economici. Sebbene il processo di stima dei parametri di rischio sia diverso, molti problemi legati alle determinanti del rischio nel CAPM si presentano anche per l'APM. La derivazione del beta dai fondamentali rappresenta un approccio alternativo alla stima del beta, in cui si dà minore rilievo alla stima basata su dati storici e maggiore rilievo all'intuizione economica. Intensità della leva finanziaria (financial leverage) Il beta delle attività dell'impresa è la media ponderata del beta del capitale netto (rischio a carico degli azionisti) e del beta del debito (rischio a carico degli obbligazionisti). A parità di condizioni, a un aumento della leva finanziaria (cioè del rapporto d'indebitamento ) seguirà un aumento del rischio a carico degli azionisti (e quindi del beta del capitale netto). Il beta dell'insieme di due attività è la media ponderata del beta di ciascuna attività, con i pesi proporzionali al loro valore di mercato. 1. Calcolare il beta unlevered dell'impresa come media ponderata dei beta unlevered delle varie attività, usando come pesi la percentuale del valore di mercato dell'impresa rappresentata da ciascuna attività.
0 ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO: "Analisi degli ambiti prioritari di domanda e offerta di tecnologie per la "Fabbrica Intelligente"" 0.1 Cenni Teorici sull'attività di Project Management La parola "Progetto" è utilizzata per indicare compiti e attività in apparenza molto diverse tra loro, basti pensare ad un progetto di ricerca e ad un progetto di costruzione di un edificio: due attività assai diverse e formalmente senza punti in comune. Al fine di approfondire i concetti legati al progetto in esame, sarebbe utile definire in maniera più precisa cosa si intende con la parola "progetto". Sin dai primi studi di Taylor e Gantt ad inizio del 1900 si è cercato di dare una definizione chiara del termine, arrivando a definirlo come: "Un insieme di persone e di altre risorse temporaneamente riunite per raggiungere uno specifico obiettivo, di solito con un budget determinato ed entro un periodo stabilito" (Graham, 1990) "Uno sforzo complesso, comportante compiti interrelati eseguiti da varie organizzazioni, con obiettivi, schedulazioni e budget ben definiti" (Russel D. Archibald, 1994) "Un insieme di sforzi coordinati nel tempo" (Kerzner, 1995) "Uno sforzo temporaneo intrapreso per creare un prodotto o un servizio univoco" (PMI – Project Management Institute, 1996) "Un insieme di attività complesse e interrelate, aventi come fine un obiettivo ben definito, raggiungibile attraverso sforzi sinergici e coordinati, entro un tempo predeterminato e con un preciso ammontare di risorse umane e finanziarie a disposizione." (Tonchia, 2007) È da notare che, a prescindere dall'organizzazione e dal settore di riferimento, un progetto è caratterizzato da alcuni elementi distintivi: • un obiettivo da raggiungere con determinate specifiche; • un insieme di attività tra loro coordinate in modo complesso; • tempi di inizio e fine stabiliti; • risorse normalmente limitate (umane, strumentali e finanziare); • carattere pluridisciplinare o multifunzionale rispetto alla struttura organizzativa. La specificità dell'obiettivo determina l'eccezionalità del progetto rispetto alle attività ordinarie e quindi l'assenza di esperienze precedenti. Le organizzazioni, siano esse imprese, enti pubblici o Università, svolgono appunto due tipologie di attività con caratteristiche distinte: 1. funzioni operative; 2. progetti. Talvolta le due categorie presentano aree comuni e condividono alcune caratteristiche: • sono eseguiti da persone; • sono vincolati da risorse limitate; • sono soggetti a pianificazione, esecuzione e controllo. Nonostante queste caratteristiche comuni, progetti e funzioni operative hanno obiettivi diversi tra loro: il progetto infatti è di natura temporanea e ha lo scopo di raggiungere il proprio obiettivo e quindi concludersi, la funzione operativa invece è di natura ripetitiva e fornisce un'azione di supporto continuativo all'azienda. Un progetto indipendentemente dal settore e dall'organizzazione nel quale si sviluppa, ha 3 vincoli fondamentali tra loro in competizione: • qualità o prestazioni; • tempo; • costo. Per di più se il progetto è commissionato da un cliente esterno sarà presente un quarto vincolo, ovvero le buone relazioni tra l'organizzazione e il cliente, è chiaro infatti che è tecnicamente possibile gestire un progetto rispettando i primi tre vincoli senza coinvolgere il cliente, ma così vengono pregiudicati i futuri business. Le principali caratteristiche di un progetto sono: 1. Temporaneità: Ogni progetto infatti ha come detto una data di inizio e di fine definite, e quest'ultima viene raggiunta quando: a. gli obiettivi del progetto sono stati raggiunti; b. è impossibile raggiungere gli obiettivi; c. il progetto non è più necessario e viene chiuso. Temporaneità non significa che un progetto ha breve durata, i progetti infatti possono durare anche diversi anni, l'importante è comprendere che la durata di un progetto è definita con l'obiettivo di creare risultati duraturi. La natura temporanea dei progetti può essere applicata anche ad altri aspetti: - l'opportunità o finestra di mercato è generalmente temporanea; - come unità lavorativa, raramente il gruppo di progetto sopravvive dopo il progetto, il gruppo infatti realizzerà il progetto e alla conclusione di questo verrà sciolto, riassegnando il personale ad altri progetti. 2. Prodotti, servizi o risultati unici: Un progetto crea prodotti, servizi o risultati unici. I progetti solitamente creano: - un prodotto finale o un componente di un prodotto; - un servizio; - un risultato, come degli esiti, dei documenti e report. L'unicità è un'importante caratteristica degli output di un progetto. 3. Elaborazione progressiva: con questa espressione si intende lo sviluppo in fasi, organizzate attraverso una successione incrementale per tutto il ciclo di vita del progetto, infatti man mano che un Project Team (Gruppo di Progetto) approfondisce la conoscenza del progetto è anche in grado di gestirlo ad un maggiore livello di dettaglio e sarà in grado di arricchirlo di maggiori dettagli via via che il Team sviluppa delle conoscenze sul settore. L'attività di Gestione del Progetto o Project Management è l'applicazione di conoscenze, abilità, strumenti e tecniche alle attività di progetto al fine di soddisfarne i requisiti, dove il Project Manager (PM) è la persona incaricata del raggiungimento degli obiettivi di progetto. La gestione di progetto include: • identificare i requisiti; • fissare obiettivi chiari e raggiungibili; • adattare specifiche di prodotto, piani e approccio alle diverse aree di interesse e alle diverse aspettative dei vari stakeholder. • individuare il giusto equilibrio tra le esigenze di qualità, ambito, tempo e costi, che sono in competenza tra di loro. Nella gestione dei progetti infatti, è costante lo sforzo atto a bilanciare i tre vincoli (qualità e prestazioni, tempi e costi), poiché i progetti di successo sono quelli che consegnano il prodotto, il servizio o il risultato richiesti nell'ambito stabilito, entro il tempo fissato e rimanendo entro i limiti del budget definito, infatti la variazione anche di uno solo dei tre vincoli implica che almeno un altro ne risulta influenzato. Il PM si occupa inoltre di gestire i progetti tenendo conto dei rischi intrinseci di un progetto, ossia eventi o condizioni incerte che, se si verificano, hanno un effetto o positivo o negativo su almeno uno degli obiettivi di progetto. Una Gestione dei Progetti efficace ma allo stesso tempo efficiente, può essere definita quindi come il raggiungimento degli obiettivi del progetto al livello di prestazioni o qualità desiderate, mantenendosi nei tempi e nei costi previsti e utilizzando senza sprechi le risorse disponibili. Tutto ciò è fondamentale che sia conforme al desiderio del cliente, infatti nei casi in cui un progetto è commissionato da un cliente esterno, le relazioni con quest'ultimo diventano un ulteriore vincolo di progetto e quindi Il successo di un progetto si raggiunge con quanto detto sopra e con l'accettazione da parte del cliente. Raramente i progetti vengono completati rispettando l'obiettivo originale, spesso infatti con l'avanzamento del progetto alcune modifiche sono inevitabili, e se non gestite in maniera opportuna possono anche affossare il progetto e il morale di chi ci lavora. Perciò è necessario un accordo reciproco tra PM e cliente relativo ai cambiamenti degli obiettivi, che comunque devono essere minimi e sempre approvati. È da ricordare infine che i PM devono gestire i progetti in base alle linee guida dell'azienda a cui fanno riferimento, rispettando procedure, regole e direttive dell'organizzazione, altrimenti si rischia che il PM venga considerato come un imprenditore autonomo, finalizzato esclusivamente al raggiungimento dei suoi obiettivi, rischiando così di modificare il flusso di lavoro principale dell'organizzazione. 0.2 Scopo del Progetto Sotto il suggerimento della Commissione Europea, tutte le Regioni degli Stati membri dell'UE, sono state invitate a stilare un documento nel quale si definisca la propria Smart Specialisation Strategy SSS , al fine di favorire lo sviluppo delle politiche di coesione delle regioni e degli stati membri, da finanziare con i Fondi Strutturali per il periodo 2014-2020. Il concetto indica Strategie d'innovazione concepite a livello regionale ma valutate e messe a sistema a livello nazionale con l'obiettivo di: • evitare la frammentazione degli interventi e mettere a sistema le politiche di ricerca e innovazione; • sviluppare strategie d'innovazione regionali che valorizzino gli ambiti produttivi di eccellenza tenendo conto del posizionamento strategico territoriale e delle prospettive di sviluppo in un quadro economico globale. In linea con le direttive comunitarie e in coerenza con quanto indicato nella SSS della Regione Toscana, IRPET Regione Toscana ha incaricato quindi il Consorzio QUINN a redigere un report denominato "Analisi degli ambiti prioritari di domanda e offerta di tecnologie per la "Fabbrica Intelligente"", affinché venga delineato il panorama delle imprese regionali che fanno uso di queste tecnologie, al fine di erogare in una seconda fase dei finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo, in particolare quelli gestiti nell'ambito dei fondi strutturali che svolgono un ruolo rilevante come promotori dell'innovazione tecnologica. La "Fabbrica Intelligente" infatti rappresenta una delle 9 aree tecnologiche individuate dal Bando «Cluster Tecnologici Nazionali» presentato dal MIUR il 30 maggio 2012, e definita come strategica per la competitività del Paese. Nella SSS regionale, l'ambito prioritario legato alle tecnologie per la Fabbrica Intelligente si rivolge alle tecnologie dell'automazione, della meccatronica e della robotica. Ai fini degli obiettivi della SSS queste tre discipline concorrono in maniera integrata a sviluppare soluzioni tecnologiche funzionali all'automazione dei processi produttivi, in termini di velocizzazione, sicurezza e controllo, della sostenibilità ed economicità degli stessi, nonché dell'estensione della capacità di azione. Per un più semplice inquadramento definitorio, le tecnologie di questi tre settori vengono di seguito approfonditi e descritti in maniera distinta. 1. AUTOMAZIONE : Per "automazione" si intende lo sviluppo di sistemi, strumentazioni, processi ed applicativi che consentono la riduzione dell'intervento dell'uomo sui processi produttivi. L'automazione in tal senso si realizza mediante soluzioni di problemi tecnici legati all'esecuzione di azioni in maniera ripetuta, nella semplificazioni di operazione complesse, nell'effettuazione di operazioni complesse in contesti incerti e dinamici con elevato livello di precisione. Il concetto di automazione assume un carattere estensivo di integrazione di tecnologie e di ambiti applicativi (dal laboratorio, alla fabbrica intelligente), mantenendo il focus sul controllo automatico dei processi. 2. MECCATRONICA : La "meccatronica" è una branca dell'ingegneria che coniuga sinergicamente più discipline quali la Meccanica, l'elettronica, ed i sistemi di controllo intelligenti, allo scopo di realizzare un sistema integrato detto anche sistema tecnico. Inizialmente la meccatronica è nata dalla necessità di fondere insieme la meccanica e l'elettronica, da cui il nome. Successivamente l'esigenza di realizzare sistemi tecnici sempre più complessi ha portato alla necessità di integrare anche le altre discipline per applicazioni industriali robotiche e di azionamento elettrico. 3. ROBOTICA : Come ramo della cibernetica rivolto alle tecniche di costruzione (ed i possibili ambiti di applicazioni) dei robot, la robotica è la disciplina dell'ingegneria che studia e sviluppa metodi che permettano a un robot di eseguire dei compiti specifici riproducendo il lavoro umano. La robotica moderna si è sviluppata perseguendo principalmente: a) l'autonomia delle macchine; b) la capacità di interazione/immedesimazione con l'uomo e i suoi comportamenti. 0.3 Stakeholder del Progetto La definizione stakeholder o portatori di interesse fu elaborata nel 1963 al Research Institute dell'Università di Stanford da Edward Freeman, definendoli come i soggetti senza il cui supporto l'impresa non è in grado di sopravvivere. Gli stakeholder di un progetto sono persone o strutture organizzative coinvolte attivamente nel progetto o i cui interessi possono subire effetti dell'esecuzione o dal completamento del progetto, possono quindi avere influenza sugli obiettivi e sui risultati del progetto. Ignorare gli stakeholder può portare a conseguenze negative sui risultati del progetto, il loro ruolo infatti può avere sia un impatto negativo che positivo sul progetto: gli stakeholder positivi sono quelli che traggono vantaggi dalla buona riuscita del progetto, è quindi vantaggioso supportarne gli interessi, mentre i negativi sono quelli che vedono risultati sfavorevoli dalla buona riuscita del progetto, gli interessi di questi ultimi avrebbero la meglio con un aumento dei vincoli sull'avanzamento del progetto. Solitamente gli stakeholder principali in un progetto sono rappresentati da: • Project Manager: persona responsabile della gestione del progetto; • Cliente/utente: persona o struttura organizzativa che utilizzerà il prodotto del progetto; • Membri del Team di progetto: membri del gruppo incaricati all'esecuzione del progetto; • Sponsor: persona o gruppo che fornisce le risorse necessarie al progetto; • Soggetti influenti: persone o gruppi che sono non direttamente collegati con l'acquisto o l'uso del prodotto ma che, a causa della posizione ricoperta nella struttura organizzativa del cliente, possono influire positivamente o negativamente sul corso del progetto. Il compito di gestire le aspettative degli stakeholder va al Project Manager, spesso ciò non è semplice a causa dei differenti e contrastanti obiettivi degli stakeholder. Nel presente progetto gli stakeholder coinvolti nelle varie attività possono quindi essere ricondotti a quattro soggetti o gruppi: • Ente Committente: IRPET; • Ente Incaricato: Consorzio QUINN; • Team di Progetto; • Regione Toscana. 0.3.1 IRPET: ISTITUTO REGIONALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELLA TOSCANA L'IRPET, nato nel 1968 come organo tecnico-scientifico del CRPET (Comitato regionale per la programmazione economica della Toscana) con la finalità di compiere gli studi preliminari all'istituzione dell'ente Regione, è diventato Ente pubblico con legge della Regione Toscana nel 1974. L'Istituto è ente di consulenza sia per la Giunta che per il Consiglio regionale per lo svolgimento di compiti di studio e ricerca in materia di programmazione. Sono compiti dell'Istituto, in particolare: a) lo studio della struttura socio economica regionale e delle sue trasformazioni, degli andamenti congiunturali e dei relativi strumenti analitici; b) lo studio della struttura territoriale regionale e delle sue trasformazioni e dei relativi strumenti analitici; c) lo studio delle metodologie di programmazione, di valutazione e di verifica delle politiche; d) gli studi preparatori per gli atti della programmazione regionale e per il piano di indirizzo territoriale regionale in ordine ai problemi economici, territoriali e sociali; d bis) elaborazione dei documenti o rapporti di valutazione dei programmi nazionali e dell'Unione europea gestiti dalla Regione Toscana, di cui agli articoli 10, comma 5, e 12 della legge regionale 2 agosto 2013, n. 44 (Disposizioni in materia di programmazione regionale). e) la circolazione delle conoscenze e dei risultati di cui alle lettere a) b) e c). L'Istituto, nell'ambito delle medesime materie, può altresì svolgere altre attività di studio, ricerca e consulenza su committenza di soggetti pubblici e privati diversi dalla Regione, e inoltre: • stabilisce relazioni con enti di ricerca, anche esteri, istituti specializzati, dipartimenti universitari; • assume iniziative di formazione specialistica nelle discipline oggetto dell'attività dell'Istituto. 0.3.2 QUINN: CONSORZIO UNIVERSITARIO IN INGEGNERIA PER LA QUALITÀ E L'INNOVAZIONE Istituito nel 1989 su iniziativa dell'Università di Pisa con l'adesione di numerose grandi imprese italiane e riconosciuto dal MURST (oggi MIUR) con Decreto del 1991, l'attuale QUINN: Consorzio Universitario in Ingegneria per la Qualità e l'Innovazione viene costituito inizialmente con il nome "Qualital" allo scopo di far collaborare un gruppo di grandi imprese nella ricerca applicata e nella formazione manageriale in una disciplina in forte crescita, il Total Quality Management ed in particolare l'ingegneria dei processi aziendali. Nel 2005 alla missione originaria se ne affianca un'altra: l'innovazione. Cambia il nome: Quinn, Consorzio Universitario in Ingegneria per la Qualità e l'Innovazione, ma resta l'approccio rigoroso: sviluppare metodologie e strumenti di supporto ai processi innovativi derivanti dalla migliore ricerca e dalle esperienze più avanzate a livello internazionale. Il Consorzio con sede a Pisa, non ha fine di lucro; esso mira a creare sinergie tra le competenze del suo staff e dei partner accademici e le capacità operative delle Imprese industriali, delle Organizzazioni pubbliche e private operanti nella produzione di beni e servizi, allo scopo di promuovere e svolgere: • ricerca applicata e sperimentazione on field di metodologie e strumenti per il miglioramento della qualità di prodotti e servizi; • progetti di rilievo nazionale ed internazionale finalizzati allo sviluppo scientifico e tecnologico dell'ingegneria della qualità e dell'innovazione. Per quanto concerne la ricerca applicata le linee strategiche seguite riguardano: • Metodiche, strumenti per l'innovazione, la qualità, il miglioramento delle performance aziendali; • Gestione per Processi sviluppata in contesti diversificati; • Sistemi Integrati Qualità, Ambiente, Sicurezza, Sostenibilità. Il Consorzio QUINN è una struttura professionale con al vertice un rappresentante della componente accademica dell'Università di Pisa (discipline ingegneristiche) e gestito dal Direttore operativo con comprovata esperienza manageriale. QUINN opera quindi con un pool di professionisti che, con background multidisciplinare e approccio per «commessa», presidiano i principali ambiti di intervento: • il recupero di efficienza dei processi organizzativi; • la capitalizzazione dell'ascolto dei clienti e delle lessons learned; • il miglioramento continuo delle performance di unità operative e key people; • l'evoluzione dei sistemi di gestione Qualità, Ambiente e Sicurezza verso la sostenibilità. I componenti del pool, oltre ad operare personalmente sul campo, attivano collaborazioni con esperti del mondo della ricerca e delle professioni, per portare a termine progetti e ricerche che creino valore tangibile per i Committenti. Gli incarichi di QUINN si caratterizzano per la relativa non convenzionalità degli obiettivi assegnati, dei metodi di lavoro utilizzati e per l'interdisciplinarietà delle competenze richieste; costante è la flessibilità di approccio per rispondere ad esigenze che evolvono anche durante l'iter progettuale e l'attenzione a coinvolgere le risorse del Cliente che possono contribuire al risultato finale. Tra le linee di intervento a supporto dell'Innovazione attivate da QUINN negli ultimi 15 anni evidenziamo i "Servizi di supporto alle Policy pubbliche", che per la realizzazione di interventi di supporto alle policy regionali toscane (2010-2014) per l'innovazione delle imprese si sono articolate in: • Organizzazione e gestione di un percorso d'incontri per i centri servizi e di trasferimento tecnologico aderenti alla Tecnorete della Regione Toscana; • Revisione catalogo dei servizi avanzati e qualificati, sua estensione all'internazionalizzazione; • Analisi del concetto e di esperienze di Dimostratore Tecnologico; • Linee guida per la Divulgazione Tecnologica nel Trasferimento Tecnologico; • Linee guida per la valutazione della performance dei laboratori di ricerca e trasferimento tecnologico e laboratori di prova/analisi; • Linee guida alle attività di Business-Matching / Matchmaking; • Studio di fattibilità per una società di seed capital per Toscana Life Sciences e collaborazione con le attività di incubazione di Siena (2006); • Studi di fattibilità per le policy di sostegno alla nascita di nuove imprese innovative - CCIAA Lodi, ARTI/Regione Puglia (2007- 2008); • Indagine sul sistema dei Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani (2010); • Studio di fattibilità dell'incubatore universitario di Sesto Fiorentino (2009); • Progettazione condivisa con gli attori territoriali del progetto Innovation Building a Prato (2009); • Ricerca sulla nuova imprenditorialità e attrazione di investimenti nel distretto della nautica della Spezia (2007-2008); • Attività di supporto all'Incubatore tecnologico di Firenze finalizzate alla ricerca e accoglimento di nuove imprese (2007); • Analisi di opportunità di nuove imprese innovative derivanti dalla costruzione di un nuovo ospedale (2006-2007). 0.4 Fasi del Progetto La Pianificazione del Progetto, nell'ottica di un'efficace Project Management, è stata svolta suddividendo il progetto in fasi al fine di poter effettuare un miglior controllo. I passaggi da una fase all'altra del progetto, che rappresentano il ciclo di vita del progetto, comportano generalmente una forma di trasferimento tecnico o comunque un passaggio di consegne, dove gli output ottenuti da una fase a monte, prima di essere approvati per procedere alla fase a valle vengono analizzati per verificarne completezza e accuratezza. Quando si ritiene che i possibili rischi sono accettabili, può essere che una fase venga iniziata prima dell'approvazione dei deliverable della fase precedente. Per fasi si intendono sequenze identificabili di eventi composti da attività coerenti che producono risultati definiti e che costituiscono l'input per la fase successiva. Le fasi standard identificabili nella maggior parte dei progetti sono: • Concezione e Avvio del Progetto; • Pianificazione; • Esecuzione e Controllo; • Chiusura. In sostanza il ciclo di vita del progetto definisce quale lavoro tecnico deve essere svolto in ciascuna fase, quando devono essere prodotti i deliverable in ciascuna fase e come ciascun deliverable deve essere analizzato, verificato e convalidato, chi è coinvolto in ciascuna fase e come controllare e approvare ciascuna fase. Le fasi che hanno portato alla redazione del report, nel quale le informazioni raccolte sul campo sono state organizzate in modo tale da consentire l'inquadramento del fenomeno della Fabbrica Intelligente in Toscana, sono così individuabili: • FASE 0: Fase Preliminare Dopo aver ricevuto l'incarico da parte di IRPET per la redazione del report, il QUINN ha analizzato la fattibilità del progetto, in modo da prevenire un rischio di insuccesso e dare concretezza all'idea progettuale, e una volta verificata ha redatto la propria Offerta Tecnica. Dopo l'accettazione dell'Offerta da parte dell'Ente Committente, QUINN ha costituito il Team di Progetto incaricato a svolgere le attività progettuali, assegnando a ciascun componente le proprie responsabilità e mansioni. Grazie all'utilizzo di tecniche efficaci per la pianificazione, sono state programmate nel dettaglio tutte le attività da svolgere, al fine di completare il report entro il termine fissato. • FASE 1: Comprensione del Contesto di riferimento In questa fase l'obiettivo centrale era rappresentato dalla comprensione del contesto del progetto, il Team di Progetto rispetto al contesto imprenditoriale italiano ha svolto un'analisi interna e una esterna, che hanno permesso di inquadrare il tema della "Fabbrica Intelligente". Partendo dalle origini prettamente letterarie del concetto, è stata illustrata l'evoluzione industriale che ha preceduto questo fenomeno, successivamente sono stati analizzati i macro trend socio-economici che hanno maggiore impatto sull'industria che stanno caratterizzando l'attuale scenario industriale, concludendo infine con la presentazione delle varie iniziative comunitarie e nazionali a sostegno della ripresa manifatturiera attraverso la "Fabbrica Intelligente". • FASE 2: Esplorazione del Concetto nel Panorama Internazionale Durante questa fase, svolta quasi in parallelo con la precedente, sono state analizzate le varie declinazioni al concetto di Fabbrica Intelligente e congiuntamente ricercati i trend e le tecnologie abilitanti. Attraverso un esercizio di Forecasting Tecnologico, osservando molteplici studi condotti da un altrettanto numero di esperti, sono stati identificati i trend attuali e quelli emergenti connessi alla Fabbrica Intelligente, con i conseguenti impatti sulle aziende e sulla forza lavoro. Alla fine sono stati ricercati alcuni casi di Fabbrica Intelligente, o di Industria 4.0 che dir si voglia, sviluppati da diverse aziende nel mondo. • FASE 3: Studio dell'Applicazione del Modello nella Regione Toscana Nello svolgimento di questa fase, si è passati allo studio degli ambiti prioritari della domanda e dell'offerta di tecnologie per la Fabbrica Intelligente nella Regione Toscana, per come identificata all'interno della SSS, focalizzandoci sulle tecnologie connesse all'automazione, alla meccatronica e alla robotica. Successivamente si è passati ad individuare possibili legami tra gli ambiti tecnologici analizzati e lo sviluppo di soluzioni tecnologiche funzionali ai processi produttivi, "in termini di velocizzazione sicurezza e controllo dei processi, della sostenibilità ed economicità degli stessi, nonché dell'estensione della capacità di azione". Si è arrivati infine a delineare il panorama della diffusione del modello della Fabbrica intelligente nelle imprese del sistema produttivo toscano, grazie all'analisi della diffusione fra le aziende produttrici e utilizzatrici delle tecnologie correlate, attraverso il merging di due DB di imprese Toscane stilati da enti qualificati, interviste in profondità e telefoniche, e infine attraverso l'organizzazione di due Focus Group. • FASE 4: Realizzazione Conclusiva del Report La quarta e ultima fase ha portato alla redazione finale del report, nel quale le informazioni sia di carattere quantitativo, ma soprattutto qualitativo raccolte sul campo sono state elaborate in maniera tale da evidenziare la diffusione del fenomeno nel tessuto produttivo toscano. I risultati conseguenti all'elaborazione di tali informazioni risultano essere: - la descrizione di casi studio sia di utilizzatori che di sviluppatori, con la presentazione delle peculiarità di adozione delle tecnologie che prefigurano possibili modelli di adozione alla Fabbrica intelligente; - la mappatura della diffusione delle tecnologie abilitanti della Fabbrica intelligente in Toscana con riferimento alle imprese utilizzatrici; - inquadramento del livello di maturità dei diversi settori produttivi toscani rispetto alle tecnologie target identificate dal Cluster Fabbrica Intelligente; - raccomandazioni di policy. 0.5 Strumenti e Tecniche utilizzate nell'ambito del Progetto Per una più facile comprensione dei contenuti, in questo paragrafo vengono descritti in forma teorica gli strumenti e le tecniche gestionali, che il Team di Progetto ha utilizzato per lo svolgimento delle attività progettuali, elencandoli in funzione dell'impiego nelle diverse fasi del progetto. Nel proseguo del lavoro, dove verranno presentati i contenuti del report, saranno illustrate le modalità operative realmente avviate nell'applicazione dei vari strumenti. 0.5.1 FASE 0: FASE PRELIMINARE In questa fase preliminare il PM detiene la responsabilità della pianificazione, integrazione ed esecuzione dei piani. La pianificazione, ovvero il P nella logica PDCA, è fondamentale a causa della breve durata del progetto e per l'assegnazione delle risorse. L'integrazione risulta altrettanto importante, altrimenti ogni soggetto sviluppa la propria pianificazione senza tener conto degli altri. La pianificazione è la definizione di cosa fare, quando va fatto e da chi; è destinata in linea teorica a: • "acquisire" gli obiettivi del processo; • individuare le fasi o meglio processi, diretti ed indiretti, che consentono di raggiungere gli obiettivi prefissati ovvero stesura della "mappa" di processi e delle interazioni; • scegliere metodi per il do, il check e l'act, il personale, i materiali e/o le informazioni, le macchine/tecnologie e/o attrezzature per ogni processo operativo aggredibile; • provare, sperimentare, verificare là dove non si sa; • emettere specifiche, standard; • occuparsi delle eventuali attività di comunicazione e addestramento. Per un PM è fondamentale utilizzare tecniche di pianificazione efficaci, e di seguito sono descritte quelle utilizzate durante tutte le fasi del progetto: • Work Breakdown Structure (WBS); • Matrice RACI; • Diagramma di Gantt; • Flow Chart (FC). 0.5.1.1 Work Breakdown Structure (WBS) La WBS (Work Breakdown Structure) è una forma di scomposizione (o disaggregazione secondo una struttura ad albero) strutturata e gerarchica del progetto che si sviluppa tramite l'individuazione di sotto-obiettivi e attività definite ad un livello di dettaglio sempre maggiore. Scopo della WBS è di identificare e collocare all'ultimo livello gerarchico pacchetti di lavoro (Work Package) chiaramente gestibili e attribuibili a un unico responsabile, affinché possano essere programmati, schedulati, controllati e valutati. La WBS è uno strumento di fondamentale importanza nel Project Management, infatti fornisce le basi per sviluppare una matrice delle responsabilità e successivamente effettuare lo scheduling . Attraverso la suddivisione dei deliverable in componenti più piccoli definiti "work package" si semplifica la gestione del progetto. Il work package infatti rappresenta il gradino più basso della gerarchia WBS ed è tramite questo che si possono definire in maniera più affidabile schedulazione dei tempi e costi. La suddivisione per livello procede riducendo ampiezza e complessità fino a quando non perviene a una descrizione adeguata e inequivocabile della voce finale. La Work Breakdown Structure (WBS), ha permesso di individuare, ai vari livelli, tutte le attività di sviluppo del progetto. La logica di scomposizione utilizzata è stata quella del processo di lavoro, questa logica consiste nel suddividere il progetto in relazione alla sequenza logica delle attività realizzative che verranno messe in opera, e ci ha permesso di individuare, per ogni pacchetto di lavoro: • scopo del lavoro con obiettivi e vincoli; • il processo di lavoro e le sue interfacce; • le risorse assegnabili e assegnate; • i limiti di tempo. 0.5.1.2 Matrice RACI La Matrice RACI è uno strumento che viene utilizzato per l'individuazione delle responsabilità all'interno di un progetto. Essa indica alle risorse umane coinvolte le mansioni e il grado di responsabilità all'interno del progetto, inoltre fornisce indicazioni specifiche su come comportarsi nel gestire le relazioni e responsabilità di altre persone coinvolte, rappresentando un forte elemento di motivazione per le stesse. La matrice di responsabilità nella sua intersezione indica il tipo di persona a cui è delegata una persona o un'unità organizzativa. Generalmente vengono utilizzate delle sigle che esprimono le responsabilità, le più utilizzate sono quelle corrispondenti all'acronimo RACI: • R: "Responsabile": è il ruolo di colui che è chiamato ad eseguire operativamente il task (per ogni task è possibile avere più Responsabili); • A: "Approva": è aziendalmente il ruolo a cui riporta il Responsabile o che comunque dovrà svolgere un ruolo di supervisione del lavoro del/dei Responsabili(ci può essere un solo A per ogni attività); • C: "Coordinamento": è il ruolo di chi dovrà supportare il/i Responsabile nello svolgimento del task fornendogli informazioni utili al completamento del lavoro o a migliorare la qualità del lavoro stesso • I: "Informato": è il ruolo di chi dovrà essere informato in merito al lavoro del/dei Responsabile e che dovrà prendere decisioni sulla base delle informazioni avute. 0.5.1.3 Diagramma di Gantt La complessità sempre maggiore di molti progetti, la gestione di grandi quantità di dati e le scadenze rigide incentivano le organizzazioni verso l'utilizzo di metodi per la pianificazione delle attività su scala temporale. Le tecniche di scheduling più comuni sono: • Diagrammi a barre o di Gantt; • Tecniche reticolari: - PDM (Precedence Diagram Method); - ADM (Arrow Diagram Method); - PERT (Program Evaluation and Review Technique); - CPM (Critical Path Method). • Approccio della Catena Critica CCPM (Critical Chain Project Management). La tipologia di rappresentazione utilizzata nel presente report, è il diagramma a barre (di Gantt), un mezzo molto semplice e intuitivo per visualizzare le attività o gli eventi tracciati in relazione al tempo, come nel nostro caso, o al denaro. La rappresentazione utilizzata riguarda l'evoluzione del progetto su scala temporale, dove ogni barra rappresenta un'attività la cui lunghezza è proporzionale alla durata dell'attività stessa, la quale è collocata sulla scala temporale. Il diagramma di Gantt permette perciò di definire cosa fare in una determinata quantità di tempo, e stabilisce inoltre eventi o date chiave (milestone) di progetto e un riferimento per il controllo dell'avanzamento. Il vantaggio che ha apportato sta nell'ottimizzazione delle risorse, attraverso una contemporanea visualizzazione delle attività, delle tempistiche e dei soggetti coinvolti. Ha comunque tre limitazioni principali, infatti non illustra: • le interdipendenze tra le attività; • risultati di un inizio anticipato o tardivo nelle attività; • l'incertezza inclusa nell'esecuzione dell'attività. 0.5.1.4 Flow Chart (FC) o Diagramma di Flusso Il Diagramma di Flusso, detto anche Flow Chart, rappresenta una modellazione grafica per rappresentare il flusso di controllo ed esecuzione di algoritmi, procedure o istruzioni operative. Esso consente di descrivere in modo schematico ovvero grafico: • le operazioni da compiere, rappresentate mediante forme convenzionali (ad esempio : rettangoli, rombi, esagoni, parallelogrammi, .), ciascuna con un preciso significato logico e all'interno delle quali un'indicazione testuale descrive tipicamente l'attività da svolgere; • la sequenza nella quale devono essere compiute, rappresentate con frecce di collegamento. Tale strumento permette pertanto di visualizzare tutto o parte del processo e di capire il collegamento delle sequenze necessarie a svolgere una funzione. In particolare permette di individuare i punti del processo in cui si verifica l'effetto che si vuole analizzare e di risalire il flusso fino alle origini delle cause potenziali. 0.5.2 FASE 1: COMPRENSIONE DEL CONTESTO DI RIFERIMENTO Tutti i progetti si interfacciano con il mondo reale, quindi occorre considerare i diversi contesti in cui il progetto converge. Alla luce di questo il PM ha incaricato i componenti del Team di Progetto di effettuare, un'analisi del contesto di riferimento, svolgendo un esercizio di Forecasting Tecnologico, attraverso la Ricerca sul Web, allo scopo di realizzare: • un'Analisi Interna; • un'Analisi Esterna; • l'Analisi SWOT. 0.5.2.1 Ricerca sul Web Lo strumento che normalmente viene utilizzato per effettuare una ricerca sul web è il cosiddetto motore di ricerca, il quale è basato sull'inserimento di una o più parole-chiave le cui occorrenze vengono cercate all'interno dei vari documenti presenti in rete. Bisogna dire che il processo di ricerca e di selezione delle informazioni è molto più complesso di quanto si possa pensare, per l'appunto possiamo differenziare la ricerca delle fonti in due modi: • Fonti Istituzionali (es. Regolamenti Comunitari, EUROSTAT, ISTAT, etc.); • Fonti Pubbliche (es. Unioncamere); • Enti di natura scientifica (es. società di consulenza). La conoscenza precedente dell'argomento influenza e da maggiori garanzie di successo nella ricerca, in questo modo l'utente è in possesso di termini specifici che può utilizzare direttamente come keywords. Gli elementi per impostare una soddisfacente ricerca sul web possono essere riassunti in: • chiarezza dell'oggetto, quesito o obiettivo della ricerca; • tempo e capacità dell'utente che effettua la ricerca; • qualità delle risposte in termini di: - adeguatezza, completezza ed esaustività; - affidabilità e autorevolezza della fonte; - grado di aggiornamento. 0.5.2.2 Forecasting Tecnologico Il Forecasting Tecnologico è un settore dei Technology Future Studies che racchiude varie strumenti volti ad anticipare e a capire la direzione potenziale, le caratteristiche e gli effetti del cambiamento tecnologico. Sono identificabili 9 cluster: 0.5.2.2.1 Expert Opinion Questa famiglia comprende tecniche basate sull'opinione di esperti, e include la previsione o la comprensione dello sviluppo tecnologico attraverso intense consultazioni tra vari esperti in materia. Uno dei metodi più diffusi è sicuramente il Metodo Delphi. Questo metodo combina richiesta di pareri riguardanti la probabilità di realizzare la tecnologia proposta e pareri di esperti in materia dei tempi di sviluppo. Gli esperti si confrontano e si scambiano pareri in base alle proprie previsioni tecnologiche, in modo da arrivare a una linea comune. 0.5.2.2.2 Trend Analysis L'Analisi del Trend comporta la previsione attraverso la proiezione dei dati storici quantitativi nel futuro. Questa analisi comprende modelli sia di previsione economica che tecnologica. Una tecnologia di solito ha un ciclo di vita composto di varie distinti fasi. Le tappe includono tipicamente • una fase di adozione • una fase di crescita • una fase di sviluppo • una fase di declino. L'analisi cerca di identificare e prevedere il ciclo della innovazione tecnologica oggetto dello studio. 0.5.2.2.3 Monitoring and Intelligence Methods Questa famiglia di metodi (Monitoring e le sue variazioni: Environmental Scanning and Technology Watch) ha lo scopo di fare acquisire consapevolezza dei cambiamenti all'orizzonte che potrebbero avere impatto sulla penetrazione o ricezione delle tecnologie nel mercato. 0.5.2.2.4 Statistical Methods Fra i metodi statistici, i più diffusi sono l'Analisi di Correlazione e l'Analisi Bibliometrica. • L'Analisi di Correlazione anticipa i modelli di sviluppo di una nuova tecnologia correlandola ad altri, quando lo stesso modello è simile ad altre tecnologie esistenti. • L'Analisi Bibliometrica si concentra sullo studio della produzione scientifica (pubblicazioni, etc.) presente in letteratura. In particolare risulta utile al fine di: - sviluppare conoscenza esaustiva del tema oggetto di studio; - analizzare i database da usare, da cui trarre informazioni e dati; - acquisire conoscenza sulle informazioni dei brevetti, fonte importante per acquisire informazioni uniche dal momento che spesso i dati e le informazioni rintracciabili nei brevetti non sono pubblicati altrove; - definire la strategia di ricerca; - utilizzare gli strumenti di analisi, attraverso software di data e text mining efficienti; - analizzare i risultati, grazie alle informazioni di vario tipo da cui gli esperti possono estrarre informazioni strategiche. 0.5.2.2.5 Modelling and Simulation Per "modello" si intende una rappresentazione semplificata delle dinamiche strutturali di una certa parte del mondo "reale". Questi modelli possono mostrare il comportamento futuro dei sistemi complessi semplicemente isolando gli aspetti essenziali di un sistema da quelli non essenziali. Tra i principali metodi: • Agent Modeling, tecnica che simula l'interazione dei diversi fattori in gioco; • System Simulation, tecniche che simulano la configurazione di un sistema a fronte dell'azione di possibili variabili aggiuntive. 0.5.2.2.6 Scenarios Costituiscono rappresentazioni alternative delle tecnologie future, sulla base di considerazioni e condizioni ulteriori a seguito di possibili cambiamenti delle condizioni al contorno inizialmente ipotizzate. 0.5.2.2.7 Valuing/Decision/Economic Methods Tra i metodi il più popolare è il "Relevance Tree Approach": le finalità e gli obiettivi di una tecnologia proposta sono suddivisi tra: • obiettivi prioritari; • obiettivi di basso livello. Grazie ad una struttura ad albero è possibile identificare la struttura gerarchica dello sviluppo tecnologico. In base ad esso viene eseguita la stima delle probabilità di raggiungere gli obiettivi ai vari livelli di sviluppo tecnologico. 0.5.2.2.8 Descriptive and Matrices Methods In crescente affermazione in questa famiglia di metodi è la definizione di Roadmap dello sviluppo di tecnologie, che consiste nel proiettare i principali elementi tecnologici di progettazione e produzione insieme alle strategie per il raggiungimento di traguardi desiderabili in modo efficiente Nel suo contesto più ampio, una Roadmap tecnologica fornisce una "vista di consenso o visione del futuro" della scienza e della tecnologia a disposizione dei decisori. 0.5.2.3 Analisi SWOT L'analisi SWOT è uno strumento di pianificazione strategica semplice ed efficace che serve ad evidenziare le caratteristiche di un progetto o di un programma, di un'organizzazione e le conseguenti relazioni con l'ambiente operativo nel quale si colloca, offrendo un quadro di riferimento per la definizione di strategie finalizzate al raggiungimento di un obiettivo. La SWOT Analysis si costruisce tramite una matrice divisa in quattro campi nei quali si hanno: • Punti di Forza (Strengths); • Punti di Debolezza (Weaknesses); • Opportunità (Opportunities); • Minacce (Threats). L'Analisi SWOT consente di distinguere fattori esogeni ed endogeni, dove punti di forza e debolezza sono da considerarsi fattori endogeni mentre minacce e opportunità fattori esogeni. I fattori endogeni sono tutte quelle variabili che fanno parte integrante del sistema sulle quali è possibile intervenire, i fattori esogeni invece sono quelle variabili esterne al sistema che possono però condizionarlo, su di esse non è possibile intervenire direttamente ma è necessario tenerle sotto controllo in modo da sfruttare gli eventi positivi e prevenire quelli negativi, che rischiano di compromettere il raggiungimento degli obiettivi prefissati. I vantaggi di una analisi di questo tipo si possono sintetizzare in 3 punti: • la profonda analisi del contesto in cui si agisce, resa possibile dalla preliminare osservazione e raccolta dei dati e da una loro abile interpretazione si traduce in una puntuale delineazione delle strategie; • il raffronto continuo tra le necessità dell'organizzazione e le strategie adottate porta ad un potenziamento della efficacia raggiunta; • consente di raggiungere un maggiore consenso sulle strategie se partecipano all'analisi tutte le parti coinvolte dall'intervento. 0.5.3 FASE 2: ESPLORAZIONE DEL CONCETTO NEL PANORAMA INTERNAZIONALE Anche in questa fase, dove l'obiettivo era quello di ricercare nella letteratura le varie declinazioni al concetto di "Fabbrica Intelligente" e le tecnologie attuali ed emergenti connesse ad essa, è stata svolta un'analisi degli organismi specializzati nel Foresight Tecnologico e di profondi conoscitori del settore dell'automazione industriale, per studiare le tendenze tecnologiche per i prossimi anni. 0.5.4 FASE 3: STUDIO DELL'APPLICAZIONE DEL MODELLO NELLA REGIONE TOSCANA Durante lo svolgimento di questa fase, si è intrapreso un percorso di raccolta delle informazioni legate al tema della "Fabbrica Intelligente" nel tessuto produttivo toscano, che è stato strutturato in 3 diverse attività: • Mappatura della Diffusione delle Tecnologie in Toscana attraverso il merging dei DB "Osservatorio sulle imprese high-tech della Toscana" e delle "Aziende eccellenti" dell'IRPET con l'estrapolazione dei dati da Fonti Aziendali: questa attività verrà discussa nel dettaglio nel proseguo del lavoro; • Interviste in Profondità e Interviste Telefoniche; • Focus Group. 0.5.4.1 Intervista L'intervista semi-strutturata è l'equivalente del questionario, con domande predefinite dal ricercatore in fase di preparazione dello strumento; a differenziare i due metodi è il modo di presentazione, orale nel caso dell'intervista, scritto nel caso del questionario, che assicura maggiore capacità di adattamento all'interlocutore e di valorizzazione di tutte le opportunità di raccolta d'informazioni "non strutturate". L'intervista ha quindi il vantaggio di essere un metodo versatile, che è possibile utilizzare in ogni stadio della progettazione, dalla fase di esplorazione a quella di validazione ex post delle informazioni. A differenza dei questionari, la presenza del ricercatore allontana l'eventualità che il soggetto interpreti in maniera errata le domande o che si trovi in imbarazzo perché non comprende quanto gli viene richiesto; inoltre, nel caso di una risposta non attinente, il ricercatore può riformulare la domanda. Il vantaggio maggiore rispetto al questionario consiste nel fatto che l'intervista non registra la stessa alta percentuale di mancati recapiti da parte dei soggetti contattati; di conseguenza, i dati raccolti godono di maggiore validità . A differenza dell'intervista personale, l'intervista telefonica appare concepibile nell'ambito di un sondaggio, offrendo vantaggi legati soprattutto al costo e al tempo di esecuzione, nonostante la mancanza di un'interazione faccia a faccia limita la "competenza comunicativa" () dell'intervistatore e dell'intervistato. Durante l'intervista telefonica l'intervistato non può prendere visione diretta del questionario, come accade nel sondaggio tramite intervista personale, e non consente all'intervistatore il ricorso a tecniche che comportano strumenti da sottoporre visivamente all'intervistato, come forme di gadgets o scale auto-ancoranti. Dal punto di vista dell'intervistatore, si dispone di meno informazioni per valutare se l'intervistato ha capito davvero la domanda; di conseguenza tenderà a ridurre gli interventi opportuni per chiarire il testo. Non è possibile integrare il resoconto dell'intervista con informazioni relative all'ambiente fisico in cui essa ha luogo e al comportamento non verbale dell'intervistato. 0.5.4.2 Focus Group Interviste rivolte a un gruppo omogeneo di 7/12 persone, la cui attenzione è focalizzata su di un argomento specifico, che viene scandagliato in profondità. Un moderatore (spesso definito: 'facilitatore') indirizza e dirige la discussione fra i partecipanti e ne facilita l'interazione, anche attraverso la predisposizione di un "sceneggiatura" finalizzata a fare emergere le peculiari conoscenze ed esperienze, nonché finalizzata a favorire il confronto "creativo". Ogni partecipante ha l'opportunità di esprimere liberamente la propria opinione rispetto all'argomento trattato ma nel rispetto di alcune "regole del gioco" introdotte dal facilitatore; la comunicazione nel gruppo è impostata in modo aperto e partecipato, con un'alta propensione all'ascolto. Il contraddittorio positivo che ne consegue consente di far emergere i reali punti di vista, giudizi, pre-giudizi, opinioni, percezioni e aspettative del pubblico di interesse in modo più approfondito di quanto non consentano altre tecniche di indagine . Nella tabella seguente, sono riportati i metodi di Forecasting Tecnologico , suddivisi nei 9 cluster definiti dal "MIT- Massachusetts Institute of Technology", indicando quali sono stati impiegati nelle attività progettuali e in che fase. 0.5.5 FASE 4: REALIZZAZIONE CONCLUSIVA DEL REPORT Durante la fase conclusiva di redazione finale del report, il Team di Progetto si è concentrato nell'elaborazione dei dati raccolti durante le fasi precedenti attraverso strumenti grafici che hanno facilitato l'attività di capitolazione delle informazioni, tra cui: • Istogrammi; • Diagramma a Torta; • Mappatura con metrica a "semaforo" : questa tecnica di rappresentazione è stata ideata dal Team di Progetto. Le sue peculiarità saranno illustrate più nel dettaglio successivamente. • Modello di Maturità (Maturity Model). 0.5.5.1 Istogramma L'istogramma è la rappresentazione grafica di una distribuzione in classi di un carattere continuo. Un istogramma consente di rappresentare i dati attraverso rettangoli di uguale base ed altezza differente a seconda dei dati stessi, ed in un solo colpo d'occhio permette di capire se una "quantità" è maggiore, minore o uguale di un'altra semplicemente guardando l'altezza dei rettangoli. 0.5.5.2 Diagramma a Torta Un Diagramma a Torta è una tecnica di rappresentazione che in un modo semplice e diretto è evidenzia il peso delle varie componenti di una grandezza. In questo modo la grandezza in questione viene rappresentata sottoforma di cerchio i cui spicchi hanno un angolo e di conseguenza, un arco, proporzionale alle varie componenti. 0.5.5.3 Modello di Maturità Tale modello definisce il livello di maturità di un'entità. L'aspetto caratteristico di tale rappresentazione è il fatto di essere organizzato per livelli. Il modello definisce diversi profili di maturità crescente, indicando implicitamente anche una strategia molto generale di miglioramento che si basa sull'introduzione di quelle pratiche che permettono solitamente ad un'azienda, di muoversi da un livello di maturità al successivo.
Il lavoro di ricerca è costituito da un'indagine esplorativa sulle caratteristiche che sta assumendo, secondo il punto di vista degli insegnanti il processo di integrazione degli alunni stranieri in alcune scuole superiori della provincia di Livorno, allo scopo di evidenziarne elementi significativi in termini di obiettivi formativi, buone pratiche, criticità. Nella prima parte della tesi viene inquadrata la tematica generale dal punto di vista normativo, statistico e della riflessione teorica sulle politiche scolastiche possibili. Segue un'indagine empirica articolata in due fasi: in prima istanza è stata svolta una ricerca di tipo quantitativo attraverso la somministrazione di un questionario a insegnanti in servizio presso otto scuole superiori della provincia; successivamente negli stessi istituti sono state condotte interviste a docenti incaricati di coordinare le attività di accoglienza ed integrazione degli alunni stranieri. Questi, in sintesi, i dati più significativi: a) un buon numero di studenti stranieri, che frequentano le scuole superiori della provincia, appartengono alla seconda generazione di immigrati o hanno frequentato in precedenza almeno un ciclo scolastico in Italia; essi pertanto non incontrano particolari difficoltà nella comprensione e nell'uso della lingua, non molto più di parecchi loro compagni autoctoni, al punto che in alcuni tipi di scuole come i licei, nei quali questi ragazzi sono meno numerosi, sembra possa essere in atto un processo di vera e propria assimilazione culturale: ciò rende piuttosto agevole il loro inserimento; b) in alcuni casi, e soprattutto, in certe tipologie di indirizzi scolastici come i licei e gli istituti professionali, gli studenti stranieri presentano, al loro ingresso nella scuola superiore, prerequisiti simili a quelli degli alunni di origine italiana, in termini di motivazione allo studio e di preparazione di base, in particolare nelle discipline matematico-scientifiche nelle quali, anzi, i ragazzi di certe etnie sembrano distinguersi in modo particolarmente positivo, pur in una situazione complessiva non del tutto agevole: ciò costituisce un ulteriore fattore facilitante; c) difficoltà e problemi emergono con grande intensità quando si tratti di ragazzi da poco giunti in Italia, per i quali l'ostacolo della lingua è spesso fortissimo, come pure i timori ed il senso di spaesamento; la situazione complessiva di fragilità ed il vissuto di isolamento di questi adolescenti, se non adeguatamente contenuti attraverso un impegno sinergico delle istituzioni, possono determinare - e di fatto ciò avviene non di rado - abbandono scolastico e precoce ricerca di lavoro, se non dare avvio a comportamenti devianti; d) all'emergenza rappresentata da questi allievi le scuole rispondono attraverso l'adozione di alcuni interventi ad hoc, primo fra tutti l'organizzazione di corsi di lingua italiana tenuti dal personale interno; quando ciò non sia possibile o sufficiente si ricercano i supporti esterni disponibili sul territorio, offerti dagli enti locali e da associazioni di volontariato. Queste ultime forniscono senz'altro un contributo prezioso ma talora poco rispondente alle specifiche esigenze scolastiche; la maggior parte del lavoro di accoglienza e di facilitazione del processo di inserimento di questi alunni sembra pertanto ricadere sui singoli professori che quotidianamente gestiscono le classi; e) di fronte a questo compito gli insegnanti si affidano alla loro esperienza pregressa, documentandosi personalmente su possibili metodologie adeguate ed efficaci; essi esprimono tuttavia la loro insoddisfazione per le misure adottate dalle istituzioni competenti e lamentano la carenza di un aggiornamento sistematico sui temi dell'interculturalismo e delle nuove prospettive di cittadinanza, sulla specifica didattica disciplinare e sull'approccio psicologico-relazionale più appropriato; d) accanto alla normativa specifica, per guidare e sostenere l'attività delle scuole il Ministero ha infatti fornito precise indicazioni, in sintonia con le scelte di politica scolastica ispirate all'interculturalismo, ufficialmente adottate ma non adeguatamente pubblicizzate, la realizzazione delle quali è stata delegata quasi in toto alle scuole stesse e agli insegnanti; a ciò si aggiunge un'insufficiente erogazione di fondi da utilizzare allo scopo; e) una nota positiva, e in parte inattesa, emersa dalle indagini, è data dall'atteggiamento degli alunni italiani e delle loro famiglie nei confronti degli studenti stranieri: pur se permangono "sacche di resistenza", secondo quanto afferma una insegnante, l'ambiente di accoglienza sembra caratterizzato da apertura e da debole presenza di pregiudizi; ciò facilita il processo di integrazione, che tuttavia continua ad essere faticoso per numerosi ragazzi, anche a seconda del genere, dell'origine e della durata della permanenza in Italia; f) per ciò che concerne i genitori degli alunni stranieri, in molti casi gli insegnanti ne avvertono una presenza indiretta: pur non frequentando spesso i colloqui con i docenti, infatti, sembrano comunque sostenere ed incoraggiare l'impegno scolastico dei figli, in vista di un successo che possa significare, per loro stessi e per l'intera famiglia, un'opportunità di emancipazione sociale e di acquisizione di uno status superiore. Il grado di istruzione dei genitori stessi, in particolare delle madri, e/o opportune modalità di approccio da parte delle scuole, possono favorire un loro maggiore coinvolgimento, come dimostra l'esperienza di alcuni intervistati. L'argomento, per la sua complessità richiede di essere messo a fuoco da più punti di vista e di ascoltare le voci di tutti gli attori sociali coinvolti, in modo sistematico e statisticamente rappresentativo, più di quanto non sia stato fatto in questo lavoro: ciò impone di riaffermare il carattere puramente esplorativo dell'indagine svolta.