Dottorato di ricerca in Memoria e materia delle opere d'arte attraverso i processi di produzione, storicizzazione, conservazione e musealizzazione ; Luigi Calamatta (Civitavecchia, 21 giugno 1801 - Milano, 8 marzo 1869) fu un incisore di traduzione appartenne, cioè, a quel genere di artisti che si dedicarono ad interpretare l'opera altrui. La sua attività si colloca a chiusura della secolare tradizione della stampa d'après mezzo attraverso il quale le opere dei grandi maestri antichi e contemporanei sono state divulgate in tutto il mondo. La stampa di traduzione ha avuto un ruolo di vasta portata nella diffusione dell'estetica, nei cambiamenti del gusto, nella fortuna visiva di alcune opere d'arte e in molti casi a questa valenza si è affiancata quella di essere considerata essa stessa un'opera d'arte. Tuttavia, nella più recente letteratura storico-artistica che riguarda il panorama italiano, se non mancano contributi che hanno preso in esame il concetto interpretativo di incisione di traduzione e diversi studi monografici sui più valenti incisori di traduzione dal XV al XVIII secolo, restano scarsi gli apporti sull'Ottocento, dove si ravvisa un certo ritardo nel recupero storico e critico delle personalità più rappresentative. L'interesse della critica si è infatti prevalentemente soffermato sulla più seducente incisione 'originale' dei peintres-graveurs della seconda metà del XIX secolo, considerata opera d'arte vera e propria per la presenza della componente creativa che, in alcuni casi, coinvolge l'artista in prima persona durante tutto il processo di esecuzione, dall'ideazione del disegno alla stampa della matrice. Di converso, l'attenzione per l'opera dei maestri traduttori è andata via via affievolendosi, poiché le stampe che hanno tramandato per secoli i capolavori dell'arte si presentano oggi di difficile lettura, venendo meno nel tempo quegli strumenti di conoscenza tecnici e storici che hanno permesso di farle apprezzare in passato e di cogliere il significato intrinseco della personalità artistica dell'incisore nella complessità del tessuto segnico. Partendo da questi presupposti, la presente ricerca vuole offrire un contributo per far emergere una delle personalità più rappresentative dall'"immenso magma fluttuante" (come lo definisce Evelina Borea nel suo ultimo lavoro, Lo specchio dell'arte italiana nelle stampe di cinque secoli, Pisa 2009) che caratterizza l'incisione di traduzione dell'Ottocento riguardante i fatti italiani e non solo, e tentare di colmare qualche lacuna di conoscenza della nostra tradizione incisoria che ancora oggi grava e alimenta pregiudizi sul ruolo e la rilevanza dell'incisore in un'epoca segnata da grandi sconvolgimenti politici e sociali, ma anche da enormi progressi tecnologici che si riverberarono sulla produzione figurativa a stampa fino a stravolgerla del tutto con l'avvento della fotografia. In questo contesto, l'approfondimento critico su Luigi Calamatta – poliedrica figura di uomo, artista e patriota risorgimentale di statura internazionale, vissuto tra l'Italia, la Francia e il Belgio, a contatto con i maggiori rappresentanti dell'élite progressista e repubblicana che segnarono la storia culturale e politica europea dell'epoca – offre spunti di ricerca e di riflessione che hanno permesso una rilettura per molti aspetti aggiornata basata su una considerevole quantità di documenti inediti, oltre a fornire la possibilità di aggiungere nuove considerazioni sul concetto di mutamento di percezione del ruolo specifico dell'incisore di traduzione e d'interpretazione che lo stesso Calamatta contribuì a modificare, grazie soprattutto all'influente amicizia con una delle protagoniste più attive della cultura romantica francese, George Sand, e alla lunga collaborazione con il maggiore rappresentante del panorama artistico dell'epoca, Jean Auguste Dominique Ingres. Il presente studio mira dunque ad affrontare e risolvere alcune problematiche inerenti i precedenti studi sull'incisore, in particolare la verifica delle fonti d'archivio, della bibliografia ottocentesca unita all'analisi diretta e al confronto sistematico degli esemplari delle opere, per ricostruire la genesi e la cronologia di queste ultime, la rete di relazioni artistiche e culturali di Calamatta e il dibattito intorno a temi specifici come la formazione accademica nel settore della calcografia nel primo Ottocento, il mutamento di prospettiva dell'incisore tra la traduzione e l'interpretazione dell'opera d'arte, il ruolo del ritratto nella propaganda politica. ; Luigi Calamatta (Civitavecchia, 21 June 1801 - Milano, 8 March 1869) was an 'incisore di traduzione', an 'engraver translator': he was in fact the kind of artist who devoted his life to interpret the work of others. His activity can be placed at the end of the centuries-old tradition of print d'après, a means through which the work of ancient and contemporary masters spread throughout the world. The present research aims to outline one of the most representative Italian figures among the incisori di traduzione in the context of early 19th century Europe. It also aims to fill some gaps in our knowledge of the tradition of engraving, being this issue still little studied. Even today there are too many prejudices about the role and relevance of the engraver in this period, marked by great political and social upheavals, but also by enormous technological advances that had a deep impact on prints production, until when it was disrupted with the advent of photography. Luigi Calamatta was a multifaceted figure: artist and internationally renowned patriot of the Risorgimento, he lived in Italy, France and Belgium and he was in contact with the leading representatives of the liberal and republican élite. The critic deepening of Calamatta's figure offers many opportunities of research and reflexion. An updated interpretation was also possible thanks to the thorough analysis of the huge quantity of newly discovered, unpublished documents. Moreover, it allowed to add fresh considerations to the issue concerning the changing of perception of the incisore di traduzione's specific role. A role that Calamatta himself contributed to modify, both because of his influent friendship with one of the main players of the romantic French culture, George Sand, and his long cooperation with the most important artist of that time, Jean Auguste Dominique Ingres.
Como es de todos conocido, la reelección de Mahmud Ahmadinejad, el 12 de junio pasado, resultó ser el inicio de una serie de conmociones políticas que muchos analistas consideran ha desembocado en la mayor crisis padecida por el régimen político creado en 1979 por la Revolución Islámica del Ayatollah Jomeini.Cuando del régimen imperante en Irán se trata, conviene, al menos en lo que nos concierne, recordar imperativamente dos cosas. La primera es que nuestro conocimiento de lo que acontece efectivamente en el Irán post-Jomeini es siempre limitado y relativo. Por mucha información que tengamos de los distintos enviados de los medios y de las diversas fuentes presentes en ese país, subsiste una importante cuota de desinformación que parece ser un "gap" difícil de zanjar para una mirada occidental. La segunda cuestión que conviene tener en cuenta es que ese "desconocimiento" relativo de la mecánica política, económica, social reinante en el Irán teocrático de nuestro tiempo no sólo es achacable a las limitaciones de nuestras fuentes y/o al secretismo del régimen. No, lo que hay que tener en cuenta es que hay una serie de principios, de elementos consuetudinarios y de fundamentos constitutivos de la vida política iraní que resultan ser perfectamente ajenos a nuestra aproximación intelectual y filosófica de la política. Un buen ejemplo de este malentendido se refleja en buena parte de la prensa occidental internacional que trata al movimiento contestatario de las elecciones encabezado por Mir Hussein Musavi, como si fuese un movimiento "de izquierda", "progresista" o "democrático", casi de occidental, que se encontrase enfrentando una dictadura totalitaria parecida a las que estamos habituados en Occidente.En realidad, la aplicación de estos adjetivos al movimiento contestatario iraní es más una necesidad de los medios, que requieren designar, de manera inteligible para los lectores occidentales, las diferencias aparecidas, que una precisa y adecuada descripción de las reales diferencias políticas que parece emerger. Desgraciadamente para nuestra vocación simplificadora y occidentalo-centrista, las cosas parecen ser infinitamente más complicadas.Por alguna razón que no comprendemos a cabalidad, el actual Presidente Ahmadinejad, apoyado por el "Guía supremo", Alí Khamenei, hubo de intervenir de manera ilegítima y más o menos abiertamente en los resultados de las pasadas elecciones. Esta intervención determinó que vastos sectores de la población iraní saliesen a las calles y protagonizasen una serie de manifestaciones sistemáticas de protesta (que todavía no han terminado totalmente a pesar de la represión). Igualmente, una poderosa oleada de contactos y redes de Internet se desarrolló intensamente, burlando los intentos de control de las autoridades. Esta "movilización popular", cuyo objetivo más aparente era la más que improbable anulación de las elecciones y su nueva realización, parece haber entrado en una fase de lento decaimiento luego de que tanto Ahmadinejad como Khamenei, incapaces de divisar la trascendencia de lo que estaba en juego, decidieron hacer caso omiso de esos reclamos.Hoy, lo que resulta altamente sorprendente es que, en los últimos días, desde las entrañas mismas del régimen, y también desde su cúpula, aparecen voces dispuestas a retomar y reformular las demandas populares y, en esencia, vuelven a pedir una nueva consulta de tipo referendario que salde de una buena vez la disputa abierta sobre la legitimidad de las cuestionadas elecciones.En un régimen como el iraní, nadie pensó nunca que las demandas populares tuviesen algún tipo de chance de ser oídas "per se". Pero lo que sí resulta novedoso es que personajes provenientes del más puro "establishment" de la Revolución Islámica se hallen ahora alineados contra el Presidente Ahmadinejad. El candidato perdedor, Mir Hossein Musavi, prácticamente detenido en su domicilio desde hace semanas, es un conservador, cofundador con el Ayatollah Jomeini del Partido Islámico, que desde el primer momento reclamó contra el resultado de las elecciones. Pero el sábado pasado, Alí Hashemi Rafsanjani, antiguo presidente, reclamó la liberación de los detenidos y declaró que el gobierno Ahmadinejad había perdido la confianza de los iraníes. Como si esto fuese poco, el domingo, es decir 48 horas después, otro ex presidente, Mohamed Khatami, que también pertenece al cerno más íntimo de la Revolución, acaba de hacer un llamado público para que se convoque a un plebiscito que se pronuncie sobre las cuestionadas elecciones. En otros términos: en el seno mismo de la Revolución Islámica, aparecen hoy dos sectores abiertamente enfrentados, que desde hace tiempo mantenían distintas escaramuzas y tironeos tanto en política nacional como internacional. Pero nada indica, sin embargo, que esto sea una disputa entre una fracción "moderada" y "reformista" y otra mucho más "tradicionalista" e "integrista". Es más; creer que estamos ante una dicotomía de este tipo es como pretender que existan "talibanes moderados". Semejante afirmación está al límite de la aporía.Lo que permanece siendo cierto es que la división en el interior del régimen cada vez es más notoria y lo más probable es que el conflicto esté planteado entre las dos grandes "driven forces" de la República Islámica: la élite clerical de los Ayatollahs, por un lado, y las fuerzas armadas (particularmente los Guardianes de la Revolución Islámica) por el otro. En los treinta años de revolución que han pasado ambos sectores han sido quienes han tomado las decisiones clave, impulsado los proyectos más importantes (entre los que destaca el programa nuclear) e, incluso, manipulado abiertamente la (s)elección de las autoridades políticas. Todo indica que los países limítrofes, así como los analistas internacionales de todas partes, harían bien en olvidarse de la posibilidad de algún tipo de "apertura" política de parte del régimen iraní. Allí todo indica que, de lo que se trata, es de una contienda entre integrismo religioso y autoritarismo militar. Y esta disyuntiva, vista desde Occidente, no es particularmente atractiva.
Since economists traditionally focus on market activities, women's non-wage labour has not been registered in works on economic development. On the other hand, women's wage labour has been described as supplementary or marginal to the household income as well as to economic development as a whole. The contributors to this collection did their research on women workers in countries from the core, the semiperiphery, and the periphery. The eight articles are introduced by Kathryn Ward, who presents a critical overview of the literature on women workers and globalization. In Ward's opinion we have to develop new definitions for some key concepts in our theories on women and work. These concepts should aim at including housework and work in the informal sector, and women's various acts of resistance. Ward also suggests new perspectives from which we should theorize about women's work in the process of global restructuring
La ricerca consente una conoscenza più approfondita dei complessi forensi: delle loro fasi edilizie, della loro evoluzione, delle loro funzioni e delle architetture più significative che si trovano al loro interno. Si attesta come il foro prenda forma in base alle esigenze della città in quel determinato momento in cui esiste. Si configura come un'entità, di certo caratterizzata da una più o meno variabile forma di monumentalità ma allo stesso tempo pronta ad adattarsi a ciò di cui i suoi fruitori hanno bisogno e ad esprimere ciò che i suoi costruttori (intesi come finanziatori) intendono comunicare. Sin dall'inizio, lo spazio forense si caratterizza per la varietà di funzioni che può ospitare, una peculiarità che lo distingue non solo come realtà di valore architettonico ma che gli fornisce anche un grande valore antropologico. Il foro costituiva il centro politico-religioso urbano, ma anche il luogo di mercato e di svolgimento di eventi e spettacoli pubblici. Progressivamente, però, si svolse il trasferimento di alcune funzioni, ossia quelle relative agli spettacoli ludici e quelle commerciali, in modo tale da isolare le funzioni amministrative e cultuali, conferendo ad esse sempre maggiore rilievo. Questo isolamento ha trovato come tipica espressione architettonica quella del complesso forense concepito come un monumento unitario e non più come un aggregato di strutture diverse e connesse tra loro in vario modo. Il foro si trasforma da centro di convergenza e di guida della vita economico-sociale di tutto il territorio della civitas, in luogo dove risiede e si espone l'autorità. In definitiva, il foro isolato e monumentale è anche una conseguenza del venire meno della partecipazione attiva del popolo alla vita politico-amministrativa della città, che sarà gestita da magistrati locali scelti tra una sempre più ristretta cerchia di persone. Questo tipo di foro si sviluppò soprattutto nelle aree provinciali. L'argomento più rilevante del lavoro è certamente quello che riguarda i percorsi strutturali dei complessi forensi, i quali variano a seconda della natura stessa dei fora. Il tipo di sintassi spaziale adottato definisce il carattere del messaggio che il complesso forense intende trasmettere nel momento in cui ha preso forma (prima edificazione o ristrutturazione che sia). È possibile riconoscere due diverse tipologie: la prima, a percorso diretto; la seconda a percorsi biassiali bipolari. In genere, il messaggio è di natura cultuale nei casi dei fora a percorso diretto mentre è di natura politica, nel senso di rappresentazione della grandiosità dell'impero e della sua efficacia funzionale, nei casi dei percorsi biassiali e bipolari. A partire dall'età di Augusto, la morfologia urbana divenne uno strumento per mobilitare l'opinione pubblica e i percorsi istituiti all'interno dei complessi forensi, ma anche della città in generale, dovevano condurre al suo consenso. Dall'età augustea, dunque, l'analisi dei percorsi strutturali costituisce un elemento fondamentale nello studio dei complessi forensi. La ricostruzione dei rapporti tra gli spazi e, di conseguenza, dei percorsi necessari per raggiungerli è, infatti, direttamente correlata a necessità funzionali e a significati politico-culturali che non si potrebbero individuare con la semplice analisi architettonica. Il fenomeno dell'evergetismo è strettamente collegato con quello del culto imperiale che, seppure in misura variabile, ha interessato tutte le piazze delle città romane di età imperiale. Le sistemazioni iniziali delle città erano realizzate a spese dello stato mentre un reale processo di monumentalizzazione, in genere, non poteva avvenire finché non si fosse formata una élite capace di impegnarsi nel finanziamento di grandi imprese costruttive. La costruzione o la monumentalizzazione di un foro, inoltre, può essere strettamente correlata alla necessità di fornire alla città tutte le nuove strutture necessarie a seguito di un cambiamento di status giuridico. ; The research allows a more in-depth knowledge of the fora, about their construction phases, evolution, functions and most significant architectures which are located inside them. It attests how the forum takes shape according to the needs of the city at that moment in which it exists. It is configured as an entity, certainly characterized by a more or less variable form of monumentality, but at the same time, ready to adapt to what its users need and also to express what its builders (intended as financiers) intend to communicate. From the beginning the forum is characterized by various functions, a peculiarity that distinguishes it, not only as a reality of architectural value, but also provides great anthropological value. Certainly the forum constituted the urban political-religious center, but also the place of market and of events and public performances. Little by little, there is a transfer of some functions, namely, those related to ludic events and to commerce, in order to isolate the administrative function, giving it an increasingly greater importance. This isolation has found as a typical architectural expression, that of the forum conceived as a unitary monument and no longer as a set of different structures. The forum changes from a center of convergence and guidance of the economic and social life of the whole territory of the civitas, in a place where authority resides and exposes itself. The isolated and monumental forum is also a consequence of the disappearance of the active participation of the citizens in the political and administrative life of the city, which will be managed by local magistrates chosen from an increasingly narrow circle of people. This type of forum, conceived as a unitary complex, was developed mainly in the provincial areas. The most relevant topic of the work, concerns the structural paths of the fora. The type of spatial syntax adopted defines the character of the message that each forum intends to transmit when it takes shape (in its first construction or in its subsequent restructuring). It is possible to recognize two types of structural trajectories: the first, with a direct trajectory; the second with biaxial-bipolar trajectory. In general, the message is of a cultual type in the case of a direct trajectory, while it is of political nature in cases of biaxial-bipolar trajectories. From the time of Augustus, urban morphology became a useful tool to mobilize public opinion and even the internal paths of the fora had to lead to imperial consent. Therefore, from the Augustan age, the analysis of the structural paths is a fundamental element in the study of fora. In fact, the reconstruction of the relationships between the spaces and, consequently, the identification of the paths necessary to reach them, is directly related to functional needs and to political-cultural meanings that, generally, can not be identified with a simple architectural analysis. The phenomenon of the evergetism has involved all the Roman cities and it is a phenomenon closely related to that of the imperial cult that, although in varying degrees, has also interested all the squares of the Roman cities of the imperial era. The first structures in the fora were certainly built at the expense of the state, while a real process of monumentalization, in general, could not take place until an elite was formed, capable of engaging in the financing of large constructive companies. Furthermore, the construction or the monumentalisation of a forum can be closely linked to the need to provide the city with all the new structures necessary as a result of a change in legal status.
SummaryAGRICULTURAL RÉVOLUTION AND POLITICAL LIFEThe transformations of agriculture and of rural societies in industrialized countries go hand in hand with the total reorganization of the whole of society. The result is paradoxical: while agricultural population and production grow less and less important in comparison with the rest of the population and of the national production, agricultural problems and producers seem to be gaining a stronger place in national and international politics.1. Men and InstitutionsIn the past, the peasant left the political management of local society and its representation to independant personalities.As the rural exodus has caused these people to move into urban area and the consequent economic changes have broken up the autonomy of rural society, professional and political leaders can be seen rising among farmers and agricultural workers taking the place of the former local personalities. This change is quickened by a conflict between generations the result of which has been to give more importance to the younger generation. This younger generation wants to pass from a democratic representation to democratic management.Institutions change as well as men. Agricultural and electoral committees give way to the benefit of youth organizations, trade‐unions, technical committees which have an important political power of their own.2. Electoral BehaviourThe rapid evolution of agriculture and of rural society has had little effect on the electoral behaviour of peasants. However, it can be said that there is only a difference of time in economic changes and the evolution of political attitudes, the latter testify to the existence of fundamental elements in the personality of men as well as in the organization of society as a whole which evolves at a much slower rate than agricultural society. The new leaders want to canalise the farmers' wishes. And they risk in their turn being caught up in the present situation and become new local personalities who play the game instead of changing it.Moreover they are conscious that the important decisions on agricultural problems will have to be taken as a result of discussions with other sections of the nation inside the political parties and political committees.In fact, as far as the whole society is changing, the whole of political life will take on new forms.3. Society as wholeRural exodus, industrialization, and urbanization transform the whole of society. It is no longer dominated by the weight of rural problems and farmer have begun to organize their political action as part of a group among other groups. In this manoeuvre for influence, the fact that they are scattered all over the country enables them to bring strong pressure during elections. Further, in the working out of agricultural policy, moral, social and political arguments generally remain stronger than purely economic ones.RésuméREVOLUTION AGRICOLE ET VIE POLITIQUELes transformations de l'agriculture et des sociétés rurales dans les pays développés vont de pair avec une refonte totale de la société globale. Il en résulte que, paradoxalement, à mesure que la population et la production agricoles perdent de leur importance relative par rapport à la population totale et au produit national, les problèmes agricoles et les producteurs agricoles paraissent prendre un plus grand poids dans la vie politique nationale et internationale.1. Les hommes et les institutionsAutrefois, le paysan confiait la gestion politique de la société locale et sa représentation à des personnes extérieures à lui. L'exode rural ayant entrainé le départ de ces couches non paysannes et les transformations économiques brisant l'autarcie agricole, on voit se dégager parmi les agriculteurs des dirigeants professionnels et politiques qui prennent le relai des notables traditionnels. Cette relèe est accélérée par un conflit de générations qui a pour résultat de donner plus de plaçe aux jeunes, et ces jeunes veulent passer d'une démocratie de délégation à une démocratie de gestion et de participation.Les institutions changent en même temps que les hommes. Les Cornices agricoles et les Comités électoraux cèdent la plaçe aux mouvements de jeunesse, aux syndicats et aux organismes de conseil technique dont la puissance politique est grande.2. Le comportement electoralL'évolution rapide que subit l'agriculture et la société rurale n'a guère d'effet sur les comportements électoraux des paysans. On peut admettre cependant qu'il y a un décalage entre les transformations économiques et l'évolution, des attitudes politiques. Celles‐çi traduisent certaines structures fondamentales de la personnalité des individus et de l'organisation de la société qui évoluent beaucoup plus lentement que les structures agricoles. Les nouvelles élites veulent canaliser les volontés des agriculteurs. Elles risquent alors d'être prises par la situation et de devenir de nouveaux notables et, par conséquent, de jouer le jeu au lieu de le changer. Mais, par ailleurs, elles sont conscientes que les principales décisions concernant les agriculteurs doivent se prendre par un dialogue avec les autres catégories de la Nation au sein des partis et des Conseils Politiques.En fait, dans la mesure où toute la société globale se trouvera transformée, la vie politique toute entière revêtira des formes nouvelles.3. La société globaleL'exode rural, l'industrialisation et l'urbanisation transforment la société globale. Elle n'est plus dominée par le poids des couches et des problèmes ruraux et les agriculteurs tendent à organiser leur action politique en tant que groupe de producteurs, l'un parmi d'autres. Dans ce jeu d'influence, leur dispersion sur l'ensemble du territoire leur permet d'exerçer une forte pression lors des consultations électorales. De plus, dans l'élaboration de la politique agricole, l'argumentation morale, sociale, et politique demeure généralement plus décisive que la rationalitééconomique.ZusammenfassungVERÄNDERUNGEN IN DER LANDWIRTSCHAFT UND DAS POLITISCHE LEBENDie Veränderungen in der Landwirtschaft und den ländlichen Gesellschaften der entwickelten Länder sind Teile einer tocalen Umgestaltung der Gesellschaft. Merkwürdigerweise werden die agrarischen Probleme in der nationalen und internationalen Politik in dem Masse schwieriger, wie die relative Bedeutung der Landwirtschaft gemessen an ihrem Anteil an der Bevölkerung und an ihrem Beitrag zum Sozial‐produkt abnimmt.1. Die Menschen und die InstitutionenIn früherer Zeit vertraute der Bauer die politische Verwaltung der lokalen Gesellschaft und ihre Vertretung Personen an, die nicht aus seinem Milieu kamen. Später verliessen diese nichtbäuerlichen Schichten das Land, die wirtschaftlichen Veränderungen beendeten die landwirtschaftliche Autarkie; die Landwirte selbst stellten nun die politische und hauptberufliche Führerschicht und lösten damit die traditionellen Feudalherren ab. Beschleunigt wurde dieser Prozess durch einen Konflikt der Generationen, der der Jugend mehr Bewegungsfreiheit verschaffte. Und diese Jugend will von der hierarchischen Ordnung zur demokratischen Gewaltenteilung übergehen.Die Institutionen wechseln zugleich mit den Menschen. Die ländlichen Versammlungen und Wahlkomitees werden von den Jugendbewegungen, den Verbänden und den Organisationen der technischen Beratung beherrscht, die große politische Macht besitzen.2. Der WahlvorgangDie rapide Entwicklung in der Landwirtschaft und der ländlichen Gesellschaft hat keinerlei Einfluss auf das Verhalten der Bauern bei der Wahl. Es besteht jedoch nur ein zeitlicher Rückstand zwischen den wirtschaftlichen Veränderungen und der Entwicklung entsprechender politischer Verhaltensweisen. Diese basieren auf der Über‐lieferung bestimmter individueller und gesellschaftlicher Denk‐strukruren, die sich viel langsamer entwickeln als landwirtschaftliche Strukturen. Die neue Elite will dem Bewußtsein der Landwirte eine bestimmte Richtung geben. Sie riskiert damit einerseits, von neuem zu einer Herrenschicht zu werden und im Grunde gegenüber früher garnichts zu ändern. Andererseits ist sie sich bewußt, daß die wichtig‐sten landwirtschaftlichen Entscheidungen in Zusammenarbeit mit anderen ländlichen Gruppen, mit den Parteien und den politischen Gremien herbeigeführt werden müssen. In dem Maße, wie sich die Gesellschaft verändert, nimmt das ganze politische Leben neue Formen an.3. Die Gesellschaft als GanzesDie Flucht aus der Landwirtschaft, die Industrialisierung und Urbanisierung verändern die Gesellschaft. Sie wird nicht mehrvon der Macht der Klassen und den ländlichen Problemen geprägt. Die Landwirte entwickeln ihre politischen Aktivitäten als eine Gruppe unter vielen. In diesem Spiel der Einflüsse erlaubt ihnen ihre Verbreitung über den gesamten Erdkreis, einen starken Druck auf die Warden auszuüben. Noch entscheidender als die wirtschaftliche Rationalisierung sind für agrarpolitische Zielsetzungen die moralischen, sozialen und politischen Argumente.
La era chavistaCuando Hugo Chávez asume por primera vez como presidente de Venezuela, la situación en aquel país podía considerarse especialmente grave. La crisis socio económica en general era tal que para la gran mayoría de los venezolanos no parecía afectarles demasiado que el propio futuro de la democracia estuviera en juego. Si se medía el deterioro democrático en relación a variables económicas, el caso de Venezuela adquiría valores superiores a cualquier otro país, por lo que la explicación convendría buscarse en la peculiar conformación de un sistema político —a lo que hicimos mención en la entrega anterior— que culminó por percibirse como corrupto.Es en este contexto que Chávez comienza a hacer rodar su proyecto con la propuesta de "refundar" la República reformando la Constitución, lo se consideraba central y prioritario. El mismo día que asume como presidente, Chávez decreta la convocatoria a un referéndum para que los venezolanos decidieran si aceptaban reformar la Constitución y dispara el proceso: en abril, el mencionado referéndum, en julio, la elección de la Asamblea Nacional Constituyente y en diciembre la aprobación de la nueva Constitución en otro referéndum, todo durante aquel 1999. En todas las oportunidades el triunfo chavista fue aplastante, aunque en algún caso con niveles de abstención nunca antes vistos (en la instancia de abril alcanzó el 62%).Las reformas en sí y el propio proceso de elaboración de las mismas —realizadas con premura, desprolijidad y en el medio de un debate exacerbado— prefiguraron lo que podía esperarse del nuevo régimen. La nueva Constitución establecía algunas cuestiones que podían considerarse positivas, al menos en la letra: ampliación de los derechos humanos y ambientales, nuevas instancias de democracia directa, fortalecimiento financiero del Poder Judicial. Pero la clave de la misma radicaba en sus aspectos controversiales, especialmente las disposiciones que posibilitan atribuirle al presidente la potestad de gobernar por decreto en infinidad de asuntos, aumentando de cinco a seis los años de su período y permitiéndole la reelección. De esta forma cambiarle el nombre al país, incluso instaurar el unicameralismo, resultaban cuestiones nimias. Esta etapa, de algún modo inaugural, culmina con las elecciones de mayo de 2000 (la nueva Constitución determinaba que todos los cargos públicos electivos debían someterse nuevamente a elección) en la que se confirma a Chávez como presidente de la República Bolivariana de Venezuela, ampliándose las mayorías con las que gobernaría.Con un lenguaje polémico y confrontativo, a tal grado que la menor discrepancia es tachada de disidencia, Chávez comienza a gobernar navegando entre una crisis que persistía dado que los valores del petróleo continuaban bajos. Mantiene la ortodoxia económica en la gestión y no parece haber demasiadas novedades al respecto —incluso en la actualidad— a pesar del radicalismo retórico (incluso el primer ministro de economía de Chávez fue la misma persona que ocupo ese lugar en el último tramo del gobierno de Caldera). Con el tiempo, el proceso de transformaciones reveló que en realidad no parecía existir un modelo teórico de desarrollo acabado sino que más bien siempre se estuvo dentro de un plan en gran medida resultado acumulativo de decisiones, mitad oportunamente coyunturales, mitad impregnadas de una cierta concepción. La explosiva mezcla de improvisación y arbitrariedad en las políticas públicas y el personalismo caudillista muy tangible —el miedo, fundado o no, cumple su rol en los proceso sociales—, sumado al desplazamiento de las antiguas élites de sus anteriores posiciones de poder (esto también es verdad), construyó un escenario altamente polarizado que dividió a la sociedad en dos campos antagónicos con escaso espacio para la prudencia y la cooperación.Sobre el filo de la finalización de una de las oportunidades en la que se le concedió a Chávez la posibilidad de legislar por decreto (noviembre 2001), fueron aprobadas una inmensa cantidad de leyes que involucraban aspectos de regulación económica en diversas áreas. Una parte de la opinión pública, especialmente actores empresariales y sindicales, entendieron que se lesionaban derechos constitucionales básicos de libertad y propiedad, además de afectar el pluralismo político. Más allá de las cuestiones en concreto, la forma de aprobación sin que hubiera habido un intento de dialogo con el resto de la sociedad provocó un recalentamiento del clima político y social. Si las medidas hubieran sido consideradas por la Asamblea Nacional al fin y al cabo también tenían asegurada su aprobación, pero en ese caso el propio trámite hubiera asegurado sobre las medidas un cierto debate público que no hubo ni se intentó. Fue así que comenzó, seguramente, el período más conflictivo de la historia chavista con el desarrollo de infinidad de manifestaciones callejeras que se sucedían a diario y en las que se enfrentaban violentamente antichavistas con los partidarios de Chávez y los llamados "círculos bolivarianos", verdaderos grupos de choque del chavismo, con el saldo decenas de víctimas fatales. El abril de 2002 el ambiente de ingobernabilidad se torno crítico y el 11 de aquel mes se produce un golpe de Estado llevado adelante por el Alto Mando Militar que le solicita la renuncia a Chávez e impone en el cargo de presidente al máximo líder de la gremial empresarial, Fedecámaras, Pedro Carmona. Con el apoyo de sectores militares, el sector privado, la Iglesia y los medios de comunicación privados, en su primer día Carmona disuelve la Asamblea Nacional, destituye a todas las autoridades regionales y locales, realiza muchas detenciones de funcionarios, designa en puestos claves a figuras relacionadas con el status quo del pasado, y deroga decenas de normativas aprobadas por Chávez, incluyendo las de contenido popular. Para un analista contemporáneo, y no precisamente pro Chávez, lo que sucedía era como si los Borbones hubieran regresado al trono. El 14 de abril, luego de negociaciones entre militares leales y críticos al gobierno chavista, Hugo Chávez retorna al Palacio presidencial de Miraflores, fortalecido pese a las complejidades evidentes. Por otro lado, la oposición al mismo, aunque heterogénea, mostraba su peor cara, la reaccionaria, defensora de privilegios perdidos, muy poco capaz de discernir la envergadura y profundidad de los procesos sociales que subyacían.Las movilizaciones opositoras continuaron durante el 2002 y el 2003, incluyendo los episodios que se conocieron como el sabotaje petrolero (acciones adoptadas por los funcionarios de Pdvsa resistiendo las medidas de cambio en la empresa petrolera) y el bloqueo empresarial. Los opositores y los propios partidarios del régimen consideraban que se estaba ante el momento de más baja popularidad de Chávez. Sobre esa base, la oposición decidió recorrer los caminos constitucionales de un referéndum revocatorio que luego de dilatorias varias se llevó adelante en agosto de 2004 y que finalizó con la confirmación de Chávez con el respaldo del 60% de los votantes. Se entiende que el resultado favorable al gobierno se encuentra directamente vinculado con la puesta en práctica de las Misiones (por estos Lares recibirían el nombre de planes o programas) orientadas a la atención de los principales problemas sociales, educación, salud, alimentación y vivienda, que funcionaron en forma extrainstitucional y que fueron provistas de ingentes cantidades de recursos financieros procedentes de la renta petrolera que comenzaba a recuperarse. Los episodios sucedidos entre fines de 2001, con el primer paro cívico contrario al gobierno, y agosto de 2004 y los resultados del intento revocatorio, supusieron un antes y un después con los corolarios de la consolidación del chavismo así como una acentuación de su radicalismo.La reelección de Chávez en diciembre de 2006 marco una nave fase del proceso chavista con la instauración de una serie de reformas cuyos alcances aún hoy no resultan del todo claros. En los planes de desarrollo para el período 2007-2013, por primera vez se menciona oficialmente al "Socialismo del siglo XXI" como norte ideológico, lo que se refleja en los cinco motores que habrían de impulsar a Venezuela hacia el socialismo: una nueva ley habilitante para legislar en materia social y económica, una reforma socialista de la Constitución, el impulso de una educación popular para afianzar los valores socialistas, una "nueva geometría del poder" que permita revisar la actual institucionalidad y la "explosión revolucionaria del poder comunal", los Consejos Comunales. El desarrollo de la economía social —formas de organización socioproductivas no capitalistas— que según los planes deberían convertirse en la mayoría de las unidades económicas en el mediando plazo, junto a las empresas estatales que han crecido en número producto de las estatizaciones de innumerables empresas privadas (lo que incluye cadenas de restaurante y hoteles), son la otra faceta de este socialismo chavista cuyo objetivo se hace evidente cuando el propio Chávez les espeta a los empresarios que no hacen en ese país sino que de hecho sobraban. Y aunque la reforma constitucional socialista fue rechazada por escaso margen en el referéndum de diciembre de 2007, Chávez ha ido decretando en los años siguientes todo lo que en su momento no resultara aprobado según sus deseos, en una muestra más del desmontaje de la institucionalidad democrática más elemental.Apoyado en la renta petrolera (durante los últimos doce años ingresaron por dicha renta 100% más de recursos de los que habían ingresado en los dieciocho años anteriores), Chávez sostiene su proyecto local, regional e internacional; y sobre esa base y la de una cierta idea socializante que, independientemente de otra valoraciones, es entendida por amplios sectores de la sociedad venezolana como de corte netamente popular (el petróleo antes se lo "chupaba" la oligarquía, hoy el petróleo es para el pueblo, afirma Chávez), el régimen barre sin duda con la mayor parte de las garantías democráticas convirtiéndoselo en un tema de debate a la hora de cómo calificarlo. Últimamente algunos autores han recurrido a la categoría de "autoritarismo competitivo" creada por dos cientistas políticos estadounidenses algunos años atrás. El "autoritarismo competitivo" debe diferenciarse del autoritarismo absoluto debido a que en éste no pueden existir arenas políticas significativas desde donde la oposición pueda desafiar al régimen. Pero el "autoritarismo competitivo" tampoco es democracia, porque por más que las instituciones democráticas formalmente aún existen, las reglas son violadas frecuentemente, los funcionarios usan y abusan de los recursos del Estado, la oposición y los medios de comunicación son perseguidos y se cometen un número impresionante de arbitrariedades. Más allá de los nombres que se quieran elegir para definirlo, nadie duda que la República Bolivariana de Venezuela desde 1999 hasta la actualidad vive bajo un régimen cuya naturaleza es fácilmente asimilable a estas características. Sobre el autorPolitólogo. Universidad de la República.PRÓXIMA ENTREGA LA VENEZUELA DE CHÁVEZ (III) : ¿Qué cambió para las elecciones de octubre?
El perfil social de la Cartagena del cambio de siglo es muy heterogéneo, de alguna forma identificable con el de algunas ciudades como San Fernando, Cádiz, Barcelona, Málaga o el Ferrol. En todas ellas se da un común denominador: el hecho de ser ciudades costeras con puertos importantes que las convertirán en residencias temporales de una gran población flotante. En Cartagena quizás deba resaltarse la interdependencia social entre sectores de actividades bien diferenciadas: empresarios e industrias con la minería como actividad a destacar, comerciantes, militares marinos y de tierra, profesionales y políticos, lo que llevó a un "mestizaje" realmente interesante que marcó las bases de una nueva sociedad que nacería en los años veinte con planteamientos totalmente distintos. Se convertía así Cartagena, en base a este arco iris social, en una sociedad acogedora para cualquier foráneo que, casual o decididamente llegase a ella. En este sentido, este fenómeno se ha venido repitiendo hasta nuestros días de tal forma que la inmensa mayoría de sus habitantes son venidos de fuera, llegando algunos a ocupar cargos políticos y otros, de responsabilidad, con su consecuente impronta sobre el presente y futuro de la ciudad. El hecho de ser ciudad Departamental y Arsenal Militar, le confiere una personalidad específica. Al mismo tiempo, su ejército fundamentalmente de Marina –el Cuerpo de más élite dentro del mismo-, marca a la ciudad con desfiles, sus peculiares músicas, de una gran personalidad militar que sigue perdurando, cara y cruz de una moneda que no siempre ha producido resultados positivos. Celebraciones religiosas como las procesiones de Semana Santa están impregnadas de la marcialidad y musicalidad atribuible solo a la milicia. Todo ellos condujo a que la ciudad adquiriese una personalidad específica creándose una conciencia excesiva hacia lo propio, lo local, lo cantonal. En un ambiente así resultaba fácil la integración de una clase burguesa que surge entre 1890 y 1914, de los "nuevos ricos" que en ese "totum revolutum" son magníficamente acogidos, porque en la mayoría de los pensamientos, el dinero ocupa un papel importante y ellos, los nuevos ricos, tienen mucho y se apresuran a evidenciarlo en sus casas –mansiones-(Pedreño, Aznar, Conesa, Zapata, Llagostera, Aguire, Cervantes, etc.) en una verdadera pugna entre ellos para conseguir las mejores fachadas, compuestas con los mejores materiales procedentes de los lugares más idóneos, colocados por los mejores artesanos traídos del extranjero en algún caso, dirigidos por arquitectos prestigiados, todo ello en un intento de demostrar su hegemonía económica y desde luego su capacidad de gastar un patrimonio rápidamente conseguido. Un grupo notable, que refleja el colonialismo económico que vive el país y consecuentemente Cartagena, es el de los directos o delegados representantes de empresas extranjeras, que residían en la zona privilegiada situada frente al puerto, la Muralla del Mar, sobre la antigua muralla de Carlos III. Estaban integrados en la clase alta burguesa. Los militares constituyeron charnela de clases, en función de su mayor o menor grado dentro del escalafón. La clase media que formaba un grupo numeroso, se dedicaba al comercio y a lo que hoy se llama el funcionariado. Mal retribuida, intentó aparentar lo que realmente no existía. Apariencia en las fachadas de sus casa, (muchas se remozaron y añadieron miradores), arrastrados por los diseños de los nuevos edificios, que produjeron gran impacto arquitectónico, visual y social, y animales también por una política local que favoreció el remozamiento general de un casco antiguo en malas condiciones con algunos edificios del siglo XVIII que se recuperan. Apariencia también en su vestimenta y en la manera de ordenar el interior de sus viviendas. Las clases populares u obreras, se ocupaban fundamentalmente de la minería, pero también existían otras localizaciones de actividades obreras. Así, el puerto para la carga y descarga de mercancías, los astilleros del Arsenal, las diversas fábricas y fundiciones, las obras públicas y la pujante construcción, además de actuaciones puntuales que demandaron mano de obra: derribo de las murallas de la ciudad, apertura de nuevas calles, la red nueva de saneamiento de la ciudad, etc. A esta clase social cabe añadir los contingentes militares, destacados en la ciudad, de poca graduación y la tropa. Gran parte de la vida popular se desarrollaba en la calle, quizás como una constante mediterránea. Algunas calles eran, y aún lo son, calles salón cuajadas de terrazas de bares, incluso algunos oficios artesanales se desarrollaban en tal escenario. Lugares de ocio, eran además de calles y plazas, las tabernas, y el círculo gallístico para las peleas de gallos afición muy arraigada en Cartagena. En el Cerro del Molinete, antiguo cerro de Asdrubal, se ejercía la prostitución, algo que se debe tener presente dado el carácter de ciudad portuaria y el flujo de personas que visitaban la ciudad. El Molinete que ha existido como barrio hasta el año 1994, en que se produce su demolición, ha mantenido sus casas de lenocinio hasta el final. Situado en el centro de la ciudad fue un lugar que, en las fechas objeto de este estudio, albergaba además personajes típicos y gran número de delincuentes. Zona deprimida socialmente ha mantenido su original arquitectura de vivienda de una o dos plantas, en muchos casos la baja ocupada para negocios, encontrándose, el conjunto, oculto tas los edificios de nueva planta que constituían la barrera hacia lo prohibido, de hecho, estaba mal visto adentrarse en él durante el día: sin embargo, de noche, constituía lugar de encuentro no sólo de varones de clases bajas sino también de burgueses que desafiando el riesgo acudían hasta el amanecer. Nos remitimos a los diarios Eco y Porvenir de los años 1901 y siguientes, donde se relataban situaciones de riñas, puñaladas, tiros, etc. Sin lugar a dudas los lugares de ocio de la burguesía lo constituían el Gran Casino, el Club de Regatas, el Teatro y las Ferias, que aunque con carácter popular disponían de casetas específicas destinadas a las clases privilegiadas. Cartagena ha sido siempre una ciudad propia a crear ambientes festivos, forma parte de su idiosincrasia. A este impulso natural hay que sumar las fechas en que nos estamos moviendo, cuando se produce un cambio significativo en la mentalidad moral más frívola y revolucionaria, en la que el sentir religioso en muchas ocasiones se transforma en sentir político. Con todo se mantuvieron tradiciones festivas de carácter religioso quizás, insisto, por no tachar del calendario ninguna conmemoración lúdica. Fiestas religiosas y romerías relacionadas con los edificios religiosos dedicados al santo/a en reconocimiento a su mediación ante tal o cual desgracia o epidemia. Siempre se acompañaba de algún baile o corrida de toros. También cabe citar las Aleluyas del Primer Sábado Santo por la noche, cuando se arrojaban por las ventanas y miradores tiestos o vasijas rotas, el domingo de Resurrección y los Judas o quema de muñecos con pólvora en una tradición muy levantina. La Semana Santa era la fiesta litúrgica de mayor prestigio y entronque con el pueblo. Su excesiva marcialidad, que aún hoy mantiene, puede resultar negativa interpretándose el acto más como espectáculo que como profesión de fe. El pueblo la seguía desde las calles y desde los balcones y miradores de sus viviendas. La burguesía colaboró mucho con este tipo de celebraciones. De las fiestas militares debemos ocuparnos por tratarse de una plaza militar por excelencia, y porque más que un elemento añadido, lo militar ha sido el "leit motiv" de todas las fiestas, de forma más o menos encubierta. La tropa en movimiento desfilando, constituía en si misma un festejo, que casi se convertía en cotidiano si se tienen en cuenta las juras de bandera, los recibimientos a militares y políticos destacados, la llegada de nuevos contingentes, botaduras y atraques de navíos, etc. Merece la pena destacar la de 1876 al final de la guerra carlista, donde se tiró la casa por la ventana. Las Guerras de Cuba y Filipinas, en su conmemoración de 1923 incluó en su programa de festejos la construcción de un obelisco dedicado a los Héroes de Cavite situado frente al Puerto, sin olvidar los fuegos artificiales, regatas, voladura de minas submarinas, conciertos, retreta militar, toros, etc. La participación de los cartageneros en las fiestas de Murcia merece ser destacada. Concretamente en la época de Carnaval en el Entierro de la Sardina. La feria de Cartagena se celebraba en el mes de mayo en el muelle de Alfonso XII, cada año con la intención y el propósito de mejorar el anterior. Se diseñaron portadas espectaculares del rango y estilo de las de Sevilla o Jerez. Se contrataban los mejores espectáculos: batallas de flores, fuegos artificiales y desfiles de carrozas. Quizás las Veladas marítimas constituyeron el espectáculo más vistoso, aportando un toque mágico de luz y color sobre el mar. Tenían una impronta modernista aunque las fiestas con barcos son de tradición más antigua, y se puede decir que suponían la mejor aportación a nivel nacional. No olvidemos que las embarcaciones que participaban estaban diseñadas y construidas para tal fin, con los motivos más fantásticos y exóticos que entonces se podían imaginar, cuyos autores eran artistas cartageneros entre los que citamos a los arquitectos Spottorno y Rico Valarino y al pintor Wssell de Guimbarda. En el año 1896 se celebraron los Primeros Juegos Florales de la ciudad, que constituyeron la fiesta intelectual y burguesa por excelencia. Importantes fueron los años 1902, coincidiendo con la coronación de Don Alfonso XII y que tuvieron a Miguel de Unamuno como moderador. Al igual que cualquier otra ciudad, el carnaval era l fiesta desbordante capaz de romper con cualquier esquema, entre otras cosas porque llegaba a todos sin distinción de clases (que ya era decir en Cartagena). Desde las fiestas privadas en el Casino con su baile de disfraces, o las del Ateneo, hasta el más perdido rincón de la ciudad. Transcurrido el tiempo, y hacia los años treinta se reflejará en las fiestas de todo tipo, la nueva situación social y política, perdiéndose la espontaneidad popular, ganando en situaciones tensas entre políticos locales de distintas ideologías y tendencias, llegándose a instaurar la "Fiesta de la República" a la que asistió el mismo Alcalá Zamora (se acompaña programa de fiestas de los años 1902 y 1916). Intento justificar que el concepto de mirador, en gran parte, es importado en esta ciudad aunque existiese alguno o algunos de años anteriores, como en otras ciudades mediterráneas, y hasta qué punto los hábitos y costumbres específicos de los habitantes de Cartagena, volcados a la calle, en la mayoría de los casos, potenciaron el remozamiento de muchas fachadas introduciendo este elemento arquitectónico, el mirador, como novedoso y que resultó imprescindible incorporar en los edificios de nueva construcción.
El perfil social de la Cartagena del cambio de siglo es muy heterogéneo, de alguna forma identificable con el de algunas ciudades como San Fernando, Cádiz, Barcelona, Málaga o el Ferrol. En todas ellas se da un común denominador: el hecho de ser ciudades costeras con puertos importantes que las convertirán en residencias temporales de una gran población flotante. En Cartagena quizás deba resaltarse la interdependencia social entre sectores de actividades bien diferenciadas: empresarios e industrias con la minería como actividad a destacar, comerciantes, militares marinos y de tierra, profesionales y políticos, lo que llevó a un mestizaje realmente interesante que marcó las bases de una nueva sociedad que nacería en los años veinte con planteamientos totalmente distintos. Se convertía así Cartagena, en base a este arco iris social, en una sociedad acogedora para cualquier foráneo que, casual o decididamente llegase a ella. En este sentido, este fenómeno se ha venido repitiendo hasta nuestros días de tal forma que la inmensa mayoría de sus habitantes son venidos de fuera, llegando algunos a ocupar cargos políticos y otros, de responsabilidad, con su consecuente impronta sobre el presente y futuro de la ciudad. El hecho de ser ciudad Departamental y Arsenal Militar, le confiere una personalidad específica. Al mismo tiempo, su ejército fundamentalmente de Marina ,el Cuerpo de más élite dentro del mismo-, marca a la ciudad con desfiles, sus peculiares músicas, de una gran personalidad militar que sigue perdurando, cara y cruz de una moneda que no siempre ha producido resultados positivos. Celebraciones religiosas como las procesiones de Semana Santa están impregnadas de la marcialidad y musicalidad atribuible solo a la milicia. Todo ellos condujo a que la ciudad adquiriese una personalidad específica creándose una conciencia excesiva hacia lo propio, lo local, lo cantonal. En un ambiente así resultaba fácil la integración de una clase burguesa que surge entre 1890 y 1914, de los nuevos ricos que en ese totum revolutum son magníficamente acogidos, porque en la mayoría de los pensamientos, el dinero ocupa un papel importante y ellos, los nuevos ricos, tienen mucho y se apresuran a evidenciarlo en sus casas mansiones-(Pedreño, Aznar, Conesa, Zapata, Llagostera, Aguire, Cervantes, etc.) en una verdadera pugna entre ellos para conseguir las mejores fachadas, compuestas con los mejores materiales procedentes de los lugares más idóneos, colocados por los mejores artesanos traídos del extranjero en algún caso, dirigidos por arquitectos prestigiados, todo ello en un intento de demostrar su hegemonía económica y desde luego su capacidad de gastar un patrimonio rápidamente conseguido. Un grupo notable, que refleja el colonialismo económico que vive el país y consecuentemente Cartagena, es el de los directos o delegados representantes de empresas extranjeras, que residían en la zona privilegiada situada frente al puerto, la Muralla del Mar, sobre la antigua muralla de Carlos III. Estaban integrados en la clase alta burguesa. Los militares constituyeron charnela de clases, en función de su mayor o menor grado dentro del escalafón. La clase media que formaba un grupo numeroso, se dedicaba al comercio y a lo que hoy se llama el funcionariado. Mal retribuida, intentó aparentar lo que realmente no existía. Apariencia en las fachadas de sus casa, (muchas se remozaron y añadieron miradores), arrastrados por los diseños de los nuevos edificios, que produjeron gran impacto arquitectónico, visual y social, y animales también por una política local que favoreció el remozamiento general de un casco antiguo en malas condiciones con algunos edificios del siglo XVIII que se recuperan. Apariencia también en su vestimenta y en la manera de ordenar el interior de sus viviendas. Las clases populares u obreras, se ocupaban fundamentalmente de la minería, pero también existían otras localizaciones de actividades obreras. Así, el puerto para la carga y descarga de mercancías, los astilleros del Arsenal, las diversas fábricas y fundiciones, las obras públicas y la pujante construcción, además de actuaciones puntuales que demandaron mano de obra: derribo de las murallas de la ciudad, apertura de nuevas calles, la red nueva de saneamiento de la ciudad, etc. A esta clase social cabe añadir los contingentes militares, destacados en la ciudad, de poca graduación y la tropa. Gran parte de la vida popular se desarrollaba en la calle, quizás como una constante mediterránea. Algunas calles eran, y aún lo son, calles salón cuajadas de terrazas de bares, incluso algunos oficios artesanales se desarrollaban en tal escenario. Lugares de ocio, eran además de calles y plazas, las tabernas, y el círculo gallístico para las peleas de gallos afición muy arraigada en Cartagena. En el Cerro del Molinete, antiguo cerro de Asdrubal, se ejercía la prostitución, algo que se debe tener presente dado el carácter de ciudad portuaria y el flujo de personas que visitaban la ciudad. El Molinete que ha existido como barrio hasta el año 1994, en que se produce su demolición, ha mantenido sus casas de lenocinio hasta el final. Situado en el centro de la ciudad fue un lugar que, en las fechas objeto de este estudio, albergaba además personajes típicos y gran número de delincuentes. Zona deprimida socialmente ha mantenido su original arquitectura de vivienda de una o dos plantas, en muchos casos la baja ocupada para negocios, encontrándose, el conjunto, oculto tas los edificios de nueva planta que constituían la barrera hacia lo prohibido, de hecho, estaba mal visto adentrarse en él durante el día: sin embargo, de noche, constituía lugar de encuentro no sólo de varones de clases bajas sino también de burgueses que desafiando el riesgo acudían hasta el amanecer. Nos remitimos a los diarios Eco y Porvenir de los años 1901 y siguientes, donde se relataban situaciones de riñas, puñaladas, tiros, etc. Sin lugar a dudas los lugares de ocio de la burguesía lo constituían el Gran Casino, el Club de Regatas, el Teatro y las Ferias, que aunque con carácter popular disponían de casetas específicas destinadas a las clases privilegiadas. Cartagena ha sido siempre una ciudad propia a crear ambientes festivos, forma parte de su idiosincrasia. A este impulso natural hay que sumar las fechas en que nos estamos moviendo, cuando se produce un cambio significativo en la mentalidad moral más frívola y revolucionaria, en la que el sentir religioso en muchas ocasiones se transforma en sentir político. Con todo se mantuvieron tradiciones festivas de carácter religioso quizás, insisto, por no tachar del calendario ninguna conmemoración lúdica. Fiestas religiosas y romerías relacionadas con los edificios religiosos dedicados al santo/a en reconocimiento a su mediación ante tal o cual desgracia o epidemia. Siempre se acompañaba de algún baile o corrida de toros. También cabe citar las Aleluyas del Primer Sábado Santo por la noche, cuando se arrojaban por las ventanas y miradores tiestos o vasijas rotas, el domingo de Resurrección y los Judas o quema de muñecos con pólvora en una tradición muy levantina. La Semana Santa era la fiesta litúrgica de mayor prestigio y entronque con el pueblo. Su excesiva marcialidad, que aún hoy mantiene, puede resultar negativa interpretándose el acto más como espectáculo que como profesión de fe. El pueblo la seguía desde las calles y desde los balcones y miradores de sus viviendas. La burguesía colaboró mucho con este tipo de celebraciones. De las fiestas militares debemos ocuparnos por tratarse de una plaza militar por excelencia, y porque más que un elemento añadido, lo militar ha sido el leit motiv de todas las fiestas, de forma más o menos encubierta. La tropa en movimiento desfilando, constituía en si misma un festejo, que casi se convertía en cotidiano si se tienen en cuenta las juras de bandera, los recibimientos a militares y políticos destacados, la llegada de nuevos contingentes, botaduras y atraques de navíos, etc. Merece la pena destacar la de 1876 al final de la guerra carlista, donde se tiró la casa por la ventana. Las Guerras de Cuba y Filipinas, en su conmemoración de 1923 incluó en su programa de festejos la construcción de un obelisco dedicado a los Héroes de Cavite situado frente al Puerto, sin olvidar los fuegos artificiales, regatas, voladura de minas submarinas, conciertos, retreta militar, toros, etc. La participación de los cartageneros en las fiestas de Murcia merece ser destacada. Concretamente en la época de Carnaval en el Entierro de la Sardina. La feria de Cartagena se celebraba en el mes de mayo en el muelle de Alfonso XII, cada año con la intención y el propósito de mejorar el anterior. Se diseñaron portadas espectaculares del rango y estilo de las de Sevilla o Jerez. Se contrataban los mejores espectáculos: batallas de flores, fuegos artificiales y desfiles de carrozas. Quizás las Veladas marítimas constituyeron el espectáculo más vistoso, aportando un toque mágico de luz y color sobre el mar. Tenían una impronta modernista aunque las fiestas con barcos son de tradición más antigua, y se puede decir que suponían la mejor aportación a nivel nacional. No olvidemos que las embarcaciones que participaban estaban diseñadas y construidas para tal fin, con los motivos más fantásticos y exóticos que entonces se podían imaginar, cuyos autores eran artistas cartageneros entre los que citamos a los arquitectos Spottorno y Rico Valarino y al pintor Wssell de Guimbarda. En el año 1896 se celebraron los Primeros Juegos Florales de la ciudad, que constituyeron la fiesta intelectual y burguesa por excelencia. Importantes fueron los años 1902, coincidiendo con la coronación de Don Alfonso XII y que tuvieron a Miguel de Unamuno como moderador. Al igual que cualquier otra ciudad, el carnaval era l fiesta desbordante capaz de romper con cualquier esquema, entre otras cosas porque llegaba a todos sin distinción de clases (que ya era decir en Cartagena). Desde las fiestas privadas en el Casino con su baile de disfraces, o las del Ateneo, hasta el más perdido rincón de la ciudad. Transcurrido el tiempo, y hacia los años treinta se reflejará en las fiestas de todo tipo, la nueva situación social y política, perdiéndose la espontaneidad popular, ganando en situaciones tensas entre políticos locales de distintas ideologías y tendencias, llegándose a instaurar la Fiesta de la República a la que asistió el mismo Alcalá Zamora (se acompaña programa de fiestas de los años 1902 y 1916). Intento justificar que el concepto de mirador, en gran parte, es importado en esta ciudad aunque existiese alguno o algunos de años anteriores, como en otras ciudades mediterráneas, y hasta qué punto los hábitos y costumbres específicos de los habitantes de Cartagena, volcados a la calle, en la mayoría de los casos, potenciaron el remozamiento de muchas fachadas introduciendo este elemento arquitectónico, el mirador, como novedoso y que resultó imprescindible incorporar en los edificios de nueva construcción.
Dottorato di ricerca in Storia d'Europa, società, politica, istituzioni (xix-xx) ; L'obbiettivo di questo lavoro è tracciare una storia istituzionale dell'università, inquadrandola nel più generale contesto sociale ed economico che determinò le politiche formative del paese dall'immediato dopo guerra, passando per gli anni dell'espansione economica e quelli successivi della stagnazione, giungendo fino ai primi anni ottanta. La ricerca ha seguito due direttive: da un lato l'evoluzione dell'università determinata dalla politica istituzionale e i cambiamenti della struttura universitaria, dall'altro lo stravolgimento del ruolo sociale dell'università, determinato dal passaggio dal modello liberale di università d'elitè funzionale alla formazione di una ristretta classe dirigente, a indispensabile strumento per la formazione di numerose e ampie categorie di forza lavoro in un paese avviato verso la completa industrializzazione, verso l'enorme sviluppo del settore terziario e in un contesto di profonda urbanizzazione e in generale di superamento dei rapporti sociali dei decenni precedenti alla guerra. La prima traccia di ricerca è stata sviluppata su due categorie di fonti principali: da un lato il dibattito politico-parlamentare intorno ai progetti di legge (le aperture degli accessi del '61 e specialmente del '69, le liberalizzazioni dei piani di studio dello stesso anno, i provvedimenti sulla docenza degli anni settanta), alle indagini conoscitive (quella promossa dal ministro Gonella nel '47 e quella varata da Medici e conclusa con Gui ministro tra il '63 e il '65), alle proposte di riforma (i progetti n. 2.314 del '65, n. 612 del '69, l'elaborazione della "Bozza Cervone" fra '77 e '78), alla regolazione dell'assetto giuridico ed economico del personale docente, ai piani di finanziamento e sviluppo dell'università; dall'altro attraverso lo studio del dibattito interno e fra i partiti utilizzando come fonti i periodici ad essi vicini o attenti al tema ("Riforma della Scuola" e "Rinascita" per il PCI, "Scuola e Città" e "Il Ponte" per il PSI, "La Discussione" e "Tuttoscuola" per la DC, in seguito riviste come "Universitas", ecc.), oltre che atti di convegni e pubblicazioni curate dai protagonisti dell'epoca. Nella ricerca, un ampio spazio è dato al tema della pianificazione scolastica (animato dagli studi di tecnici dell'economia e della formazione), strettamente connessa al dibattito sulla pianificazione economica sviluppatosi prevalentemente negli anni del centrosinistra. La seconda traccia di studio, quella relativa ai cambiamenti sociali e culturali causa ed effetto dell'espansione dell'utenza universitaria, è stata analizzata attraverso lo studio di fonti inconsuete per la storiografia tradizionale, come gli studi di sociologia e di scienze della formazione sviluppatisi a partire dagli anni settanta, i quali fecero largo uso delle cifre sistematizzate da ISTAT e CENSIS sistematizzate nelle tabelle statistiche che completano il presente lavoro. Analizzare l'evoluzione delle componenti sociali ha significato anche indagare le vicende legate alla docenza universitaria, al suo ruolo rispetto al dibattito politico, alle richieste portate avanti e alle funzioni assunte all'interno delle facoltà di fronte ai profondi cambiamenti descritti. Per quanto riguarda gli estremi cronologici della ricerca, la scelta di interrompere la ricerca alla prima metà degli anni '80 risponde all'analisi più complessiva che si fa di quel periodo della storia politica ed economica non soltanto italiana, le cui successive vicende di riforma dell'università rappresentano a mio avviso l'emblema del netto cambio di fase vissuto dalla politica e dalla società anche per quanto riguarda l'istruzione superiore. La suddivisione in capitoli rispecchia invece più fedelmente le fasi della politica universitaria. Nel primo capitolo si fa il punto sull'eredità dell'apparato normativo ereditato dal fascismo e sulle effettive possibilità che si aprirono o meno alle forze politiche per inaugurare una nuova fase, mettendo in luce anche le prime strategie d'intervento abbozzate dai principali partiti nel corso degli anni '50. Nel secondo capitolo sono affrontate le previsioni scolastiche e i progetti di riforma ad esse più o meno legate: dagli studi della SVIMEZ in poi (influenzati da quelli più ampi condotti dall'OCSE), la programmazione scolastica e le previsioni sullo sviluppo economico del paese assunsero un ruolo determinante per la politica di riforma di scuola e università, politica che nei primi anni sessanta si concretizzò nell'istituzione della scuola media unica (1962), nelle prime aperture dell'università ai diplomati di istituti e soprattutto nella prima vera proposta di riforma dell'università, quella di Luigi Gui del 1966, l'unica inserita in un progetto organico di riforma di tutta l'istruzione, il Piano Gui, dichiaratamente ispirato dagli studi di previsione (anche se non sempre coerente con essi). Con il terzo capitolo si affronta la lunga discussione dentro e fuori il Parlamento in merito al più ambizioso progetto di riforma del periodo, il n. 612, sostenuto dai socialisti proprio mentre l'esperienza dei governi di centrosinistra andava esaurendosi nei primi anni settanta; dello stesso periodo (1969) è l'apertura degli accessi all'università a qualsiasi tipologia di diplomato e le liberalizzazioni dei piani di studio, veri spartiacque della storia dell'università italiana. Il terzo capitolo si chiude infine con l'analisi dei "provvedimenti urgenti" del 1973, emblema di un modello di sviluppo dell'università fortemente precario, sintomo dell'incapacità di riformare e investire seriamente nella qualità dell'istruzione universitaria a vantaggio di una strategia prettamente quantitativa. Le tematiche affrontate nel quarto e ultimo capitolo sono invece determinate dall'inedita fase politica vissuta dal paese dalla metà degli anni settanta, caratterizzata dall'avvicinamento fra maggioranza e opposizione fino alla creazione dei governi di "solidarietà nazionale", nati ufficialmente per far fronte a crisi economica e terrorismo politico. Mentre l'attenzione sulla riforma universitaria andava velocemente calando (nonostante un ennesimo dibattito durato anni in Parlamento su un altro complesso progetto di riforma, la "bozza Cervone"), si verificarono gli ultimi cambiamenti sostanziali della struttura accademica attraverso l'ultimo capitolo del riformismo per decreti, tramite il quale furono istituiti i dipartimenti e le figure di ricercatore e docente associato nei primi anni ottanta. Chiude il lavoro l'Appendice Statistica in cui sono raccolte le cifre dell'università italiana (studenti, docenti, rapporti quantitativi e distribuzione, finanziamenti) dal 1946 al 1985. ; The aim of this study is tracing an istitutional history of university, by focusing in the wider social and economic context that determined the higher education policies after Second World War – spanning from the economic espansion years and the later stagnation to the early eighties. The research follows two main paths: on the one hand the university evolution and change of structure as determined by institutional factors; on the other hand the revolutionized social role of universities over the period under investigation. Indeed, the passage from a liberal model of élite universities – destined to the education of ruling classes – to a mass university – an essential instrument in training numerous labor force categories – took place in a rapidly and profoundly changing context. At that time Italy was headed towards full industrialization, was experiencing a massive development of the third sector and mass urbanization. In general, Italy was overcoming the social relations of the decades before Second world war. The First research line was developed on the basis of two main sources. On the one hand I analyzed the political-parliamentary debate on Education Bill proposals (the opening of the access of 1961 and especially of 1969, the curriculum liberalizations of the same year, the measures on univerity teaching in the seventies), on the investigations (the one proposed by Minister Gonella in 1947, launched from Minister Medici and concluded by Gui which was Education Minister from 1963 to 1965), on the various reform proposals of the analyzed decades (projects n. 2.314 of '65, n. 612 of '69, the elaboration of the "Bozza Cervone" between '77 and '78) and about the regulation of the legal and economic framework of higher education teachers and the plans of university funding and development. On the other hand, I studied the internal party debates by employing periodicals close to political parties or particularly sensitive to higher education issues ("Riforma della Scuola" and "Rinascita" for the communist party PCI, "Scuola e Città" and "Il Ponte" for the socialist party PSI, "La Discussione" and "Tuttoscuola" for the Christian democrat party DC, for more recent years periodical such as "Universitas", etcetera). Furthermore I used as sources conference proceedings and pubblications edited by the key actors of the debate. In the research I gave a significant space to the scholastic planning issue. This debate was strictly connected to the one on the economic planning of the country, developed mostly in the center-left wing years. The second part of the study, as said above, focuses on the social and cultural changes which were cause and consequences of the widening of the university students. This was analyzed through the study of source that are unusual to the tradition historiography, such as sociology or higher education studies which were developed from the 1970s and largely employed ISTAT and CENSIS data and researches. I have rationalized these studies in the statistics tables present in this thesis. The analysis of the evolution of social components regarded also university teaching activity issues, its role in relation to the political debate, and the role of teaching staffs within faculties in the profoundly changing circumstances described above. For what concerns the historical time range of this work, the choice to stop in the early eighties answers to a more general analysis of a chapter of the political and economic history that started in that eighties, not only in Italy. In my opinion, the following sequence of events regarding higher education reforms represent the symbol of the clear and abrupt phase change that politics and society experienced at that time. The thesis is organized as follows. The first chapter takes stock of the legislation inherited from the fascism and of the first debates on university in the Assemblea Costituente and in the Parliament, sheding light on the first intervention strategies of major political parties during the fifties. The second chapter addresses the forecasts on school attendendence and the consequent projects of reform. On the basis of first studies of SVIMEZ – influenced by the broader ones of OCSE – the education planning and the forecasts on the country development played a crucial role for the reform policies of schools and universities. Policies embodied in the early sisxties by the institution of the scuola media unica in 1962, by the first opening of access to professional high school graduates; and, in particolar, in 1966 by the first real proposal of university reform, the Piano Gui of Luigi Gui, the only one included in an integral reform plan of all education levels and explicitely inspired from the educational planning studies. The third chapter focuses on the long discussion – inside an outside the Parliament – concernig the most ambitiuos reform project of the period, the n. 612. The latter, while the experience of the center-left wing goverments were extinguishing, was backed by the socialists. However, the socialist were responsabile for the actual watershed in Italian university history, the opening of university accesses to any category of high school graduated students. Lastly, the third chapter ends with the analysis of 1973's "provvedimenti urgenti", emblem of a model of university development heavily based on precarious work. A synthom of the incapacity both in reforming and in seriously invest in education quality, favoring only quantitative strategies. While, in the fourth and last chapter, focuses on the second halph of the seventies a complete new political phase for the country, characterized by the approach between the parliamentary majority (hold by Christian democrat) and the communist opposition until the creation of natonal solidarity governments, ufficially borned to tackle the economic crisic and political terrorism. In the early eighties, while the attention on university reforms was rapidly decreasing, the last substantial change to the academic structure were made after those of 1969. During the last chapter of the "reformism by decrees", the departments and the roles of researcher and associate professor were established. The statistical appendix ends the thesis. Covering a time window that goes from 1946 to 1985, it reports all data on students, teachers, funding and their distribution in the ltalian
El número de ENCUENTROS LATINOAMERICANOS que aquí presentamos, se inscribe en la perspectiva de los intereses de la Sección "Pensamiento, Sociedad y Democracia" del Centro de Estudios Interdisciplinarios Latinoamericanos (CEIL) "Profa. Lucía Sala". En la convocatoria para el mismo realizada en 2015, se privilegió el dossier "Democracias en revolución y revoluciones en democracia", invitando también a las y los colegas, a la presentación de artículos para las secciones "Pensamiento", "Sociedad", "Democracia" e "Integración", así como de reseñas bibliográficas de interés en el campo de los estudios interdisciplinarios latinoamericanos. El dossier "Democracias en revolución y revoluciones en democracia", descontando su intrínseca relevancia, fue concebido especialmente como aporte al programa de investigación que bajo esa denominación fue promovido inicialmente desde el Instituto de Altos Estudios Nacionales (IAEN) de la República de Ecuador, programa del que el CEIL es desde los inicios del mismo uno de sus nodos en Uruguay. En nuestra convocatoria a realizar aportes al dossier, señalábamos que en la década de los sesenta del siglo XX uno de los tópicos que centralmente convocó al pensamiento en el campo de las ciencias humanas y sociales fue el de la revolución. Que en la de los setenta el foco se desplazó tal vez a la naturaleza de los nuevos autoritarismos entonces emergentes, que a través de su ejercicio del poder dejaron fuera de lugar el horizonte de revolución de la década precedente. Ya en la década de los ochenta, coincidiendo con los procesos de transición a la democracia en la región, el tópico de la democracia adquirió una centralidad que no ha declinado hasta el presente, aunque atravesado por nuevos procesos a nivel regional y global y por otros asuntos de impacto creciente.Hoy, no obstante síntomas que han llevado a muchos analistas a pensar o vaticinar una declinación o crisis del ciclo de gobiernos de izquierda o progresistas en América Latina, abriendo lugar a un ciclo de gobiernos de derecha o conservadores, que podrían ser síntoma a nivel del escenario político, de cambios posibles más profundos en lo socio-político y cultural en el sentido de una recomposición hegemónica de horizonte mundial; procesoscomo los que con distintos grados de dificultad tienen lugar en Venezuela, Bolivia y Ecuador, identificados respectivamente como "revolución bolivariana", "revolución cultural y democrática" y "revolución ciudadana", ponen en específica relación y tensión a las lógicas de la democracia y la revolución, que en contextos anteriores se presentaban como excluyentes. Con recientes giros a la derecha en Argentina y Brasil, en estos países, así como en Uruguay, sin reivindicarse explícitamente el concepto de revolución, han tenido lugar transformaciones sociales, políticas e institucionales que podrían entenderse como revolucionarias, aunque realizadas en democracia. Con sus particularidades, los procesos en Venezuela, Bolivia y Ecuador por un lado y los de Argentina, Brasil y Uruguay por otro, se constituyeron en las referencias fundantes e iniciales del programa "Democracias en revolución y revoluciones en democracia", abierto a la investigación y reflexión sobre otros países de la región y sobre esta como conjunto. A título indicativo aunque no excluyente, señalamos que los problemas relativos a: Estado, democracia y derechos, identidad, cultura e interculturalidad, procesos de integración regional, usos y sentidos de democracia y revolución en los procesos actuales y en el pensamiento latinoamericano pasado y presente, encontrarían eventual acogida en el dossier entonces proyectado. Sobre esos antecedentes, contamos finalmente en el dossier "Democracias en revolución y revoluciones en democracia" con los artículos que a continuación presentamos brevemente. Sebastián Levalle en "América Latina: entre la anomalía y la utopía. Una lectura americanista de los procesos de cambio en Bolivia, Ecuador y Venezuela en el siglo XXI". (págs. 7-40), se propone a través de una lectura nuestroamericanista profundizar en elementos constitutivos de la realidad latinoamericana que permitan la comprensión de los procesos en curso en lo que va del siglo XXI en Venezuela, Bolivia y Ecuador. El camino que nos invita a recorrer –desde lo tópico a lo utópico-, consta de tres momentos. El primero de los mismos apunta a la asunción de nuestras especificidades latinoamericanas. En el segundo se procura dar cuenta de los horizontes de visibilidad de lo identitario en el marco de las protestas y movilizaciones populares contra las políticas neoliberales. El artículo culmina con una discusión sobre las tensiones y el rumbo de los procesos de cambio en los tres países considerados.En "Política social en Venezuela. Las Misiones sociales" (págs. 41-67), su autora, Alba Carosio, se centra en el análisis de las políticas sociales de la Revolución Bolivariana, que enmarcadas en una filosofía de la izquierda política orientada a la realización de la igualdad y la justicia social como principios fundamentales, se han desarrollado como Misiones Sociales. Procura dar cuenta de la singularidad en la construcción de estas políticas sociales, en las que por mecanismos no institucionales se procura responder a las demandas sociales, procurando fortalecer o crear un vínculo personal entre las y los sujetos demandantes y los líderes políticos junto con sus funcionarios más cercanos, que dicen acerca de la singular presencia de la dimensión emocional intersubjetivamente tejida, en la construcción, extensión, profundización y consolidación de estas políticas sociales. Javier Alfredo Biardeau Restrepo, en su artículo "La hegemonía estadounidense y el cierre del universo del discurso sobre la democracia: tensiones frente al proyecto bolivariano de "democracia social y participativa" (págs.68-114), indaga las fuentes sobre las que el modelo de democracia de los EEUU ha fundado su condición de sentido común legitimador de su sociedad y construido su retórica democrática de proyección internacional hegemónica. El artículo recorre momentos históricos de significación en la constitución de la gramática política de la mentalidad de sus élites, incluyendo la promoción de la activación de la carta democrática interamericana contra la revolución bolivariana en la primera década del siglo en curso. Fundamentos de la república liberal en su relación con la soberanía popular, hacen part6e del análisis, para culminar en consideraciones sobre la profundización de la participación y el protagonismo popular en la construcción de la democracia revolucionaria en Venezuela, en cuanto bases socio-políticas y culturales para prácticas de emancipación y autodeterminación nacional que permitan adversar al imperialismo en su proceso de globalización neoliberal.Una reflexión de carácter regional, es la que desarrolla Eduardo J. Vior en su texto "La revolución de la ciudadanía suramericana" (págs.115-155). Enmarca la misma en los procesos institucionalmente promovidos desde la UNASUR, que suponen actual o potencialmente sobre la referencia los derechos humanos de los migrantes en la región, la perspectiva de constitución de una ciudadanía suramericana. Lo revolucionario de estos procesos radica en que deja de ser el Estado quien tiene la prerrogativa de otorgar la ciudadanía, para ser las personas o los grupos en su condición de titulares de derechos, quienes eligen el Estado en el que legitimar el ejercicio de su ciudadanía. A partir de esta novedad impulsada por la UNASUR en concurrencia con las demandas por derechos y ciudadanía de los migrantes, se consideran los problemas teóricos, jurídicos y políticos que la misma pone en escena, trazando algunas de las líneas más relevantes del debate y se avanzan conjeturas plausibles respecto de los caminos por los que podría progresar esta nueva forma de construcción de ciudadanía, la que también es considerada y tipificada en la perspectiva de la teoría de la revolución. Se discuten en definitiva las condiciones históricas y teóricas de factibilidad de una ciudadanía suramericana, así como su inscripción en el que se tipifica como un ciclo largo de la revolución democrática, para focalizar finalmente la continuidadde esta revolución con las condiciones actuales de los que califica como "metarregionalismos disgregadores". Gustavo José Albino de Sousa en su artículo "Políticas y conceptos de educación integral en Brasil: ¿La búsqueda de avances democráticos? (págs.156-207), en el marco de la que valora como una coyuntura –política, económica y social- global que afecta a los distintos países, pone en el foco de su análisis al concepto de educación integral en Brasil, su implementación en el marco de los programas y políticas de gobierno y su potencial contribución al desarrollo de la democracia en ese país. Contextualiza brevemente la política educacional brasileña en sus caminos neoliberales y de la Tercera Vía, pasando por la comprensión contemporánea de la educación integral y especialmente de las políticas del Gobierno Federal de Brasil a través del Programa Más Educación y del Plan Nacional de Educación 2014-20124. Las conclusiones parecen revelar que el aporte esperado de la educación a los avances democráticos, queda por debajo de las expectativas. Lejos de tales avances, la propuesta educativa vigente, en lugar de integración de las clases sociales parece promover un alejamiento de las mismas, lo cual pone en evidencia la necesidad de la transformación de la misma para el desarrollo democrático de Brasil. José Stagnaro Bonilla en "Dictadura, izquierda y democracia en Uruguay. Transformación de la izquierda uruguaya pos dictadura" (págs.208-248) propone un análisis de los discursos de la izquierda uruguaya en relación al uso del concepto de "democracia" que en los mismos se hace presente antes y después del golpe de Estado del 27 de junio de 1973, valorando como una verdadera "mutación" la que en relación a dicho concepto se ha operado en esos discursos que se sitúan en esos tiempos políticamente tan diferentes de la pre-dictadura y de la pos-dictadura. Desde el punto de vista teórico, el artículo hace suyo la perspectiva del análisis del discurso propuesta por Ernesto Laclau y Chantal Mouffe, para dar cuenta del surgimiento de la nueva izquierda institucional uruguaya que se extiende y consolida en la década de los 90 con la formación del "Encuentro Progresista". El análisis da cuenta de las que interpreta como causas de ese cambio en los usos del concepto de democracia, indicando que a partir de la recuperación de la institucionalidad democrática en 1985, la izquierda internalizará como propio el discurso que reduce a la política a la administración del Estado y que se adscribe a las virtudes de la democracia representativa."Democracias para la liberación y la necesidad de un proyecto transmoderno" de Héctor Altamirano (págs. 249-271) ensaya aproximaciones a diversos aspectos de las democracias contemporáneas en América Latina, desde procesos cuyo inicio remite a la década de los 70 del siglo pasado. En esa línea realiza algunas valoraciones sobre la recomposición del sistema mundial, así como consideraciones sobre los rasgos del desarrollo de uncambio cultural que profundiza el individualismo, para lo que entre otras lógicas procura la destrucción de valores y criterios propios de las formas comunitarias de vida. Frente a esa recomposición hegemónica de alcance planetario y los rasgos hiper-individualistas que caracterizan a su producción de identidad, registra procesos emergentes contra-hegemónicos en Latinoamérica a los que propone identificar como semillas de sociedades emancipatorias que a futuro desarrollarán "democracias para la liberación". Adscribe a esos procesos el carácter de necesarios, no en el sentido de inevitables, sino en cuanto aquellos de los cuales depende desde hoy la posibilidad de vida humana y de la naturaleza en el planeta en el futuro. Karen Wild Díaz en "Traernos unos a otros a la existencia. Micropolítica indígena y ontologías relacionales" (págs.272-290), reflexiona sobre el neoextractivismo desarrollista en América Latina, al que identifica como forma específica de la experiencia moderna/colonial en nuestra región, explicitando y considerando los ejes de esa estrategia que apuntalan el avance y profundización del capitalismo al mercantilizar tanto a los seres humanos como a su entorno vital, con la consecuente sujeción y exclusión social y natural. Postula la tesis de que para hacer posible un mundo en el que todos puedan vivir –la naturaleza incluida-, que más allá de la experiencia moderna/colonial abriría una perspectiva transmoderna/poscolonial, lo que se precisa no son formas alternativas de desarrollo, sino alternativas al desarrollo que habiliten la configuración de otras formas de experiencia. En esa perspectiva el artículo se interesa por las ontologías relacionales, las que constituyen la matriz de las comunidades indígenas-campesinas y argumenta en la dirección de fundamentar que algunas de las luchas que comunidades informadas por las ontologías relacionales, desarrollan contra los megaproyectos neoextractivistas, verosímilmente habrían de constituirse en fundamentales antagonistas a la modernidad / colonialidad hoy dominante. "Tres perspectivas sobre la vía democrática al socialismo o avanzar en democracia al socialismo: Rodney Arismendi, Nicos Poulantzas y Álvaro García Linera" de Alexis Capobianco Vieyto (págs.291-343) presenta en sus líneas fundamentales el pensamiento de Rodney Arismendi – quien fuera Secretario del Partido Comunista del Uruguay de 1955 a 1987, fundador del Frente Amplio y diputado durante un extenso período-, en torno a sus conceptos de "Democracia avanzada" y "Avanzar en democracia" que expresara y promoviera oportunamente como formas de alcanzar y realizar en democracia la transición al socialismo. El interés puesto en el pensamiento de Arismendi se enriquece a través de la búsqueda y presentación de puntos de contacto con los planteamientos del actual Vicepresidente del Estado Plurinacional de Bolivia y dirigente del Movimiento a l Socialismo en ese país andino, asi como con los del teórico eurocomunista Nicos Poulantzas que cuenta entre las principales fuentes teóricas del intelectual y político boliviano.Con motivo de la conmemoración de los cien años del nacimiento del Ingeniero José Luis Massera (José Luis Massera, 8 de junio de 1915 – 9 de setiembre de 2002), destacado científico, intelectual y político uruguayo, una Comisión de Homenajes llevó a cabo durante el año 2015 una serie de actividades, entre las cuales se realizó la Mesa Redonda "El aporte de Massera al avance en democracia" en la Biblioteca del Palacio Legislativo, el 8 de junio de 2015. Para esa ocasión y con ese título, quien ahora escribe, participó con una exposición (págs. 344-362) en la que luego de reflexionar sobre la expresión "avance en democracia" , lo hizo sobre "avanzar en democracia como consigna estratégico-táctica", sobre los antecedentes teórico-políticos de dicha consigna, planteamientos de Massera en la pre-dictadura y en la pos-dictadura en relación a la misma, y su posicionamiento último de transición al comunismo que en 1996 –luego del derrumbe de la Unión Soviética y el campo socialista-, dice acerca de una perspectiva crítica y teórica que se permitió ir más allá de la coyuntura. Fuera del dossier, como único aporte a la Sección Pensamiento, tenemos el artículo "Juan Luis Segundo en la filosofía política latinoamericana" de Federico Frontán, (págs.363-385) que se propone reivindicar la religiosidad popular como lugar del pensamiento crítico, lo hace a través de una consideración de la influencia del pensamiento de Pablo de Tarso en la teología de la liberación en general y específicamente, en los escritos del teólogo y filósofo uruguayo, considerando los aportes de Juan Luis Segundo a la reflexión política contemporánea, así como su concepción de la "religiosidad popular" en América Latina. Respondiendo a la solicitud de la editorial se presenta una reseña crítica del libro Pueblos indígenas para el mundo del mañana. Una guía de Stepehn Corry (págs.386-396) Quiero agradecer a todas las personas que hicieron posible este número: a quienes tienen la autoría de los artículos enviados de los cuales un número significativo finalmente se ha publicado, a quienes colaboraron con las evaluaciones de los mismos y, muy especialmente, a Daniel Michelazzo por haber realizado todo el proceso de comunicación con autores y evaluadores, garantizando el anonimato del proceso de evaluación, y su inevaluable aporte a la edición del número y a Karen Wild Díaz por haber colaborado en el análisis del grado de respuesta de los autores a las evaluaciones realizadas, aportando fundamentos a la toma de decisiones respecto de los artículos a ser finalmente aceptados e incluidos en la presente publicación. Yamandú AcostaEditor
2003/2004 ; A oggi esiste una corposa letteratura sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, e di questa è assai cospicua quella inerente le relazioni della comunità italo-americana con il regime fascista in Italia. Questo studio ha cercato di colmare un'assenza presente negli ethnic studies, che riguarda lo studio delle politiche di propaganda culturale dell'Italia fascista negli Stati Uniti e nelle Little ltalies. In particolare si è cercato di chiarire il concetto di «diplomazia culturale», mostrando come da Roma si intendesse utilizzare in politica estera la cultura italiana a fini propagandistici, cioè associando proprio la tradizione culturale italiana ai presunti «successi» socio-politici del fascismo. Tale proposito rientrava nel generale progetto del regime di fornire all'estero un'immagine apologetica di sé. Obiettivo dichiarato furono sia le opinioni pubbliche straniere, sia le l comunità di connazionali residenti all'estero, a cui si propinò costantemente un'immagine accattivante del regime, espressione di un'Italia forte, fiera e potente. Una volta delineate le strutture del regime attive in campo propagandistico, si è mostrato come da Roma si cercasse di promuovere all'estero l'immagine del duce e le «realizzazioni» del regime attraverso l'invio di articoli di giornale, monografie e opuscoli, l'utilizzo di conferenzieri, le trasmissioni radiofoniche e le proiezioni cinematografiche. Mussolini, in particolare, era una figura carismatica che riscontrava particolare successo nelle élites politico-economiche occidentali per il suo ruolo di anticomunista e di restauratore dell'ordine sociale in Italia. Per gli italiani ali' estero, invece, specialmente quelli residenti negli Stati Uniti, il duce rappresentava lo statista che aveva restituito prestigio internazionale alla madrepatria, ottenendo un rispetto che leniva, almeno in parte, le discriminazioni etniche cui erano generalmente fatti oggetto da parte degli anglosassoni, i quali erano soliti etichettare gli italiani come esseri inferiori. Inoltre la propaganda legava l'immagine di Mussolini a quella della madrepatria rinata sotto il fascismo, verso la quale il regime pubblicizzò costantemente il ritorno degli immigrati, affinché potessero vedere di persona i «miglioramenti» apportati dal Governo fascista. In maniera simile anche gli stranieri furono invitati a visitare la «nuova» Italia. Questo lavoro ha cercato di delineare le linee generali di propaganda politica fascista all'estero, mentre grazie ali' analisi comparata si è tentato di recuperare gli approcci particolari messi in atto dal regime nelle diverse realtà nazionali con cui si confrontava. Sono state messe in evidenza le notevoli difficoltà logistiche riscontrate nell'esplicazione di tale propaganda, difficoltà accentuate anche dall'ingombrante presenza della Germania nazista che, l ungi dali' essere un fedele alleato, si pose in aspra competizione con l'Italia mussoliniana per l'affermazione in campo propagandistico. Inoltre la peculiarità dell'ambiente statunitense, particolarmente restio a ingerenze straniere sul proprio territorio, impose al fascismo un adattamento (in forma e contenuto) della propria politica propagandistica alla mentalità del pubblico americano, anche se tale sforzo fu lento a realizzarsi e infruttuoso. Negli anni trenta negli Stati Uniti forme di propaganda dichiaratamente politica furono drasticamente ridimensionate. Nel decennio precedente i fasci, cioè sezioni del Pnf nate su suolo americano, cercarono di diffondere il verbo di Mussolini e convogliare i connazionali sotto l'orbita del fascio. Le violenze da loro perpetuate contro gli esuli antifascisti, le marce in camicia nera, l'opposizione alla perdita della cittadinanza italiana degli immigrati, i forti contrasti con i diplomatici italiani, alienarono da queste organizzazioni il consenso degli oriundi e provocarono la forte reazione americana nei loro confronti. Alla fine del 1929 Mussolini impose la chiusura delle sezioni, promuovendo un nuovo corso propagandistico, più moderato, volto a conservare l'italianità degli immigrati attraverso la promozione nelle Little Italies della lingua e della cultura italiana. Tali elementi furono propagandati dal fascismo come elementi imprescindibili del carattere italiano (quindi fascista) degli immigrati all'estero, nonché strumento indispensabile per conservare i vincoli delle nuove generazioni con la madrepatria. Questo lavoro ha inoltre ricostruito gli obiettivi generali della «diplomazia culturale» fascista, i valori che desiderava esportare all'estero, le strategie e le difficoltà cui incappò. Anche in questo tipo di ricerca si è mantenuto il livello comparativo, mostrando le differenti strategie applicate nelle diverse aree del mondo. In contesti nei confronti dei quali il fascismo espresse forti rivendicazioni territoriali (come Malta, la Tunisia, la Svizzera) la propaganda culturale assunse forme piuttosto violente, divenendo un'arma della politica imperialista del regime. Invece in altri contesti, come negli Stati Uniti, la «diplomazia culturale» assunse connotati più moderati. La chiusura dei fasci oltre oceano fece maturare a Roma la convinzione che fosse necessano favorire l'acquisizione della cittadinanza americana da parte degli immigrati italiani, in quanto destinati inevitabilmente all'assimilazione nella società locale. Favorendo invece l'assimilazione si sarebbe potuto contare su una /obby etnica simpatizzante del regime e capace di condizionare con il proprio voto la politica americana in termini favorevoli alla madrepatria. Per fare questo diveniva però prioritario mantenere vivo il legame dei giovani con l'Italia: la preservazione della lingua italiana nelle Little Ita/ies aveva quindi il compito di creare una nuova generazione di italo-americani, giuridicamente americani ma legati spiritualmente alla madrepatria. Ogni agente di propaganda fascista negli Stati Uniti venne coinvolto in questa strategia: i giornali e le associazioni etniche, i «prominenti» e le scuole italiane si adoperarono per sostenere il progetto di creazione del «nuovo» italiano ali' estero, fiero della propria origine e legato ai valori fascisti di onestà, sobrietà, laboriosità e religiosità. Tale campagna assumeva un'importanza particolare, visto che fra le due guerre le Little Italies stavano perdendo progressivamente il carattere italiano, mentre i giovani figli degli immigrati, nati ed istruiti nel paese di adozione, stavano allentando progressivamente i vincoli con l'Italia, che avvertivano ormai come un paese straniero. La strategia fascista fu estremamente attiva nel promuovere la crescita sia di nuove scuole italiane, sia di nuovi corsi di lingua e cultura italiana nelle istituzioni scolastiche americane di ogni livello. Le comunità italo-americane furono incoraggiate a sostenere tale campagna, e incentivate a creare appositi comitati scolastici incaricati di agire sulle autorità scolastiche americane per far introdurre la lingua di Dante nei programmi scolastici. Quello statunitense rappresenta un caso emblematico di adattamento e moderazione dell'aggressività fascista a un contesto locale, reso evidente anche dalla rinuncia alla creazione di strutture giovanili paramilitari e dali' assenza nei programmi delle scuole italiane di una retorica sovversiva anti-americana. Ciononostante il regime mantenne forme di ambiguità, elemento del resto costantemente presente nella propria politica estera. Infatti negli Stati Uniti si continuò parzialmente a sostenere l'attività di circoli etnici e di personaggi di indirizzo estremista; inoltre alcuni passaggi eminentemente nazionalistici, presenti nei libri di testo stampati dalla Direzione Generale degli Italiani all'Estero per le scuole italiane all'estero, vennero epurati solo dopo una protesta ufficiale del Dipartimento di Stato, contrario all'utilizzo di questi volumi da parte di giovani studenti di origine italiana ma di cittadinanza americana. La strategia propagandistica fascista fu un fallimento. Le mancanze strutturali e di fondi impedirono di attuare efficacemente il proprio programma. Fallì anche l'idea di creare una nuova generazione di italo-americani fedeli al regime: troppa era ormai l'affinità che questi avevano con la patria di adozione che, nel corso della guerra, chiese loro inequivocabili prove di fedeltà, che li allontanò definitivamente da un'Italia del resto già considerata lontana. Pearl Harbor segnò definitivamente la fine delle aspirazioni italiane in Nord America, mentre dall'esperienza bellica anche la cultura italiana venne fortemente ridimensionata, con la chiusura di molte istituzioni scolastiche italiane e il drastico calo di corsi di lingua e cultura italiana nelle scuole americane. Inoltre il conflitto rappresentò la definitiva spinta verso la piena americanizzazione del gruppo etnico italiano, desideroso di mostrare la propria lealtà al paese di adozione proprio attraverso la piena integrazione nel tessuto sociale statunitense. ; XVII Ciclo ; 1975 ; Versione digitalizzata della tesi di dottorato cartacea.
Uno de los objetivos centrales de la Revista del IICE es poner en conocimiento de la comunidad educativa los avances actuales de la producción científica del campo de la investigación, elaborada tanto en nuestro instituto como en otros ámbitos académicos. Para ello, resulta necesario ampliar el espectro de posibles lectores mediante la renovación de su formato editorial. De ahí que la edición del número 30 de la revista inaugura un nuevo formato digital, que se suma a la edición impresa, lo cual representa un avance muy importante respecto de aquellos objetivos.En el mismo sentido tenemos el agrado de informar a los lectores que hemos actualizado la incorporación de la revista al catálogo LATINDEX, link http://www.latindex.unam.mx/buscador/ficRev.html?opcion=2&folio=2897, iniciando así el proceso de indexación.Por otra parte, seguimos para este número manteniendo la inclusión de un dossier, ya que permite presentar un estado de avance de una temática específica y de alto grado de interés en el campo educativo. Teniendo en cuenta la relevancia del problema de la formación y el trabajo docente, y la consiguiente producción de investigaciones en el campo educativo, hemos decidido incluir en este número, un dossier sobre Formación y trabajo docente. Se trata de un tema que presenta una amplia diversidad de enfoques y perspectivas que van desde la consideración de las políticas de regulación del trabajo docente hasta los problemas específicos como el de construir una pedagogía para la formación y el desarrollo profesional de los docentes.Como queda dicho, los artículos del dossier atienden a esta diversidad temática desde la perspectiva de la investigación y el estudio sobre la formación y el trabajo docente. Desde esta perspectiva, los análisis no pueden realizarse al margen de las condiciones efectivas en las que los maestros y profesores desarrollan cotidianamente su tarea. El dossier inicia con una entrevista a Phillippe Meirieu, realizada por Alejandra Birgin. En la misma, el entrevistado plantea, entre otras cuestiones interesantes, que la democratización de los sistemas educativos ha implicado una importante renovación de la problemática de la formación docente, reflejando el deseo de las sociedades de que el saber sea accesible a todos y no quede reservado a un pequeños núcleos o élites. A lo largo de la entrevista, el autor destaca principalmente la importancia de asumir un proyecto y una ética en la definición del docente, basada en el principio de que todos los alumnos son educables. El artículo de Daniel Suárez, aporta el enfoque de las narrativas pedagógicas como instancia de mediación entre la investigación educativa y la formación docente, proponiendo como dispositivo de formación una actividad de elaboración conjunta de narrativas, entre docentes e investigadores. El artículo de Marta Sipes enfoca la formación docente para la educación especial, haciendo hincapié en la necesidad de deconstruir las representaciones sociales y las concepciones médicas acerca de los niños con dificultades. Estas concepciones perfilan el modo de concebir las prácticas, formando en los futuros profesionales un concepto acerca del sujeto alumno focalizado en las deficiencias del mismo. La autora subraya dramáticas derivaciones prácticas en la formación, entre ellas la desvalorización del acto propiamente pedagógico.Por su parte, Andrea Alliaud presenta un recorrido por los aportes de diversos autores tomando como eje de la reflexión la pregunta acerca de cómo tienen que formarse los docentes para poder enseñar en las condiciones y circunstancias actuales.Nicolás Arata aporta desde la historia de la educación argentina, un análisis del ideario pedagógico de Manuel Belgrano, a partir del rescate de una variedad de elementos tomados de sus escritos sobre la educación: el peso otorgado a la formación de hombres industriosos y la preocupación por la educación práctica de los artesanos, destacando que estos escritos se inscriben en el marco de las reformas borbónicas, en el que tuvo lugar un proceso de revalorización de la formación manual.En el siguiente artículo Alejandro Vassiliades se propone dar cuenta de algunos avances de una investigación en curso orientada a aproximarse a un aspecto de las regulaciones del trabajo de enseñar: la configuración de posiciones docentes frente a situaciones de desigualdad educativa. La discusión teórica que presenta da elementos para justificar la construcción de la categoría de posición docente. Finalmente se detiene en la producción y circulación de significados acerca del trabajo docente, tanto desde instancias estatales como desde las prácticas de los profesores.El artículo de Nora Goggi comienza con el planteo de una serie de preguntas acerca de la situación de primer empleo de los docentes de educación infantil. Entre otras cuestiones destaca especialmente la relación con el propio saber, con el saber de los otros, con la cultura de la institución y consigo mismo en el camino de construcción de la propia identidad profesional.Finalmente, el dossier cierra con el artículo de Lea Vezub propone un recorrido a partir del análisis de fuentes secundarias, por las nuevas tendencias de desarrollo profesional docente, donde el acompañamiento pedagógico a docentes principiantes ocupa un lugar central. Se presenta una propuesta de propuesta que abarca cuatro ámbitos principal sobre los cuales enfocar la tarea y formación de los mentores, tutores o asesores.Los restantes artículos comprenden otras temáticas, por fuera del dossier. Liliana Cohen analiza las condiciones de organización de la actividad de enseñanza y las intervenciones didácticas que favorecen la actividad metalingüística de los niños sobre diferentes niveles del lenguaje escrito.Por otra parte, María Paula Pierella propone explorar las visiones de estudiantes universitarios de la carrera de física de la Universidad Nacional de Rosario sobre la autoridad de los profesores, como una cuestión problemática en la escena pedagógica contemporánea.Por último, el artículo de María Soledad Manrique tuvo por objetivo explorar la transformación en las prácticas de lectura de cuentos de un grupo de maestras de una institución educativa de la provincia de Buenos Aires, que atiende a niños en situación de pobreza. Luego, analiza un dispositivo de formación consistente en un taller experiencial focalizado.Esperamos que este número pueda contribuir a la consolidación de la investigación educativa en nuestro ámbito académico y abra el debate y el intercambio de ideas a partir de los artículos aquí publicados.José A. CastorinaDirector
Uno de los objetivos centrales de la Revista del IICE es poner en conocimiento de la comunidad educativa los avances actuales de la producción científica del campo de la investigación, elaborada tanto en nuestro instituto como en otros ámbitos académicos. Para ello, resulta necesario ampliar el espectro de posibles lectores mediante la renovación de su formato editorial. De ahí que la edición del número 30 de la revista inaugura un nuevo formato digital, que se suma a la edición impresa, lo cual representa un avance muy importante respecto de aquellos objetivos.En el mismo sentido tenemos el agrado de informar a los lectores que hemos actualizado la incorporación de la revista al catálogo LATINDEX, link http://www.latindex.unam.mx/buscador/ficRev.html?opcion=2&folio=2897, iniciando así el proceso de indexación.Por otra parte, seguimos para este número manteniendo la inclusión de un dossier, ya que permite presentar un estado de avance de una temática específica y de alto grado de interés en el campo educativo. Teniendo en cuenta la relevancia del problema de la formación y el trabajo docente, y la consiguiente producción de investigaciones en el campo educativo, hemos decidido incluir en este número, un dossier sobre Formación y trabajo docente. Se trata de un tema que presenta una amplia diversidad de enfoques y perspectivas que van desde la consideración de las políticas de regulación del trabajo docente hasta los problemas específicos como el de construir una pedagogía para la formación y el desarrollo profesional de los docentes.Como queda dicho, los artículos del dossier atienden a esta diversidad temática desde la perspectiva de la investigación y el estudio sobre la formación y el trabajo docente. Desde esta perspectiva, los análisis no pueden realizarse al margen de las condiciones efectivas en las que los maestros y profesores desarrollan cotidianamente su tarea. El dossier inicia con una entrevista a Phillippe Meirieu, realizada por Alejandra Birgin. En la misma, el entrevistado plantea, entre otras cuestiones interesantes, que la democratización de los sistemas educativos ha implicado una importante renovación de la problemática de la formación docente, reflejando el deseo de las sociedades de que el saber sea accesible a todos y no quede reservado a un pequeños núcleos o élites. A lo largo de la entrevista, el autor destaca principalmente la importancia de asumir un proyecto y una ética en la definición del docente, basada en el principio de que todos los alumnos son educables. El artículo de Daniel Suárez, aporta el enfoque de las narrativas pedagógicas como instancia de mediación entre la investigación educativa y la formación docente, proponiendo como dispositivo de formación una actividad de elaboración conjunta de narrativas, entre docentes e investigadores. El artículo de Marta Sipes enfoca la formación docente para la educación especial, haciendo hincapié en la necesidad de deconstruir las representaciones sociales y las concepciones médicas acerca de los niños con dificultades. Estas concepciones perfilan el modo de concebir las prácticas, formando en los futuros profesionales un concepto acerca del sujeto alumno focalizado en las deficiencias del mismo. La autora subraya dramáticas derivaciones prácticas en la formación, entre ellas la desvalorización del acto propiamente pedagógico.Por su parte, Andrea Alliaud presenta un recorrido por los aportes de diversos autores tomando como eje de la reflexión la pregunta acerca de cómo tienen que formarse los docentes para poder enseñar en las condiciones y circunstancias actuales.Nicolás Arata aporta desde la historia de la educación argentina, un análisis del ideario pedagógico de Manuel Belgrano, a partir del rescate de una variedad de elementos tomados de sus escritos sobre la educación: el peso otorgado a la formación de hombres industriosos y la preocupación por la educación práctica de los artesanos, destacando que estos escritos se inscriben en el marco de las reformas borbónicas, en el que tuvo lugar un proceso de revalorización de la formación manual.En el siguiente artículo Alejandro Vassiliades se propone dar cuenta de algunos avances de una investigación en curso orientada a aproximarse a un aspecto de las regulaciones del trabajo de enseñar: la configuración de posiciones docentes frente a situaciones de desigualdad educativa. La discusión teórica que presenta da elementos para justificar la construcción de la categoría de posición docente. Finalmente se detiene en la producción y circulación de significados acerca del trabajo docente, tanto desde instancias estatales como desde las prácticas de los profesores.El artículo de Nora Goggi comienza con el planteo de una serie de preguntas acerca de la situación de primer empleo de los docentes de educación infantil. Entre otras cuestiones destaca especialmente la relación con el propio saber, con el saber de los otros, con la cultura de la institución y consigo mismo en el camino de construcción de la propia identidad profesional.Finalmente, el dossier cierra con el artículo de Lea Vezub propone un recorrido a partir del análisis de fuentes secundarias, por las nuevas tendencias de desarrollo profesional docente, donde el acompañamiento pedagógico a docentes principiantes ocupa un lugar central. Se presenta una propuesta de propuesta que abarca cuatro ámbitos principal sobre los cuales enfocar la tarea y formación de los mentores, tutores o asesores.Los restantes artículos comprenden otras temáticas, por fuera del dossier. Liliana Cohen analiza las condiciones de organización de la actividad de enseñanza y las intervenciones didácticas que favorecen la actividad metalingüística de los niños sobre diferentes niveles del lenguaje escrito.Por otra parte, María Paula Pierella propone explorar las visiones de estudiantes universitarios de la carrera de física de la Universidad Nacional de Rosario sobre la autoridad de los profesores, como una cuestión problemática en la escena pedagógica contemporánea.Por último, el artículo de María Soledad Manrique tuvo por objetivo explorar la transformación en las prácticas de lectura de cuentos de un grupo de maestras de una institución educativa de la provincia de Buenos Aires, que atiende a niños en situación de pobreza. Luego, analiza un dispositivo de formación consistente en un taller experiencial focalizado.Esperamos que este número pueda contribuir a la consolidación de la investigación educativa en nuestro ámbito académico y abra el debate y el intercambio de ideas a partir de los artículos aquí publicados.José A. CastorinaDirector
Issue 47 of Publicaciones brings excellent news for this research journal: from October 2017 it is included in the prestigious Scopus database. This achievement has been made possible by two factors: on the one hand, all the work done by previous editors-in- chief of Publicaciones, the Editorial Board, the Advisory Board, the peer reviewers, the Administration and Services staff of the Melilla university campus, the various interns the journal has had, and our sponsors, the Department of Education, Youth and Sport of the Autonomous City of Melilla and the Office of the Vice-Rector for Research and Knowledge Transfer of the University of Granada. On the other hand, the new strategy of internationali- sation and visibility on social media that the journal has been following since July 2016 has also made an important contribution. During the past year, Publicaciones has been presented in higher education institutions in China (Shanghai International Studies University and Peking University) and Mexico (Autonomous University of Yucatán and Centre for Teaching and Research of the Ministry of Education of the Yucatán State Government), and it will continue on this path of interna- tionalisation over the next few years. It has also established collaboration agreements with a number of institutions and international education networks to publish special issues. As for its presence on social media, work has been done on search engine optimisation (SEO) and networks, web traffic monitoring, updating the Google Scholar Citations profile and creating a new Facebook profile. All this is gradually building a process of national and international growth and expan- sion for the journal, which will continue seeking to be included in new document collections and databases and to increase its quality factors and indicators. Turning now to the content of this issue, number 47, it begins with a study on the use of information and communication technologies (video tutorials), improving the educa- tional process and effective inclusion of students with different interests. This is followed by a literature review on democratic citizenship and cultural diversity. Next comes an empirical article on development and validation of the School Adjustment Questionnaire (SAQ), using statistical homogeneity, factorial and internal and external validity analy- sis. Fourth, there is a study carried out at the University of Cienfuegos (Cuba) on the use of responsibility value by a sample of physical education teachers in higher education. The fifth article addresses the psychological and physiological response to listening to music, through galvanic skin response (GSR), alpha brain waves (ABW) and heart rate (HR). The issue concludes with a pilot study on improving entrepreneurial competence in secondary education. As in previous issues, the team would like to take this opportunity to express its grati- tude to the authors of the articles published, to those who have helped carry out the various tasks needed to make it possible to publish this issue number 47, and to the institutions that sponsor its publication. ; El número 47 de la revista Publicaciones trae consigo una excelente noticia para esta publicación científica: desde octubre de 2017, la revista está incluida en la prestigiosa base de datos Scopus. Este logro ha sido posible gracias a dos factores, por un lado, a todo el trabajo hecho por los anteriores directores de Publicaciones; el Consejo de Redacción; el Consejo Asesor; los evaluadores; el Personal de Administración y Servicios del Campus Universitario de Melilla; las diferentes becarias que ha tenido la revista; y nuestros patrocinadores, la Consejería de Educación, Juventud y Deportes de la Ciudad Autónoma de Melilla y el Vicerrectorado de Investigación y Transferencia de la Universidad de Granada. Por otro lado, ha coadyuvado también la nueva estrategia de internacionalización y visibilidad en redes digitales que la revista sigue desde julio de 2016. Durante el último año, la revista se ha presentado en instituciones de educación superior de China (Shanghai International Studies University y Peking University) y México (Universidad Autónoma de Yucatán y Centro de Docencia e Investigación de la Secretaría de Educación del Gobierno del Estado de Yucatán), y continuará con esta senda de internacionalización durante los próximos años. Además, ha establecido acuerdos de colaboración con diferentes institucio- nes y redes internacionales de educación, para la publicación de monográficos. En cuanto a su presencia en redes digitales, se han llevado a cabo labores de posiciona- miento en motores de búsqueda (SEO) y redes, seguimiento del tráfico web, actualización del perfil de Google Scholar Citations y creación de un nuevo perfil en Facebook. Todo lo anterior va construyendo un crecimiento y expansión sostenidos de alcance nacional e internacional para la revista, que seguirá tratando de incorporarse a nuevos fondos y bases documentales y de incrementar sus índices y evidencias de calidad. En cuanto a los contenidos del número 47, éste comienza con un trabajo sobre el uso de las tecnologías de la información y la comunicación (vídeo-tutoriales), la mejora del proceso educativo y la inclusión efectiva de alumnos con diferentes intereses. A continua- ción, aparece un estudio de revisión de la literatura sobre ciudadanía democrática y diver- sidad cultural. Seguidamente, se muestra un artículo empírico sobre desarrollo y validación del Cuestionario de Adaptación al Centro (CAC), mediante análisis estadístico de homoge- neidad, factorial y validez interna y externa. En cuarto lugar, aparece un estudio realizado en la Universidad de Cienfuegos (Cuba) sobre el uso del valor responsabilidad por parte de una muestra de docentes de educación física en educación superior. El quinto trabajo aborda la respuesta psicofisiológica ante la escucha musical, mediante la respuesta galvánica de la piel- rgp, onda cerebral alfa-oca y frecuencia cardíaca-fc. Cierra este número un estudio piloto sobre la mejora de la competencia emprendedora en educación secundaria. Como en los anteriores números, el equipo de personas vinculado a la gestión de Publicaciones expresa aquí su agradecimiento a los autores de los artículos publicados, a los colaboradores en las diferentes tareas necesarias para hacer posible la edición de este número 47, y a las instituciones que patrocinan su publicación. ; Le numéro 47 de la revue Publicaciones s'accompagne d'une excellente nouvelle pour cette publication scientifique : depuis octobre 2017, la revue figure dans la prestigieuse base de données Scopus. Cela a été possible grâce à deux facteurs : d'une part, le travail réalisé par les anciens directeurs de la publication, le conseil de rédaction, le conseil consultatif, les évaluateurs, le personnel d'administration et de services du Campus universitaire de Melilla, les différentes stagiaires ayant travaillé avec nous, ainsi que nos parraineurs : la Direction de l'éducation, de la jeunesse et des sports de la ville autonome de Melilla et le Vice-rectorat pour la recherche et le transfert de l'Université de Grenade. Par ailleurs, la nouvelle stratégie d'internationalisation et de visibilité dans les réseaux numériques adoptée par la revue depuis juillet 2016 a également contribué à ce succès. Durant l'année écoulée, la revue a été présentée dans des établissements d'enseignement supé- rieur de Chine (Shanghai International Studies University et Peking University) et du Mexique (Universidad Autónoma de Yucatán et Centre d'enseignement et de recherche du Secrétariat à l'éducationduGouvernementdel'ÉtatduYucatán)etpoursuivracettedémarched'internationalisation lors des années à venir. De plus, elle a conclu des accords de collaboration avec diverses institutions et réseaux internationaux d'éducation pour la publication de monographies. Quant à sa présence dans les réseaux numériques, elle a été renforcée par des activités de référencement sur les moteurs de recherche (SEO) et les réseaux, le suivi du trafic web, l'actualisation du profil Google Scholar Citations et la création d'un nouveau profil Facebook. Tout cela favorise une croissance et une expansion soutenues à l'échelle nationale et internationale pour la revue, qui envisage de poursuivre ses efforts pour intégrer de nouveaux fonds et bases documentaires et augmenter ses indices et ses attestations de qualité. Quant au contenu du numéro 47, celui-ci commence par un article sur l'utilisation des technologies de l'information et de la communication (tutoriels vidéo), l'amélioration du processus éducatif et l'inclusion effective d'élèves ayant divers centres d'intérêt. Il est suivi par une revue de littérature sur la citoyenneté démocratique et la diversité culturelle. Un article empirique est ensuite consacré au développement et à la validation du questionnaire d'adaptation à l'établissement sur la base d'une analyse statistique d'homogénéité, factorie- lle et de validité interne et externe. Le quatrième volet est une étude réalisée à l'Université de Cienfuegos (Cuba) sur l'utilisation de la valeur responsabilité par un échantillon d'enseignants de l'éducation supérieure. Le cinquième article aborde la réponse psychophysiologique à l'écoute musicale, via la réponse galvanique de la peau (RGP), l'onde cérébrale alpha (OCA) et la fréquence cardiaque (FC). Ce numéro se termine par une étude pilote sur l'amélioration des compétences entrepreneuriales dans l'enseignement secondaire. Comme dans les numéros précédents, l'équipe chargée de la gestion des publications tient à adresser ses remerciements aux auteurs des articles publiés, aux personnes ayant colla- boré aux différentes activités ayant permis de publier ce numéro 47 ainsi qu'aux institutions qui ont parrainé la publication.
Andehrs Behring Breivik no encaja en ninguna categoría existente de actuación violenta o política. Como lo revela su manifiesto, que dará que hablar durante años, Breivik es un terrorista sui generis.Brevemente, Breivik es un joven noruego que el pasado viernes cometió dos ataques terroristas. En el primero detonó una bomba en el distrito gubernamental de Oslo. En el segundo apareció disfrazado de policía en una pequeña isla donde se celebraba una reunión anual de las juventudes del Partido Laborista del país, y atacó a la multitud con armas y municiones de guerra.El manifiesto que el agresor envió a algunos miles de contactos horas antes de cometer el ataque es una obra sin precedentes en la historia de la acción criminal e ideológica. En primer lugar, el texto suma más de mil quinientas páginas, de las cuales Breivik es el autor de más de la mitad. En segundo lugar, la obra está escrita en perfecto inglés, con el objetivo expreso de difundir la ideología ahí presentada a la mayor cantidad de personas posible. En tercer lugar, los contenidos del trabajo son muy variados y llegan a un nivel de detalle inaudito. Este último aspecto es lo que hace de Breivik y su manifiesto algo extraordinario. Entre otras cosas, el lector encontrará:Una exposición detallada de la ideología política del autor (a la cual llama "Cultural conservatism or a nationalist/conservative direction"), con discusiones sobre Antonio Gramsci, György Lukács, Karl Marx, la historia del comunismo, tablas estadísticas sobre la demografía europea y otros elementos.Una descripción de los orígenes de la organización que pretende tener detrás, la Pauperes commilitones Christi Templique Solomonici o PCCTS. El nombre es el término en latín para la orden medieval monástica y militar más conocida como los Templarios.Una guía meticulosa sobre cómo comprar los ingredientes para la elaboración de explosivos, así como su preparación, su detonación en ensayos, e incluso dónde y cómo esconderlos.Una guía similar para la obtención de armas, con discusiones de diversas fuentes como la mafia albanesa o la rusa. También explica cómo preparar una armadura de combate, así como los principios del combate urbano con armas de fuego.Una bitácora de su "trabajo" desde 2002 en adelante, que incluye su dieta con detalles sobre su ingestión de proteínas y su rutina diaria.Un presupuesto de toda su "obra" desde ese año en adelante. Breivik afirma haber invertido €317.000 a lo largo de una década en su "proyecto".Instrucciones para la construcción de su epitafio.Instrucciones para la implementación de un sistema de medallas, uniformes y ritos para la orden neo-templaria, con diagramas, nombres y criterios para la aplicación de cada una.Pasos básicos de contra-inteligencia para evitar ser detectado.Un currículum vitae completo.No hay cuestiones de menor importancia para Breivik: el ensayo también incluye discusiones detalladas sobre el estado actual de la educación terciaria en Estados Unidos y Europa, extensas explicaciones sobre la teología y la historia islámica, críticas hacia las letras del hip-hop misógino estadounidense, listas de canciones inspiradoras, etc. Una enorme proporción de los textos, como el propio Breivik admite, son de autores con argumentos válidos y que están muy lejanos de promover o aceptar actos de violencia como el suyo.El cuadro que ofrece la lectura de este ensayo es de una persona de una enorme inteligencia, capacidad de organización y, sobre todo, disciplina. Breivik es un individuo altamente preparado física y mentalmente para la grotesca tarea que se propuso. Tal como indica su ensayo, ya tiene preparados los discursos que realizará en su juicio, que pretende que sea altamente público. Antes de lanzar su ataque ya tenía decidido qué criterios aplicaría con el abogado que le asignara el estado, lo que le contestará al juez y demás quienes le digan que es un criminal psicótico, y cómo planea que termine el juicio.Esto último hace que sea poco probable que aparezcan otros Breiviks – aunque sigue siendo posible. Resulta simplemente increíble que pueda haber otro individuo que comparta la misma ideología hasta el mismo nivel de compromiso, y que sobre todo elija seguir el mismo camino.Breivik se ve a sí mismo como una persona fuertemente politizada, por lo cual es necesario discutirlo en esos términos. De los primeros que surgen apuradamente en los medios –seguramente por no haber leído el manuscrito-, no se aplica casi ninguno. Breivik no es nacionalsocialista o "neo-nazi"; tampoco es asimilable al Unabomber (por más que haya coincidencias en sus textos), ni al Ku Klux Klan o a los partidos nacionalistas europeos.De hecho, quizá la forma más correcta de definir a Breivik es resucitando el significado verdadero de un término muy abusado: "de derecha". Breivik ha elegido responder a la amenaza que percibe en Europa, que es sin dudas el Islam, con un remedio neo-medieval. En su ensayo, Breivik postula que la forma óptima de organización política en Europa debe estar basada en la monarquía, y no en repúblicas:"The king or queen of a country is more democratic than a president ever could be because he or she represents all citizens." (el original no es de Breivik).El noruego está a favor de la fusión de todas las iglesias bajo el Papa nuevamente, aún siendo él mismo luterano (no practicante, a diferencia de lo que sugieren los medios). La nueva mega-Iglesia tendría un monopolio público de la religión, así como acceso privilegiado a los contenidos de la educación y los medios. Su visión de una sociedad conservadora es esta: "Ladies should be wives and homemakers, not cops or soldiers (…) Children should not be born out of wedlock. Glorification of homosexuality should be shunned."Aunque Breivik dedica literalmente cientos de páginas a textos sobre la historia de la violencia islámica contra Europa (y también sobre el caso opuesto), en ningún momento menciona los más de mil años de calamidades, miseria y sufrimiento humano que fueron consecuencia directa del sistema medieval-monárquico-eclesiástico.El principal objetivo de Breivik y sus "templarios" es la erradicación de la presencia del Islam en Europa a través de tres modalidades. La primera es la conversión al cristianismo (incluyendo como variable su creación intelectual más débil, los cristianismos "agnóstico" y "ateo"). Esta vía tiene clarísimos componentes anti-liberales y anti-democráticos, ya que los musulmanes conversos deberían renunciar a sus nombres, idiomas, vínculos con sus países de origen (incluso por vía electrónica) y otras cuestiones básicas. Para Breivik, incluso será necesario que "All traces of Islamic culture in Europe will be eradicated, even locations considered historical" – algo por definición poco "conservador".Además, Breivik no tiene ilusiones sobre el "liberalismo islámico": "to take the violence out of Islam would require it to jettison two things: the Quran as the word of Allah and Muhammad as Allah's prophet. In other words, to pacify Islam would require its transformation into something that it is not."La segunda modalidad de erradicación del Islam es la limpieza cultural, que consistiría de deportaciones o expulsiones (Breivik menciona muchos modelos, incluyendo las gigantescas ordenadas por Stalin). La última es la exterminación.Es en referencia a esto último que Breivik dedica un pasaje a discutir a Adolf Hitler y el nacionalsocialismo. El autor se aleja de estos claramente, aunque por razones muy diferentes de las del ciudadano común. Su explicación es que la "causa" nacionalsocialista y el liderazgo de Hitler destruyeron a los nacionalismos europeos por más de un siglo (es decir, hasta bien entrado el siglo XXI), porque optaron directamente por el camino de la exterminación. El resultado fue una guerra que terminó en derrota, y la entrega del continente al bolchevismo y uno de sus herederos, la socialdemocracia multicultural.Esto explica una de las principales diferencias entre Breivik y el movimiento neo-nacionalsocialista es su posición respecto a Israel y los judíos. El terrorista noruego interpreta al estado israelí como un modelo a seguir de "reunión nacional" étnica, y simpatiza enormemente con su lucha anti-jihad. Ergo, para Breivik se trata de un aliado ante un enemigo en común. El mismo principio aplica Breivik, quien se define como anti-racista, a las alianzas que propone con asiáticos orientales, hindúes y otros con tal de luchar contra el Islam.A quien sí defiende Breivik abiertamente es a Slobodan Milosevic. De hecho, el noruego argumenta que fueron los ataques de la OTAN a la Serbia de ese dictador genocida lo que primero despertó su instinto conservador. Esa podría ser una pista significativa para entender el rompecabezas ideológico del agresor, ya que las dos intervenciones internacionales en Yugoslavia ocurrieron antes del Once de septiembre, que es el gran disparador de la actual preocupación por la jihad entre muchos occidentales.En la visión de Breivik, quizá el sistema de organización social ideal sería elapartheid, pero a diferencia del caso de Sudáfrica, no dentro de un país. Para él, los judíos deberían haber sido expulsados de Europa en los 1930s; ahora deberían ser expulsados los musulmanes. El autor incluso menciona los casos de países de Asia Oriental del presente, como Corea del Sur y Japón, como ejemplos de naciones étnicamente homogéneas y prósperas. Evidentemente, Breivik es una persona que piensa en términos profundamente colectivistas. No hay derechos individuales para las personas que no forman parte de su grupo. Esta forma de concebir el mundo, sumada a la forma en que Breivik se presenta como líder de un movimiento ideológico violento, lo hacen similar a figuras como Lenin, Hitler, Mao, el Che Guevara u Osama bin Laden.De hecho, como todo pretendiente a líder carismático, Breivik incluye en su manifiesto instrucciones para tener preparadas fotografías en las que el atacante se "vea bien", pensando en el momento en el cual su rostro sea visto por el mundo – tal como está ocurriendo ahora. Así se lo propuso Breivik: "As a Justiciar Knight you will go into history as one of the most influential individuals of your time. So you need to look your absolute best and ensure that you produce quality marketing material prior to operation." El texto incluso recomienda utilizar una cama solar y aplicarse maquillaje antes de tomarse las fotografías.El aspecto más sorprendente del planteo de Breivik es el blanco que escogió para su ataque. Al leer el inmenso manifiesto y contrastarlo con los hechos de los días pasados, es inevitable quedarse con la sensación de que fue todo una excusa para perpetrar un acto de extrema violencia contra jóvenes inocentes (y desarmados, por supuesto). El manifiesto incluso lo admite con una subsección entera: "The cruel nature of our operations". Breivik explica que aunque el enemigo objetivo es el Islam en Europa, el objetivo inmediato son los europeos que han trabajado durante cerca de medio siglo para que exista esa presencia islámica en la región.Estos son, para el noruego, los multiculturalistas, marxistas y demás miembros de una suerte de élite europea. De hecho, su objetivo explícito es que para el año 2020 ocurran golpes de estado en diversos países de Europa occidental (junto con la abolición de la Unión Europea), de modo de instalar regímenes conservadores que trabajen para la eliminación simultánea del marxismo multicultural y del Islam.Estas élites y su "political correctness" son las responsables, para Breivik, de que no se puedan discutir abiertamente cuestiones que preocupan a un nacionalista conservador como él. La principal de ellas es la presencia de musulmanes en Europa. La sección tres del manifiesto es fundamental, porque tras más de 750 páginas de "diagnóstico" sobre el estado actual de Europa, el autor quiebra con todos los demás que citó y anuncia su alejamiento de la vía pacífica. Por ejemplo, en la página 791 aparece, como un subtítulo más, un anuncio importante: "Why armed resistance against the cultural Marxist/multiculturalist regimes of Western Europe is the only rational approach".De hecho, en esa sección hay varias páginas dedicadas a enunciar los cargos legales que se le imputan a multiplicidad de líderes europeos. Como parte de su gigantesca acusación contra el sistema político-social europeo de posguerra, Breivik incluso ofrece cálculos específicos de las cantidades de europeos cuyos derechos han sido violados de diversas maneras por los efectos de esas políticos, que van desde la violación y el asesinato hasta los despidos de personas. Todos se imputan, en conjunto y criminalmente, a estas "élites" cuya muerte se anuncia poco a poco.En lugar de estas personas aparecerá, en palabras de Breivik, un "cultural conservative tribunal" en cada país que implemente un nuevo régimen político. Como parte de esta iniciativa, aparecen mencionadas casualmente algunas medidas atroces: "All Muslims are to be immediately deported to their country of origin. Each family (family head) will receive 25 000 Euro providing they accept the deportation terms. Anyone who violently resists deportation will be executed". Breivik también prevé compensaciones financieras para los sujetos que fueron "víctimas intelectuales" del sistema previo, así como específicamente para los ciudadanos de Serbia por el bombardeo de OTAN. También incluye los parámetros de su propia "ley de medios", por utilizar un desafortunado término rioplatense, que implica la imposición de cuotas de periodistas e intelectuales "conservadores" y nacionalistas en diversas organizaciones mediáticas.El método que ha elegido Breivik, conscientemente sin duda, es similar al viejo anarquismo de la propaganda por el hecho, que consiste de atacantes solitarios que cometen actos espectaculares de demostración e inspiración ideológica. El noruego llama a su campaña de violencia "A Declaration of pre-emptive War" contra sus dos enemigos. Breivik indica claramente que aquellos que existan como él actualmente en Europa son pocos pero que están en aumento; su ataque está pensado para encender la chispa de la conmoción en la región, lo cual incluiría también la aparición de más adeptos. Tácticamente, el ataque del pasado viernes 22 de julio en Noruega es definido por su autor como "military shock attacks by clandestine cell systems".Hay más pasajes que directamente preanuncian el ataque que Breivik escogió lanzar: "consider making use of a remote detonation, (…) to attract attention to one location. Ensure that the enemy forces are heading for this location. By then, you will be on the opposite side of town and in the middle of the process of finishing your primary goal." El blanco se vuelve cada vez más específico: el primero de la lista que hay en el manifiesto es "political parties - cultural Marxist/multiculturalist political parties."En el apartado correspondiente a este tipo de organización, el primer país detallado es Noruega, y el primer partido que aparece ahí es el "Norwegian Labour Party". Más adelante, nuevamente en primer lugar entre una lista de blancos, dice que un blanco primario es: "the annual party meeting of the socialist/social democrat party in your country."Curiosamente, aunque Breivik propone algunas formas de organización colectiva (como la neo-templaria), sus instrucciones para los actos de terrorismo son estrictas respecto a que las células deben ser individuales. Es por eso que Breivik el terrorista pasó desapercibido, a juzgar por la información disponible, incluso en los círculos nacionalistas no violentos.De los nueve miembros que supuestamente asistieron en 2002 a la reunión fundacional en Londres de la organización neo-templaria (todos anónimos), cuatro son descritos como "cristiano ateo" o "cristiano agnóstico". El propio Breivik está muy indeciso respecto a su religión: "I'm not going to pretend I'm a very religious person as that would be a lie (…) I consider myself to be 100% Christian (…) I'm not an excessively religious man". Sería interesante saber qué opinaría Hugues de Payens, fundador de la orden original, respecto a esta falta de disciplina teológica (que en realidad es una ausencia total). Son sin ninguna duda los nombres de estos nueve miembros iniciales, y de otros, lo que más están buscando los servicios de inteligencia de varios estados europeos.La visión del mundo de Breivik está claramente influenciada por el pensamiento colectivista, y su propia obra parece aproximarse a un sistema de pensamiento que podría llamarse ideológico. Es por eso que es posible concluir que no se trata de un lunático desequilibrado que pertenece a un manicomio. Es peor que eso: una persona que en todo momento supo lo que hacía, que se preparó durante años para hacerlo, y que desplegó un alto nivel de meticulosidad para lograrlo. Hasta el efecto de su ataque está pensado desde hace años: "The art of asymmetrical warfare is less about inflicting immediate damage but all about the indirect long term psychological and ideological damage. Our shock attacks are theatre and theatre is always performed for an audience".Las descripciones más personales de Breivik son reveladoras del grado de control que tenía sobre sí mismo: "I have managed to stay focused and highly motivated for a duration of more than 9 years now (…) I have never been happier than I am today (…) I do a mental check almost every day through meditation and philosophizing (…) I simulate various future scenarios relating to resistance efforts, confrontations with police, future interrogation scenarios, future court appearances, future media interviews etc".El objetivo de Breivik es la fundación de una nueva cadena de nacionalismos post-nazis en Europa, y es importante que ese proyecto fracase. El autor concibió un "100 year plan to contribute to seize political power in Western European countries currently controlled by anti-nationalists" (de ahí el título de su manifiesto: 2083). En sus planes más delirantes hacia el futuro, Breivik menciona todo tipo de planes, desde el robo y la detonación de armas nucleares en las capitales europeas hasta la colaboración con Al-Qaeda, el gobierno de Irán, y otros terroristas islámicos.Como se dijo anteriormente, el manifiesto es increíblemente largo y contiene todo tipo de cosas. Hay discusiones muy detalladas sobre la niñez ("My best friend for many years, a Muslim"), adolescencia (incluyendo encuentros con pandillas pakistaníes y un pasado como "graffiti artist") y juventud del autor, con descripciones (con nombres) de sus amigos y hasta las vidas sexuales de sus familiares más cercanos. Hay planes para la importación de inmigrantes en la era "post-islámica" de Europa, con detalles sobre los horarios, la compensación, las localidades y más. Breivik tiene hasta pensado cuál será el nuevo himno de Europa. También explica que él no fue el fundador de la organización neo-templaria, sino el octavo miembro (algo que recuerda a la historia de Adolf Hitler y su ingreso al NSDAP), y que a través de ella conoció a un criminal de guerra serbio en Liberia. Su mentor fue un inglés, fundador de la organización y sin duda un importantísimo blanco para la inteligencia doméstica británica en este mismo momento.Actualmente el "caso Breivik" se encuentra en una etapa que el propio terrorista ya tiene planeada desde hace años: "Your arrest will mark the initiation of the propaganda phase. Your trial offers you a stage to the world (…) A Justiciar Knight is not only a valorous resistance fighter, a one man army; he is a one man marketing agency as well". El terrorista está muy consciente de la opinión que el mundo se ha formado sobre él, y ya ha recorrido mentalmente el camino para superar el ostracismo de su causa: "It might sound completely ridiculous and funny to most people today. But by presenting the following accusations and demands in all seriousness we are indirectly conditioning everyone listening for the conflicts and scenarios ahead. They will laugh today, but in the back of their minds, they have an ounce of fear, respect and admiration for our cause and the alternative and authority we represent".Breivik no es un criminal o incluso un terrorista común. Es una figura nefasta con una ideología totalmente nueva. Es muy importante conocer los términos ideológicos y metodológicos en los que operó, porque existe una preocupante posibilidad de que haya otros como él en el futuro.*Licenciado en Estudios Internacionales - Universidad ORT Uruguay Candidato al Master of Arts in Security Studies - Georgetown University