Questa tesi affronta il tema della sostenibilità in finanza che gioca un ruolo sempre più significativo nella performance finanziaria delle aziende: sono note le correlazioni positive e statisticamente significative tra le prestazioni ESG e le prestazioni finanziarie. L' obiettivo è approfondire uno dei tre criteri, la Governance, che altro non è che la struttura che abbraccia ogni questione in materia di finanza aziendale, per identificare le pratiche di governo societario che favoriscono sostenibilità e migliore redditività. I tre fattori contaminano l'intero sistema e per analizzarli è opportuno osservarli da due punti di vista principali: da una parte l'universo della finanza responsabile e dall'altra l'universo del business. Il Capitolo 1 si apre con una breve introduzione al mondo della finanza sostenibile, vengono approfonditi i criteri ESG e le strategie SRI. Successivamente entra nel cuore della trattazione con l'analisi del modello di Integrated Governance "A new model of governance for sustainability", ad oggi la ricerca più avanzata sul tema che è alla base di questa tesi e di tutti gli studi e le indagini in essa dibattuti. Nell'ecosistema impresa-società-ambiente l'azienda influenza la società che la circonda così come viene influenzata dagli stakeholder e diventa sempre più difficile danneggiare l'ambiente senza attirare l'attenzione negativa, con un danno di reputazione che riduca il capitale sociale. Lo studio dimostra che integrare la sostenibilità nella strategia aziendale presenta opportunità di innovazione e crescita. L'integrazione è necessaria per gestire rischi e creare un vantaggio competitivo, anche se implementare efficacemente una strategia in modo che risultino migliorate simultaneamente performance finanziaria ed ESG non è semplice: è fondamentale implementare processi e pratiche appropriati, con il coinvolgimento degli stakeholder, con misurazione e reporting delle prestazioni ESG e con una visione di lungo termine. Per questo nasce il modello di Integrated Governance, un ipotetico sistema che integra le questioni di sostenibilità per garantire la creazione di valore a lungo termine. Ogni azienda deve compiere un percorso di adattamento strutturato in tre fasi: dalla fase 1, nella quale la sostenibilità è fuori dell'agenda del CdA, si crea un percorso di transizione verso la fase 2, governance per la sostenibilità, tramite l'istituzione di comitati e il monitoraggio di indicatori che misurano i progressi rispetto alle iniziative. La fase 3, governance integrata, rappresenta lo schema da implementare nel quale il consiglio si assume la responsabilità di garantire una strategia sostenibile e viene assicurata la presenza di quattro caratteristiche imprescindibili: indipendenza a livello individuale, indipendenza di gruppo, retribuzione adeguata e investitori proprietari a lungo termine. Prendendo a riferimento questo modello, il presente lavoro prosegue nel Capitolo 2 a tratteggiare il quadro generale della corporate governance delle società quotate italiane, attraverso l'analisi delle società quotate sull'MTA effettuata da Consob. I risultati principali rilevano che in Italia il modello di controllo prevalente è quello familiare e frequentemente gli investitori istituzionali italiani sono azionisti rilevanti di imprese di piccole dimensioni e del settore industriale, mentre quelli esteri sono presenti in società finanziarie ed a elevata capitalizzazione. Cresce il numero di società che istituiscono comitati interni, multidisciplinari e strutturati in modo similare. Gli interlocker rappresentano il 23% del cda con maggiore presenza nelle grandi e medie imprese, ma rimangono una categoria di minoranza in consiglio. Il background professionale prevalente è di tipo manageriale, seguito da consulenti e professionisti, il livello di istruzione è inferiore nelle società a controllo familiare mentre nelle società controllate dallo Stato o da un istituto finanziario, gli amministratori sono più giovani e più istruiti. I membri delle società pubbliche sono più frequentemente donne e spesso accademiche, mentre nelle società finanziarie gli amministratori femminili sono meno frequenti, con buona presenza di stranieri e background manageriale più comune. La maggioranza degli emittenti riserva al genere femminile la quota di un terzo dei componenti del board: aumenta la quota di donne qualificate come indipendenti mentre si riduce il numero di casi in cui una donna ricopre la carica di ad, soprattutto nelle grandi aziende e nel settore dei servizi. L'età media è di 56,5 anni, ma tende a crescere nelle società Ftse Mib e nelle società finanziarie, viceversa scende nelle società di piccole dimensioni e nel settore servizi. Il Capitolo prosegue a delineare la situazione italiana attraverso l'indagine sul FtseMib Integrated Governance Index, lanciata nel 2016 da TopLegal ed ETicaNews, per conoscere il livello di "buon governo integrato" dei principali gruppi quotati italiani allo scopo di realizzare un indice quantitativo. Dai risultati della prima edizione emerge che esistono società lanciate nell'integrated reporting, tema noto e studiato da più funzioni aziendali, seppur con difficoltà nella gestione dei questionari e nella coordinazione. L'indice ha mostrato un notevole differenziale di punteggio tra settori e anche sui singoli ambiti di analisi c'è grande eterogeneità: nel comparto retribuzioni non viene raggiunto il punteggio pieno, nell'ambito dell'integrazione della sostenibilità solo due casi di pieno punteggio, e sul fronte dei comitati del board a livello di sostenibilità i punti sono molto bassi. Nel 2017 si registra un migliore feedback sulla governance integrata da parte delle aziende e un più alto engagement, con alcune società inizia un dialogo positivo, ma permangono realtà non interessate al progetto e altre con le quali non è stato stabilito un contatto. L'indice viene rivisto e corretto su alcune parti, emerge ancora grande eterogeneità e si confermano le tre posizioni di leadership. I risultati ottenuti nel 2018 invece dimostrano un passo in avanti nella partecipazione sul tema: aumentano i manager coinvolti nella sostenibilità, in particolare del Cfo, e l'Area ordinaria segna un miglioramento. Sull'indice complessivo pesa la parte finanza, introdotta nel 2017 e incrementata nel 2018, che riveste il tema centrale dell'Area Straordinaria. Il comitato di sostenibilità non è ancora la prassi per tutte le società che mostrano scelte eterogenee, risulta complesso l'esercizio sul presidio nel board di tutte le forme di valore, mentre migliora il legame tra remunerazione ed ESG. L'ultima indagine esaminata rivela il consolidamento della consapevolezza sulla governance ESG nel campione di riferimento e segnala un complessivo miglioramento dell'Index. Gli ESG iniziano ad essere percepiti come un tema trasversale alle funzioni aziendali ma per l'agenda del board sono ancora spesso una questione di reporting, policy e compliance. Il Capitolo 2 si chiude con l'approfondimento di due tematiche ritenute cruciali, ovvero la rappresentanza femminile nei Cda ed il ruolo della Direttiva Non Financial. Per quanto riguarda il primo approfondimento questo lavoro analizza i progressi globali verso un'eguale rappresentanza di genere nei CdA delle società attraverso lo studio Women on Boards di MSCI ESG Research, che rivela quanto siano lenti ma costanti i progressi verso l'obiettivo di rappresentanza femminile fissato a livello mondiale. Secondo le proiezioni del 2015 i componenti dell'indice avrebbero dovuto raggiungere il traguardo del 30% di rappresentanza femminile aggregata nel 2027. In base alle tendenze attuali invece le proiezioni sono state aggiornate e rivelano che dovremmo attendere fino al 2029. Ciò significa quindi che i progressi continuano ad avanzare lentamente, le donne occupano incarichi di amministratore ad un ritmo più lento rispetto a quanto. Circa il 21% delle società dell'indice ha ancora un board tutto maschile e sono localizzate in Asia, Cina, Giappone e Corea del Sud. Norvegia, Francia e Svezia aumentano la presenza femminile sopra al livello richiesto, insieme ad 'Australia e Nuova Zelanda. Gli Stati Uniti registrano progressi costanti toccando nuovi record di rappresentanza femminile. Nella suite C il livello è ancora basso ma aumentano i CFO donna, specialmente sui mercati emergenti. L'altro approfondimento riguarda lo sviluppo della rendicontazione non finanziaria: è sempre più pressante la richiesta da parte degli stakeholder di una maggiore trasparenza circa i rischi derivanti dall'attività d'impresa e sulla trasparenza delle informazioni di carattere non finanziario. Le aziende avvertono l'esigenza di definire la propria storia attraverso indicatori relativi alle politiche sociali e ambientali, per accrescere gli elementi della gestione, di natura qualitativa, quali la reputazione, la fiducia e il consenso. La Direttiva UE 2014/95 stabilisce nuovi standard minimi di reporting in relazione alla gestione del personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta alla corruzione. Mira ad introdurre e rafforzare comportamenti virtuosi e ha l'obiettivo di aumentare la trasparenza nella comunicazione di informazioni non finanziarie ed incrementare la fiducia degli investitori e degli stakeholder. Il Capitolo 3 entra nel merito della misurazione ed osservazione della correlazione tra performance finanziarie e integrazione ESG. È incentrato sullo studio di Banor SIM e del DIG del Politecnico di Milano sull'indice Stoxx® Europe 600. Emerge come i portafogli delle società con rating integrato registrano performance migliori rispetto al benchmark, mette in risalto come i portafogli delle società del con rating di governance performano meglio: il dato che vogliamo sottolineare è quello del parametro WOB, che consegue le performance migliori in assoluto. La tesi si chiude con l'esposizione di un case study di azienda che integra efficacemente i fattori esg all'interno del proprio modello di business, in linea con le best practices internazionali. È la migliore società italiana nel 2019 per corporate governance e integrazione dei fattori ESG nelle strategie aziendali, secondo l'IGI, dopo essere salita sul podio già nell'anno precedente.
The objective of this doctoral dissertation is to look at the factors that determine the decisions of youth and their parents regarding youth occupation and thereby to understand the conditions for integrating youth into family farming. In the context of developing countries, there are increasing concerns that the younger generations may lose interest in farming, since this is likely to threaten global food security in the long-term. The increasing importance of migration and non-farm activities to rural livelihoods in developing countries has raised a scholarly debate about whether smallholder farming holds a potential for the youth in the future at all. However, especially in a Southeast Asian context, there are only very few available studies concerned with understanding the options for and the decisions of youth and their parents regarding youth occupation and farm integration. The present dissertation addresses this research gap by drawing on primary data from a fieldwork in Cambodia. Cambodia is home of smallholder rice-based farming, and the country experiences rapid population growth. There is therefore a huge need to ensure young peoples' livelihoods and incomes either through their integration in the labour market, or in smallholder farming. The fieldwork took place in Cambodia's Otdar Meanchey low-density area and Takeo high-density area in 2012 and 2013. Within these two provinces, the fieldwork covered five districts (18 villages). The main purpose of the fieldwork was to understand the current and potential future role of family farming in accommodating young people. The data collection methods included questionnaire surveys, semi-structured and focus group interviews, participant observation, and a case study of an NGO (CEDAC) driven youth-integration-infarming program. A typology of farming systems and strategies was developed for the survey and discussion. The dissertation shows that due to low levels of education, the rural youth in Cambodia has few alternatives other than to rely on smallholder rice farming or migrate.Though acknowledging that farming is hard work, rural youth and households do not disregard farm work, and they actually do consider family farming as one of their main options. However, when having engaged in farming even with support from CEDAC, many of the young people experience that farming cannot sustain them and their families. It is therefore common that they re-consider whether they should stay in and/or leave farming, or diversify by seasonal migration. Further, the results indicate that integrating youth into farming is purely a family decision. Settling in new pioneer areas is one of the household strategies to get access to new land and thereby secure the children's future. Only in situations where plots of land are too small to get sub-divided, households tend to invest in children's higher education. Given that non-farm activities cannot accommodate the growing number of active workers and that land, due to population increase, will have to be sub-divided for families even below the minimum threshold of sustainable living, the study concludes that the future livelihood of children must be secured under the motto of "sharing the survival" or "Chék Khear Ros" i.e., by combining both farming and non-farming activities. The growth of the population in the rural areas of Cambodia, together with the slower pace of job development in the secondary and tertiary sectors, suggest that in the future, more land for cultivation will be needed most likely at the expense of forest and wetland. There will, therefore, be a need for redefining the land tenure systems in the country. One option could be to distribute land from cancelled economic concessions to rural families. There is also a need for further studies of integration programs in Cambodia under social land concessions, which is the existing legal framework for providing access to land for poor people to see if they are still part of the solution. While existing studies mainly explain ways in which people been quitted farming based on push/pull factors and personal cost benefit, this study applied institutional change theory as process of problem solving to explain this question: problems that Cambodian smallholder agriculture face in their farming system become "a shared mental model "or "a shared rule" among family member and its social group that motivate them to act spontaneously or deliberately such as whether they should stay in and/or leave farming, or diversify by seasonal migration. This study is the first exploration the question of youth and family farming in Cambodia which could be interest for others country having similar context. ; L'objectif de cette thèse de doctorat est d'examiner les facteurs qui déterminent les décisions des jeunes ruraux cambodgiens et de leurs parents concernant la profession des jeunes. In fine, nous cherchons à comprendre les conditions d'intégration de la jeunesse cambodgienne dans l'agriculture familiale. Dans les pays en développement, le désintérêt croissant des jeunes générations pour l'agriculture pose problème car cette tendance risque de menacer la sécurité alimentaire mondiale à long terme. L'importance croissante que prennent la migration hors-village et les activités non agricoles dans les stratégies de subsistance des ménages ruraux a soulevé un débat sur le rôle que pouvait jouer l'agriculture familiale dans l'avenir des jeunes ruraux. Pourtant, il existe très peu d'études traitant des décisions relatives à la profession des jeunes dans le secteur agricole. Cette thèse de doctorat contribue à combler cette lacune à partir de données primaires issues d'un travail de terrain au Cambodge. Le secteur agricole cambodgien est composé d'exploitations familiales qui reposent sur des systèmes rizicoles et le pays connaît également une croissance démographique rapide. De ce fait, assurer les moyens de subsistance et les revenus des jeunes, par leur intégration dans le marché du travail ou dans l'agriculture paysanne, représente un enjeu essentiel pour le pays. La collecte de donnés a eu lieu en 2012 et 2013 dans deux zones distinctes du Cambodge: la zone à faible densité de population d'Otdar Meanchey et la zone à forte densité de Takeo. Dans ces deux provinces, le travail de terrain a couvert cinq districts (18 villages). L'objectif principal du travail de terrain était de comprendre le rôle actuel et potentiel de l'agriculture familiale pour l'emploi des jeunes. Les méthodes de collecte de données comprenaient des enquêtes, des entretiens semi-directifs, l'observation de participants et une étude de cas portant sur un programme d'intégration de jeunes agriculteurs porté par une ONG (CECAC). Une typologie des systèmes et stratégies agricoles a été développée pour l'enquête et la discussion. La thèse montre qu'en raison du faible niveau d'éducation, les jeunes ruraux au Cambodge ont peu d'alternatives à la petite riziculture ou à la migration en dehors de leur village d'origine. Tout en reconnaissant le fait que l'agriculture est un travail difficile, les jeunes ruraux et leurs ménages ne négligent pas le travail agricole et considèrent l'agriculture familiale comme l'une de leurs principales options. Cependant, lorsqu'ils se sont engagés dans l'agriculture, même avec le soutien du CECAC, de nombreux jeunes ont l'impression que l'agriculture ne leur permet pas de subvenir à leurs besoins et à ceux de leur famille. Il est donc fréquent qu'ils se posent la question de savoir s'ils doivent poursuivre une activité agricole ou s'ils doivent diversifier leurs sources de revenu par une migration saisonnière. De plus, les résultats indiquent que l'intégration des jeunes dans l'agriculture est une décision purement familiale. S'installer dans de nouvelles zones pionnières est l'une des stratégies des ménages pour accéder à de nouvelles terres et ainsi garantir l'avenir de leurs enfants. Ce n'est que dans des situations où les parcelles sont trop petites pour être subdivisées que les ménages ont tendance à investir dans l'éducation supérieure des enfants. Étant donné que les activités non agricoles ne pourront pas accueillir le nombre croissant de travailleurs actifs et que le foncier, en raison de l'augmentation de la population, tendra à être subdivisée en parcelles de plus en plus petites qui ne pourront garantir un revenu durable, l'étude conclut que les futurs stratégies de subsistance des ménages ruraux devront reposer sur le principe de «partage de survie» ou «Chék Khear Ros», c'est-à-dire combiner des activités agricoles et non agricoles. La croissance de la population rurale cambodgienne et le ralentissement de la croissance du marché du travail dans les secteurs secondaire et tertiaire, suggèrent qu'à l'avenir, plus de terres seront nécessaires pour l'agriculture et que ceci se fera au détriment des forêts et des zones humides. Il serait donc nécessaire de redéfinir les régimes fonciers du pays. Une option pourrait être de distribuer les terres des concessions économiques qui ont été récemment annulées aux familles rurales. Il est également nécessaire de poursuivre l'évaluation des programmes de redistribution de terres entrepris dans le cadre des concessions foncières sociales, politique qui constitue le cadre juridique existant pour permettre aux pauvres d'accéder à la terre. Alors que les études existantes cherchent principalement à expliquer l'abandon d'activités agricoles à partir de facteurs push / pull et de calculs coûts/bénéfices individuels, cette étude a mobilisé la théorie du changement institutionnel et la manière dont elle conceptualise les processus de résolution de problèmes pour traiter cette question. Les problèmes rencontrés par les petits agriculteurs cambodgiens sont alors conceptualisés comme «des modèles mentaux partagés» ou «des règles partagées» entre les membres de la famille et le groupe social. Ces règles influencent leurs décisions spontanées ou délibérées comme celle de continuer ou quitter l'agriculture, ou de diversifier leurs stratégies de subsistance par une migration saisonnière. Cette étude constitue une première tentative d'analyser la question de la jeunesse et de l'agriculture familiale au Cambodge et pourrait être répliquée dans d'autres pays ayant un contexte similaire.
La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 ha messo in evidenza i punti deboli del sistema di regolamentazione del settore bancario, noto come Basilea II. A fronte di questo, si è resa necessaria una sua modifica, il nuovo pacchetto regolamentare proposto dal Comitato di Basilea nel dicembre 2010 rappresenta l'architettura del sistema regolamentare, denominato Basilea III. L'obiettivo di questo successivo intervento rientra nel quadro generale delle politiche di stabilizzazione del sistema bancario, accrescendo la capacità di assorbire altri shock e riducendo il rischio di contagio tra il sistema finanziario e l'economia reale. Con la crisi scoppiata nel 2007, l'interesse sul cosiddetto "rischio sistemico", è tornata a crescere, scatenata dallo scoppio della bolla speculativa sui mutui subprime americani, e poi diffusasi in tutto il sistema finanziario mondiale. In passato il concetto di rischio sistemico era direttamente, e quasi obbligatoriamente, associato a quello del "bank runs", cioè al fenomeno che avviene quando un elevato numero di clienti prelevano contemporaneamente i loro depositi per paura che la banca diventi insolvente. Questo tuttavia porta al fallimento della banca stessa, che non ha abbastanza risorse liquide per far fronte a tutte le richieste e diventa quindi insolvente. Il fallimento delle banche era diffusamente percepito come la causa che ha i più importanti effetti avversi sull'economia, effetti considerati molto più importanti rispetto al fallimento di altri tipi di istituzioni. Questo perché molti credevano che il fallimento di un istituto bancario fosse la miccia che più di tutte poteva innescare un processo domino che avrebbe portato via via al fallimento delle altre banche e, in seguito, alla diffusione del rischio sistemico e di fallimenti generalizzati alle altre istituzioni finanziarie. Gli avvenimenti recenti hanno dimostrato come tutte le istituzioni che operano nel mercato finanziario globale siano connesse fra loro in qualche modo e, proprio attraverso questi legami, gli shock originatisi nel mercato dei mutui subprime americani sono stati in grado di propagarsi alle economie del resto del mondo. Risulta necessario, quindi, indagare sulla natura di queste connessioni, sulla loro direzione e anche sulla loro intensità, al fine di individuare i canali attraverso cui l'instabilità rischia di propagarsi all'intero sistema finanziario. La finalità specifica del nuovo framework regolamentare di Basilea III è quella di rafforzare la regolamentazione del capitale e della liquidità delle banche aumentando, la qualità e la quantità del patrimonio. L'ampio programma di iniziative avviato dal Comitato nel 2010 riflette l'esperienza maturata nel corso della crisi finanziaria. Un sistema bancario solido e stabile è fondamentale per assicurare una crescita economica sostenibile, poiché le banche sono al centro del processo di intermediazione creditizia tra risparmiatori e investitori. Gli istituti bancari forniscono inoltre servizi essenziali per i consumatori, le piccole e medie imprese, le grandi società e le amministrazioni pubbliche, che si avvalgono di tali servizi per la conduzione della loro attività quotidiana, a livello sia nazionale che internazionale. Uno dei principali fattori che ha reso così grave la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007 è stato che i sistemi bancari di numerosi paesi presentavano un'eccessiva leva finanziaria in bilancio e fuori bilancio che si era accumulata nel corso degli anni precedenti. Ciò si era accompagnato a una graduale erosione del livello e della qualità della base patrimoniale. Inoltre, numerose banche detenevano riserve di liquidità insufficienti. Il sistema bancario non era quindi in grado di assorbire le conseguenti perdite sistemiche sull'attività di negoziazione e su crediti, né di far fronte alla reintermediazione di ampie esposizioni fuori bilancio accumulatesi nel cosiddetto "sistema bancario ombra". La crisi è stata ulteriormente accentuata dal processo prociclico di riduzione dell'indebitamento e dalle interconnessioni tra istituzioni sistemiche tramite una molteplicità di complesse operazioni finanziarie. Durante la fase più acuta della crisi, il mercato ha perso fiducia nella solvibilità e nella liquidità di molti istituti bancari. Le debolezze del settore si sono rapidamente trasmesse al resto del sistema finanziario e all'economia reale, dando luogo a una massiccia contrazione della liquidità e della disponibilità di credito. Il settore pubblico è dovuto intervenire in ultima istanza con iniezioni di liquidità, ricapitalizzazioni e garanzie senza precedenti, esponendo i contribuenti a ingenti perdite. L'effetto sulle banche, sui sistemi finanziari e sulle economie all'epicentro della crisi è stato immediato. Ma la crisi si è estesa anche a un insieme più ampio di paesi in tutto il mondo. Per questi ultimi i canali di trasmissione sono stati meno diretti e riconducibili a una marcata contrazione della liquidità globale, della disponibilità di credito internazionale e della domanda di esportazioni. Alla luce dell'entità e della rapidità con cui la crisi più recente si è trasmessa a livello internazionale, nonché dell'imprevedibilità delle crisi future, è stato essenziale che tutti i paesi rafforzassero la tenuta dei rispettivi sistemi bancari di fronte agli shock interni ed esterni. Per ovviare alle carenze messe in luce dalla crisi, il Comitato di Basilea introduce una serie di riforme sostanziali dell'assetto regolamentare internazionale. Esse potenziano la regolamentazione microprudenziale, ossia a livello di singole banche, e contribuiscono in tal modo ad aumentare la solidità dei singoli istituti bancari in periodi di stress. Le nuove regole hanno anche una dimensione macroprudenziale, in quanto affrontano i rischi sistemici che possono accumularsi nel settore bancario, così come l'amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo. Entrambi gli approcci di vigilanza, micro e macroprudenziale, sono chiaramente interconnessi, poiché una migliore tenuta a livello di singole banche riduce il rischio di shock di portata sistemica. Come affermato, una tra le tante cause della crisi finanziaria globale è stato l'accumulo di un grado eccessivo di leverage, in bilancio e fuori bilancio, nel sistema bancario. Per questo, il Comitato di Basilea tra le varie misure previste dalla nuova regolamentazione di Basilea III, introduce per la prima volta un indice di leva finanziaria (leverage ratio) semplice, trasparente e non basato sul rischio, volto a costituire una misura supplementare rispetto ai requisiti patrimoniali basati sul rischio. Tale indice si pone diversi obiettivi, quali contenere l'accumulo di leva finanziaria, rafforzare i requisiti patrimoniali. Inoltre, il Comitato è convinto che un indice semplice di leva finanziaria sia di fondamentale importanza per integrare il framework regolamentare basato sul rischio, e nello stesso tempo di assicurare un'adeguata copertura delle fonti di leva finanziaria sia in bilancio, sia fuori bilancio. In particolare nel primo capitolo, dopo una breve introduzione sul le cause della crisi, e ripercorso l'iter che ha portato al recepimento di Basilea III in ambito europeo e nazionale, ho focalizzato la mia attenzione su questo nuovo indicatore previsto dal nuovo framework regolamentare, il leverage ratio di Basilea III. Ho cercato di mettere in evidenza il perché della sua introduzione, illustrando quelli che potranno essere i suoi punti di forza e debolezza nel momento in cui diventerà un requisito patrimoniale, e quindi un obbligo di calcolo per l'intermediario al pari dei requisiti patrimoniali basati sul rischio. Inoltre, dopo aver rafforzato lo schema di regolamentazione del sistema bancario prevedendo una serie di misure, il Comitato sta attualmente considerando gli aspetti della complessità dello schema e della comparabilità dei coefficienti di adeguatezza patrimoniale tra banche e giurisdizioni diverse. L'eccessiva complessità è dovuta in ampia misura all'intento di rendere il regime di adeguatezza patrimoniale sensibile al rischio, ossia di fare in modo che i coefficienti patrimoniali riflettano i rischi effettivamente assunti dalle banche. Il rischio è tuttavia multiforme e tutt'altro che semplice da misurare. Benché uno schema di regolamentazione sensibile al rischio offra una serie di vantaggi, la sua complessità comporta anche un insieme di conseguenze potenzialmente negative. Il perseguimento di una maggiore sensibilità al rischio, quindi, ha accresciuto notevolmente la complessità dello schema di adeguatezza patrimoniale sotto vari aspetti, specie per quanto concerne la metodologia di calcolo delle attività ponderate per il rischio. Di conseguenza, vi è il rischio che lo schema non consegua sempre il giusto equilibrio fra gli obiettivi complementari della sensibilità al rischio, della semplicità e della comparabilità. In questo capitolo, infine, vengono messi in evidenza quali potrebbero essere le sfide e le idee da percorrere per garantire una maggiore semplicità e comparabilità dello schema, in modo tale da realizzare un giusto equilibrio fra sensibilità al rischio, semplicità e comparabilità. Nel secondo capitolo mi sono concentrato a spiegare quelle che sono le cause, nonché i fattori che contribuiscono a determinare una crisi sistemica. Dopo aver spiegato la problematica legata al rischio sistemico ho illustrato quelle che sono state le disposizioni messe in atto dalla vigilanza sui grandi intermediari sistematicamente rilevanti e come il leverage ratio di Basilea III potrebbe rappresentare una soluzione contro il rischio sistemico. Nel terzo ed ultimo capitolo affronterò gli impatti e le conseguenze che il leverage ratio insieme alle altre misure previste dall'Autorità di vigilanza potrebbero avere sulle istituzioni sistematicamente rilevanti. In particolare, ho analizzato, a seguito delle recenti modifiche, quelli che sono gli impatti sulla raccolta, sulla gestione del capitale e sui volumi di intermediazione. Inoltre, ho messo in evidenza, quali sono stati i cambiamenti che si sono susseguiti nello scenario europeo, in particolare facendo riferimento ai due pilastri dell'Unione bancaria di recente attuazione: il meccanismo di vigilanza unico e il meccanismo di risoluzione unico, e come tali cambiamenti possono riuscire a creare i presupposti per avere sempre di più un sistema finanziario stabile e robusto.
INTRODUZIONE L'essenza di questo elaborato nasce dall'esigenza di mettere in luce le attuali difficoltà riscontrabili nella fruizione dell'area archeologica di Ostia Antica. L'analisi e la riflessione elaborate durante le recenti perlustrazioni del sito hanno portato alla definizione di una serie di problematiche più o meno contingenti. Si possono dunque evidenziare alcune problematiche comuni a tutti gli insediamenti antichi e di grande estensione, la cui complessa stratificazione ha spesso causato incomprensioni nella lettura dei complessi; e alcune problematiche peculiari al sito di Ostia sorte con gli sviluppi delle indagini archeologiche e delle strategie di conservazione e valorizzazione programmate nel tempo. Caratteristica peculiare del sito è certamente l'eccezionalità della restituzione per intero del tessuto urbano della città antica. Eccezionalità dovuta sia alle contingenze storiche che hanno visto sin dall'età tardo-antica il provvidenziale abbandono del sito, senza successive riedificazioni e obliterazioni del tessuto urbano, sia alle fortunate scelte operative del personale direttivo che nel tempo si è occupato dell'area archeologica. Nella storia dell'archeologia è accaduto raramente, infatti, che si potesse procedere all'esplorazione integrale delle città antiche seppur interamente conservate, e Ostia rappresenta un unicum - insieme a Pompei - in quanto ad occasione di esplorazione ed indagine integrale di un importante centro urbano di età romana. Le esperienze di ricerca su entrambi i siti sono accomunate dalla pianificazione di una programmazione di ricerca fortemente correlata alle connotazioni storiche del periodo di predisposizione. Le esplorazioni e gli interventi nel contesto ostiense si originarono in un contesto di chiaro stampo positivistico di fine Ottocento e si svilupparono grazie all'accelerata nelle programmazioni delle attività predisposte in merito all'Esposizione Universale di Roma del 1942, sostanzialmente orientate a una valorizzazione dei resti archeologici che mirasse all'esaltazione dell'essenza di romanità da rievocare nel popolo italiano. A differenza dei precedenti approcci culturali al patrimonio archeologico, con l'esperienza ostiense si giunge a una nuova concezione del complesso archeologico, verso cui approcciarsi non solo relativamente alle principali evidenze monumentali da esaminare singolarmente, ma da analizzare e interpretare all'interno del contesto di riferimento. Il sito archeologico non viene più considerato come miniera di materiali da prelevare ed esporre in museo ma come campo d'indagine e scenario di esposizione allo stesso tempo. Uno scenario che trova in Ostia una delle miglior rappresentazioni in termini di vita quotidiana, di specchio di una società antica che si configura differenziata e sfumata nei suoi contorni sociali e nel suo sviluppo. La lunga storia degli studi su Ostia ha rivelato l'importanza del sito non solo in quanto avamposto militare e commerciale della capitale, ma in quanto sua diretta emanazione. Ostia sorge infatti nelle vicinanze di Roma, cui è strettamente connessa seppur all'insegna di un rapporto di interdipendenza che si riverbera nelle stesse evoluzioni urbanistiche ed edilizie e nella sua organizzazione sociale: elementi che la rendono un inestimabile punto di riferimento per una più completa conoscenza della romanità. Ostia rappresenta al meglio le dinamiche di una città connessa alla capitale pur non essendone provincia: un avamposto con la funzione di crocevia di traffici e commerci ma al contempo fedele compagna dell'ascesa, del culmine e del declino della potenza di Roma. Sostanzialmente le operazioni di scavo e ricerca non si sono orientate alla scoperta di eccezionali evidenze monumentali, bensì mirate alla restituzione di un tessuto urbano di attività imprenditoriali, rinvenuto in condizioni di straordinaria conservazione e di chiara leggibilità. Proprio sulla base di queste condizioni di ritrovamento, il sito archeologico si è distinto nel tempo non solo come insostituibile testimonianza per la ricostruzione storica dell'antichità, ma anche come eccezionale campo di sperimentazione di strategie di comunicazione e valorizzazione dei contesti. Per la prima volta infatti si stabilirono le coordinate per un progetto di ricerca che non mirasse soltanto alla messa in luce delle evidenze archeologiche ma alla loro contestualizzazione in termini di interventi conservativi ed espositivi. In quest'ottica risulta cruciale l'esperienza della programmazione di interventi elaborati nell'ambito dell'Esposizione Universale del 1942 che condussero a una serie di operazioni di conservazione, restauro, ricostruzione e sistemazione del sito mirati all'esaltazione della romanità e alla rievocazione di contesti atti a favorire l'interpretazione della storia del sito. Un piano di "scavo, restauro, assetto archeologico ed estetico delle rovine" elaborato da G. Calza nel 1937 che, seppure nei suoi limiti progettuali e scientifici strettamente connessi alle tendenze concettuali del periodo, si rivelò un inedito tentativo di rendere vitale e fruibile un'area da musealizzare all'aperto. Anche in termini di esposizione museale il sito vide nascere le fondamenta di quelle che saranno le basi delle prospettive museologiche del futuro. La struttura museale non venne più concepita come semplice contenitore di materiali estratti dal sito, ma come struttura espositiva delle evidenze più rappresentative, da prevedersi in situ per garantirne la conservazione e al contempo esaltarne la connessione col contesto di rinvenimento esterno. Si apre quindi la strada a una riconsiderazione delle evidenze in termini educativi allo scopo di reinterpretare la ricerca archeologica come un momento di comunicazione di un dato complesso di strutture, idee e dinamiche derivate dal sito di riferimento. Furono in particolare questi quattro anni di intense operazioni a portare i maggiori cambiamenti nell'ottica di interpretazione e lettura del sito. Un'intenzione di valorizzazione che sembra poi arrestarsi dopo la seconda guerra mondiale, in seguito a un cambiamento di rotta nell'approccio al patrimonio culturale derivata dall'acquisizione dei principi brandiani in chiave di conservazione e rispetto della storicità dell'opera. Prende il via quindi un lungo periodo che vede ridimensionarsi le strategie di valorizzazione a una serie di esperienze isolate che non propongono una riconsiderazione dell'intero comprensorio di riferimento ma che realizzano interventi conservativi ed espositivi solo in alcune selezionate zone campione. La scelta di queste progettazioni pilota ha mirato comunque a suggerire un brano di porzioni privilegiate, caratterizzate da evidenze monumentali o documenti storici rilevanti, con l'obiettivo di offrire un quadro il più efficace possibile dell'intero complesso ostiense. Alla stregua di queste esperienze "campione", che pur nella loro eccezionalità si isolano nel tempo, possiamo ricondurre anche le recenti operazioni di conservazione e valorizzazione intraprese in merito al Grande Giubileo del 2000 che se hanno ancora una volta avuto il merito di mostrare le innumerevoli potenzialità didattiche ed espressive del sito, ne hanno anche evidenziato i limiti alla luce degli esiti del progetto elaborato. Il progetto infatti ha comportato la realizzazione di una serie di iniziative focalizzate in una zona campione - il tratto più battuto dalla visita - ma si prefiggeva originariamente un'estensione degli interventi all'intero comprensorio prevedendone, al contempo, la tutela in termini di manutenzione programmata e controllo. Lo scopo primario delle numerose perlustrazioni effettuate di recente nel sito è stato proprio quello di chiarire e documentare lucidamente le condizioni di fruizione del sito, il fallimento di alcune aspettative attualmente disattese e e di porre in evidenza le potenzialità operative che si possono intravvedere dalla riconsiderazione dei contesti ostiensi come terreno di sperimentazione in termini di comunicazione e valorizzazione. La testimonianza della situazione attuale e la descrizione delle criticità osservabili generano una spontanea elaborazione di proposte operative in merito alle innegabili potenzialità comunicative che l'area ostiense ha saputo sviluppare nel tempo e che potrebbe certamente realizzare in un immediato futuro. L'analisi della storia del sito e dell'approccio del personale direttivo alla valorizzazione dell'area archeologica origina, di conseguenza, una naturale riflessione sul concetto di musealizzazione Il caso dello sviluppo del sito ostiense permette di inquadrare lucidamente il lungo processo con cui si è sviluppata la considerazione delle antichità attraverso la definizione di un concetto di parco archeologico come di un luogo privilegiato su cui convergono necessità di conservazione e di valorizzazione del contesto. I primi interventi di valorizzazione legati all'Esposizione Universale del 1942 vedono nascere un'idea embrionale di musealizzazione, ancora orientata a un concetto di parco archeologico come area delimitata di cui garantire la tutela attraverso interventi di restauro e suggerire la presentazione di un'immagine attraverso la sistemazione del sito e attività di comunicazione e propaganda. Interventi di conservazione e sistemazione, ma sostanzialmente mirati alla valorizzazione dell'area archeologica. A questo proposito è utile ricordare come per anni sia regnata – e regni tuttora – una certa ambiguità circa il concetto di valorizzazione. Secondo la definizione ministeriale attualmente in vigore, la valorizzazione consiste in qualsiasi attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione del patrimonio culturale al fine di garantire e incrementare la fruizione. Appare evidente quanto la definizione risulti riduttiva, limitandosi al solo contesto di fruizione, accesso e godibilità dell'area, senza porre in evidenza tutti gli aspetti che fanno riferimento alla musealizzazione ovvero tutte le soluzioni tecniche che - scaturite da un processo di analisi, scavo e conoscenza - mirino a garantire la miglior lettura di un complesso archeologico all'interno del suo contesto di riferimento. La musealizzazione risulta dunque un processo operativo strettamente connesso alla fruizione, ma strutturato in modo più complesso. Un processo che non mira solo a creare le condizioni per garantire la fruizione di un sito, ma a svilupparne le potenzialità comunicative ed educative attraverso la programmazione di interventi e strategie studiati e articolati, la cui elaborazione, sperimentazione ed evoluzione sono perfettamente ravvisabili attraverso l'inquadramento storico e metodologico del parco archeologico di Ostia Antica.
The generation of knowledge across the scientific investigation meets demanded to giving response to the pressures and needs of the environment, concretely from the priorities of the productive organizations and of the market.Nowadays, the knowledge authorized already does not generate only in the University, which has deep implications in his hegemony and in the form in which the company itself sees to this institution. In the company of the knowledge, the companies and other private entities seem to worry for the creation of the knowledge, so much or more than the own State. The pressure for the innovation crosses the whole social fabric and knowledge is not understood externally of the generation again, with aptitude to be used and assimilated collectively.There, the tension between knowledge and interest takes a particular embossment, since the altruistic ends and the mechanisms that accompany the processes of production of knowledge in the academy are seen displaced and / or transformed in a scene of new economic priorities. (Habermas, 1982)It is undeniable that in the area of the administrative and countable sciences the nature of such knowledge claims a very deep link with the world organizacional. This way, the applied investigation becomes more relevant and reliable to know the managerial world, when it is supported in conceptual frames and theoretical robust structures, which are own of the basic investigation and which allow to deliver explanatory and comprehensive sense to the empirical events; which implies that not only the application is valid for the investigation in our disciplines. (Mora-Osejo and Fals-hut, 2004)Hereby, the link between University, on one hand, and managerial and bought environment, for other one, needs to be permanently rethought and reconstructed. We must understand that the comprehension, intervention and transformation of our reality claims a process disciplined and compromised with the delivery of tangible results, which reverberate in suggestions and strategies of action for the medium and long term.Though the diffusion of the results of investigation first needs of the expert lens of the academicians to guarantee the scientific character of the findings and the responsible autorregulación, it is not less true than the investigation the limited space of the cloisters must come out, impressing the actors with capacity of political and economic decision and to the public opinion.For these reasons, between others, from this scene, across the Magazine IN VESTIGIUM IRE, we invite the academicians of the administrative and countable sciences - as well as as of other social sciences-, in order that together with other generating factors of knowledge and development there appear debates and reflections that allow to increase our comprehension of the reality organizacional of the region, the country and the included world.We trust that our readers will find valuable the works that are revealed in the present volume, recognizing that our collaborators continue reaching to the comprehension of the dynamics organizacional and socioeconomic, in a complex environment and challenger as the one that faces today the University worldwide. ; La generación de conocimiento a través de la investigación científica se ve exigida a dar respuesta a las presiones y necesidades del entorno, concretamente a las prioridades de las organizaciones productivas y del mercado.Hoy en día, el conocimiento autorizado ya no se genera solo en la Universidad, lo que tiene implicaciones profundas en su hegemonía y en la forma en que la sociedad misma ve a esta institución. En la sociedad del conocimiento, las empresas y otras entidades privadas parecen preocuparse por la creación del conocimiento, tanto o más que el propio Estado. La presión por la innovación atraviesa todo el tejido social y no se entiende por fuera de la generación de nuevo conocimiento, con capacidad de ser usado y asimilado colectivamente.Allí, la tensión entre conocimiento e interés toma un realce particular, puesto que los fines altruistas y los mecanismos que acompañan los procesos de producción de conocimiento en la academia se ven desplazados y/o transformados en un escenario de nuevas prioridades económicas. (Habermas, 1982)Es innegable que en el ámbito de las ciencias administrativas y contables la naturaleza de tales conocimientos reclama un vínculo muy profundo con el mundo organizacional. Así, la investigación aplicada se torna más relevante y confiable para conocer el mundo empresarial, cuando está soportada en marcos conceptuales y estructuras teóricas robustas, que son propias de la investigación básica y que permiten entregar sentido explicativo y comprensivo a los eventos empíricos; lo cual implica que no solo la aplicación es válida para la investigación en nuestras disciplinas. (Mora-Osejo y Fals-Borda, 2004)De esta manera, el vínculo entre Universidad, por una parte, y entorno empresarial y mercado, por otra, necesita ser permanentemente repen sado y reconstruido. Debemos entender que la comprensión, intervención y transformación de nuestra realidad reclama un proceso disciplinado y comprometido con la entrega de resultados tangibles, que repercutan en sugerencias y estrategias de acción para el mediano y largo plazo. Si bien la difusión de los resultados de investigación primero requiere del lente experto de los académicos para garantizar el carácter científico de los hallazgos y la autorregulación responsable, no es menos cierto que la investigación debe trascender el reducido espacio de los claustros, impactando a los actores con capacidad de decisión política y económica y a la opinión pública.Por estas razones, entre otras, desde este escenario, a través de la Revista IN VESTIGIUM IRE, invitamos a los académicos de las ciencias administrativas y contables -así como de otras ciencias sociales-, para que conjuntamente con otros factores generadores de conocimiento y desarrollo se planteen debates y reflexiones que permitan aumentar nuestra comprensión de la realidad organizacional de la región, el país y el mundo globalizado.Confiamos en que nuestros lectores encontrarán valiosos los trabajos que se ponen de manifiesto en el presente volumen, reconociendo que nuestros colaboradores continúan aportando a la comprensión de la dinámica organizacional y socioeconómica, en un ambiente complejo y retador como el que enfrenta hoy la Universidad a nivel mundial. ; La génération de connaissance à travers de la recherche scientifique se trouve exigée de donner la réponse aux pressions et les nécessités de l'environnement, concrètement aux priorités des organisations productives et du marché.De nos jours, la connaissance autorisée n'est pas seulement déjà générée dans l'Université ce qui a des implications profondes dans son hégémonie et dans la forme dans laquelle la société même voit cette institution. Dans la société de la connaissance, les entreprises et d'autres entités privées semblent se préoccuper de la création de la connaissance, tant ou plus que le propre État. La pression de l'innovation traverse tout le tissu social et on n'entend pas du dehors de la génération à nouveau de connaissance, avec la capacité d'être collectivement utilisé et assimilé.Là, la tension entre une connaissance et un intérêt prend un relief particulier, puisque les fins altruistes et les mécanismes qui accompagnent les processus de production de connaissance dans l'académie se trouvent déplacés et(ou) transformés en scène de nouvelles priorités économiques. (Habermas, 1982)Il est indéniable que dans le domaine des sciences administratives et comptables la nature de telles connaissances réclame un lien très profond avec le monde organisationnel. Ainsi, la recherche appliquée devient plus éminente et de confiance pour connaître le monde patronal, quand elle est supportée dans des cadres conceptuels et les structures théoriques robustes qui sont propres de la recherche basique et qui permettent de livrer un sens explicatif et compréhensif aux évènements empiriques; ce qui implique que non seulement l'application est estimée pour la recherche dans notre discipline. (Mora-Osejo et Faux Il Brode, 2004)De cette façon, le lien entre l'Université, d'une part, et, par l'autre, un environnement patronal et acheté a besoin d'être repensé d'une manière permanente et reconstruit. Nous devons entendre que la compréhension, une intervention et une transformation de notre réalité réclame un processus discipliné et compromis avec la livraison de résultats tangibles, qui répercutent des suggestions et des stratégies d'action pour le moyen et le long terme.Bien que la diffusion des résultats de recherche requiert d'abord de la lentille experte des académiciens pour garantir le caractère scientifique des découvertes et de l'autorregulación responsable, il n'est pas moins certain que la recherche il doit embaumer l'espace réduit des cloîtres, en impactant les acteurs avec capacité de décision politique et économique et à l'opinion publique.Par ces raisons, entre les autres, depuis cette scène, à travers de la Revue IN VESTIGIUM IRE, nous invitons les académiciens des sciences administratives et comptables - ainsi que d'autres sciences sociales-, pour qu'ensemble avec d'autres facteurs générateurs de connaissance et de développement se posent des débats et les réflexions qui permettent d'augmenter notre compréhension de la réalité organisationnelle de la région, du pays et du monde globalisé. Nous espérons que nos lecteurs trouveront précieux les travaux qui sont mis en évidence dans le volume présent, en reconnaissant que nos collaborateurs continuent d'apporter à la compréhension de la dynamique organisationnelle et socio-économique, dans une atmosphère complexe et un provocateur comme celui qui fait face aujourd'hui à l'Université au plan mondial.Nous espérons que nos lecteurs trouveront précieux les travaux qui sont mis en évidence dans le volume présent, en reconnaissant que nos collaborateurs continuent d'apporter à la compréhension de la dynamique organisationnelle et socio-économique, dans une atmosphère complexe et un provocateur comme celui qui fait face aujourd'hui à l'Université au plan mondial.
The democratic evolution occurring in South Africa, a country in which there are now eleven official languages, brought us to examine the position of French and to put it into perspective. Initially, our research seemed to indicate that its position was quite weak, leading us to question the relevance of French in the new South African configuration (Chapter 1), beyond its mere status as a « minority » Francophony The research is anchored in Sociolinguistics and Didactics and was built on a critique qualitative empirico-inductive approach, based on working with the stakeholders within the secondary and higher education structures of teaching and learning, through participative observations and comprehensive interviews. These observables are cross-referenced with studies undertaken on texts dealing with educational, linguistic and university reform as well as on political and media discourse on the subject of languages and identity (Chapter 2). Although the way in which the issue of otherness is dealt with in South Africa could have seemed « radical » coming form a partially external point of view, the notion of identity/otherness very quickly became fundamental in interpreting the observables (Chapter 3). It subsequently became clear that it was necessary to contextualise the South African plurality by drawing on cross-references from a variety of scientific fields in order to explicitly reveal ways in which French can be integrated into the challenges and projects facing South Africa. In this environment, there is a certain « laisser faire » which favours English and which presents plurilingualism as merely recognising multilingualism, thus revealing a paradoxical position with regard to that language. Indeed, the diversity of modes in which English is appropriated as an element of identity constitutes a socio-linguistic marker of a type of social democratisation. By the same token, English can also be considered as concealing the real issues around plurality, thereby working against the democratic process which is resolutely turned towards the promotion of « unity in diversity », the country's motto (Chapter 4). In terms of its being an international language, which is often valued alongside English, the validity of French being present in the country is also studied in this light. Though the issue surrounding so-called foreign languages is not officially recognised, practices and representations of French are rapidly evolving, noticeably in terms of the country opening itself to Africa and the rest of the world, leading to other interests arising for the language (Chapter 5). Furthermore, school and university populations are diversifying and the question of plurality now needs to be addressed from within the classroom, where it is difficult to work with it. These major changes have raised questions on the adequateness of course contents and syllabi at the tertiary level, on the direction to be taken with research in French as well as the challenges of this type of education in a fully emerging South Africa (Chapter 6). By contextualising the position of French, these questions have become more far-reaching. South Africa will not be able to move to valorising diversity if it has not questioned and reflected upon the notion of plurality and the language classroom is one of the better spaces in which to do this. Paradoxically, South African languages other than English could become more visible through the promotion of foreign languages because this allows them to rise above the English/Mother Tongue pairing in the school repertoire. In this context French seems to be a privileged language as it opens onto a valorised plurality, embodied in the diversity of the French speaking situations in the world (francophonie). This image meets one of the core values of Institutional Francophony (Francophonie), opening to a potential for developing projects together with local languages (Chapter 7). The proposal of an « à la carte plurilingualism » scenario leads to envisaging the organisation of a flexible plurilingualism at the school level as well as the remobilising of languages in joint projects so as to favour a negotiated plurality. This research develops the potential of policies with regard to French if they are designed within a contextualised framework which not only favours plurilingualism in South Africa but which also, more broadly speaking, promotes the democratic project if the teaching/learning of this language is underpinned by the development of an appropriate didactic method, which implies, in turn, placing an explicitly reflexive focus on the concept of otherness. This makes us question the categorisation of so-called "minority" Francophonie situations: if they are more accurately defined, the specificity of their development could in fact contribute to renewing the dynamics of Francophony, just as it in turn could contribute to the democratic project of these countries. Such questions arise at a time when the construction of research is delicately poised and tertiary education has been weakened by the global trend whereby Human Sciences are losing their popularity. Notwithstanding the fact that it is caught in the dire pragmatic urgencies linked to its development, South Africa, now more than ever, needs its languages to rise above their purely instrumental function. ; Le processus d'évolution démocratique de l'Afrique du Sud, pays désormais doté de onze langues officielles, invite à interroger la position du français et à la mettre en perspective. Au départ de la recherche, cette position semblait fragile, c'est pourquoi il fallait commencer par questionner la pertinence du français dans la reconfiguration sud-africaine (chapitre 1), au delà du cadre d'une « francophonie de diffusion ». Cette recherche, ancrée en sociolinguistique et en didactique, s'est construite à partir d'une approche empirico-inductive qualitative critique, en travaillant avec des acteurs de l'enseignement/ apprentissage du secondaire et du supérieur et en privilégiant l'observation participante et l'entretien compréhensif. Ces observables sont croisés avec l'étude des textes sur les réformes éducatives, linguistiques et universitaires ainsi que des discours politiques et médiatiques produits au sujet des langues et des identités (chapitre 2). La gestion du rapport à l'altérité en Afrique du Sud pouvant apparaître comme « radicale » d'un point de vue en partie extérieur, la notion d'identité/altérité est rapidement devenue une notion nodale de l'interprétation des observables (chapitre 3). Une contextualisation de la pluralité sudafricaine, mobilisant les croisements d'une variété de champs scientifiques, est alors apparue nécessaire, pour permettre d'expliciter les manières dont le français peut s'intégrer aux enjeux et aux projets sud-africains. Dans cet environnement, un certain « laisser-faire » en faveur de l'anglais tend à présenter la promotion du plurilinguisme comme se superposant à la seule reconnaissance du multilinguisme, révélant une position paradoxale de cette langue. En effet, la diversité des modes d'appropriation identitaire de l'anglais est un marqueur sociolinguistique d'une certaine démocratisation sociale. Dans le même temps, cette langue peut être considérée comme contribuant à occulter les problématiques de la pluralité, allant alors à l'encontre du processus démocratique tourné vers le projet de « l'unité dans la diversité », qui est la devise du pays (chapitre 4). En tant que langue internationale, souvent valorisée aux côtés de l'anglais, l'intérêt de la présence du français est alors aussi questionné sous cet angle. Si la question des langues dites étrangères n'est pas officiellement à l'ordre du jour, les pratiques et les représentations à propos du français évoluent rapidement, notamment à la faveur de l'ouverture du pays à l'Afrique et au reste du monde, qui fait naître d'autres intérêts pour cette langue (chapitre 5). En outre, les populations scolaires et estudiantines se diversifient, amenant en classe la question de la pluralité, qu'il est encore difficile de travailler. Ces bouleversements suscitent désormais le questionnement de l'adéquation des contenus et des cursus universitaires, du devenir de la recherche en français ainsi que des enjeux de ce type de formation dans une Afrique du Sud en plein essor (chapitre 6). L'étude contextualisée de la position du français conduit à élargir ces questionnements. L'Afrique du Sud ne passera pas à la valorisation de la diversité sans avoir questionné et réfléchi la notion de pluralité et la classe de langue est un des espaces privilégiés pour ce faire. Paradoxalement, la visibilité des langues sud-africaines, hors de l'anglais, passe notamment par la promotion des langues étrangères, afin de sortir de la dyade anglais/ langue familiale du répertoire scolaire. Le français apparaît à cet effet comme une langue privilégiée par les témoins, ouvrant sur une pluralité valorisée, illustrée par la diversité de la francophonie. Cette représentation rejoint une des valeurs de la Francophonie, dégageant ainsi la possibilité de projets communs avec les langues locales (chapitre 7). La proposition d'un scénario de « plurilinguisme à la carte » permet d'envisager l'organisation de plurilinguismes scolaires malléables et remobilise les langues dans des travaux conjoints en faveur d'une pluralité négociée. Ce travail développe la potentialité des politiques du français si elles s'inscrivent dans une démarche contextualisée de promotion du plurilinguisme en Afrique du Sud et, plus largement, de leur inscription dans le projet démocratique si l'enseignement/ apprentissage de cette langue est accompagné par le développement d'une didactique appropriée, impliquant un travail réflexif explicite sur l'altérité. Cela incite à questionner la catégorisation des francophonies dites minoritaires : mieux identifiées, les spécificités de leurs évolutions pourraient en effet contribuer au renouvellement de la francophonie, tout comme la Francophonie peut concourir au projet démocratique de ces pays. Ces questions se posent dans un contexte où l'équilibre délicat de la construction de la recherche et de l'enseignement supérieur est fragilisé par une tendance mondiale au délaissement des sciences humaines. L'Afrique du Sud, en proie aux urgences pragmatiques liées à son développement, a toutefois plus que jamais besoin que ses langues ne soient pas réduites à leurs fonctions instrumentales.
In a wide-ranging and in-depth study of the recent history of anthropology, David Price offers a provocative account of the ways anthropology has been influenced by U.S. imperial projects around the world, and by CIA funding in particular. DUAL USE ANTHROPOLOGY is the third in Price's trilogy on the history of the discipline of anthropology and its tangled relationship with the American military complex. He argues that anthropologists' interactions with Cold War military and intelligence agencies shaped mid-century American anthropology and that governmental and private funding of anthropological research programs connected witting and unwitting anthropologists with research of interest to military and intelligence agencies. Price gives careful accounts of CIA interactions with the American Anthropological Association (AAA), the development of post-war area studies programs, and new governmental funding programs articulated with Cold War projects. During the late 1960s and early 1970s, American anthropologists became increasingly critical of anthropologists' collaborations with military and intelligence agencies, particularly when these interactions contributed to counterinsurgency projects. Awareness of these uses of anthropology led to several public clashes within the AAA, and to the development of the Association's first ethics code. Price compares this history of anthropological knowledge being used by military and intelligence agencies during the Cold War to post-9/11 projects.
International audience ; The southern regions of France with a Mediterranean climate are known for their summer droughts, which led to the construction of large hydraulic works (Canal de Provence, Canal du Bas-Rhône Languedoc.) shortly after the Second World War. The function of these works is to extend the perimeter of the zones where water shortages can be avoided because of massive local resources such as the Rhône. This is the case, for example, of the Gard rhodanien irrigated by the CNABRL. Beyond these perimeters, on the karstic foothills of the south-eastern edge of the Massif Central, on the garrigue plateaus for example, aquifers, such as that of the Lez spring in Montpellier, can be used. Further upstream from the tributaries of the Rhone, such as the Ardèche, the Cèze, the Gardon, the Hérault. and therefore in the Cévennes (l. s.), which are largely devoid of aquifers, the question of water resources during the dry summer phase is central. It is obviously old, but had been "solved", in part, by the installation of a micro-hydraulic (béal.) during the past centuries. Some of these equipments have become patrimonial, but they do not correspond (when they are still operational) to the local water needs, even taking into account the deep transformation of agriculture (reduction of the activity, labelled productions: onion, apple.). By turning to tourism (a major consumer of water and water landscapes), this region is affected by increasing difficulties due to the increase in demand, regulations that pay greater attention to the good ecological status of rivers (volume of water that can be drawn) and climate change. The latter, at least in terms of factors such as temperature, plays an obvious role, especially since these mountains have experienced a rural exodus (production of wastelands and wastelands), then the transition to all oil (abandonment of wood heating) and finally the closure of coal mines (end of afforestation wood .) which have led to a decrease in withdrawals and therefore a biological recovery, reforestation or, at least, a very significant overgrowth of the slopes. All this leads to an increase of the real evapotranspiration (ETR) which reduces the available water supply, even without clear variations linked to climate change, of the precipitated volumes which remain however very variable from one year to another. With this in mind, the local EPTBs (and the Rhone-Mediterranean-Corsica Water Agency) wanted to know with precision (which the national network does not provide) the flows of the Cevennes rivers during these summer phases. This has led to the installation of about fifteen hydrometric low-water stations since 2015 in the Cévennes upstream basins (of the base) of the Cèze and the Gardon. This approach was carried out within the paradigmatic framework of an involved science that associates, managers, politicians, the population and researchers. This background was developed in the so-called HydroPop program (2017 - 2020) which will be mentioned here only as a reminder. This being said, the production of high resolution data from about fifteen stations generates a significant and constantly growing mass of information. This led to the creation of a relational database called HydroSec. The first objective of this database is to keep all the information from the measurements made by the probes (pressure, temperature.) to the data that can be used in the study of different issues (flows.). This tool being globally available, the next step consisted in defining the drought no longer as a strict hydrological phenomenon (low water), but as a societal problem (tension between the anthropic water supply and demand on a territory - a municipality, a canton, etc. - in a given time: week, month). Some elements of this research posture will be analyzed in the proposed paper, in particular the fact that this epistemological choice allows to consider the level and the evolution of the tension on the water resource from probabilities determined on the variables of the supply and on those of the anthropic demand. It is therefore no longer a question of making the classic mass balances, but of combining probability distributions, of working on conditional probabilities (knowing the probability of A, what is the probability of B? Knowing the level of precipitation, of such and such a variable, what is the probability that the pressure on the water resource in such and such a canton, at such and such a time, will be high?) This approach naturally leads to a Bayesian framework. We will therefore present a Bayesian conceptual model that is currently being developed. This implies the selection of natural (rain, temperature, flow.) and anthropic (irrigation, AEP, recreational water.) variables to be probabilized. However, these variables must be, can be, transformed before being injected into the Bayesian model, in the Bayesian networks which are the structural tools (acyclic graph.) for calculating the concatenations of the probability distributions. In other words, it seems useful, upstream of Bayesian calculations on conditional probabilities, to develop particular models or calculations in order to have, in the probability distributions, information as specific and operational as possible. In this state of mind, we have modeled the periods without rainfall under a certain threshold (0 mm, 1 mm, 3 mm.), but also worked on the phase of low flows and proposed what we call GraviSec scales (of severity of the drought) which give a local account (for a river section), by a system of color code and notes, of the level of the flow of a river according to the paraetian statistical analysis which can be made of the available data and relating to the previous years. The text will develop this new methodology tested in the HydroPop program. In the end, the objective is therefore to make available to the managers of Mediterranean mountain basins, initially, a tool -1- for the conservation of all the field information collected, and -2- for the processing of this information, for example, to evaluate the tension on the water resource, but it could be many other facets of these mountain territories through specific modules. We can think for example of the possibilities of water storage, etc.With this in mind, the local EPTBs (and the Rhone-Mediterranean-Corsica Water Agency) wanted to know precisely (what the national network does not provide) the flows of the Cevennes rivers during these summer phases. This led to the installation of about fifteen hydrometric stations of low water since 2015 in the Cévennes upstream basins (of base) of the Cèze and the Gardon. This approach was carried out within the paradigmatic framework of an involved science that associates, managers, politicians, the population and researchers. This background was developed in the so-called HydroPop program (2017 - 2020) which will be mentioned here only as a reminder. This being the case, the production of high resolution data from about fifteen stations generates a large and constantly growing mass of information. This has led to the creation of a relational database called HydroSec. The first objective of this database is to keep all the information from the measurements made by the probes (pressure, temperature.) to the data that can be used in the study of different issues (flows.). This tool being globally available, the next step consisted in defining the drought no longer as a strict hydrological phenomenon (low water), but as a societal problem (tension between the anthropic water supply and demand on a territory - a municipality, a canton, etc. - in a given time: week, month). Some elements of this research posture will be analyzed in the proposed paper, in particular the fact that this epistemological choice allows to consider the level and the evolution of the tension on the water resource from probabilities determined on the variables of the supply and on those of the anthropic demand. It is therefore no longer a question of making the classic mass balances, but of combining probability distributions, of working on conditional probabilities (knowing the probability of A, what is the probability of B? Knowing the level of precipitation, of such and such a variable, what is the probability that the pressure on the water resource in such and such a canton, at such and such a time, will be high?) This approach naturally leads to a Bayesian framework. We will therefore present a Bayesian conceptual model that is currently being developed. This implies the selection of natural (rain, temperature, flow.) and anthropic (irrigation, AEP, recreational water.) variables to be probabilized. However, these variables must be, can be, transformed before being injected into the Bayesian model, in the Bayesian networks which are the structural tools (acyclic graph.) for calculating the concatenations of the probability distributions. In other words, it seems useful, upstream of Bayesian calculations on conditional probabilities, to develop particular models or calculations in order to have, in the probability distributions, information as specific and operational as possible. In this state of mind, we have modeled the periods without rainfall under a certain threshold (0 mm, 1 mm, 3 mm.), but also worked on the phase of low flows and proposed what we call GraviSec scales (of severity of the drought) which give a local account (for a river section), by a system of color code and notes, of the level of the flow of a river according to the paraetian statistical analysis which can be made of the available data and relating to the previous years. The text will develop this new methodology tested in the HydroPop program. In the end, the objective is therefore to make available to the managers of Mediterranean mountain basins, initially, a tool -1- for the conservation of all the field information collected, and -2- for the processing of this information, for example, to evaluate the tension on the water resource, but it could be many other facets of these mountain territories through specific modules. We can think for example of the possibilities of water storage, etc. ; Les régions méridionales de la France sous climat méditerranéen sont connues pour leurs sécheresses estivales qui ont conduit à la réalisation d'imposants aménagements hydrauliques (Canal de Provence, Canal du Bas-Rhône Languedoc…) peu après la Seconde Guerre mondiale. Ces ouvrages ont pour fonction d'étendre le périmètre des zones où les pénuries d'eau peuvent être évitées en raison de ressources massives de proximité comme le Rhône. C'est le cas, par exemple, du Gard rhodanien irrigué par la CNABRL. Au-delà de ces périmètres, sur le piémont karstique du rebord sud-est du Massif central, sur des plateaux de garrigues par exemple, des aquifères, comme celui de la source du Lez à Montpellier, peuvent être sollicités. Plus en amont des affluents du Rhône que sont l'Ardèche, la Cèze, le Gardon, l'Hérault… et donc en Cévennes (l. s.), très largement dépourvues de formations aquifères, la question de la ressource en eau, lors de la phase sèche d'été, est centrale. Elle est évidemment ancienne, mais avait été « résolue », en partie, par l'installation d'une micro hydraulique (béal…) lors des siècles passés. Certains de ces équipements sont devenus patrimoniaux, mais ne correspondent (quand ils sont encore opérationnels) en rien aux besoins en eaux locaux, même en prenant en compte la transformation profonde de l'agriculture (réduction del'activité, productions labellisées : oignon, pomme…). En se tournant entre autres choses vers le tourisme (fort consommateur d'eau et de paysages hydriques) cette région se voit affectée par des difficultés croissantes en raison de l'augmentation de la demande, de réglementations qui portent une attention plus forte au bon état écologique des rivières (volumes prélevables…) et en fonction du changement climatique. Celui-ci, au moins au niveau de facteurs comme la température, joue un rôle évident d'autant plus que ces montagnes ont connu un exode rural (production de déprises etde friches), puis le passage au tout pétrole (abandon du chauffageau bois) et enfin la fermeture des mines de charbon (fin des bois de boisement…) qui ont induit une baisse des prélèvements et donc une remontée biologique, une reforestation ou, au moins, un embroussaillement très important des versants. Tout ceci conduit donc à un accroissement de l'évapotranspiration réelle (ETR) qui réduit d'autant l'offre disponible en eau, même sans variations claires liées au changement climatique, des volumes précipités qui restent toutefois très variables d'une année sur l'autre. Fort de ce constat les EPTB locaux (et l'Agence de l'eau Rhône Méditerranée – Corse) ont souhaité connaitre avecprécision (ce que ne fournit par le réseau national) les débits des rivières cévenoles lors de ces phases estivales. Ceci a conduit à l'installation d'une quinzaine de stations hydrométriques d'étiage depuis 2015 dans les bassins amont cévenols (de socle) de la Cèze et du Gardon. Cette démarche a été réalisée dans le cadre paradigmatique d'une science impliquée qui associe, les gestionnaires, les politiques, la population et les chercheurs. Cet arrière-plan a été développé dans le programme dit HydroPop (2017 – 2020) qui ne sera ici évoqué que pour mémoire. Cela étant, la production de données à haute résolution d'unequinzaine de stations génère une masse d'informationsimportante et en accroissement constant. Ceci a conduit à imaginer une base de données relationnelle dite HydroSec. Celleci a pour objectif premier de conserver l'intégralité de l'information depuis les mesures faites par les sondes (Pression, température…) jusqu'aux données exploitables dans l'étude de différentes questions (débits…). Cet outil étant globalement disponible, l'étape suivante a consisté à définir la sécheresse non plus comme un strict phénomène hydrologique (basses eaux), mais comme un problème sociétal (tension entre l'offre et la demande anthropique en eau sur un territoire — une commune, un canton, etc. — en un temps donné : semaine, mois). Certains éléments de cette posture de recherche seront analysés dans la communication proposée, en particulier le fait que ce choix épistémologique permet d'envisager le niveau et l'évolution de la tension sur la ressource en eau à partir de probabilités déterminées sur les variables de l'offre et sur celles de la demande anthropique. Il n'est donc plus question de faire les classiques bilans de masse, mais de conjoindre des distributions de probabilité, de travailler sur des probabilités conditionnelles (sachant la probabilité de A, quelle est la probabilité de B ? Connaissant le niveau des précipitations, de telle ou telle variable, quelle est la probabilité que la tension sur la ressource en eau dans tel canton, à tel moment, soit forte ?). Cette approche conduit tout naturellement à se placer dans un cadre bayésien. On fera donc la présentation d'une modélisation conceptuelle bayésienne en cours de développement informatique. Ceci implique de sélectionner des variables naturelles (pluie, température, débit…) et anthropiques (irrigation, AEP, eau ludique…) à probabiliser. Toutefois ces variables doivent être, peuvent être, transformées avant d'être injectées dans le modèle bayésien, dans les réseaux bayésiens qui sont les outils structurels (graphe acyclique…) de calcul des concaténations des distributions de probabilité. En d'autres termes, il apparait utile, en amont des calculs bayésiens sur les probabilités conditionnelles, de développer des modélisations ou des calculs particuliers afin de disposer, dans les distributions de probabilité, d'informations aussi spécifiques et opérationnelles que possible. Dans cet état d'esprit nous avons modélisé les périodes sans pluies sous un certain seuil (0 mm, 1 mm, 3 mm…), mais aussi avons travaillé sur la phase de bas débits et proposé ce que nous appelons des échelles GraviSec (de gravité de la sécheresse) qui rendent compte localement (pour un tronçon de rivière), par un système de code couleurs et de notes, du niveau du débit d'une rivière en fonction de l'analyse statistique parétienne qui peut être faite des données disponibles et relatives aux années précédentes. Le texte développera cette nouvelle méthodologie testée dans le programme HydroPop. Au final l'objectif est donc de mettre à disposition des gestionnaires de bassins de montagnes méditerranéennes, dans un premier temps, un outil -1-de conservation de l'intégralité de l'information de terrain collectée, et -2- de traitement de cette information, pour, par exemple, évaluer la tension sur la ressource en eau, mais ce pourrait être bien d'autres facettes de ces territoires de montagne au travers de modules spécifiques. On peut penser par exemple aux possibilités de stockage d'eau, etc.Fort de ce constat les EPTB locaux (et l'Agence de l'eau Rhône Méditerranée – Corse) ont souhaité connaitre avec précision (ce que ne fournit par le réseau national) les débits des rivières cévenoles lors de ces phases estivales. Ceci a conduit à l'installation d'une quinzaine de stations hydrométriques d'étiage depuis 2015 dans les bassins amont cévenols (de socle) de la Cèze et du Gardon. Cette démarche a été réalisée dans le cadre paradigmatique d'une science impliquée qui associe, les gestionnaires, les politiques, la population et les chercheurs. Cet arrière-plan a été développé dans le programme dit HydroPop (2017 – 2020) qui ne sera ici évoqué que pour mémoire. Cela étant, la production de données à haute résolution d'une quinzaine de stations génère une masse d'informations importante et en accroissement constant. Ceci a conduit à imaginer une base de données relationnelle dite HydroSec. Celle ci a pour objectif premier de conserver l'intégralité de l'information depuis les mesures faites par les sondes (Pression, température…) jusqu'aux données exploitables dans l'étude de différentes questions (débits…). Cet outil étant globalement disponible, l'étape suivante a consisté à définir la sécheresse non plus comme un strict phénomène hydrologique (basses eaux), mais comme un problème sociétal (tension entre l'offre et la demande anthropique en eau sur un territoire — une commune, un canton, etc. — en un temps donné : semaine, mois). Certains éléments de cette posture de recherche seront analysés dans la communication proposée, en particulier le fait que ce choix épistémologique permet d'envisager le niveau et l'évolution de la tension sur la ressource en eau à partir de probabilités déterminées sur les variables de l'offre et sur celles de la demande anthropique. Il n'est donc plus question de faire les classiques bilans de masse, mais de conjoindre des distributions de probabilité, de travailler sur des probabilités conditionnelles (sachant la probabilité de A, quelle est la probabilité de B ? Connaissant le niveau des précipitations, de telle ou telle variable, quelle est la probabilité que la tension sur la ressource en eau dans tel canton, à tel moment, soit forte ?). Cette approche conduit tout naturellement à se placer dans un cadre bayésien. On fera donc la présentation d'une modélisation conceptuelle bayésienne en cours de développement informatique. Ceci implique de sélectionner des variables naturelles (pluie, température, débit…) et anthropiques (irrigation, AEP, eau ludique…) à probabiliser. Toutefois ces variables doivent être, peuvent être, transformées avant d'être injectées dans le modèle bayésien, dans les réseaux bayésiens qui sont les outils structurels (graphe acyclique…) de calcul des concaténations des distributions de probabilité. En d'autres termes, il apparait utile, en amont des calculs bayésiens sur les probabilités conditionnelles, de développer des modélisations ou des calculs particuliers afin de disposer, dans les distributions de probabilité, d'informations aussi spécifiques et opérationnelles que possible. Dans cet état d'esprit nous avons modélisé les périodes sans pluies sous un certain seuil (0 mm, 1 mm, 3 mm…), mais aussi avons travaillé sur la phase de bas débits et proposé ce que nous appelons des échelles GraviSec (de gravité de la sécheresse) qui rendent compte localement (pour un tronçon de rivière), par un système de code couleurs et de notes, du niveau du débit d'une rivière en fonction de l'analyse statistique parétienne qui peut être faite des données disponibles et relatives aux années précédentes. Le texte développera cette nouvelle méthodologie testée dans le programme HydroPop. Au final l'objectif est donc de mettre à disposition des gestionnaires de bassins de montagnes méditerranéennes, dans un premier temps, un outil -1- de conservation de l'intégralité de l'information de terrain collectée, et -2- de traitement de cette information, pour, par exemple, évaluer la tension sur la ressource en eau, mais ce pourrait être bien d'autres facettes de ces territoires de montagne au travers de modules spécifiques. On peut penser par exemple aux possibilités de stockage d'eau, etc.
International audience ; The southern regions of France with a Mediterranean climate are known for their summer droughts, which led to the construction of large hydraulic works (Canal de Provence, Canal du Bas-Rhône Languedoc.) shortly after the Second World War. The function of these works is to extend the perimeter of the zones where water shortages can be avoided because of massive local resources such as the Rhône. This is the case, for example, of the Gard rhodanien irrigated by the CNABRL. Beyond these perimeters, on the karstic foothills of the south-eastern edge of the Massif Central, on the garrigue plateaus for example, aquifers, such as that of the Lez spring in Montpellier, can be used. Further upstream from the tributaries of the Rhone, such as the Ardèche, the Cèze, the Gardon, the Hérault. and therefore in the Cévennes (l. s.), which are largely devoid of aquifers, the question of water resources during the dry summer phase is central. It is obviously old, but had been "solved", in part, by the installation of a micro-hydraulic (béal.) during the past centuries. Some of these equipments have become patrimonial, but they do not correspond (when they are still operational) to the local water needs, even taking into account the deep transformation of agriculture (reduction of the activity, labelled productions: onion, apple.). By turning to tourism (a major consumer of water and water landscapes), this region is affected by increasing difficulties due to the increase in demand, regulations that pay greater attention to the good ecological status of rivers (volume of water that can be drawn) and climate change. The latter, at least in terms of factors such as temperature, plays an obvious role, especially since these mountains have experienced a rural exodus (production of wastelands and wastelands), then the transition to all oil (abandonment of wood heating) and finally the closure of coal mines (end of afforestation wood .) which have led to a decrease in withdrawals and therefore a biological recovery, reforestation or, at least, a very significant overgrowth of the slopes. All this leads to an increase of the real evapotranspiration (ETR) which reduces the available water supply, even without clear variations linked to climate change, of the precipitated volumes which remain however very variable from one year to another. With this in mind, the local EPTBs (and the Rhone-Mediterranean-Corsica Water Agency) wanted to know with precision (which the national network does not provide) the flows of the Cevennes rivers during these summer phases. This has led to the installation of about fifteen hydrometric low-water stations since 2015 in the Cévennes upstream basins (of the base) of the Cèze and the Gardon. This approach was carried out within the paradigmatic framework of an involved science that associates, managers, politicians, the population and researchers. This background was developed in the so-called HydroPop program (2017 - 2020) which will be mentioned here only as a reminder. This being said, the production of high resolution data from about fifteen stations generates a significant and constantly growing mass of information. This led to the creation of a relational database called HydroSec. The first objective of this database is to keep all the information from the measurements made by the probes (pressure, temperature.) to the data that can be used in the study of different issues (flows.). This tool being globally available, the next step consisted in defining the drought no longer as a strict hydrological phenomenon (low water), but as a societal problem (tension between the anthropic water supply and demand on a territory - a municipality, a canton, etc. - in a given time: week, month). Some elements of this research posture will be analyzed in the proposed paper, in particular the fact that this epistemological choice allows to consider the level and the evolution of the tension on the water resource from probabilities determined on the variables of the supply and on those of the anthropic demand. It is therefore no longer a question of making the classic mass balances, but of combining probability distributions, of working on conditional probabilities (knowing the probability of A, what is the probability of B? Knowing the level of precipitation, of such and such a variable, what is the probability that the pressure on the water resource in such and such a canton, at such and such a time, will be high?) This approach naturally leads to a Bayesian framework. We will therefore present a Bayesian conceptual model that is currently being developed. This implies the selection of natural (rain, temperature, flow.) and anthropic (irrigation, AEP, recreational water.) variables to be probabilized. However, these variables must be, can be, transformed before being injected into the Bayesian model, in the Bayesian networks which are the structural tools (acyclic graph.) for calculating the concatenations of the probability distributions. In other words, it seems useful, upstream of Bayesian calculations on conditional probabilities, to develop particular models or calculations in order to have, in the probability distributions, information as specific and operational as possible. In this state of mind, we have modeled the periods without rainfall under a certain threshold (0 mm, 1 mm, 3 mm.), but also worked on the phase of low flows and proposed what we call GraviSec scales (of severity of the drought) which give a local account (for a river section), by a system of color code and notes, of the level of the flow of a river according to the paraetian statistical analysis which can be made of the available data and relating to the previous years. The text will develop this new methodology tested in the HydroPop program. In the end, the objective is therefore to make available to the managers of Mediterranean mountain basins, initially, a tool -1- for the conservation of all the field information collected, and -2- for the processing of this information, for example, to evaluate the tension on the water resource, but it could be many other facets of these mountain territories through specific modules. We can think for example of the possibilities of water storage, etc.With this in mind, the local EPTBs (and the Rhone-Mediterranean-Corsica Water Agency) wanted to know precisely (what the national network does not provide) the flows of the Cevennes rivers during these summer phases. This led to the installation of about fifteen hydrometric stations of low water since 2015 in the Cévennes upstream basins (of base) of the Cèze and the Gardon. This approach was carried out within the paradigmatic framework of an involved science that associates, managers, politicians, the population and researchers. This background was developed in the so-called HydroPop program (2017 - 2020) which will be mentioned here only as a reminder. This being the case, the production of high resolution data from about fifteen stations generates a large and constantly growing mass of information. This has led to the creation of a relational database called HydroSec. The first objective of this database is to keep all the information from the measurements made by the probes (pressure, temperature.) to the data that can be used in the study of different issues (flows.). This tool being globally available, the next step consisted in defining the drought no longer as a strict hydrological phenomenon (low water), but as a societal problem (tension between the anthropic water supply and demand on a territory - a municipality, a canton, etc. - in a given time: week, month). Some elements of this research posture will be analyzed in the proposed paper, in particular the fact that this epistemological choice allows to consider the level and the evolution of the tension on the water resource from probabilities determined on the variables of the supply and on those of the anthropic demand. It is therefore no longer a question of making the classic mass balances, but of combining probability distributions, of working on conditional probabilities (knowing the probability of A, what is the probability of B? Knowing the level of precipitation, of such and such a variable, what is the probability that the pressure on the water resource in such and such a canton, at such and such a time, will be high?) This approach naturally leads to a Bayesian framework. We will therefore present a Bayesian conceptual model that is currently being developed. This implies the selection of natural (rain, temperature, flow.) and anthropic (irrigation, AEP, recreational water.) variables to be probabilized. However, these variables must be, can be, transformed before being injected into the Bayesian model, in the Bayesian networks which are the structural tools (acyclic graph.) for calculating the concatenations of the probability distributions. In other words, it seems useful, upstream of Bayesian calculations on conditional probabilities, to develop particular models or calculations in order to have, in the probability distributions, information as specific and operational as possible. In this state of mind, we have modeled the periods without rainfall under a certain threshold (0 mm, 1 mm, 3 mm.), but also worked on the phase of low flows and proposed what we call GraviSec scales (of severity of the drought) which give a local account (for a river section), by a system of color code and notes, of the level of the flow of a river according to the paraetian statistical analysis which can be made of the available data and relating to the previous years. The text will develop this new methodology tested in the HydroPop program. In the end, the objective is therefore to make available to the managers of Mediterranean mountain basins, initially, a tool -1- for the conservation of all the field information collected, and -2- for the processing of this information, for example, to evaluate the tension on the water resource, but it could be many other facets of these mountain territories through specific modules. We can think for example of the possibilities of water storage, etc. ; Les régions méridionales de la France sous climat méditerranéen sont connues pour leurs sécheresses estivales qui ont conduit à la réalisation d'imposants aménagements hydrauliques (Canal de Provence, Canal du Bas-Rhône Languedoc…) peu après la Seconde Guerre mondiale. Ces ouvrages ont pour fonction d'étendre le périmètre des zones où les pénuries d'eau peuvent être évitées en raison de ressources massives de proximité comme le Rhône. C'est le cas, par exemple, du Gard rhodanien irrigué par la CNABRL. Au-delà de ces périmètres, sur le piémont karstique du rebord sud-est du Massif central, sur des plateaux de garrigues par exemple, des aquifères, comme celui de la source du Lez à Montpellier, peuvent être sollicités. Plus en amont des affluents du Rhône que sont l'Ardèche, la Cèze, le Gardon, l'Hérault… et donc en Cévennes (l. s.), très largement dépourvues de formations aquifères, la question de la ressource en eau, lors de la phase sèche d'été, est centrale. Elle est évidemment ancienne, mais avait été « résolue », en partie, par l'installation d'une micro hydraulique (béal…) lors des siècles passés. Certains de ces équipements sont devenus patrimoniaux, mais ne correspondent (quand ils sont encore opérationnels) en rien aux besoins en eaux locaux, même en prenant en compte la transformation profonde de l'agriculture (réduction del'activité, productions labellisées : oignon, pomme…). En se tournant entre autres choses vers le tourisme (fort consommateur d'eau et de paysages hydriques) cette région se voit affectée par des difficultés croissantes en raison de l'augmentation de la demande, de réglementations qui portent une attention plus forte au bon état écologique des rivières (volumes prélevables…) et en fonction du changement climatique. Celui-ci, au moins au niveau de facteurs comme la température, joue un rôle évident d'autant plus que ces montagnes ont connu un exode rural (production de déprises etde friches), puis le passage au tout pétrole (abandon du chauffageau bois) et enfin la fermeture des mines de charbon (fin des bois de boisement…) qui ont induit une baisse des prélèvements et donc une remontée biologique, une reforestation ou, au moins, un embroussaillement très important des versants. Tout ceci conduit donc à un accroissement de l'évapotranspiration réelle (ETR) qui réduit d'autant l'offre disponible en eau, même sans variations claires liées au changement climatique, des volumes précipités qui restent toutefois très variables d'une année sur l'autre. Fort de ce constat les EPTB locaux (et l'Agence de l'eau Rhône Méditerranée – Corse) ont souhaité connaitre avecprécision (ce que ne fournit par le réseau national) les débits des rivières cévenoles lors de ces phases estivales. Ceci a conduit à l'installation d'une quinzaine de stations hydrométriques d'étiage depuis 2015 dans les bassins amont cévenols (de socle) de la Cèze et du Gardon. Cette démarche a été réalisée dans le cadre paradigmatique d'une science impliquée qui associe, les gestionnaires, les politiques, la population et les chercheurs. Cet arrière-plan a été développé dans le programme dit HydroPop (2017 – 2020) qui ne sera ici évoqué que pour mémoire. Cela étant, la production de données à haute résolution d'unequinzaine de stations génère une masse d'informationsimportante et en accroissement constant. Ceci a conduit à imaginer une base de données relationnelle dite HydroSec. Celleci a pour objectif premier de conserver l'intégralité de l'information depuis les mesures faites par les sondes (Pression, température…) jusqu'aux données exploitables dans l'étude de différentes questions (débits…). Cet outil étant globalement disponible, l'étape suivante a consisté à définir la sécheresse non plus comme un strict phénomène hydrologique (basses eaux), mais comme un problème sociétal (tension entre l'offre et la demande anthropique en eau sur un territoire — une commune, un canton, etc. — en un temps donné : semaine, mois). Certains éléments de cette posture de recherche seront analysés dans la communication proposée, en particulier le fait que ce choix épistémologique permet d'envisager le niveau et l'évolution de la tension sur la ressource en eau à partir de probabilités déterminées sur les variables de l'offre et sur celles de la demande anthropique. Il n'est donc plus question de faire les classiques bilans de masse, mais de conjoindre des distributions de probabilité, de travailler sur des probabilités conditionnelles (sachant la probabilité de A, quelle est la probabilité de B ? Connaissant le niveau des précipitations, de telle ou telle variable, quelle est la probabilité que la tension sur la ressource en eau dans tel canton, à tel moment, soit forte ?). Cette approche conduit tout naturellement à se placer dans un cadre bayésien. On fera donc la présentation d'une modélisation conceptuelle bayésienne en cours de développement informatique. Ceci implique de sélectionner des variables naturelles (pluie, température, débit…) et anthropiques (irrigation, AEP, eau ludique…) à probabiliser. Toutefois ces variables doivent être, peuvent être, transformées avant d'être injectées dans le modèle bayésien, dans les réseaux bayésiens qui sont les outils structurels (graphe acyclique…) de calcul des concaténations des distributions de probabilité. En d'autres termes, il apparait utile, en amont des calculs bayésiens sur les probabilités conditionnelles, de développer des modélisations ou des calculs particuliers afin de disposer, dans les distributions de probabilité, d'informations aussi spécifiques et opérationnelles que possible. Dans cet état d'esprit nous avons modélisé les périodes sans pluies sous un certain seuil (0 mm, 1 mm, 3 mm…), mais aussi avons travaillé sur la phase de bas débits et proposé ce que nous appelons des échelles GraviSec (de gravité de la sécheresse) qui rendent compte localement (pour un tronçon de rivière), par un système de code couleurs et de notes, du niveau du débit d'une rivière en fonction de l'analyse statistique parétienne qui peut être faite des données disponibles et relatives aux années précédentes. Le texte développera cette nouvelle méthodologie testée dans le programme HydroPop. Au final l'objectif est donc de mettre à disposition des gestionnaires de bassins de montagnes méditerranéennes, dans un premier temps, un outil -1-de conservation de l'intégralité de l'information de terrain collectée, et -2- de traitement de cette information, pour, par exemple, évaluer la tension sur la ressource en eau, mais ce pourrait être bien d'autres facettes de ces territoires de montagne au travers de modules spécifiques. On peut penser par exemple aux possibilités de stockage d'eau, etc.Fort de ce constat les EPTB locaux (et l'Agence de l'eau Rhône Méditerranée – Corse) ont souhaité connaitre avec précision (ce que ne fournit par le réseau national) les débits des rivières cévenoles lors de ces phases estivales. Ceci a conduit à l'installation d'une quinzaine de stations hydrométriques d'étiage depuis 2015 dans les bassins amont cévenols (de socle) de la Cèze et du Gardon. Cette démarche a été réalisée dans le cadre paradigmatique d'une science impliquée qui associe, les gestionnaires, les politiques, la population et les chercheurs. Cet arrière-plan a été développé dans le programme dit HydroPop (2017 – 2020) qui ne sera ici évoqué que pour mémoire. Cela étant, la production de données à haute résolution d'une quinzaine de stations génère une masse d'informations importante et en accroissement constant. Ceci a conduit à imaginer une base de données relationnelle dite HydroSec. Celle ci a pour objectif premier de conserver l'intégralité de l'information depuis les mesures faites par les sondes (Pression, température…) jusqu'aux données exploitables dans l'étude de différentes questions (débits…). Cet outil étant globalement disponible, l'étape suivante a consisté à définir la sécheresse non plus comme un strict phénomène hydrologique (basses eaux), mais comme un problème sociétal (tension entre l'offre et la demande anthropique en eau sur un territoire — une commune, un canton, etc. — en un temps donné : semaine, mois). Certains éléments de cette posture de recherche seront analysés dans la communication proposée, en particulier le fait que ce choix épistémologique permet d'envisager le niveau et l'évolution de la tension sur la ressource en eau à partir de probabilités déterminées sur les variables de l'offre et sur celles de la demande anthropique. Il n'est donc plus question de faire les classiques bilans de masse, mais de conjoindre des distributions de probabilité, de travailler sur des probabilités conditionnelles (sachant la probabilité de A, quelle est la probabilité de B ? Connaissant le niveau des précipitations, de telle ou telle variable, quelle est la probabilité que la tension sur la ressource en eau dans tel canton, à tel moment, soit forte ?). Cette approche conduit tout naturellement à se placer dans un cadre bayésien. On fera donc la présentation d'une modélisation conceptuelle bayésienne en cours de développement informatique. Ceci implique de sélectionner des variables naturelles (pluie, température, débit…) et anthropiques (irrigation, AEP, eau ludique…) à probabiliser. Toutefois ces variables doivent être, peuvent être, transformées avant d'être injectées dans le modèle bayésien, dans les réseaux bayésiens qui sont les outils structurels (graphe acyclique…) de calcul des concaténations des distributions de probabilité. En d'autres termes, il apparait utile, en amont des calculs bayésiens sur les probabilités conditionnelles, de développer des modélisations ou des calculs particuliers afin de disposer, dans les distributions de probabilité, d'informations aussi spécifiques et opérationnelles que possible. Dans cet état d'esprit nous avons modélisé les périodes sans pluies sous un certain seuil (0 mm, 1 mm, 3 mm…), mais aussi avons travaillé sur la phase de bas débits et proposé ce que nous appelons des échelles GraviSec (de gravité de la sécheresse) qui rendent compte localement (pour un tronçon de rivière), par un système de code couleurs et de notes, du niveau du débit d'une rivière en fonction de l'analyse statistique parétienne qui peut être faite des données disponibles et relatives aux années précédentes. Le texte développera cette nouvelle méthodologie testée dans le programme HydroPop. Au final l'objectif est donc de mettre à disposition des gestionnaires de bassins de montagnes méditerranéennes, dans un premier temps, un outil -1- de conservation de l'intégralité de l'information de terrain collectée, et -2- de traitement de cette information, pour, par exemple, évaluer la tension sur la ressource en eau, mais ce pourrait être bien d'autres facettes de ces territoires de montagne au travers de modules spécifiques. On peut penser par exemple aux possibilités de stockage d'eau, etc.
Le rapport de soutenance rend tout d'abord hommage à la qualité du dossier présenté à l'appui de la demande de l'habilitation à diriger des recherches: un mémoire substantiel, deux livres (en français et en anglais), une quarantaine d'articles publiés dans des revues reconnues, des contributions originales à des ouvrages collectifs, ainsi que de nombreuses communications à des réunions scientifiques internationales. Les ouvrages d'Albert Doja sont très variés même s'ils sont essentiellement consacrés à l'Albanie et à la région balkanique. Il y a beaucoup de thèmes importants abordés et une quantité significative de propositions. C'est un corpus très riche, plein d'idées intéressantes qui poussent à repenser les concepts de base. Les rapporteurs notent qu'il y a deux thématiques organisent le dossier, celui de la construction culturelle de la personne (morphologie sociale, parenté et relations de genre) et celui des relations interethniques élargies aux champs de la religion, de la nation et de la folklorisation des traditions culturelles et notamment des conflits qu'enclenchent tous ces éléments. Sa thèse de Doctorat qui était en grande partie basée sur les données folkloriques et ethnographiques cherchait à comprendre la constitution de la personne en Albanie en utilisant des bases d'interprétation anthropologique où les influences les plus explicites sont les œuvres de Lévi-Strauss. De la construction de la personne le regard s'est très naturellement porté vers les valeurs et les traits structurels qui façonnent la société albanaise (un système lignager, l'idéologie du sang, l'hypertrophie du sentiment fraternel, le sens de l'honneur, la codification de l'amitié, etc.). Ces approfondissements et ces élargissements de la problématique de départ ont abouti, par touches successives, à un riche tableau où l'étude de la socialisation, de la formation de personne, la nature de la culture régionale, la structure sociale, la construction de l'honneur, les pratiques religieuses par rapport à la distribution linguistiques contribuent à un effort orienté vers une compréhension de la spécificité des sociétés et des cultures albanaises et sud-est européennes. De là il se met à analyser les formes et la dynamique de l'identité ethnique, nationale et le conflit. Son anthropologie représente une excellente combinaison qui devrait être utile dans la recherche régionale. Il s'agit d'une anthropologie sociale et historique des 'traditions' mais dans la mesure où elle se situe dans un balancement entre ethnie et nation on peut considérer qu'il s'agit d'une anthropologie du juste milieu qui d'ailleurs ne sacrifie nullement l'actualité comme en témoignent les analyses consacrées au phénomène des viols ou encore à l'exercice démocratique. Enfin il discute les questions plus contemporaines qui relèvent des transformations politiques et sociales dans la région, l'introduction de la démocratie, la migration et l'intégration. Le mémoire distingue d'ailleurs très bien les champs de recherche et les champs d'implication. Dans ce parcours Albert Doja démontre sa maîtrise de la région du point de vue historique, linguistique et culturelle en même temps qu'il intègre en grande partie ces connaissances dans les discussions théoriques contemporaines dans la discipline. Catherine Quiminal (Professeur, Paris VII) note que ce dossier met en évidence de manière convaincante l'intérêt, pour l'anthropologie, d'aborder des terrains concernant des sociétés du sud-est européen, puisque l'auteur revendique également une démarche comparative peu développée par l'anthropologie de l'Europe. De tels terrains permettent de "passer de l'Autre primitif ou archaïque, conventionnel ou populaire, en situation néo-coloniale ou dans une communauté locale, vers l'étude des processus dynamiques et transactionnels de transformation sociale, de modernisation et de globalisation". Albert Doja y fait état des connaissances historiques, géographiques, ethnologiques concernant la région. Il en restitue de manière critique les conditions de production et de reproduction et les limites. L'histoire des cultures du Sud-Est européen nécessite, selon l'auteur, une nouvelle formulation, un regard orienté sur la construction des identités, les transformations familiales et sociales. Le mode d'analyse proposé pour aborder des sociétés que l'auteur préfère qualifier de "conventionnelles" plutôt que de traditionnelles, s'éloigne volontairement de la monographie d'un groupe artificiellement isolé à la recherche de survivances, pour se focaliser sur les institutions centrales et les valeurs dominantes. Anthropologue né en Albanie, formé en France, ayant un engagement maintenu pendant plusieurs années dans des relations personnelles étroites en Europe du sud-est aussi bien qu'en Europe de l'Ouest, vivant et travaillant depuis de longues années en France, en Grande Bretagne et en Irlande, il se trouve dans une position propice à un type de recherche de terrain diachronique et comparative. Jonathan Friedman (Directeur d'études, EHESS) note également que dans sa tentative de caractériser la région balkanique comme située entre deux complexes de civilisation en réponse aux discussions classiques basées sur la notion de région croisée entre l'orient et l'occident et le réductionnisme que cela peut entraîner, Albert Doja propose de redéfinir la région en termes de frontières plus fluides et de co-existence entre peuples différents. Ici il prend en compte à la fois la culture ou la société dans le sens objectiviste de l'observateur et l'identité culturelle ou ethnique qui est pratiquée dans les interactions entre membres de différentes populations. Sa discussion de la méthode est fort intéressante et reflète le parcours de sa formation. Il insiste sur la nécessité de combiner des méthodes différentes, historiques et comparatives, ethnographie, analyses de textes et recherches sur les documents archivés. Jean Copans (Professeur, Paris V) note que Albert Doja passe d'une folkloristique classique de recueil des traditions à une anthropologie politique ou politologie géostratégique plurinationale. La question est d'importance car on doit se demander quelles sont les méthodologies de terrain les plus adéquates à l'étude des relations interethniques et des valeurs culturelles. Peut-on enquêter directement sur le processus de construction de l'ethnicité, peut-on observer en direct sa genèse interactive ou faut-il attendre un degré de fusion, de formalisation et de verbalisation pour la saisir et puis la déconstruire? Si les africanistes sont obsédés par cette question, pour Albert Doja il s'agit d'une nouvelle théorie, assez subtile et complexe. L'ethnicité est une question de point de vue, de position que redouble ici le problème de l'observation de la violence. L'anthropologie du génocide, de la souffrance et de l'affliction est à la mode mais c'est la mémoire qui joue le rôle central, de même que c'est le processus d'observation qui fournit des réponses empiriques aux nouvelles questions décisives qui mettent en cause les méthodes de la discipline. Michael Herzfeld (Professeur, Harvard University), note également qu'on ne peut qu'être profondément frappé par la grande envergure des observations d'Albert Doja sur l'ethnographie albanaise et par l'érudition qui les soutient. On constate, bien sûr, que les données dont Albert Doja traite sont riches d'informations et d'aperçus. Il est allé bien loin au-delà de la prospective limitée des chercheurs antérieurs à lui. Il a mené de sérieuses enquêtes empiriques et fait preuve qu'il possède suffisamment la capacité de fournir des descriptions nuancées des faits sociaux. Souvent il révèle une sensibilité ethnographique presque éclatante, là où on est peut-être le moins préparé à le rencontrer, comme c'est le cas notamment dans son article sur les problèmes de stabilité au Kosovo, là où une petite scène de tension et de méprise dans un café Internet révèle l'univers du "transnational" dans toute sa complexité. Mais ce qui sauve les analyses des études folkloriques traditionnelles (isolation intellectuelle et stigmatisation par l'association avec des nationalismes exceptionnellement durs et revanchistes) consiste avant tout en deux points forts: sa connaissance, évidemment bien profonde et circonstanciée, de l'histoire des théories les plus importantes en anthropologie sociale d'un côté, et sa méfiance soit du nationalisme soit des critiques souvent trop simplistes avancées par des savants qui n'avaient peut-être pas considéré que le modèle d'une identité construite peut devenir abusive dans le cas où elle sert à soutenir des idéologies identitaires opposées selon la rhétorique de l'opposition entre le faux et le réel. En ce qui concerne le champ des ethnicités comparées de l'Europe, Jean Copans note que des nationalités de l'empire austro-hongrois on glisse à l'ethnicisme avec des intellectuels organiques (et parfois des ethnologues) tout aussi responsables (et coupables!). Michael Herzfeld aussi mentionne les observations d'Albert Doja sur les points de parallélisme entre la politique ethnique et le comportement des savants, pour noter que celle-ci est une comparaison qui a pu achever un très haut niveau d'importance analytique. Le rapporteur est bien d'accord avec les observations d'Albert Doja, car ce qui est d'une importance capitale est le fait qu'il réussit à nous rappeler que les savants font déjà partie de ce qu'ils étudient, qu'ils le veuillent ou non. Il faut souligner que bien que d'autres ethnologues aient déjà établi des rapports, soit historiques, soit formels, entre le nationalisme et l'anthropologie, Albert Doja achève sur ce point une formulation suffisamment généralisable et heuristiquement suggestive pour qu'on puisse en dériver des projets "de terrain" à l'avenir. À ce propos Christian Bromberger (Professeur, Université de Provence) et Jonathan Friedman (Directeur d'études, EHESS) notent tous les deux que les interprétations des violences et des atrocités sexuelles dans les conditions de conflit interethnique pendant les guerres de Bosnie et du Kosovo sont fort intéressantes. Jean Copans (Professeur, Paris-V) estime aussi que l'hypothèse d'Albert Doja sur l'équivalence culturelle des modèles de lecture du viol par la victime et par celui qui l'a perpétré est pertinente. Albert Doja montre comment la pollution du sang dans des sociétés qui en ont érigé la pureté en valeur dominante vise et "amène nécessairement le désordre et l'éclatement du système social et du groupe tout entier". La substitution d'une ligne paternelle externe à la ligne établie par le mariage par l'agression désorganise profondément l'ordre parental de la société locale. Jean-Pierre Warnier (Professeur, Paris V) note à ce propos que les cadres d'analyse proposés par Albert Doja relèvent du structuralisme (Hage, Héritier, Testart, Douglas) en termes de catégories disjonctives et de rituels par rapport aux représentations des humeurs corporelles et à la réalité physique de l'agression–intrusion. Le cadre théorique structuraliste est traditionnellement considéré rebelle à l'analyse politique, mais le mérite d'Albert Doja est de montrer que la "culture" des protagonistes permet de comprendre l'impact ravageur du viol sur la subjectivité des acteurs, situant le viol dans un rapport de force et de pouvoir - pouvoir qui, comme le répétait Michel Foucault, s'adresse toujours au corps dans sa matérialité. Dans ses analyses des causes des viols, Albert Doja est convaincu que l'explication doit être cherchée dans le fait que les valeurs d'honneur sont mises en avant par une sorte d'agencéité (agency) politique et instrumentale. Par ailleurs, les rapports de pouvoir ne sont pas impliqués dans la re-traditionalisation des valeurs. C'est le changement des structures macrosociologiques qui alimente cette re-traditionalisation et c'est l'usage instrumental des valeurs identitaires et des valeurs morales et sociales de l'honneur ou de la religion qui fait que le viol soit aussi efficace comme une arme de purification ethnique. Ainsi on peut suggérer que le viol a une fonction politique immédiate. Jonathan Friedman note qu'un point bien fort dans les recherches d'Albert Doja consiste à démontrer l'importance de l'anthropologie dans la compréhension des conflits contemporains dans la région balkanique. Il démontre que la logique des rapports familiaux, basé sur un modèle fortement patriarcal où l'honneur est central et génératif des feuds (vendetta) qui bloque la résolution des conflits sans la violence. Cette logique lie la production des sujets masculins à la politique ethnique. C'est une contribution importante à une discussion de la guerre qui est souvent limitée à des concepts généraux comme le nationalisme ou les régimes corrompues qui utilisent leurs propres populations pour atteindre des buts privés. Dans sa discussion des rapports complexes entre l'État, les discours nationalistes et la façon dont ils sont assimilés en bas de l'ordre politique, Albert Doja suggère le rôle important de la mondialisation dans le déclenchement de la fragmentation à l'intérieur de l'État-nation. Il discute la façon dont se développent les débats entre Albanais et Serbes à propos du statut historique de Kosovo, où les intellectuels ont joué un rôle important. Certes Albert Doja construit son champ de manière historique, anthropologique et comparative. Même si cette comparaison s'arrête essentiellement aux frontières des Balkans, Jean Copans ajoute toutefois que par ailleurs il nous propose une théorie générale de 1'ethnicité. Il faut donc discriminer entre généralisation et comparaison. Or les sociétés des Balkans sont des sociétés de l'histoire écrite ce qui modifie les perceptions anthropologiques habituelles. Nous ne sommes pas dans le contexte post-colonial habituel mais le choix de propositions cognitivistes ne débouche heureusement pas sur des propositions essentialistes ou instrumentalistes, ni sur des réactions de mode qui mondialiseraient abusivement l'expérience récente des Balkans. Christian Bromberger note à ce propos que l'auteur, traitant du thème des identités, renvoie dos à dos les "primordialistes" et les "instrumentalistes" en notant justement que même si "les attributs culturels tenus pour être la marque distinctive d'un groupe peuvent faire l'objet de transformations, de substitutions, de réinterprétations, cela ne conduit pas à poser que l'identification ethnique peut s'exercer à partir de n'importe quoi". Jonathan Friedman ajoute aussi que la discussion d'Albert Doja sur les rapports entre l'ethnicité instrumentale et primordialiste est importante, même si elle reprend partiellement des discussions connues ailleurs aussi. Le fait que la manipulation de l'identité reste toujours dans des limites encadrées par une espace identitaire qui a ses propres limites implique que l'instrumentalisme est toujours limité et que "on ne peut s'identifier à partir de n'importe quoi". Mais Albert Doja marque un point important quand il soutient que ces deux concepts sont mieux compris si on les considère comme des aspects d'un même phénomène. Jean-Pierre Warnier remarque que la question du pouvoir et des rapports politiques apparaît souvent dans les travaux d'Albert Doja, mais là où il se rapproche le plus d'une analyse politique, c'est dans l'article «The politics of religion». D'un point de vue théorique, il ne semble pas suffisant de renvoyer dos à dos primordialistes et constructivistes, comme le fait pourtant le candidat. C'est l'analyse du pouvoir qui permet de trancher entre les deux, ainsi que l'a suggéré Jean-François Bayart dans son livre L'Illusion identitaire. A cette question concernant le pouvoir, Albert Doja répond que c'est précisément parce la question du pouvoir et des rapports politiques est centrale à l'ensemble de ses travaux qu'on devrait considérer plutôt réducteur de la traiter séparément. Le candidat dit faire une distinction entre pouvoir et politique et qu'il s'intéresse à l'usage instrumental des valeurs morales et sociales de l'identité. Catherine Quiminal note à ce propos que les processus que Albert Doja qualifie de construction identitaire se développent en fonction d'enjeux sociaux et politiques circonstanciés parce que définis par des rapports de force internes aux sociétés considérées et par les relations plaçant ces dernières sous la dépendance d'autres sociétés, rapports et relations qui sont générateurs de domination, de discriminations et de résistances. Ces relations ont sûrement des incidences sur la compréhension de ce que Albert Doja appelle indifféremment dynamique des valeurs culturelles ou dynamique culturelle des valeurs sociales. Christian Bromberger note également l'importance des processus de construction et d'affirmation des identités collectives, ainsi abordées par Albert Doja, dans une région marquée par une forte fragmentation des appartenances confessionnelles. L'auteur souligne le rôle des affiliations religieuses (le bektachisme par exemple) dans la construction des nationalismes et dans les phénomènes de résistance qui ont ponctué l'histoire complexe de l'Albanie et du sud-est de l'Europe. Il analyse, de façon éclairante et à diverses échelles chronologiques, les phénomènes de conversion et de reconversion religieuses dont l'Albanie a été le théâtre. Également fructueuse est pour Michael Herzfeld l'explication que Albert Doja suggère de l'islamisation compréhensive d'une grande partie de la population albanaise. Il étend son modèle aux cas des bosniaques, et on ne peut que regretter qu'il n'est pas encore arrivé à comparer d'autres cas, tel celui de la Crète (où la cruauté des autorités vénitiennes assurèrent leur défaite par les Turcs et donc fournit un cas extrêmement clair de ce que Albert Doja indique pour l'Albanie). Quelle ironie historique que ce soit l'Église catholique qui, par l'oppression des populations orthodoxes, ait déclenché la réaction par lequel l'Islam gagna son importance actuelle en Albanie, même si c'est dans ses aperçus historiques plutôt qu'ethnographiques où Albert Doja semble achever son plus haut niveau de perspicacité! Catherine Quiminal souligne aussi l'hypothèse suivante proposée par l'auteur: "Le développement des pratiques religieuses et des mouvements successifs de conversion et reconversion parmi les Albanais. . . se laisse interpréter comme des expressions de conflit et de protestation, conduisant aux mouvements nationaux et au nationalisme". L'étude de la dynamique de ces mouvements a permis à l'auteur de "comprendre la relativité des conflits politico-religieux et ethnico-nationaux. . . et de mettre la signification des changements d'appartenance religieuse dans la perspective de négociation et de redéfinition des identités sociales". La religion s'ethnicise à des fins de rassemblement. Nation, nationalisme et citoyenneté sont des notions également appréhendées par l'auteur comme constructions identitaires et idéologiques. L'ethnicité est considérée finalement comme "une forme et une métaphore de l'activité et de l'organisation sociale". Jonathan Friedman note aussi que la discussion par Albert Doja de la démocratisation possible de l'Albanie est assez prometteuse, même si elle est encore à ses débuts. Il est d'accord avec l'auteur qui se demande dans quels sens peut se produire une démocratisation dans une société où un affaiblissement de l'État débouche sur un renforcement des rapports parentaux et claniques, où les hiérarchies clientélistes sont à l'ordre du jour ainsi que l'identité du type clanique dominante. Mais on peut aussi suggérer que c'est au contraire les soi-disant institutions démocratiques qui sont adaptées à des stratégies "conventionnelles", semblable à la démocratie africaine (ou du moins congolaise). En fin de compte, les ouvrages d'Albert Doja représentent un corpus marqué d'une vaste érudition qui suscite de nouveaux points de départ pour une ethnologie comparative de la région balkanique. Avant tout, il a trouvé les moyens théoriques pour ériger un pont analytique entre les expériences sociales des gens ordinaires et les structures politiques des entités nationales construites en leur nom et, selon les discours officiels, en accord avec leur vie sociale et culturelle. Pour conclure, le rapport de soutenance revient sur l'originalité du dossier "en rendant hommage au travail accompli par Albert Doja", et souligne "l'intérêt d'une discussion entre anthropologues européanistes et anthropologues des aires culturelles plus traditionnelles de la discipline", aussi bien que "l'impression positive qui se dégage de cette œuvre riche et d'un parcours où chaque étape inaugure un renouvellement des perspectives et des thématiques".
La première partie de cette thèse de doctorat est composée de 6 chapitres. Celle-ci décrit une méthodologie originale afin d'estimer les performances économiques, énergétiques et environnementales des installations d'un réseau de chaleur. Le chapitre 1 résume les différents contextes dans lesquels s'inscrit le travail de recherche. Le contexte énergétique mondial de la consommation d'énergie primaire liée au chauffage et à la climatisation des bâtiments est tout d'abord détaillé. En effet, ce travail se concentre sur l'alimentation de bâtiments par le biais des réseaux de chaleur qui sont, à leur tour, détaillés. Pour alimenter ceux-ci, l'usage de la biomasse et des unités de cogénération sont également abordés au sein de ce premier chapitre. Le chapitre 2 détaille le cas d'étude qui est utilisé pour éprouver la méthodologie développée dans le travail de recherche. À l'aide de ses spécificités et des notions introduites dans le chapitre 1, des objectifs généraux sont définis. Le chapitre 3 délimite les objectifs du présent travail de recherche sur base de ceux établis dans le chapitre 2. Pour y parvenir, les différentes méthodes utilisées sont à leur tour détaillées et référencées au travers des articles scientifiques constituant la partie 2 de ce manuscrit. Finalement, les outils informatiques utilisés pour réaliser ces objectifs sont également abordés. Le chapitre 4 détaille les résultats des articles scientifiques 3, 4 et 8 de la partie 2 de ce manuscrit concernant la modélisation du transport de l'énergie thermique. L'article 3, sur base des limitations observées pour une méthode de modélisation couramment utilisée (volumes finis) pour la simulation du transport de l'énergie thermique, détaille uneméthode alternative de simulation du transport de l'énergie thermique dans le langage du logiciel Matlab. Cette méthode considère non seulement les pertes à l'ambiance de la canalisation, mais également l'inertie thermique de celle-ci dont l'influence sur le transport d'énergie est démontrée. L'article 4 valide cette approche expérimentalement sur une installation de laboratoire et sur une portion d'une canalisation du réseau de chaleur du cas d'étude. L'article 8 établit un état de l'art des différentes méthodes de modélisation du transport d'énergie thermique qui conclut sur la nécessité d'utiliser une méthode alternative pour l'estimation dynamique des pertes à l'ambiance et du transport de l'énergie thermique d'une canalisation. Cet article propose d'utiliser la méthode envisagée de l'article 3 en l'adaptant au langageModelica. Par ailleurs, cette méthode alternative est à son tour validée sur l'installation de laboratoire utilisée dans la validation expérimentale de l'article 4 ainsi que sur une portion d'un réseau de chaleur existant constituée de plusieurs consommateurs. Le chapitre 5 présente les résultats obtenus pour l'analyse d'un réseau de chaleur qui sont résumés dans les articles scientifiques numérotés 1, 2, 5, 6, 7 et 9 de la partie 2 de ce manuscrit et des compléments sont également abordés le cas échéant. L'article 1 présente une modélisation détaillée de la combustion de la biomasse et du gaz naturel afin d'estimer les émissions de plusieurs polluants tout en s'attardant sur la formation des oxydes d'azote et de soufre. L'article 2 présente une méthodologie permettant d'estimer le coût de la chaleur et le bilan des émissions de dioxyde de carbone d'un réseau de chaleur et compare ce système de chauffage à d'autres alternatives. Pour arriver à cet objectif, plusieurs modèles sont détaillés et validés expérimentalement afin d'estimer les performances des différentes installations constituant un réseau de chaleur (chaudière, unité de cogénération, réseau de chaleur). Finalement, plusieurs scénarios visant à améliorer le réseau de chaleur et l'unité de cogénération sont envisagés et comparés à l'aide de la méthodologie développée. L'article 6 et l'article 7 envisagent, quant à eux, des scénarios alternatifs permettant de diminuer le coût de la chaleur du réseau de chaleur sur base des modèles développés dans l'article 2. L'article 6 envisage l'ajout d'un stockage d'énergie thermique afin de maximiser l'usage d'une unité de cogénération alimentant le réseau de chaleur pour diminuer les coûts et l'impact environnemental du réseau de chaleur. Le stockage d'énergie est considéré sous deux formes: un ballon tampon d'eau chaude placé à proximité du réseau ainsi qu'une régulation adaptée permettant d'utiliser l'inertie thermique propre du réseau de chaleur. De plus, un stockage d'énergie à court terme et saisonnier sont envisagés afin de vérifier leur pertinence avec le contexte du réseau de chaleur étudié. Sur base des résultats obtenus, la politique des subsides liée à l'utilisation de l'unité de cogénération est analysée afin de pointer son adéquation avec le contexte du réseau de chaleur étudié. L'article 7, quant à lui, envisage l'ajout d'une pompe à chaleur haute température à un endroit stratégique du réseau de chaleur qui nécessite une haute température d'alimentation en eau chaude pour générer de la vapeur. Ce scénario est basé sur l'hypothèse qu'en réduisant la températuremoyenne du réseau grâce à cette pompe à chaleur, il serait possible de limiter les pertes à l'ambiance de celui-ci et donc de potentiellement réduire les coûts associés et l'empreinte environnementale. L'article 5 complète l'analyse des réseaux de chaleur en détaillant une méthodologie afin d'estimer les performances énergétiques, exergétiques et environnementales de différents systèmes de chauffage, dont les réseaux de chaleur, afin de comparer ces solutions dans leur globalité. Le chapitre 6 résume les conclusions du travail de recherche et propose des perspectives à celui-ci. La seconde partie de cette thèse de doctorat est composée des 9 articles scientifiques qui ont été préalablement abordés et d'une section consacrée à corriger une erreur présente dans l'un des articles scientifiques et à préciser un aspect lié à l'unité de cogénération étudiée, à savoir l'évolution de sa puissance nominale au cours des études. ; The first part of this doctoral thesis is composed of 6 chapters. Chapter 1 summarizes the different contexts in which the research work takes place. The global energy context for primary energy consumption related to heating and cooling buildings is firstly detailed. Indeed, this work focuses on the supply of buildings through district heating networks which are then detailed. To feed these district heating networks, the use of biomass and cogeneration units are also discussed in this first chapter. Chapter 2 presents the case study used to test the methodology developed in the research work. Using its specifications and the concepts introduced in chapter 1, general objectives are defined. Chapter 3 delineates the objectives of this research work on the basis of those set out in chapter 2. To achieve this, the different methods used are detailed and referenced through the scientific articles constituting the part 2 of this manuscript. Finally, the computer tools used to achieve these objectives are also briefly discussed. Chapter 4 presents the results of scientific articles 3, 4 and 8 of the part 2 of this manuscript concerning thermal energy transport modeling. Article 3, based on the limitations observed for a modeling method (finite volumes) commonly used for thermal energy transport modeling, details an alternative method of thermal energy transport simulation in the Matlab software language. This method considers not only the heat losses to the pipe environment but also the thermal inertia of the pipe whose influence on energy transport is demonstrated. Article 4 validates this approach experimentally in a laboratory test bench and on a portion of a heating network pipe of the case study. Article 8 establishes a state of the art of the different thermal energy transport modelling methods which concludes on the requirement to use an alternative method for the dynamic estimation of heat losses and thermal energy transport of a pipeline. This article proposes to use the method envisaged in article 3 by adapting it to the Modelica language. Furthermore, this alternative method is validated on the laboratory installation used in the experimental validation of article 4 as well as a portion of an existing heating network consisting of several consumers. Chapter 5 presents the results obtained for the analysis of a heating network, which are summarized in the scientific articles numbered 1, 2, 5, 6, 7 and 9 in part 2 of this manuscript, and supplements are also discussed where required. Article 1 presents a detailed modeling of biomass and natural gas combustion in order to estimate the emissions of several pollutants while focusing on the formation of nitrogen oxides. Article 2 presents a methodology to estimate the cost of heat and the carbon dioxide emissions balance of a heating network and compares this heating system with other alternative technologies. To achieve this objective, several models are detailed and validated experimentally in order to estimate the performances of the various installations constituting a heating network (boilers, cogeneration unit, heating network). Finally, several scenarios to improve the heating network and the cogeneration unit are considered and compared using the methodology developed. Article 6 and Article 7 consider alternative scenarios for reducing the cost of heating the heating network on the basis of the models developed in Article 2. Article 6 investigates the addition of thermal energy storage in order to maximize the use of a cogeneration unit feeding the heating network. Energy storage is considered in two forms: a hot water buffer storage tank placed close to the network and an adapted regulation allowing the use of the thermal inertia of the heating network. In addition, short-term and seasonal energy storage are considered to verify their relevance to the context of the heating network under study. On the basis of the results obtained, the subsidy policy linked to the use of the cogeneration unit is analyzed in order to determine its adequacy in the context of the case study. Article 7, for its part, envisages the addition of a high-temperature heat pump at a strategic point in the heating network that requires a hot water supply temperature to generate steam. This scenario is based on the assumption that by reducing the average temperature of the network thanks to this heat pump, it would be possible to limit the losses to the environment of the network and thus potentially to reduce the associated costs and the environmental footprint. Article 5 complements the analysis of heating networks by detailing a methodology to estimate the energy consumption and the energetic and environmental performances of different heating systems, including heating networks, in order to compare these solutions as a whole. Chapter 6 summarizes the findings of the research and offers perspectives for research. The second part of this doctoral thesis is composed of the scientific articles that were previously discussed and a section devoted to correct an error present in one of the scientific articles and to specify an aspect related to the cogeneration unit studied, namely the evolution of its rated power during the studies.
L'articolo non vuole affrontare il più vasto tema di "fascismo e biblioteche", la politica bibliotecaria e le realizzazioni del ventennio in questo campo, ma si propone lo scopo di iniziare una ricostruzione della presenza e delle posizioni dei bibliotecari in questa fase della storia della società italiana. Il periodo fascista è un periodo di modernizzazione tecnica delle biblioteche italiane ma anche di irrigidimento del sistema bibliotecario italiano. Nasce in questo periodo una rappresentanza professionale dei bibliotecari (l'Associazione dei bibliotecari italiani, nel 1930) e qualche anno prima era stato costituito un vertice amministrativo (la Direzione generale delle accademie e biblioteche, nata nel 1926 e rimasta sostanzialmente la stessa fino ad oggi) che agiva come filtro fra la politica e la professione.La presa del fascismo tra i bibliotecari italiani, negli anni intorno alla Marcia su Roma, è molto limitata. Molti liberali considerarono il fascismo come un "male minore" rispetto alle tensioni sociali del 1919-1920, ma sono pochissimi e di scarsa importanza i bibliotecari che aderirono al fascismo prima della Marcia su Roma, come il conte Giuseppe Lando Passerini (1858-1932), bibliotecario alla Nazionale di Firenze e alla Laurenziana, o Antonio Toschi, bibliotecario a Bologna. Nessuna personalità importante del mondo delle biblioteche aderì al Manifesto degli intellettuali del fascismo (1925) scritto da Giovanni Gentile; pochi sono anche gli aderenti alla risposta preparata da Benedetto Croce, ma fra questi troviamo Emidio Martini, direttore della Biblioteca nazionale di Napoli in pensione.Tra gli esponenti del Partito Fascista troviamo alcuni direttori di biblioteca, come Italo Lunelli (1891-1960) direttore della Biblioteca comunale di Trento e Leonardo D'Addabbo (1893-1958) direttore della Biblioteca consorziale di Bari, che però non ebbero un ruolo significativo nella professione. Il personaggio più interessante è Piero Zama (1886-1984), fondatore del Partito fascista a Faenza e direttore della Biblioteca comunale della città dal 1920 al 1957. Zama però si staccò dal fascismo per il suo carattere reazionario e venne poi perseguitato.Le biblioteche furono spesso, invece, dei rifugi relativamente tranquilli per le persone contrarie al Fascismo. Alla Biblioteca Vaticana lavorarono Gerardo Bruni (1896-1975) e Igino Giordani (1894-1980), che avevano collaborato con don Sturzo nel Partito popolare e che furono mandati dalla Biblioteca a studiare biblioteconomia in America, nel 1927. Più tardi lavorò alla Vaticana anche Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dopo la Liberazione. Nelle biblioteche statali venivano spesso destinati insegnanti di liceo e professoni universitari antifascisti che il Regime voleva togliere dall'insegnamento: per esempio Bianca Ceva ed Elena Valla alla Biblioteca nazionale di Milano, il filosofo Giuseppe Rensi alla Biblioteca universitaria di Genova e Pilo Albertelli (1907-1944), eroe della Resistenza, alla Biblioteca nazionale di Roma.Nel periodo fascista venne costituita, dopo il Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia tenuto nel 1929 a Roma e Venezia, l'Associazione dei bibliotecari italiani (dal 1932 Associazione italiana per le biblioteche), controllata dal Ministero dell'educazione nazionale ma indipendente dal Partito. Il Partito fascista costituì una propria Sezione Bibliotecari nell'Associazione fascista del pubblico impiego e poi nell'Associazione fascista della scuola: queste associazioni ebbero larghe adesioni, per i vantaggi che offrivano, ma non svolsero attività significative nel campo delle biblioteche. La relativa autonomia dell'AIB dalla pressione del Fascismo fu resa possibile dal prestigio del presidente, l'uomo politico e professore Pier Silverio Leicht, e dalla Direzione generale delle accademie e biblioteche, che gestiva il settore delle biblioteche limitando per quanto possibile l'ingerenza politica e ideologica.I direttori delle biblioteche statali che non erano favorevoli al fascismo restarono di solito ai loro posti, ma negli anni Trenta la tessera del Partito nazionale fascista diventò necessaria per i funzionari dello Stato e alcuni bibliotecari antifascisti vennero destituiti, come Pietro Zorzanello dalla Biblioteca Palatina di Parma nel 1934 e Anita Mondolfo dalla Biblioteca nazionale di Firenze nel 1937. Nel 1938 vennero licenziati dallo Stato i bibliotecari ebrei. Parecchi bibliotecari antifascisti preferirono prendere la tessera del PNF e rimanere ai propri posti, dove potevano operare per le biblioteche e, dalla fine degli anni Trenta, per la loro protezione dai rischi e dai danni della guerra.Dal 1934 nei congressi dell'Associazione italiana biblioteche diventò obbligatorio portare la camicia nera, divisa del Partito fascista, ma le fotografie della sala del convegno nel 1934 e nel 1940 mostrano che solo pochi bibliotecari la indossavano, o indossavano l'uniforme degli impiegati dello Stato introdotta nel 1938, mentre la maggioranza continuava a indossare i propri abiti borghesi. La fascistizzazione del mondo delle biblioteche fu soprattutto burocratica e rituale, imposta dall'esterno ma limitata ai discorsi ufficiali nei congressi e sulla rivista del Ministero, non incise in maniera rilevante sulla cultura dei bibliotecari, che cercarono di contrastarla in maniera coperta o di ignorarla. ; The article does not try to deal with the more extensive theme of "fascism and libraries", library policy and the achievements of the fascist regime in this field, but aims at a understanding of the presence and positions of librarians in this stage of the history of Italian society. The fascist period is one of technical modernization of Italian libraries but also of fixation of the Italian library system. This period sees the birth, in 1930, of a professional representation of librarians (the Association of Italian librarians), and a few years earlier of a top government unit, the General Direction of Academies and Libraries (established in 1926 and still basically the same to this day), that acted as a filter between politics and the profession. The grasp of fascism among Italian librarians, in the years around the March on Rome (1922), was very limited. Many liberals considered fascism as a "lesser evil" with respect to the social tensions of 1919-1920, but the librarians who supported fascism before the March on Rome were few and of little importance. Among these were count Giuseppe Lando Passerini (1858-1932), librarian at the National Library of Florence and at the Laurenziana, and Antonio Toschi, librarian in Bologna. Not one important personality of the library world supported the Manifesto of the intellectuals of fascism (1925) written by Giovanni Gentile; few were also the supporters of the reply drafted by Benedetto Croce, but among these we find Emidio Martini, retired director of the National Library of Naples.Among the exponents of the Fascist Party we find some library administrators, such as Italo Lunelli (1891-1960) director of the Public Library of Trent and Leonardo D'Addabbo (1893-1958) director of the Consortium Library of Bari, who however did not have a significant role in the profession. The most interesting personality is Piero Zama (1886-1984), founder of the Fascist Party in Faenza and director of the Municipal Library of the city from 1920 to 1957. Zama, however, abandoned fascism because of his reactionary evolution and was subsequently persecuted.Libraries were often a sort of hideout for those contrary to fascism. Gerardo Bruni (1896-1975) and Igino Giordani (1894-1980), who had worked with don Sturzo in the Popular Party, were sent by the Vatican Library to study librarianship in America, in 1927, and later also Alcide De Gasperi, president of the Council of Ministers after the Liberation, worked in the Vatican Library. Anti-fascist high school teachers and university professors that the regime wanted to remove from teaching were often destined to state libraries: for example Bianca Ceva and Elena Valla to the National Library of Milan, the philosopher Giuseppe Rensi to the University Library of Genoa and Pilo Albertelli, Resistance hero, to the National Library of Rome.After the World Congress of Libraries and Bibliography held in Rome and Venice in 1929, the Association of Italian Librarians (from 1932 the Italian Association for Libraries, AIB) was founded, under the control of the Minister for National Education but independent of the Fascist Party. The Fascist Party formed its own Librarians' Section in the Fascist Association of Civil Servants and later in the Fascist School Association: these Associations were widely supported, due to the advantages that they offered, but they carried out no significant activities in the library field. The relative independence of the AIB from the pressure of Fascism was made possible through the prestige of its president, the politician and professor Pier Silverio Leicht, and through the General Direction of Academies and Libraries, that controlled the library sector and limited as much as possible any political and ideological interference.The directors of state libraries who were not in favour of fascism usually remained in their positions, but in the 1930s the membership card of the National Fascist party became necessary for civil servants and some anti-fascist librarians lost their posts. Among these were Pietro Zorzanello, director of the Palatine Library of Parma, in 1934 and Anita Mondolfo, director of the National Library of Florence, in 1937. Jewish librarians were dismissed by the State in 1938. Many anti-fascist librarians preferred to take out a membership card of the National Fascist Party and remain in their positions, where they were able to work for libraries and, from the end of the 1930s, for their protection from the risks and dangers of the war.From 1934 it became obligatory to wear a black shirt, the uniform of the Fascist Party, in the national conferences of the Italian Library Association, but photographs of the convention hall in 1934 and 1940 show that only a few librarians wore it. A number wore the uniform of the civil service, introduced in 1938, but the majority continued to wear their own civilian clothes. The fascistization of the library world was above all bureaucratic and ritual, imposed from the outside but limited to official speeches in congresses and on the Ministry journal. It did not leave much of a mark on the culture of the librarians, who sought to counter it in a veiled manner or at least to ignore it.
In 1996 the European Commission Humanitarian Office (ECHO) launched a regional approach for disaster preparedness, focusing in its first phase on Central America, Caribbean and Southeast Asia (including Bangladesh). The first step in this process was the preparation of a «diagnostic study» that involved a situation review of the countries in these regions with regard to their vulnerabilities, disaster preparedness capacities and national plans or policies for disaster management.The Centre for Research on the Epidemiology of Disasters of the Université Catholique de Louvain (UCL) served as ECHO's principal technical support with the collaboration of other institutions in Europe and the regions.The present «diagnostic report», covering Central America and the Caribbean, has been carried out by the Centre International pour la Formation et les Echanges en Géosciences (CIFEG) under the supervision of Professor Robert D'Ercole (Université de Savoie, Chambéry).Mr. Thierry Lesales (Université des Antilles et de la Guyane) participated closely in the drafting of this report and was actively involved in the field missions with Mr D'Ercole where they met and interviewed numerous national officials, non-governmental organisations and regional and international bodies. Further assistance was provided by Claudine Misson (CRED) for the interviews and information collected in the Dominican Republic. The report also draws from an earlier mission undertaken by Dr. Philippe Masure (BRGM, France), Christian Bugnion (CRED) and Alexandra Angulo (CRED) who undertook some of the preparatory work for the diagnostic study.This report presents an analysis of the disaster preparedness situation in Central America and the Caribbean and provides some preliminary recommendations regarding priorities and future programme direction. As such it remains primarily a descriptive study. It is expected to form the basis for the formulation of the ECHO Disaster Preparedness Action Plan. ; En 1996, la Oficina Humanitaria de la Comunidad Europea (ECHO) lanzó la iniciativa de un enfoque regional en materia de preparación a los desastres, concentrándose inicialmente en las regiones de América Central, Caribe y Asia del Sureste (incluyendo a Bangladesh). La primera fase de este proceso fue la preparación de un « diagnóstico» que implicaba un examen de la situación de los países de cada una de estas regiones en relación a la vulnerabilidad, la capacidad de preparación a los desastres y las políticas y planes nacionales en materia de gestión de desastres.El Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED), de la Université Catholique de Louvain (UCL), ha sido el principal apoyo técnico de ECHO para esta iniciativa, con la colaboración y asistencia de otras instituciones en Europa y en las regiones arriba mencionadasEl presente informe que cubre América Central y el Caribe, fue realizado por el International Centre for Training and Exchanges in Geosciences (CIFEG), bajo la dirección del Profesor Robert D'Ercole (Université de Savoie).Thierry Lesales (Université des Antilles et de la Guyane) participó de cerca a la realización de este documento y estuvo activamente implicado junto al Profesor D'Ercole en las misiones que se realizaron en varios países. En el curso de estas misiones, se entrevistaron con numerosos representantes de gobiernos nacionales, de ONGs y de organizaciones regionales e internacionales Se contó igualmente con la asistencia de Claudine Misson (CRED), quien realizó la misión en República Dominicana. El informe se basa igualmente en una misión anterior llevada a cabo por Philippe Masure (BRGM, France), Alexandra Angulo (CRED) y Christian Bugnion (CRED), la cual realizó parte del trabajo preparatorio para el diagnóstico.El informe presenta un análisis de la situación en América Central y el Caribe y provee recomendaciones preliminares para las prioridades y dirección del futuro programa. En el marco de la segunda fase, está destinado a servir de base para la formulación del Plan de Acción de Preparación a los Desastres de ECHO. ; Depuis 1994, ECHO (Office Humanitaire de la Commission Européenne, devenu le service de la Commission européenne à l'aide humanitaire et à la protection civile) a financé, à l'échelle mondiale, de nombreuses opérations pour la prévention et la préparation aux catastrophes (catastrophes naturelles principalement) Ces financements ont répondu aux demandes d'ONG et d'organisations internationales qui ont-elles-mêmes mis en oeuvre les projets correspondants. Les évaluations de ces opérations ont donné des appréciations positives. Cependant, ECHO souhaite s'impliquer davantage dans la prévention et la préparation aux catastrophes et mieux cibler ses actions pour une plus grande cohérence d'ensemble.Au cours de la réunion du 16 juillet 1996, le Comité d'Aide Humanitaire a approuvé la nouvelle approche régionale proposée par ECHO pour son programme de prévention, d'atténuation et de préparation aux catastrophes, le DIPECHO (Dlsaster Preparedness ECHO), pour la période 1996—1998. Ce programme doit s'appliquer dans un cadre régional en concentrant d'abord ses financements sur des plans d'action dans les Caraïbes, en Amérique Centrale, en Asie du Sud-Est et au Bangladesh. Par ailleurs, au lieu de répondre exclusivement aux demandes de financements spécifiques d'ONG, d'organisations internationales et de gouvernements, ECHO souhaite préparer des plans d'action et déterminer les partenaires les plus appropriés pour une mise en oeuvre dirigée par ECHO même. En outre, le DIPECHO a pour objet de rendre plus efficace l'action de l'ensemble de l'Union Européenne, par une étroite coordination de son action avec celles de la Commission et des Etats Membres. Il est enfin prévu de faire précéder la préparation des plans d'action par une phase de diagnostic au cours de laquelle seront identifiés, pour chaque région, les risques, les structures et politiques de prévention existantes aux niveaux communautaire, national et régional, ainsi que les appuis extérieurs en cours et à venir. L'objectif est non seulement de déterminer les lacunes, mais également d'évaluer la cohérence et l'efficacité des systèmes de réponse dans leur ensemble.Dans ce contexte, une première mission exploratoire a été réalisée du 30 septembre au 12 octobre 1996 dans les Caraïbes et l'Amérique Centrale (quatre pays visités) et a débouché sur un premier rapport (A. Angulo, Ch. Bugnion, Ph. Masure, "Rapport de mission exploratoire dans les Caraïbes ct en Amérique Centrale pour DIPECHO").Ce rapport apporte de nombreuses informations et en particulier:(1) il définit le cadre conceptuel, insistant, à juste titre, sur le fait que la prévention et la préparation doivent être distinguées de l'aide d'urgence et qu'elles font partie d'un processus continu au même titre que le développement ;(2) il présente les principales organisations régionales et internationales, et leurs activités dans le domaine de la prévention et de la préparation;(3) il met en évidence les grands types de besoins et fournit les premières orientations pour le programme DIPECHO.Le présent rapport, constituant le diagnostic proprement dit, fait suite à une deuxième série de missions effectuées dans la même région. Il vise à compléter les apports de la mission exploratoire, notamment par:(a) une analyse des catastrophes et de leurs conséquences:(b) une évaluation comparée des risques dans la région;(c) une analyse détaillée des réalisations et des besoins en matière de réduction des risques et des conséquences des catastrophes naturelles ;(d) un examen des conditions actuelles pour un programme DIPECHO cohérent, réalisable et efficace, avec, en particulier, la prise en compte de l'organisation actuelle de la prévention et de la préparation dans la région et un état des appuis extérieurs ;- des propositions de lignes d'actions prioritaires pour le DIPECHO.Le diagnostic s'est appuyé sur une importante documentation : travaux scientifiques, études et rapports recueillis auprès du CRED-Université Catholique de Louvain, du CIFEG, du DHA, de l'IDNDR, de divers organismes sur le terrain (notamment le centre de documentation de San José au Costa Rica), et d'universités européennes (Université de Savoie. Chambéry, Université de Lausanne). Mais ce sont avant tout les nombreux entretiens menés lors des missions (près de 200) qui ont donné corps au diagnostic.Treize pays Ont été visités entre le 22/01 et le 07/03/1997 :- République Dominicaine (C Misson);- Costa Rica, Guatemala, Nicaragua et Cuba (R. D'Ercole) ;- Antigua, Barbade, Haïti, Jamaïque, Ste-Lucie, St-Maarten, St-Vincent et le Guyana (Th. Lesales).Leur choix a été déterminé en concertation avec ECHO, le CRED-UCL et le CIFEG. Ils ne recouvrent pas l'ensemble des pays qu'il aurait été théoriquement possible de visiter. Cependant, le choix de pays-clés, les contacts établis avec de nombreux organismes de portée régionale et la documentation consultée, ont permis de bâtir un diagnostic d'ensemble.L'étude comporte trois parties.La 1e partie constitue une analyse des catastrophes en termes de bilan et de risque. Il s'agit, à l'aide de cartes, notamment, de montrer les effets des catastrophes naturelles en Amérique Centrale et dans les Caraïbes, de présenter la répartition et la fréquence des aléas naturels et de procéder à une analyse de critères de vulnérabilité. L'objectif est, enfin, de déterminer des niveaux de risque, à l'échelle de la région, compte tenu des dangers naturels et des critères de vulnérabilité.La 2° partie est l'étude des actions entreprises dans la région, ces dernières années, afin de réduire les risques et les conséquences des catastrophes. Cette étude permet de dégager des lacunes et des besoins. Les différentes composantes entrant dans le processus de réduction des catastrophes sont retenues : recherche scientifique et technique, prévention stricto sensu, préparation, information / formation. L'accent est également placé sur les modes actuels d'application des politiques de réduction des risques : de l'approche sectorielle à l'approche intégrée.La 3e partie traite des conditions actuelles pour la mise en oeuvre d'un programme DIPECHO cohérent et efficace. Quatre aspects fondamentaux sont analysés: les particularités régionales et nationales (l'hétérogénéité et ses conséquences); les faiblesses et qualités institutionnelles aux différents échelons géographiques: les caractéristiques des organismes susceptibles de contribuer à la mise en oeuvre du DIPECHO; le rôle actuel et en perspective de la Communauté Européenne et des Etats Membres.Chaque partie comporte une conclusion partielle La conclusion générale reprend les idées force des conclusions intermédiaires ct débouche sur des lignes d'actions prioritaires recommandées pour le DIPECHO.L'étude confiée au CIFEG par le CRED-UCL et ECHO a été coordonnée par Robert D'Ercole (Département de Géographie, Université de Savoie, Chambéry, France). Elle a bénéficié de la collaboration de Thierry Lesales (Département de Géographie, Université des Antilles et de la Guyane, Martinique, France) et de Patrick Pigeon (Département de Géographie, Université de Savoie, Chambéry, France). Ont également contribué à la réalisation de celle étude: Claudine Misson (CRED-UCL, Belgique), Jean-Claude Napias (CIFEG, directeur), Jacques Giri (CIFEG, président), Sylvie Orlyk (CIFEG, secrétariat).
In 1996 the European Commission Humanitarian Office (ECHO) launched a regional approach for disaster preparedness, focusing in its first phase on Central America, Caribbean and Southeast Asia (including Bangladesh). The first step in this process was the preparation of a «diagnostic study» that involved a situation review of the countries in these regions with regard to their vulnerabilities, disaster preparedness capacities and national plans or policies for disaster management.The Centre for Research on the Epidemiology of Disasters of the Université Catholique de Louvain (UCL) served as ECHO's principal technical support with the collaboration of other institutions in Europe and the regions.The present «diagnostic report», covering Central America and the Caribbean, has been carried out by the Centre International pour la Formation et les Echanges en Géosciences (CIFEG) under the supervision of Professor Robert D'Ercole (Université de Savoie, Chambéry).Mr. Thierry Lesales (Université des Antilles et de la Guyane) participated closely in the drafting of this report and was actively involved in the field missions with Mr D'Ercole where they met and interviewed numerous national officials, non-governmental organisations and regional and international bodies. Further assistance was provided by Claudine Misson (CRED) for the interviews and information collected in the Dominican Republic. The report also draws from an earlier mission undertaken by Dr. Philippe Masure (BRGM, France), Christian Bugnion (CRED) and Alexandra Angulo (CRED) who undertook some of the preparatory work for the diagnostic study.This report presents an analysis of the disaster preparedness situation in Central America and the Caribbean and provides some preliminary recommendations regarding priorities and future programme direction. As such it remains primarily a descriptive study. It is expected to form the basis for the formulation of the ECHO Disaster Preparedness Action Plan. ; En 1996, la Oficina Humanitaria de la Comunidad Europea (ECHO) lanzó la iniciativa de un enfoque regional en materia de preparación a los desastres, concentrándose inicialmente en las regiones de América Central, Caribe y Asia del Sureste (incluyendo a Bangladesh). La primera fase de este proceso fue la preparación de un « diagnóstico» que implicaba un examen de la situación de los países de cada una de estas regiones en relación a la vulnerabilidad, la capacidad de preparación a los desastres y las políticas y planes nacionales en materia de gestión de desastres.El Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED), de la Université Catholique de Louvain (UCL), ha sido el principal apoyo técnico de ECHO para esta iniciativa, con la colaboración y asistencia de otras instituciones en Europa y en las regiones arriba mencionadasEl presente informe que cubre América Central y el Caribe, fue realizado por el International Centre for Training and Exchanges in Geosciences (CIFEG), bajo la dirección del Profesor Robert D'Ercole (Université de Savoie).Thierry Lesales (Université des Antilles et de la Guyane) participó de cerca a la realización de este documento y estuvo activamente implicado junto al Profesor D'Ercole en las misiones que se realizaron en varios países. En el curso de estas misiones, se entrevistaron con numerosos representantes de gobiernos nacionales, de ONGs y de organizaciones regionales e internacionales Se contó igualmente con la asistencia de Claudine Misson (CRED), quien realizó la misión en República Dominicana. El informe se basa igualmente en una misión anterior llevada a cabo por Philippe Masure (BRGM, France), Alexandra Angulo (CRED) y Christian Bugnion (CRED), la cual realizó parte del trabajo preparatorio para el diagnóstico.El informe presenta un análisis de la situación en América Central y el Caribe y provee recomendaciones preliminares para las prioridades y dirección del futuro programa. En el marco de la segunda fase, está destinado a servir de base para la formulación del Plan de Acción de Preparación a los Desastres de ECHO. ; Depuis 1994, ECHO (Office Humanitaire de la Commission Européenne, devenu le service de la Commission européenne à l'aide humanitaire et à la protection civile) a financé, à l'échelle mondiale, de nombreuses opérations pour la prévention et la préparation aux catastrophes (catastrophes naturelles principalement) Ces financements ont répondu aux demandes d'ONG et d'organisations internationales qui ont-elles-mêmes mis en oeuvre les projets correspondants. Les évaluations de ces opérations ont donné des appréciations positives. Cependant, ECHO souhaite s'impliquer davantage dans la prévention et la préparation aux catastrophes et mieux cibler ses actions pour une plus grande cohérence d'ensemble.Au cours de la réunion du 16 juillet 1996, le Comité d'Aide Humanitaire a approuvé la nouvelle approche régionale proposée par ECHO pour son programme de prévention, d'atténuation et de préparation aux catastrophes, le DIPECHO (Dlsaster Preparedness ECHO), pour la période 1996—1998. Ce programme doit s'appliquer dans un cadre régional en concentrant d'abord ses financements sur des plans d'action dans les Caraïbes, en Amérique Centrale, en Asie du Sud-Est et au Bangladesh. Par ailleurs, au lieu de répondre exclusivement aux demandes de financements spécifiques d'ONG, d'organisations internationales et de gouvernements, ECHO souhaite préparer des plans d'action et déterminer les partenaires les plus appropriés pour une mise en oeuvre dirigée par ECHO même. En outre, le DIPECHO a pour objet de rendre plus efficace l'action de l'ensemble de l'Union Européenne, par une étroite coordination de son action avec celles de la Commission et des Etats Membres. Il est enfin prévu de faire précéder la préparation des plans d'action par une phase de diagnostic au cours de laquelle seront identifiés, pour chaque région, les risques, les structures et politiques de prévention existantes aux niveaux communautaire, national et régional, ainsi que les appuis extérieurs en cours et à venir. L'objectif est non seulement de déterminer les lacunes, mais également d'évaluer la cohérence et l'efficacité des systèmes de réponse dans leur ensemble.Dans ce contexte, une première mission exploratoire a été réalisée du 30 septembre au 12 octobre 1996 dans les Caraïbes et l'Amérique Centrale (quatre pays visités) et a débouché sur un premier rapport (A. Angulo, Ch. Bugnion, Ph. Masure, "Rapport de mission exploratoire dans les Caraïbes ct en Amérique Centrale pour DIPECHO").Ce rapport apporte de nombreuses informations et en particulier:(1) il définit le cadre conceptuel, insistant, à juste titre, sur le fait que la prévention et la préparation doivent être distinguées de l'aide d'urgence et qu'elles font partie d'un processus continu au même titre que le développement ;(2) il présente les principales organisations régionales et internationales, et leurs activités dans le domaine de la prévention et de la préparation;(3) il met en évidence les grands types de besoins et fournit les premières orientations pour le programme DIPECHO.Le présent rapport, constituant le diagnostic proprement dit, fait suite à une deuxième série de missions effectuées dans la même région. Il vise à compléter les apports de la mission exploratoire, notamment par:(a) une analyse des catastrophes et de leurs conséquences:(b) une évaluation comparée des risques dans la région;(c) une analyse détaillée des réalisations et des besoins en matière de réduction des risques et des conséquences des catastrophes naturelles ;(d) un examen des conditions actuelles pour un programme DIPECHO cohérent, réalisable et efficace, avec, en particulier, la prise en compte de l'organisation actuelle de la prévention et de la préparation dans la région et un état des appuis extérieurs ;- des propositions de lignes d'actions prioritaires pour le DIPECHO.Le diagnostic s'est appuyé sur une importante documentation : travaux scientifiques, études et rapports recueillis auprès du CRED-Université Catholique de Louvain, du CIFEG, du DHA, de l'IDNDR, de divers organismes sur le terrain (notamment le centre de documentation de San José au Costa Rica), et d'universités européennes (Université de Savoie. Chambéry, Université de Lausanne). Mais ce sont avant tout les nombreux entretiens menés lors des missions (près de 200) qui ont donné corps au diagnostic.Treize pays Ont été visités entre le 22/01 et le 07/03/1997 :- République Dominicaine (C Misson);- Costa Rica, Guatemala, Nicaragua et Cuba (R. D'Ercole) ;- Antigua, Barbade, Haïti, Jamaïque, Ste-Lucie, St-Maarten, St-Vincent et le Guyana (Th. Lesales).Leur choix a été déterminé en concertation avec ECHO, le CRED-UCL et le CIFEG. Ils ne recouvrent pas l'ensemble des pays qu'il aurait été théoriquement possible de visiter. Cependant, le choix de pays-clés, les contacts établis avec de nombreux organismes de portée régionale et la documentation consultée, ont permis de bâtir un diagnostic d'ensemble.L'étude comporte trois parties.La 1e partie constitue une analyse des catastrophes en termes de bilan et de risque. Il s'agit, à l'aide de cartes, notamment, de montrer les effets des catastrophes naturelles en Amérique Centrale et dans les Caraïbes, de présenter la répartition et la fréquence des aléas naturels et de procéder à une analyse de critères de vulnérabilité. L'objectif est, enfin, de déterminer des niveaux de risque, à l'échelle de la région, compte tenu des dangers naturels et des critères de vulnérabilité.La 2° partie est l'étude des actions entreprises dans la région, ces dernières années, afin de réduire les risques et les conséquences des catastrophes. Cette étude permet de dégager des lacunes et des besoins. Les différentes composantes entrant dans le processus de réduction des catastrophes sont retenues : recherche scientifique et technique, prévention stricto sensu, préparation, information / formation. L'accent est également placé sur les modes actuels d'application des politiques de réduction des risques : de l'approche sectorielle à l'approche intégrée.La 3e partie traite des conditions actuelles pour la mise en oeuvre d'un programme DIPECHO cohérent et efficace. Quatre aspects fondamentaux sont analysés: les particularités régionales et nationales (l'hétérogénéité et ses conséquences); les faiblesses et qualités institutionnelles aux différents échelons géographiques: les caractéristiques des organismes susceptibles de contribuer à la mise en oeuvre du DIPECHO; le rôle actuel et en perspective de la Communauté Européenne et des Etats Membres.Chaque partie comporte une conclusion partielle La conclusion générale reprend les idées force des conclusions intermédiaires ct débouche sur des lignes d'actions prioritaires recommandées pour le DIPECHO.L'étude confiée au CIFEG par le CRED-UCL et ECHO a été coordonnée par Robert D'Ercole (Département de Géographie, Université de Savoie, Chambéry, France). Elle a bénéficié de la collaboration de Thierry Lesales (Département de Géographie, Université des Antilles et de la Guyane, Martinique, France) et de Patrick Pigeon (Département de Géographie, Université de Savoie, Chambéry, France). Ont également contribué à la réalisation de celle étude: Claudine Misson (CRED-UCL, Belgique), Jean-Claude Napias (CIFEG, directeur), Jacques Giri (CIFEG, président), Sylvie Orlyk (CIFEG, secrétariat).
In 1996 the European Commission Humanitarian Office (ECHO) launched a regional approach for disaster preparedness, focusing in its first phase on Central America, Caribbean and Southeast Asia (including Bangladesh). The first step in this process was the preparation of a «diagnostic study» that involved a situation review of the countries in these regions with regard to their vulnerabilities, disaster preparedness capacities and national plans or policies for disaster management.The Centre for Research on the Epidemiology of Disasters of the Université Catholique de Louvain (UCL) served as ECHO's principal technical support with the collaboration of other institutions in Europe and the regions.The present «diagnostic report», covering Central America and the Caribbean, has been carried out by the Centre International pour la Formation et les Echanges en Géosciences (CIFEG) under the supervision of Professor Robert D'Ercole (Université de Savoie, Chambéry).Mr. Thierry Lesales (Université des Antilles et de la Guyane) participated closely in the drafting of this report and was actively involved in the field missions with Mr D'Ercole where they met and interviewed numerous national officials, non-governmental organisations and regional and international bodies. Further assistance was provided by Claudine Misson (CRED) for the interviews and information collected in the Dominican Republic. The report also draws from an earlier mission undertaken by Dr. Philippe Masure (BRGM, France), Christian Bugnion (CRED) and Alexandra Angulo (CRED) who undertook some of the preparatory work for the diagnostic study.This report presents an analysis of the disaster preparedness situation in Central America and the Caribbean and provides some preliminary recommendations regarding priorities and future programme direction. As such it remains primarily a descriptive study. It is expected to form the basis for the formulation of the ECHO Disaster Preparedness Action Plan. ; En 1996, la Oficina Humanitaria de la Comunidad Europea (ECHO) lanzó la iniciativa de un enfoque regional en materia de preparación a los desastres, concentrándose inicialmente en las regiones de América Central, Caribe y Asia del Sureste (incluyendo a Bangladesh). La primera fase de este proceso fue la preparación de un « diagnóstico» que implicaba un examen de la situación de los países de cada una de estas regiones en relación a la vulnerabilidad, la capacidad de preparación a los desastres y las políticas y planes nacionales en materia de gestión de desastres.El Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED), de la Université Catholique de Louvain (UCL), ha sido el principal apoyo técnico de ECHO para esta iniciativa, con la colaboración y asistencia de otras instituciones en Europa y en las regiones arriba mencionadasEl presente informe que cubre América Central y el Caribe, fue realizado por el International Centre for Training and Exchanges in Geosciences (CIFEG), bajo la dirección del Profesor Robert D'Ercole (Université de Savoie).Thierry Lesales (Université des Antilles et de la Guyane) participó de cerca a la realización de este documento y estuvo activamente implicado junto al Profesor D'Ercole en las misiones que se realizaron en varios países. En el curso de estas misiones, se entrevistaron con numerosos representantes de gobiernos nacionales, de ONGs y de organizaciones regionales e internacionales Se contó igualmente con la asistencia de Claudine Misson (CRED), quien realizó la misión en República Dominicana. El informe se basa igualmente en una misión anterior llevada a cabo por Philippe Masure (BRGM, France), Alexandra Angulo (CRED) y Christian Bugnion (CRED), la cual realizó parte del trabajo preparatorio para el diagnóstico.El informe presenta un análisis de la situación en América Central y el Caribe y provee recomendaciones preliminares para las prioridades y dirección del futuro programa. En el marco de la segunda fase, está destinado a servir de base para la formulación del Plan de Acción de Preparación a los Desastres de ECHO. ; Depuis 1994, ECHO (Office Humanitaire de la Commission Européenne, devenu le service de la Commission européenne à l'aide humanitaire et à la protection civile) a financé, à l'échelle mondiale, de nombreuses opérations pour la prévention et la préparation aux catastrophes (catastrophes naturelles principalement) Ces financements ont répondu aux demandes d'ONG et d'organisations internationales qui ont-elles-mêmes mis en oeuvre les projets correspondants. Les évaluations de ces opérations ont donné des appréciations positives. Cependant, ECHO souhaite s'impliquer davantage dans la prévention et la préparation aux catastrophes et mieux cibler ses actions pour une plus grande cohérence d'ensemble.Au cours de la réunion du 16 juillet 1996, le Comité d'Aide Humanitaire a approuvé la nouvelle approche régionale proposée par ECHO pour son programme de prévention, d'atténuation et de préparation aux catastrophes, le DIPECHO (Dlsaster Preparedness ECHO), pour la période 1996—1998. Ce programme doit s'appliquer dans un cadre régional en concentrant d'abord ses financements sur des plans d'action dans les Caraïbes, en Amérique Centrale, en Asie du Sud-Est et au Bangladesh. Par ailleurs, au lieu de répondre exclusivement aux demandes de financements spécifiques d'ONG, d'organisations internationales et de gouvernements, ECHO souhaite préparer des plans d'action et déterminer les partenaires les plus appropriés pour une mise en oeuvre dirigée par ECHO même. En outre, le DIPECHO a pour objet de rendre plus efficace l'action de l'ensemble de l'Union Européenne, par une étroite coordination de son action avec celles de la Commission et des Etats Membres. Il est enfin prévu de faire précéder la préparation des plans d'action par une phase de diagnostic au cours de laquelle seront identifiés, pour chaque région, les risques, les structures et politiques de prévention existantes aux niveaux communautaire, national et régional, ainsi que les appuis extérieurs en cours et à venir. L'objectif est non seulement de déterminer les lacunes, mais également d'évaluer la cohérence et l'efficacité des systèmes de réponse dans leur ensemble.Dans ce contexte, une première mission exploratoire a été réalisée du 30 septembre au 12 octobre 1996 dans les Caraïbes et l'Amérique Centrale (quatre pays visités) et a débouché sur un premier rapport (A. Angulo, Ch. Bugnion, Ph. Masure, "Rapport de mission exploratoire dans les Caraïbes ct en Amérique Centrale pour DIPECHO").Ce rapport apporte de nombreuses informations et en particulier:(1) il définit le cadre conceptuel, insistant, à juste titre, sur le fait que la prévention et la préparation doivent être distinguées de l'aide d'urgence et qu'elles font partie d'un processus continu au même titre que le développement ;(2) il présente les principales organisations régionales et internationales, et leurs activités dans le domaine de la prévention et de la préparation;(3) il met en évidence les grands types de besoins et fournit les premières orientations pour le programme DIPECHO.Le présent rapport, constituant le diagnostic proprement dit, fait suite à une deuxième série de missions effectuées dans la même région. Il vise à compléter les apports de la mission exploratoire, notamment par:(a) une analyse des catastrophes et de leurs conséquences:(b) une évaluation comparée des risques dans la région;(c) une analyse détaillée des réalisations et des besoins en matière de réduction des risques et des conséquences des catastrophes naturelles ;(d) un examen des conditions actuelles pour un programme DIPECHO cohérent, réalisable et efficace, avec, en particulier, la prise en compte de l'organisation actuelle de la prévention et de la préparation dans la région et un état des appuis extérieurs ;- des propositions de lignes d'actions prioritaires pour le DIPECHO.Le diagnostic s'est appuyé sur une importante documentation : travaux scientifiques, études et rapports recueillis auprès du CRED-Université Catholique de Louvain, du CIFEG, du DHA, de l'IDNDR, de divers organismes sur le terrain (notamment le centre de documentation de San José au Costa Rica), et d'universités européennes (Université de Savoie. Chambéry, Université de Lausanne). Mais ce sont avant tout les nombreux entretiens menés lors des missions (près de 200) qui ont donné corps au diagnostic.Treize pays Ont été visités entre le 22/01 et le 07/03/1997 :- République Dominicaine (C Misson);- Costa Rica, Guatemala, Nicaragua et Cuba (R. D'Ercole) ;- Antigua, Barbade, Haïti, Jamaïque, Ste-Lucie, St-Maarten, St-Vincent et le Guyana (Th. Lesales).Leur choix a été déterminé en concertation avec ECHO, le CRED-UCL et le CIFEG. Ils ne recouvrent pas l'ensemble des pays qu'il aurait été théoriquement possible de visiter. Cependant, le choix de pays-clés, les contacts établis avec de nombreux organismes de portée régionale et la documentation consultée, ont permis de bâtir un diagnostic d'ensemble.L'étude comporte trois parties.La 1e partie constitue une analyse des catastrophes en termes de bilan et de risque. Il s'agit, à l'aide de cartes, notamment, de montrer les effets des catastrophes naturelles en Amérique Centrale et dans les Caraïbes, de présenter la répartition et la fréquence des aléas naturels et de procéder à une analyse de critères de vulnérabilité. L'objectif est, enfin, de déterminer des niveaux de risque, à l'échelle de la région, compte tenu des dangers naturels et des critères de vulnérabilité.La 2° partie est l'étude des actions entreprises dans la région, ces dernières années, afin de réduire les risques et les conséquences des catastrophes. Cette étude permet de dégager des lacunes et des besoins. Les différentes composantes entrant dans le processus de réduction des catastrophes sont retenues : recherche scientifique et technique, prévention stricto sensu, préparation, information / formation. L'accent est également placé sur les modes actuels d'application des politiques de réduction des risques : de l'approche sectorielle à l'approche intégrée.La 3e partie traite des conditions actuelles pour la mise en oeuvre d'un programme DIPECHO cohérent et efficace. Quatre aspects fondamentaux sont analysés: les particularités régionales et nationales (l'hétérogénéité et ses conséquences); les faiblesses et qualités institutionnelles aux différents échelons géographiques: les caractéristiques des organismes susceptibles de contribuer à la mise en oeuvre du DIPECHO; le rôle actuel et en perspective de la Communauté Européenne et des Etats Membres.Chaque partie comporte une conclusion partielle La conclusion générale reprend les idées force des conclusions intermédiaires ct débouche sur des lignes d'actions prioritaires recommandées pour le DIPECHO.L'étude confiée au CIFEG par le CRED-UCL et ECHO a été coordonnée par Robert D'Ercole (Département de Géographie, Université de Savoie, Chambéry, France). Elle a bénéficié de la collaboration de Thierry Lesales (Département de Géographie, Université des Antilles et de la Guyane, Martinique, France) et de Patrick Pigeon (Département de Géographie, Université de Savoie, Chambéry, France). Ont également contribué à la réalisation de celle étude: Claudine Misson (CRED-UCL, Belgique), Jean-Claude Napias (CIFEG, directeur), Jacques Giri (CIFEG, président), Sylvie Orlyk (CIFEG, secrétariat).