Based on the study of several documented testimonials concerning the dispute between the inhabitants of Piran and the Capodistrian bishop in 1201, that also include statements describing the investiture of the notary, this article uses the comparative and (re)interpretative method to study the ritual of notarial investiture as it was exercised from the 12th century onwards in the area of the upper Adriatic and in the neighbouring Italian territories. The study is not only focused on the question of the notarial investiture but also ventures comparatively into other secular social spheres of the European medieval investiture rituals and states, showing that the rituals were conducted in accordance with the unified, three-part inner structure as described by Galbert of Brugge (1127): homage, fides, investiture. Although the investiture ceremonies for special social spheres differed one from another with regard to symbolic gestures, objects and words (phrases) and were transformed in accordance to social needs, the inner structure of the ritual was invariable whether it concerned the investitures of emperors, kings, vassals, knights, notaries or functionaries of the other social institutions that were rapidly beginning to take shape especially from the 13thcentury onwards; furthermore, the structure is also present in the judicial sphere. The origins of the medieval ritual are manifested in the ubiquitous divine transcendence whose door was flung wide open during the Carolingian-Ottonian period (8th-11th centuries) whereas the cultural roots of the ritual extend backwards into archaic communities. The study also indicates the role and the significance of notaries in the administration of governmental organs and especially in the formation of the governmental structures of autonomous cities, characteristically reflected in the investiture ritual. It was the mere investiture ritual, as it was developed from 12th century onwards, based on knights and notarial rituals, that opened the pathway towards the investitures ...
L'intervento prende in esame due casi di studio dell'Appennino tosco-emiliano: l'ospedale intitolato a San Benedetto e a Sant'Antonino delle Alpi, detto anche di Prato del Vescovo, e l'ospedale della Croce Brandegliana. Erano entrambi ospedali di valico posti su due delle principali strade che collegavano Pistoia ai territori emiliani. Particolarmente interessanti appaiono le vicende due e trecentesche di questi due enti (sorti a fine XI secolo), che conobbero il passaggio dalla giurisdizione ecclesiastica a quella comunale, l'ampliamento delle funzioni espletate, la progressiva riduzione della comunità ospedaliera fino al trasferimento in città o alla sua scomparsa. Nel tentativo di comprendere le ragioni di queste evoluzioni, nel contributo ci si sofferma sul significato assunto dalla costituzione di una rete ospedaliera per la colonizzazione ecclesiastica della zona; sulle conseguenze nell'indirizzamento militare delle attività ospedaliere derivante dall'affermazione del comune come forza politica; e infine sugli effetti di fenomeni di carattere climatico, fazionario e religioso nella configurazione del paesaggio assistenziale. ; The paper examines two case studies from the Tuscan-Emilian Apennines: the hospital named after St Bartholomew and St Antoninus of the Alps, also known as Prato del Vescovo, and the hospital of Croce Brandegliana. Both were hospitals located in mountain passes on two of the main roads connecting Pistoia to the Emilian territories. Founded at the end of the 11th century, the history of the hospitals is particularly interesting in the 13th and 14th centuries, when they experienced the transition from ecclesiastical to communal jurisdiction, expanded their functions , and gradually reduced the hospital community, until its eventual move to the city or its complete disappearance. In an attempt to understand the reasons for thesedevelopments , the contribution focuses on the significance of the establishment of a hospital network for the ecclesiastical settlement of the area; on the consequences of the military reorientation of hospital activities as a result of the establishment of the municipality as a political force; and finally, on the effects of climatic, factional and religious phenomena on the shaping of the welfare 'landscape'.
This paper focuses on the process of selection and appointment of bishops at the end of the Middle Ages, by trying to summarize a number of topics debated in recent historiography (both Italian and european). Particular attention has paid to the cultures of government that the bishops (and their agents) displayed in the management of the diocese.
A structural aspect of the medieval population consists on immigration and "specialised" immigration, that is, the transfer of men (and women) characterised by specific professional characteristics (as craftsmen, smiths, construction workers.). A group of laborers which move into the cities recalled by the benefits and the facilities prepared ad hoc by urban governments. The aim of this essay is to analyse the recipients of those political and economic measures and, moreover, the methods used by the local authorities to attract them (from tax discounts and loans to concessions of citizenship, houses, shops etc.). The contractual power of this workers is also highlighted. Finally, the paper analyses the processes of their integration into the urban life and structures, and, at the same time, the homesickness which induces some of them to refuse a full integration into their new communities.
Per arricchire il quadro interpretativo ed esplicativo della congiuntura tardo duecentesca e dell'espansione delle lavorazioni tessili lombardo-toscane, in questo saggio si analizzano le metamorfosi della produzione di questo settore avvenute nelle città lombarde tra la fine del Due e l'inizio del Trecento, decenni considerati tradizionalmente di crisi. Il focus è costituito dai momenti di svolta e di cambiamento di tali manifatture – modifiche della produzione e conversioni –, indagati alla luce del ruolo svolto dalle corporazioni di mestiere e dalle Mercanzie. Si presta attenzione, dunque, più che ai fattori di crisi che possano aver determinato cambiamenti nella produzione, al peso dell'elemento politico, incarnato anche dalle corporazioni, nel loro sviluppo e sostegno.
Parte I. Il barone Capitolo I. Il mestiere della armi tra Napoli e Milano (1418-1455) Nella prima parte del capitolo si analizza il contesto famigliare del Sanseverino. Il padre Leonetto apparteneva alla famiglia dei Sanseverino di Caiazzo, un ramo cadetto di incerta legittimità della grande casata baronale. La madre Elisa era figlia di Muzio Attendolo e sorella di Francesco Sforza. Il giovane Roberto, a seguito della conquista del regno di Napoli da parte di Alfonso il Magnanimo, perse tutte le terre che aveva ereditato dal padre e fu costretto a seguire lo Sforza, arruolandosi nella sua compagnia. I suoi parenti Sanseverino, desiderosi di incamerare le sue terre, gli furono ostili. Nella seconda parte del capitolo si ripercorrono le vicende del Sanseverino al servizio dello zio materno, dalla guerra della Marca fino alla conquista del ducato di Milano da parte dello Sforza. Questo evento si rivelerà fondamentale per la carriera del Sanseverino, il quale, alla metà degli anni Cinquanta si trovava ad essere il nipote di uno dei principi più potenti d'Italia. I suoi servigi gli valsero anche l'investitura dei feudi di Colorno e Pontecurone, un matrimonio prestigioso con una da Correggio e una condotta indipendente. Capitolo II. Il recupero dell'eredità paterna nel regno di Napoli (1455-1464) Il capitolo analizza le mosse messe in atto dal Sanseverino per recuperare l'eredità del padre nel Mezzogiorno. Nella prima parte ricostruiamo la missione diplomatica del Sanseverino presso Alfonso il Magnanimo, il quale gli restituì la maggior parte delle sue terre, in omaggio alla nuova intesa fra lui e lo Sforza a seguito del distendersi dei rapporti fra Napoli e Milano dopo la pace di Lodi. La seconda parte, invece, segue le vicende del Sanseverino durante la guerra di successione al regno di Napoli, che lo portarono a recuperare Caiazzo, ottenuta insieme al titolo comitale. Si è cercato, parimenti, di analizzare le strategie messe in atto dal condottiero per creare il contesto politico necessario affinché le terre riconquistate non potessero venire alienate in futuro: da un lato coltivò buoni rapporti con re Ferrante d'Aragona, dall'altro strinse solide intese con gli altri Sanseverino. Capitolo III. Prime delusioni (1465-1466) Il capitolo analizza il tentativo del Sanseverino di ottenere una condotta condivisa da Milano e Napoli, naturale conseguenza della sua doppia natura di condottiero sforzesco e barone meridionale. Il contesto politico ed economico della seconda metà degli anni Sessanta, però lo sfavorì: la riforma dell'esercito demaniale napoletano e la crisi economica milanese lo costrinsero ad andare a servire Firenze, all'epoca alleata del regno e del ducato. Parte II. Il condottiero deluso Capitolo IV. Firenze e il condottiero (1467-1470) In questo capitolo si analizza il difficile rapporto fra il Sanseverino e Firenze. Le importanti richieste del condottiero e la diffidenza della repubblica nel trattare con i mercenari crearono forti tensioni, mitigate solo in parte dalla mediazione dei Medici, del duca di Milano e del re di Napoli. Sullo sfondo di questa vicenda, si è osservato anche il tentativo del Sanseverino di stringere rapporti ancora più forti con il Mezzogiorno, concretizzato dal matrimonio della figlia con un Carafa di Maddaloni. Con il passare del tempo, sempre più sfiduciato dai continui contrasti con Firenze, il condottiero incominciò anche a diffidare dello Sforza e di Ferrante, i quali gli avevano fatto molte promesse, ma ne avevano mantenute ben poche. Capitolo V. L'illusone sforzesca (1470-1476) La prima parte del capitolo analizza la rottura (comunque non traumatica) del Sanseverino con Ferrante d'Aragona e il ritorno al servizio diretto dello Sforza. Il condottiero investì così tutti i suoi sforzi nei suoi interessi nel Nord Italia, conservando però le sue terre nel Mezzogiorno. La seconda parte del capitolo ricostruisce la sua permanenza a Bologna come condottiero sforzesco più importante della Romagna, i suoi rapporti con la città e il suo contributo diplomatico e militare nella regione. Parimenti si osserva la crescita del suo status personale, dovuto alla sua esperienza, un nuovo matrimonio prestigioso con una Malavolti di Siena e il cementarsi dell'amicizia con Lorenzo il Magnifico. La parte finale del capitolo analizza invece il declinare dei buoni rapporti del Sanseverino con lo Sforza, che, dal concedergli nuovi feudi prestigiosi e stipendi regolari, passò a trattarlo con poco rispetto: una nuova crisi economica del ducato rese infatti il soldo sempre meno regolare. Il Sanseverino, inoltre, era stanco della sua inattività bolognese e fece suoi primi tentativi di ottenere un principato indipendente. Il clima di tensione fra il duca e il cugino venne risolto solo dall'assassinio del primo il 26 dicembre 1476. Parte III. Il ribelle Capitolo VI. Uno sforzesco ribelle Il capitolo analizza le mosse del Sanseverino a seguito dell'assassinio di Galeazzo Maria Sforza. Il condottiero, prendendo le parti dei fratelli del duca defunto, scelse la via della ribellione contro la reggenza legittima del giovane Gian Galeazzo Maria Sforza, guidata da Bona di Savoia e da Cicco Simonetta: sperava così di poter sfruttare il momento di confusione politica per accrescere ulteriormente il suo status. Si seguono così tutte le sue vicissitudini in questi anni convulsi: prima, attraverso le carte del processo intentato contro di lui a Milano, le sue trame contro la reggenza; in seguito la sua fuga in Francia presso Luigi XI; poi la sua permanenza ad Asti al servizio del re di Francia prima e del re di Napoli poi. Una volta entrato al servizio di re Ferrante, il Sanseverino aiutò la ribelle repubblica di Genova a respingere l'assalto di un imponete esercito sforzesco. L'ultima parte del capitolo narra invece di come Ludovico Maria Sforza e il Sanseverino riuscirono a rientrare a Milano grazie all'appoggio del re di Napoli e all'abilità militare del condottiero. Capitolo VII. Roberto Sanseverino e Ludovico il Moro (1479-1484) Le imprese analizzate nel capitolo precedente, crearono nel Sanseverino la consapevolezza di essere una figura di primo piano della politica italiana, illudendolo però di poter trattare da pari con Ludovico il Moro: il condottiero si illuse così di poter aspirare al dominio diretto del ducato di Milano. Se però in passato la parentela sforzesca lo aveva aiutato ad ottenere i suoi scopi, in questo caso, lo tradì: il condottiero aveva infatti sopravvalutato la sua posizione all'interno della gerarchia di potere in seno alla famiglia Sforza. Un iniziale accordo di suddivisione dei compiti con il Moro ci fu, ma questi era in posizione di superiorità sul Sanseverino, sia dal punto di vista della legittimità, che da quello dell'abilità politica: l'intesa sarebbe durata finché lo Sforza l'avesse voluto. Ben presto il Sanseverino venne emarginato e fu costretto alla seconda clamorosa fuga dal ducato. Passò al servizio di Venezia, un'opzione di carriera sempre paventata nei carteggi dell'epoca, ma mai concretizzatasi per la volontà del capitano di non rompere con Napoli e Milano. Con la brillante condotta tenuta durante la guerra di Ferrara, il Sanseverino raggiunse l'apice della sua carriera personale, riuscendo a farsi eleggere capitano generale d'Italia con la pace di Bagnolo dell'agosto del 1484. Capitolo VIII. Il nemico della pace d'Italia (1485-1487) Il capitolo analizza l'ultima parte della vita del Sanseverino. In seguito alla pace di Bagnolo, il condottiero si sentì abbastanza potente da tentare di conquistarsi un principato indipendente con le sue sole forze. Dopo aver tentato inutilmente di prendere Siena, però si accorse che senza un rivolgimento generale in Italia, non poteva sperare di ottenere un vero successo e, così, nell'agosto del 1485 decise di appoggiare la ribellione dei baroni del Mezzogiorno, assoldato dal pontefice Innocenzo VIII come gonfaloniere della Chiesa. La guerra che ne seguì si rivelò per lui un disastro e ben presto venne abbandonato dal papa stesso, il quale lo escluse dall'accordo di pace stretto con il re di Napoli nell'agosto del 1486. Senza uno stato che lo appoggiasse, il Sanseverino era estremamente vulnerabile. Ferrante d'Aragona e il Moro non persero quindi l'occasione per eliminarlo: il duca di Calabria lo inseguì, implacabile, dal Lazio fino alla Romagna, dove lo costrinse a sciogliere la compagnia e riparare con pochi uomini in Veneto. Qui gli venne offerto un sussidio mensile, ma non gli venne dato alcun incarico militare. A 68 anni era un uomo finito, senza la sua compagnia e odiato da tutte le potenze italiane. Morì combattendo in Trentino conto gli Austriaci l'anno seguente. ; Part I. The baron Chapter I. The military career between Naples and Milan (1418-1455) The first part of the chapter analyses the family context of Sanseverino. The father Leonetto belonged to the Sanseverino family of Caiazzo, a cadet branch of uncertain legitimacy of the great baronial family. His mother Elisa was the daughter of Muzio Attendolo and sister of Francesco Sforza. Following the conquest of the kingdom of Naples by Alfonso the Magnanimous, the young Roberto lost all the land he had inherited from his father and was forced to follow Sforza, enlisting in his military company. His relatives from the Sanseverino side of the family, eager to obtain his land, were hostile to him. In the second part of the chapter, the story of the Sanseverino goes back to the service of the maternal uncle, from the Marca war to the Sforza conquest of the Duchy of Milan. This event will prove to be fundamental for the career of Sanseverino, who, towards the mid of the fifteenth century, was the grandson of one of the most powerful Italian princes. His services also earned him the investiture of the fiefs of Colorno and Pontecurone, a prestigious marriage with a member of the family of Correggio and an independent condotta. Chapter II. The recovery of the paternal inheritance in the kingdom of Naples (1455-1464) The chapter analyses the strategies made by Sanseverino to recover the legacy of his father in the South of Italy. The first part of the chapter covers the diplomatic mission of Sanseverino to Alfonso the Magnanimous, who returned him most of his land, as a consequence of the new agreement between the king and Sforza - due to the improvement of the relations between Naples and Milan following the peace of Lodi. The second part of the chapter follows the events of Sanseverino during the war of succession to the kingdom of Naples, which led him to recover Caiazzo, obtained together with the title of count. The chapter also tries to analyse the strategies implemented by the condottiero to create a favorable political context to secure the conquered lands avoiding any possible future losses: on the one hand he cultivated good relations with King Ferrante of Aragon, on the other he held firm agreements with the other Sanseverinos. Chapter III. First disappointments (1465-1466) The chapter focuses on Sanseverino's attempt to obtain a joint military company co-financed by Milan and Naples, a natural consequence of his dual nature of Sforzesco condottiero and southern baron. The political and economic context of the second half of the sixties, however, were not favourable to him: the reform of the Neapolitan state army and the Milanese economic crisis forced him to go to Florence, which at that time was allied with both the Naples kingdom and the Milan duchy. Part II. The disappointed condottiero Chapter IV. Florence and the condottiero (1467-1470) This chapter discusses the difficult relationship between Sanseverino and Florence. The demanding attitude of the condottiero and the distrust of the republic in dealing with the mercenaries created strong tensions, mitigated only in part by the mediation of the Medici, the Duke of Milan and the king of Naples. On the background of this affair, Sanseverino attempted to forge even stronger relationships with the South, which resulted in his daughter's marriage to a member of the Carafa di Maddaloni family. Over the time, more and more discouraged by the continuous contrasts with Florence, the condottiero also began to distrust both Sforza and Ferrante, who did not keep their promises. Chapter V. Sforzesco illuson (1470-1476) The first part of the chapter analyses the break (however not traumatic) of the Sanseverino with Ferrante d'Aragona and the return to the direct service of the Sforza. Following this, the condottiero invested all his efforts in his interests in Northern Italy, but kept his lands in the South. The second part of the chapter covers his service in Bologna as the most important Sforzesco condottiero in Romagna, his relations with the city and his diplomatic and military contribution in the region. The chapter also discusses the growth of his personal status, due to his experience, a new prestigious marriage with a Malavolti from Siena and the cementing of his friendship with Lorenzo the Magnificent. The final part of the chapter analyses instead the decline of the good relations of Sanseverino with Francesco Sforza, who, from granting him prestigious new fiefs and regular salaries, went to treat him disrespectfully due to a new economic crisis of the duchy that made the pay less and less regular. Furthermore Sanseverino, tired of his inactivity in Bologna, made his first attempt to obtain an independent principality. The climate of tension between the duke of Milan and his cousin Sanseverino was solved only by the assassination of the first on 26 December 1476. Part III. The rebel Chapter VI. A rebellious sforzesco The chapter analyses the actions of the Sanseverino following the assassination of Galeazzo Maria Sforza. The condottiero, taking the parts of the deceased duke's brothers, chose the way of rebellion against the legitimate regency of the young Gian Galeazzo Maria Sforza, led by Bona di Savoia and Cicco Simonetta: he hoped to exploit the moment of political confusion to increase his status further. His vicissitudes in these convulsed years include: first, his plots against the regency, emerging from the papers of the trial brought against him in Milan; his escape to France under Louis XI; his stay in Asti first at the service of the king of France first and later at the service of the king of Naples. Finally, once at the service of King Ferrante, Sanseverino helped the rebel republic of Genoa to reject the assault of Sforza's remarkable army. The last part of the chapter explains how Ludovico Maria Sforza and Sanseverino managed to return to Milan thanks to the support of the king of Naples and the military ability of the condottiero. Chapter VII. Roberto Sanseverino and Ludovico the Moro (1479-1484) The undertakings analysed in the previous chapter, created in Sanseverino the awareness of being a leading figure of the Italian politics, but gave him the misperception to be able to deal with Ludovico il Moro: the condottiero thus started aspiring to the direct domination of the Duchy of Milan. However, if in the paste his ties with the Sforza family had helped him to achieve his goals, in this case, they undermined his plans: the condottiero had in fact overestimated his position in the hierarchy of power within the Sforza family. Even from the initial agreement to subdivide the tasks with the Moro, Sanseverino appeared to be in an inferior position, both from the point of view of legitimacy and of political ability: the agreement would have lasted until the Sforza had wanted it. Soon Sanseverino was marginalized and forced to a second and sensational escape from the duchy. He then switched to the service of Venice and, thanks to his brilliant conduct held during the war in Ferrara, Sanseverino reached the peak of his personal career, managing to be elected captain general of Italy with the peace of Bagnolo in August 1484. Chapter VIII. The enemy of the peace of Italy (1485-1487) The chapter is devoted to the last part of Sanseverino's life. Following the peace of Bagnolo, the condottiero felt powerful enough to try to conquer an independent principality with his own strength. However, after trying unsuccessfully to take Siena, he realized that a general upheaval in Italy was the only hope for him to get a real success: in August 1485 he decided to support the rebellion of the barons of the South, and was appointed Gonfalonier of the Church by the Pope Innocent VIII. The war that followed turned out to be a disaster for him and soon he was abandoned by the Pope himself, who excluded him from the peace agreement with the King of Naples in August 1486. Without a state that supported him, Sanseverino was extremely vulnerable. Ferrante d'Aragona and the Moro did not miss this opportunity to eliminate him: the Duke of Calabria pursued him, implacable, from Lazio to Romagna, where he forced him to dissolve his military company and escape with a few men in Veneto. Here he was offered a monthly allowance, but he was not given any military duty. At the age of 68 he was a finished man, without his military company and hated by all the Italian powers. He died fighting the Austrians in Trentino the following year.
In the towns of communal Italy, the "hue and cry" ensured law and order from 12th to the middle of 13th c. When the citizens heard the cry "help me!", they had to run, help the victims and capture the criminals. But the "hue and cry" ("accorruomo", in Italian) could cause fights and riots, which is the reason why, by the end of the Duecento, communal governments created police forces which were made available to the podestà and some other urban officers. These forces could be composed by some hundred men in major towns. The "policemen" could patrol the streets to prevent crimes: this was a major change in public order. But no commune had enough forces to patrol the whole town and the countryside. Therefore, the "accorruomo" survived and supported the actions of the podestà's men until the 15th c. ; Dans les villes de l'Italie communale, jusqu'au milieu du xiii e siècle, l'ordre public a été assuré par les communautés de voisins, qui devaient courir en entendant les cris des victimes et capturer les criminels. Cette pratique, nommée accorruomo, pouvait pourtant engendrer des rixes ou des émeutes. À la fin du Duecento, les gouvernements urbains ont accompli un effort considérable pour mettre en place un appareil de sûreté efficace au service des magistrats, en soldant des dizaines ou des centaines de « policiers » professionnels qui pouvaient patrouiller dans les rues. Ce fut la source d'importants changements, mais aucune commune n'eut jamais les ressources suffisantes pour créer une force capable de contrôler la totalité de la ville et de ses campagnes. L'autorité des hommes du podestat finit donc par se superposer à la pratique de l'accorruomo, compliquant encore un cadre déjà structuré.
Nove liste di 220 potenziali prestatori redatte dai collaboratori del duca Francesco Sforza nel 1451 sono qui presentate e accompagnate da brevi note biografiche. Nell'introduzione si indaga sui possibili criteri di scelta. Il primo criterio è indubbiamente la ricchezza, dato che molti dei presenti nelle liste appartengono al ceto medio-alto del mondo mercantile e affaristico milanese. Si intravvede anche un criterio politico: molti elencati erano compromessi con l'esperienza della Repubblica ambrosiana, cosicché l'imposizione di prestiti forzosi può essere letta come una misura politica e punitiva. ; Nine lists of 220 potential lenders of money compiled by the new duke of Milan Francesco Sforza's agents in 1451 are here edited along with short biographical notes. An introduction explain the possible criteria of the choice. The first criterium was wealth, since many of them belonged to the medium-high segment of the milanese class of merchants and businessmen. Secondarily, a large section of the lenders was deeply compromised with the experience of the Repubblica ambrosiana (1447-1450): therefore, the forced loans may also be considered a measure against political dissidence.
L'oggetto di questa tesi è la peculiare comparsa del termine imperator in un numero esiguo, ma comunque significativo di documenti provenienti dal regno di Asturia e León e dalla Britannia del X secolo. Se già di per sé questa sorta di "incongruenza storica" cattura l'attenzione, il fatto che i due fenomeni imperiali siano praticamente contemporanei e si sviluppino in due contesti molto distanti nello spazio, senza un apparente collegamento, evidenzia l'opportunità di uno studio comparativo. Ad una più attenta analisi, non si può fare a meno di notare come, in entrambi gli ambiti, il secolo immediatamente precedente sia stato caratterizzato da un momento particolarmente favorevole per la cultura – el renacimiento asturiano e the alfredian renaissance – reso possibile dall'azione attiva di due monarchi, Alfonso III di Asturia e León (866-910) e Alfred di Wessex (871-899). Nelle corti di questi sovrani vennero redatte delle cronache (le Crónicas Asturianas e la Anglo-Saxon Chronicle) nelle quali si proponeva una chiave di lettura della storia tesa a ricercare una nuova identità per i rispettivi popoli e si sottolineava il ruolo centrale delle rispettive dinastie regnanti. L'obiettivo della tesi è pertanto duplice: da una parte si desidera comprendere in quale modo e in quale senso sia stato utilizzato il termine imperator nella documentazione presa in esame, dall'altra si prova a capire quale peso ebbero le nuove identità etniche, religiose e territoriali, elaborate nelle già citate cronache, all'interno di questi fenomeni imperiali. Per una miglior resa dell'argomentazione si è deciso di dividere la tesi in due blocchi, il primo dedicato alle cronache del IX secolo e il secondo ai documenti in cui compare il titolo imperiale, risalenti al secolo successivo. A sua volta ciascun blocco si divide quindi in due capitoli, all'interno dei quali le tematiche vengono declinate nel caso ispanico e in quello anglosassone. La tesi si apre con la presentazione dei criteri impiegati nella selezione del corpus di "documenti imperiali" (Cap. 1) – nome con cui si definiscono i diplomi al cui interno compare il titolo di imperator – che ammontano ad un totale 38, di cui 20 asturiano-leonesi (privati e pubblici) e 18 anglosassoni (esclusivamente pubblici). A seguire viene fornito il contesto storico (Cap. 2) e lo status quaestionis (Cap. 3). Nel primo capitolo del primo blocco (Cap. 4) vengono trattate le tre cronache prodotte nella corte asturiano-leonese alla fine del IX secolo: conosciute anche come Crónicas Asturianas, sono intitolate rispettivamente Crónica Albeldense, Crónica Profetica e Crónica de Alfonso III. Per rendere il quadro qui esposto il più completo possibile si inizia trattando il patrimonio librario a disposizione degli autori delle cronache. A seguire si delineano i profili delle tre opere, soffermandosi in particolar modo sulla loro paternità e datazione. Si forniscono quindi indicazioni sulla tradizione manoscritta di queste cronache per poi tracciare un percorso tra le fonti. In questa parte si chiariscono concetti come quello di identità (etnica, religiosa e geografica), e si assiste alla comparsa di temi storiografici come quelli della Reconquista e del neogoticismo. Questi elementi costituiscono il punto di partenza per un ragionamento teso a far emergere il background ideologico comune a tutte e tre cronache. Nel corrispettivo capitolo inglese (Cap. 5) si delinea un profilo della produzione letteraria, in particolare storiografica, che ha caratterizzato le ultime due decadi del IX secolo anglosassone. Si inizia inquadrando gli uomini che formarono parte della cosiddetta alfredian reinassance per poi analizzare il ruolo avuto, all'interno di questo momento di rinascita culturale, dalle traduzioni in Old English delle grandi opere storiografiche. Infine, si propone una rilettura dell'unica opera storiografica scritta ex novo – l'Anglo-Saxon Chronicle – dalla quale emerge come fil rouge il concetto di overlordship. Questo è il nome che gli studiosi moderni hanno dato all'autorità che alcuni re anglosassoni poterono esercitare al di sopra degli altri regni dell'isola: si trattava di una supremazia principalmente militare che portava un re, per periodi spesso brevi, ad imporre la propria sovranità – e talvolta dei tributi – a popolazioni diverse dalla propria. Questa idea di sovranità sovrapposta era già presente in Beda e viene recuperata dai cronisti anglosassoni che la ricollegano, in maniera evidente, alla dinastia dei re del Wessex, coniando per quei re che la detennero la parola bretwalda. A conclusione del primo blocco è presente un capitolo di confronto (Cap. 6) che permette di tirare le somme della prima metà della tesi. Si ribadiscono alcuni punti in comune tra i due casi di studio qui definiti "macrocongruenze": sia la Britannia che la Spania erano parte dell'impero romano, ma non di quello carolingio e subirono un'invasione durante l'Alto Medioevo (danesi/norvegesi la prima e islamici la seconda); in entrambi i casi la produzione di cultura scritta durante il IX secolo orbitava attorno alla figura del monarca; le cronache del periodo celebrano la dinastia regnante come elemento cardine della storia "nazionale" e così facendo ne legittimano l'autorità; fra le pagine di queste cronache vengono proposte nuove identità per entrambe le popolazioni. Tuttavia, al di là di queste evidenti somiglianze, si è notato come, all'interno della cronachistica, si sia arrivati a due modi particolari di rappresentare sé stessi, il proprio regno, il proprio popolo e il proprio contesto geografico. Sono queste differenze a suscitare un particolare interesse dal momento che, come è stato chiaro sin dalla sua fase embrionale, in nessun modo lo scopo di questa ricerca è l'omologazione: non si sta cercando di uniformare la storia inglese del IX e X secolo con quella spagnola dello stesso periodo, per quanto esse abbiano sicuramente dei punti in comune. Nel capitolo di confronto si riflette quindi sulle particolari soluzioni autorappresentative soluzioni a cui sono giunti i cronisti asturiani e anglosassoni riguardo a tre punti chiave: il recupero del passato, la concezione territoriale dell'ambiente geografico e la questione identitaria. Non si può infatti trascurare il differente peso che ebbero nei relativi ambiti il ricordo del regno visigoto e quello dell'Eptarchia anglosassone e dunque, rispettivamente, le opere di Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile. Sarebbe inoltre sbagliato non sottolineare le differenze tra le due nuove proposte identitarie: quella inglese su base spiccatamente etnica (Angelcynn) e quella ispanica su base principalmente religiosa (regnum Xristianorum). Non poteva infine mancare un paragrafo dedicato ai differenti rapporti tra i due ambiti studiati e il mondo carolingio contemporaneo. Nel secondo blocco vengono sviscerati i fenomeni imperiali. Il capitolo dedicato all'ambito ispanico (Cap. 7) si apre con una riflessione sulle varie figure di scriptores del regno di León e sul peso avuto dai formulari visigoti nella documentazione altomedievale. Al principio del corrispettivo capitolo inglese (Cap. 8) vengono invece presentati due casi di utilizzo del termine imperiale precedenti il X secolo: quello di sant'Oswald di Northumbria (634-642) nella Vita Sancti Columbae di Adomnano di Iona e quello di Coenwulf di Mercia (796-821) nel documento S153. Seguono due paragrafi dedicati alla documentazione di Edward the Elder (899-924) e Æthelstan (924-939) che mettono in luce un sostanziale sviluppo della titolatura regia, indice di un progressivo ampliamento dell'autorità di questi monarchi. Il centro di entrambi i capitoli del secondo blocco consiste nella dettagliata analisi dei documenti imperiali e nelle riflessioni che da questa scaturiscono. Nel caso spagnolo è possibile affermare con una certa sicurezza che l'uso del titolo imperator ebbe inizio con il figlio, Ordoño II, che lo attribuì al padre per rafforzare la propria posizione di re di León. Tra la morte di Ordoño II (924) e l'ascesa al trono di Ramiro II (931) il titolo cominciò ad essere adoperato anche nella documentazione privata, senza per questo scomparire da quella regia. Non è purtroppo possibile cercare di ricondurre il fenomeno imperiale ispanico alla figura di uno scriptor in particolare – a differenza del caso inglese –; va però fatto presente che alcuni testi risalenti alla seconda metà del secolo differiscono dai documenti di Ordoño II nell'impiego del termine, poiché questo viene usato in riferimento al re vivente, anziché al padre defunto. Il titolo, almeno all'inizio del X secolo, non sembra riflettere un'autorità superiore (per l'appunto imperiale), ma richiama la sua più antica accezione, quella di "generale vittorioso" e costituisce una prerogativa dei sovrani leonesi. Per quanto riguarda il fenomeno imperiale inglese, invece, è possibile individuare un punto di inizio nei famosi alliterative charters, probabilmente redatti da Koenwald di Worcester (928/9- 957), sulla cui paternità si discute lungamente nella tesi. Sembra chiaro che imperator altro non sia che la traduzione latina di quello che gli storici hanno definito overlord. Tramite l'impiego di tale titolo i sovrani anglosassoni hanno voluto rappresentare la loro crescente egemonia sugli altri regni dell'isola, rivendicando così un'autorità più territoriale che etnica. Occorre però far presente che l'uso della terminologia imperiale forma parte di quel più ampio processo di evoluzione della titolatura regia già iniziato con Edward the Elder. Queste riflessioni vengono poi messe in relazione con quelle del primo blocco e sviluppate nelle conclusioni (Cap. 9). Esse vertono su quattro punti fondamentali: l'uso del documento e della lingua latina nei due ambiti; la Britannia e la Spania come universi a sé; il significato di imperator nei due contesti documentari; la concezione territoriale come presupposto teorico e geografico di questo utilizzo. La lettura delle fonti ci permette di affermare che entrambi i contesti rappresentavano per i rispettivi sovrani degli universi idealmente a sé stanti. I sovrani leonesi e anglosassoni ereditarono dai loro predecessori non solo una "missione" politica – di riconquista per i primi e di controllo per i secondi –, ma anche una specifica concezione – diversa per ciascun caso – dell'ambiente geografico in cui si trovavano a operare. La Britannia del re-imperatore anglosassone è la Britannia di Beda, frammentata e divisa, eppure tutto sommato unita. La Spania dei re leonesi è la Spania di Isidoro, unita, omogenea, ma drammaticamente perduta. Tuttavia, per il caso spagnolo e nel periodo qui preso in esame, al titolo non venne mai accostato un riferimento spaziale che rimandasse ad un dominio su tutta la penisola. In quello inglese, invece, tale accostamento ci fu, ma il riferimento geografico alla Britannia non fu un'esclusiva del titolo imperiale. Possiamo quindi dire che, nel caso inglese, il titolo nacque per il bisogno di tradurre in latino un'autorità indiretta ed egemonica (come quella di un rex regum), e perse poi questo significato – e quindi l'uso –, quando la situazione politica del regno si modificò; nel caso spagnolo invece, avvenne un'elaborazione quasi simmetricamente opposta. Il titolo, inizialmente usato nel suo significato più antico di "generale vittorioso" o "signore potente", venne poi reinterpretato quando nell'XI e XII secolo cambiarono gli equilibri politici della penisola. In questo periodo troviamo infatti sovrani come Alfonso VI e Alfonso VII impiegare titolature quali imperator totius Hispaniae. In entrambi i casi, l'imperator venne inteso come sinonimo di rex regum, ma in due momenti diversi: ovvero quando ve ne fu effettivamente bisogno. La tesi è provvista di mappe e della bibliografia, divisa tra fonti e studi. Inoltre si è considerato utile aggiungere in appendice i testi dei documenti imperiali. ; The subject of this thesis is the peculiar presence of the term imperator in a small, but still significant, number of 10th century documents from the reign of Asturia and León and from Britain. The fact that these two "imperial phenomena" coexisted and developed in two very distant contexts, without an apparent connection, makes a comparative study necessary. Also, in both areas the previous century was characterized by a particularly favorable moment for culture - el renacimiento asturiano and the alfredian renaissance - made possible by the action of two monarchs, Alfonso III of Asturia and León (866-910) and Alfred of Wessex (871-899). In these sovereigns' courts, chronicles were drawn up (the Crónicas Asturianas and the Anglo-Saxon Chronicle), proposing an interpretation of history which tend to seek a new identity for the respective peoples, highlighting the central role of the respective ruling dynasties. The aim of the thesis is therefore twofold: on the one hand, to understand in what way and in what sense the term imperator was used in the documentation examined; on the other hand, to estimate what weight the new ethnic, religious and territorial identities had within these imperial phenomena. For a better performance of the argument, it was decided to divide the thesis into two parts, the first dedicated to the chronicles of the 9th century and the second to the documents of the following century in which the imperial title appears. In turn, each part is divided into two chapters focused on Hispanic and Anglo-Saxon cases. The thesis opens with the presentation of the criteria used in the selection of the corpus (Ch. 1), which amounts to a total of 38 imperial documents, of which 20 Asturian-Leonese (private and public) and 18 Anglo-Saxon (exclusively public). The historical context (Ch. 2) and the status quaestionis (Ch. 3) are provided below. The first chapter of the first part (Ch. 4) deals with the three chronicles produced in the Asturian-Leonese court at the end of the 9th century. Also known as Crónicas Asturianas. they are respectively entitled Crónica Albeldense, Crónica Profetica and Crónica de Alfonso III. This chapter starts treating the Asturian library, available to the authors of the chronicles, and follows with the description of each chronicle, focusing on their paternity and dating. It then provides information about the manuscript tradition of each chronicle and it finally ends with an overall reading of the sources. Here, concepts such as identity (ethnic, religious and geographic) are clarified, and we observe the origin of historiographic themes such as those of the Reconquista and neo-Gothicism. These elements constitute the starting point for a reflection aimed at bringing out the ideological background common to all three chronicles. In the corresponding English chapter (Ch. 5) is outlined a profile of the literary production, in particular historiographic, which characterized the last two decades of the 9th century in England. We start by framing the men who formed part in the so-called alfredian reinassance and then analyze the role played in this moment of cultural rebirth by the translations in Old English of the great historiographic works. Finally, we propose a rereading of the only historiographic work written ex novo, the Anglo-Saxon Chronicle, where the concept of overlordship emerges as a common thread. Overlordship is the name that modern scholars have given to the authority that some Anglo-Saxon kings were able to exercise over other kings in the island. It is a predominantly military supremacy which leads a king, for often short periods, to impose his sovereignty - and sometimes tributes - on populations other than his own. This idea of overlapped sovereignty was already present in Beda and is recovered by the Anglo-Saxon chroniclers who relate it, explicity, to the dynasty of the kings of Wessex, coining for those kings who held it the term bretwalda. At the end of the first part there is a comparison chapter (Ch. 6) that draws the conclusions of the first half of the thesis. Some points in common (here called "macrocongruenze") between the two case studies are reiterated: both Britain and Spania formed part of the Roman Empire, but not of the Carolingian Empire and both suffered an invasion during the Early Middle Ages (Danes / Norwegians and Muslims); in both cases the production of written culture, during the 9th century, orbited around the figure of the monarch; the chronicles celebrate the reigning dynasty as the centre of "national" history to legitimize its authority; among the pages of these chronicles new identities are proposed for both populations. However, beyond these obvious similarities, it has been noted that the chronicles adopted two different ways of self-representing themselves, their kingdom, their people and their geographical context. The comparison chapter therefore reflects on three key points: the recovery of the past, the territorial conception of the geographical environment and the identity issue. In fact, we cannot neglect the different importance that the memory of the Visigoth kingdom and of the Anglo-Saxon Heptarchy (and therefore, respectively, the works of Isidore of Seville and the Venerable Bede) had. It would also be wrong not to underline the differences between the two new identity proposals: the English one had a distinctly ethnic base (Angelcynn), while the Hispanic base was mainly religious base (regnum Xristianorum). The last paragraph if finally dedicated to the different relationships between the two areas studied and the contemporary Carolingian world could not be missing. In the second block imperial phenomena are examined. The chapter dedicated to the Hispanic context (Ch. 7) opens with a reflection on the various figures of scriptores of the kingdom of León and on the weight of Visigoth formulae in the early medieval documentation. At the beginning of the corresponding English chapter (Ch. 8) are presented two cases of a use of the imperial term preceding the 10th century: that of Saint Oswald of Northumbria (634-642) in the Adomnan of Hy's Vita Sancti Columbae of and that of Coenwulf of Mercia in the charter S153. These cases are followed by two paragraphs dedicated to Edward the Elder's and Æthelstan's documentation, which highlight a substantial development of the royal title, pointing out an expansion of the authority of these monarchs. The center of both the chapters of the second block consists in the detailed analysis of the imperial documents and in the reflections that arise from it. In the Spanish case, it is possible to affirm with some certainty that the use of the imperator title began with his son, Ordoño II, who attributed it to his father to strengthen his position as king of León. Between the death of Ordoño II (924) and the ascent to the throne of Ramiro II (931), the title also began to be employed into private documentation, without disappearing in the public one. Unfortunately, it is not possible, as it is in the English case, to trace the Hispanic imperial phenomenon back to a particular scriptor. However, it should be noted that some texts dating from the second half of the century differ from the charters of Ordoño II in the use of the term, adopting it in reference to the living king, rather than the deceased father. The title, at least at the beginning of the tenth century, does not seem to reflect a superior (or imperial) authority, but recalls its most ancient meaning, of "victorious general" and constitutes a prerogative of the Leonese sovereigns. As for the English imperial phenomenon, however, it is possible to identify a starting point in the famous alliterative charters, probably drawn up by Koenwald of Worcester (928/9- 957), whose authorship is largely discussed in the thesis. It seems clear that imperator is nothing but the Latin translation of what historians have called overlord. Through the use of this title, the Anglo-Saxon rulers wanted to represent their growing hegemony over the other kingdoms of the island, thus claiming a more territorial than ethnic authority. However, it should be noted that the use of imperial terminology forms part of the broader process of evolution of the royal title that started with Edward the Elder. These reflections are then related to those of the first part and developed in the conclusions (Ch. 9). They focus on four fundamental points: the use of the documentation and the Latin language in the two areas; Britain and Spania as self-contained universes; the meaning of imperator in the two documentary contexts; the territorial conception as a theoretical and geographical assumption of this use. Reading the sources allows us to affirm that both contexts represented universes ideally self-contained for their respective sovereigns. The Leonese and Anglo-Saxon rulers inherited from their predecessors not only a political "mission" - reconquering for the former and control for the latter -, but also a specific conception - different for each case - of the geographical environment in which they found themselves operate. The Britannia of the Anglo-Saxon king-emperor is Bede's Britannia, fragmented and divided, but spiritually united. The Spania of the Leonese kings is Isidoro's Spania, united, homogeneous, but dramatically lost. However, for the Spanish case in the period examined here, the imperial title was never related to a geographical reference; in the English one, the geographical reference to Britannia existed, but was not exclusive to the imperial title. We can therefore say that, in the English case, the title was born out of the need to translate into Latin an indirect and hegemonic authority (like that of a rex regum), and then lost this meaning - and therefore the use - when the political situation of the kingdom changed. In the Spanish case, conversely, an almost symmetrically opposite processing took place. The title, initially used in its oldest meaning as "victorious general" or "powerful lord", was reinterpreted in the 11th and 12th centuries, when the political balance of the peninsula changed. In this period, we find in fact rulers like Alfonso VI and Alfonso VII employing titles such as imperator totius Hispaniae. In both cases, the emperor was intended as a synonym for rex regum, but in two different moments - always when it was more needed. The thesis is equipped with maps and bibliography, divided between sources and studies. Furthermore, it was considered useful to add a final appendix with the texts of the imperial documents. ; El tema de esta tesis es la aparición peculiar del término imperator en un número pequeño, pero significativo, de documentos del siglo X procedentes de los reinos de Asturias y León y de Inglaterra. Si en sí mismo este tipo de "coincidencia histórica" capta la atención, el hecho de que los dos fenómenos imperiales sean prácticamente contemporáneos y se desarrollen en dos contextos muy distantes en el espacio, sin una conexión aparente, pone de manifiesto la necesidad de un estudio comparativo. Tras una ulterior búsqueda, no pasa desapercibido cómo, en ambas áreas, el siglo inmediatamente anterior se caracterizó por ser un momento particularmente favorable para la cultura – el renacimiento asturiano y the alfredian reinassence –, hecho posible por la acción de dos monarcas, Alfonso III de Asturias y León (866-910) y Alfred de Wessex (871-899). En los entornos de estos soberanos, se elaboraron crónicas (las Crónicas Asturianas y la Anglo-Saxon Chronicle) que proponían una lectura de la historia destinada a buscar una nueva identidad para los respectivos pueblos, subrayando el papel central de las respectivas dinastías gobernantes. El objetivo de la tesis es, por lo tanto, doble: por un lado, se quiere entender de qué manera y en qué sentido se utilizó el término imperator en la documentación examinada y, por otro lado, tratamos de comprender qué peso tenían las nuevas identidades étnicas, religiosas y territoriales, dentro de estos fenómenos imperiales. Para una mejor presentación de los argumentos, se decidió dividir la tesis en dos bloques: el primero dedicado a las crónicas del siglo IX y el segundo a los documentos del siglo siguiente en los que aparece el título imperial. A su vez, cada bloque se divide en dos capítulos donde se desarrollan las temáticas en los casos hispanos y anglosajones. La tesis comienza con la presentación de los criterios utilizados para la selección del corpus de "documentos imperiales" (Capítulo 1) – los diplomas donde aparece el título de imperator –, que asciende a un total de treinta y ocho, veinte de los cuales son asturianos-leoneses (privados y públicos) y dieciocho anglosajones (exclusivamente públicos). El contexto histórico (Capítulo 2) y el status quaestionis (Capítulo 3) se proporcionan a continuación. En el primer capítulo del primer bloque (Capítulo 4) se presentan las tres crónicas producidas en la corte asturiano-leonesa a finales del siglo IX. También conocidas como Crónicas Asturianas, estas son la Crónica Albeldense, la Crónica Profética y la Crónica de Alfonso III. Para conseguir una visión lo más completa posible, comenzamos viendo los libros que los autores de las crónicas tenían a su disposición. A continuación, se analizan las tres obras, con una particular atención a su autoría y datación. Finalmente, proporcionamos indicaciones sobre la tradición manuscrita de estas crónicas y trazamos un camino entre las fuentes. En esta parte se van perfilando cuestiones cruciales, como la identidad (étnica, religiosa y geográfica), y temas historiográficos, como la Reconquista y el neogoticismo. Estos elementos constituyen el punto de partida para un razonamiento destinado a resaltar el trasfondo ideológico común a las tres crónicas. En el capítulo sucesivo (Capítulo 5) se traza un perfil de la producción literaria, en particular historiográfica, que caracterizó las últimas dos décadas del siglo IX anglosajón. Se comienza enmarcando a los hombres que formaron parte del llamado alfredian reinassance y analizando sucesivamente el papel desempeñado por las traducciones en Old English de las grandes obras historiográficas en este momento de renacimiento cultural. Finalmente, proponemos una nueva lectura de la única obra historiográfica escrita desde cero, la Anglo-Saxon Chronicle, a partir de la cual el concepto de overlordship emerge como un hilo conductor. Este es el nombre que los eruditos modernos le han dado a la autoridad que algunos reyes anglosajones pudieron ejercer sobre los otros reyes de la isla. Es una supremacía predominantemente militar que lleva a un rey – a menudo por períodos cortos – a imponer su soberanía, y a veces tributos, a poblaciones distintas de la suya. Esta idea de soberanía superpuesta ya estaba presente en Beda y es recuperada por los cronistas anglosajones que la relacionan, evidentemente, con la dinastía de los reyes de Wessex, acuñando para aquellos reyes la palabra bretwalda. Al final del primer bloque hay un capítulo de comparación (Capítulo 6) que permite resumir las conclusiones de la primera mitad de la tesis. Se reiteran algunos puntos en común entre los dos estudios del caso: tanto Britannia como Spania formaron parte del Imperio Romano, pero no del Imperio Carolingio y sufrieron una invasión durante la Alta Edad Media (Daneses / Noruegos e islámicos); en ambos casos, la producción de cultura escrita durante el siglo IX orbitaba alrededor de la figura del monarca. Las crónicas resultantes de este período celebran la dinastía reinante como la piedra angular de la historia "nacional" y al hacerlo legitiman su autoridad; entre las páginas de estas crónicas se proponen nuevas identidades para ambas poblaciones. Sin embargo, más allá de estas similitudes obvias, se ha observado que dentro de las crónicas ha habido dos formas particulares de representación de sí mismos, de su reino, de su gente y de su contexto geográfico. Son estas diferencias las que despiertan un interés particular, ya que, como ha quedado claro desde el principio, no hay absolutamente ningún intento de homologar la historia inglesa de los siglos IX y X con la historia española del mismo período, aunque sin duda tienen puntos en común. Por lo tanto, el capítulo de comparación reflexiona sobre las particulares formas de auto-representación proporcionadas por los cronistas asturianos y anglosajones y se centra en tres puntos clave: la recuperación del pasado, la concepción territorial del entorno geográfico y la cuestión relativa a la identidad. De hecho, no podemos descuidar el peso diferente que tuvo el recuerdo del reino visigodo y el de la Heptarquía anglosajona y, por lo tanto, respectivamente, las obras de Isidoro de Sevilla y de Beda la Venerable. También sería un error no subrayar las diferencias entre las dos nuevas propuestas de identidad: la inglesa, con una base claramente étnica (Angelcynn) y la hispana, con una base principalmente religiosa (regnum Xristianorum). Finalmente, no podía faltar un párrafo dedicado a las diferentes relaciones entre las dos áreas estudiadas y el mundo carolingio contemporáneo. En el segundo bloque se examinan los fenómenos imperiales. El capítulo dedicado al contexto hispano (Capítulo 7) comienza con una reflexión sobre las diversas figuras de los scriptores del reino de León y sobre el peso de las fórmulas visigodas en la documentación altomedieval. Al comienzo del capítulo correspondiente en inglés (Capítulo 8) se presentan dos casos de uso del término imperial anterior al siglo X: el de San Oswald de Northumbria (634-642) en la Vita Sancti Columbae de Adomnano de Iona y el de Coenwulf de Mercia (796-821) en el documento S153. Siguen dos párrafos dedicados a la documentación de Edward the Elder (899-924) y Æthelstan (924-939), donde se destaca un desarrollo sustancial del título real que indica una expansión de la autoridad insular de estos monarcas. El centro de ambos capítulos del segundo bloque consiste en el análisis detallado de los documentos imperiales y en las reflexiones que surgen de esto. En el caso español se puede concluir que, aunque hay rastros de un empleo del título imperial en la documentación de Alfonso III, es posible afirmar con cierta certeza que el uso del título imperator comenzó con su hijo, Ordoño II (914-924), quien lo atribuyó a su padre para fortalecer su posición como rey de León. Entre la muerte de Ordoño II (924) y el ascenso al trono de Ramiro II (931), el título también pasó a la documentación privada, sin desaparecer de la pública. Desafortunadamente, no es posible, como en el caso inglés, tratar de rastrear el fenómeno imperial hispano hasta la figura de un escritor en particular. Sin embargo, debe tenerse en cuenta que algunos textos que datan de la segunda mitad del siglo difieren de los documentos de Ordoño II en el uso del término, ya que se emplea en referencia al rey vivo y no al padre fallecido. El título, al menos a principios del siglo X, no parece reflejar una autoridad superior (precisamente imperial), pero recuerda su significado más antiguo, el de "general victorioso" y constituye una prerrogativa de los soberanos leoneses. En cuanto al fenómeno imperial inglés, por otro lado, es posible identificar un punto de partida en los famosos alliterative charters, probablemente producidos por Koenwald de Worcester (928/9- 957), cuya autoría se discute extensamente en la tesis. Parece que imperator no es más que la traducción latina de lo que los historiadores han llamado overlord. Mediante el uso de este título, los gobernantes anglosajones querían representar su creciente hegemonía sobre los otros reinos de la isla, reclamando así una autoridad más territorial que étnica. Sin embargo, debe tenerse en cuenta que el uso de la terminología imperial forma parte de ese proceso más amplio de evolución del título real que ya comenzó con Edward the Elder. En las conclusiones (Capítulo 9) se relacionan estas reflexiones con las del primer bloque desarrollándolas. Se centran en cuatro puntos fundamentales: el papel del documento y del idioma latino en las dos áreas; Britannia y Spania como universos en sí mismos; el significado de imperator en los dos contextos documentales y, por último, la concepción territorial como una premisa teórica y geográfica de este empleo de la terminología imperial. Tras leer las fuentes podemos afirmar que ambos contextos representaban, a los ojos de sus respectivos soberanos, universos dentro del universo. Los gobernantes leoneses y anglosajones heredaron de sus predecesores no solo una "misión" política – de reconquista para los primeros y de control para los segundos – sino también una concepción específica, diferente para cada caso, del entorno geográfico en el que se encontraban. La Britannia del rey-emperador anglosajón es la Britannia de Beda, fragmentada, dividida y, sin embargo, unida. La Spania de los reyes leoneses es la Spania de Isidoro, unida, homogénea, pero dramáticamente perdida. Sin embargo, para el caso español, en el período examinado aquí, nunca se encuentra el título imperial en relación a una referencia territorial que evoque un dominio sobre toda la península. En el inglés, sin embargo, existía este uso, pero la referencia geográfica a Britannia no era exclusiva del título imperial. Por lo tanto, podemos decir que, en el caso inglés, el título nació de la necesidad de traducir al latín una autoridad indirecta y hegemónica (como la de un rex regum), y luego perdió este significado – y su uso – cuando la situación política del reino cambió. En el caso español, sin embargo, tuvo lugar un procesamiento casi simétricamente opuesto. El título, utilizado inicialmente en su significado más antiguo como "general victorioso" o "señor poderoso", fue reinterpretado más tarde cuando el equilibrio político de la península cambió en los siglos XI y XII. En este período encontramos, de hecho, gobernantes como Alfonso VI y Alfonso VII que emplean títulos como imperator totius Hispaniae. En ambos casos, imperator fue concebido como sinónimo de rex regum, pero en dos momentos diferentes; cuando realmente se necesitaba. La tesis está provista de mapas y bibliografía, dividida entre fuentes y estudios. Además, se consideró útil agregar los textos de los documentos imperiales al apéndice.
Le condotte dei Rossi di Parma al servizio dei duchi di Milano sono considerate come aspetto del patto costituzionale stabilito nel 1447 tra P.M.Rossi e Francesco Sforza, che restò alla base dei rapporti politici tra le due dinastie per 30 anni. Le condotte dei signori parmigiani furono poi influenzate da sviluppi politico-diplomatici e da vicende interne ai Rossi. I documenti rivelano l'abilità di Pier Maria nel mantenere il dialogo con gli Sforza, limitare i conflitti ed evitare le ribellioni dei suoi ambizioni figli, almeno fino al 1482, quando il conflitto scoppiò, come parte della guerra di Ferrara. I rapporti Sforza-Rossi riguardano dunque sia la dimensione semiprivata delle "guerricciole" signorili, sia le relazioni internazionali. ; This study is focused on the condotte of the Rossi di Parma at the service of the Sforza dukes, as an aspect of the "constitutional" pact established in 1447 between the condottiere Francesco Sforza and Pier Maria Rossi. The pact was the basis for the relationship between the two dinasties for thirty years. The changes in the seigneurial condotte were influenced both by the diplomatic and institutional developments and by the internal issues inside the Rossi family. Documents and sources show the ability of Pier Maria in maintaining the dialogue with the Sforza, as well in settling conflicts and restraining the ambitions of his restless sons, until in 1482 the conflicts bursted out into the Rossi war, collateral to the war of Ferrara. Private war and wider political relationship are both considered and linked.
Maestro nel creare consenso, mantenendo in precario ma efficace equilibrio le componenti istituzionali e sociali di una realtà complessa, Francesco Sforza, divenuto duca di Milano (1450), portò a compimento la riforma ospedaliera intrapresa dai suoi predecessori e inaugurò la compilazione sistematica dei Registri dei morti, capillare strumento di monitoraggio dello stato di salute della popolazione delle città del dominio, utile all'epoca per inaugurare politiche sanitarie ed economiche mirate, e oggi straordinaria fonte nello studio dei fenomeni demografici e sociali, quali povertà ed emarginazione, spesso sfuggenti in epoca pre-statistica. ; In the mid-Fifteenth Century, Francesco Sforza, become new Duke of Milan, carried out hospital reform and introduce the systematic compilation of the Registry of deaths. This Registry reflects the will of the ducal government to check population mortality and morbidity and suspicious or traumatic deaths in one of the most important cities in Europe, not only for healthcare reasons but also to supervise and to defend the economic value of human capital of the duchy. Today these records open up a significant breakthrough on the causes of individual deaths of marginalized classes of the society, often forgotten by ancient sources.
Il marchese Oberto Pelavicino, dopo aver ricoperto la carica di vicario imperiale sotto Federico II e Corrado IV, tra il 1250 e il 1266 fu signore di alcune tra le principali città della Lombardia duecentesca: Cremona, Piacenza, Pavia, Vercelli, Milano, Brescia, Alessandria e Tortona. È stato possibile analizzare il sistema di governo messo in atto dal marchese attraverso la schedatura prosopografica dei podestà inviati dal Pelavicino nei vari centri da lui controllati: da una parte il profilo sociale e l'appartenenza politica dei rettori mostrano quali furono le famiglie e i gruppi che lo appoggiarono nei diversi centri, dall'altra le provenienze geografiche e lo studio della circolazione degli ufficiali offrono un quadro interpretativo di come il Pelavicino amministrò una così vasta compagine territoriale. Pertanto, lo studio dei podestà pelaviciniani ha fatto emergere i diversi modi con cui il marchese si rapportò con le città, evidenziando le specificità del dominio e consentendo una visione della signoria attenta ad ogni diversa realtà cittadina ma allo stesso tempo capace di tenere conto della dimensione sovra locale del dominio. ; Between 1250 and 1266 the marquis Oberto Pelavicino became lord of some of the main cities in Lombardy of the thir- teenth-century, after holding the title of imperial Vicar under the reign of Federico II and Corrado IV: Cremona, Piacenza, Pavia, Vercelli, Milano, Brescia, Alessandria e Tortona. It has been possible to analyse the government's system that the marquis put into place through the prosopographic cataloguing/filing of all the podestà that Pelavicino had sent in the different towns under his control. On one hand the rectores social profile and political membership show how families and groups supported him in the different centres, on the other one, the officers' geographical origin and the study on their circulation offer an interpretative framework of how Pelavicino administered his dominio. Therefore, the study of the Palavicinian mayors has pointed out the different ways through which the marquis relied to the cities, highlighting the domain's specificity and allowing a view on the lordship that is attentive to every different city's reality, but in a prospective that is able to take into account the domain's over-local dimension at the same time.
Among all the parchments used as cover material for notarial registers in the city of Piacenza, it stand out a bifolium containing a part of the most ancient communal statutes that dates back to the second half of 13th century. these unreleased statutes are meant to be added to the list of the already known ones. this paper aims to point out some aspects of the political context in which the statutes were edited. In this respect, it will be worth to take into account the clash between the milites and the Popolo of Piacenza, the fight against the Papacy and the Empire, and finally the lordship of Oberto Pelavicino, who controlled the city from 1253 to 1266. this paper will also provide a picture of the political support he received from the Popolo of Piacenza and the resulting relationship between them.
Nell'età del duca Filippo Maria Visconti (1412-1447), le concessioni di cittadinanza ambrosiana, lungi per Milano dal costituire un indicatore demografico o di integrazione sociale, costituiscono invece un valido strumento di analisi politica e un parametro per valutare l'efficacia dei provvedimenti fiscali ed economici ducali di cui costituiscono un riflesso diretto. Si analizzano in questa sede le caratteristiche dei 180 nuovi cittadini milanesi, che presentano requisiti specifici, specie culturali e politici, oltre che "talenti" nel settore mercantile e artigianale di alto livello. La politica economica del principe trova qui una eco tangibile e concreta.
Gli ultimi anni del duca Filippo Maria Visconti furono attraversati da vari elementi di crisi, pur in un contesto di prosperità e di istituzioni stabilizzate. Le scelte di politica estera poco lucide da parte dell'anziano duca, gli aumenti della richiesta fiscale a comunità e sudditi e gli episodi di abuso da parte del personale del governo e della corte provocarono un diffuso malcontento. Per far fronte alle spese crescenti, fu utilizzata in prevalenza l'alienazione di possessioni e di beni camerali dati in pegno ai prestatori. Tuttavia, più che per l'aggravamento della richiesta fiscale, l'esasperazione di sudditi e comunità aumentò per la severità esecutiva che sostituiva la relativa tolleranza degli anni precedenti. Il malcontento si manifestò con rivolte localizzate, con rinnovate pretese di capitani e condottieri e con le diffuse lamentele verso i funzionari e i cortigiani giudicati corrotti e disonesti. ; Duke Filippo Maria Visconti's last years were troubled by many signs of crisis, although the duchy of Milan enjoyed a large prosperity and consolidated his political structures. Less lucid foreign politics, growth of fiscal pressure on subjects and communities, some abuses of power by courtiers and ducal officials produced a large discontent. The alienation of fiefs and ducal properties was largely used to cope with the increase of the current expenses: lands, estates and castles were utilised as pledges given to the main lenders. Nevertheless, more than the growth of the tax burden, subjects and communities complained about the authoritarian decision-making style that replaced the previous tolerance. Some local revolts, new pretentions by the condottieri and harsh complaints against corrupted officials and courtiers were the consequences of this crisis.