Negli ultimi anni molte città europee hanno introdotto politiche di tariffazione come strumento di gestione della domanda di trasporto, in particolare per ridurre la congestione e riequilibrare la ripartizione modale tra trasporto individuale e collettivo. Infatti, il comportamento degli utenti conduce il sistema ad una condizione di Equilibrio dell'Utente (User Equilibrium) che non corrisponde alla massimizzazione dell'utilità globale e non prende in considerazione i costi esterni. Pertanto, al fine di raggiungere una configurazione efficiente nell'utilizzo dei sistemi di trasporto (indicata in letteratura come Equilibrio del Sistema – System Equilibrium), è necessario imporre una tariffazione sulle strade urbane in modo da massimizzare il surplus sociale. Per numerose ragioni (teoriche, politiche, sociali) è impossibile applicare "tariffe efficienti" (indicate in letteratura come first-best solutions); perciò sulle reti reali bisogna applicare tariffe sub-ottimali (second-best solutions). Inoltre, una delle problematiche principali dell'applicazione delle politiche di pricing è la loro "accettazione" da parte della comunità e/o di sue componenti (commercianti, residenti, pendolari, ecc.) che conduce a conflitti ed opposizioni.In questa nota, si analizza il problema del progetto delle tariffe ottimali nel caso in cui i ricavi siano investiti totalmente o parzialmente per migliorare il trasporto collettivo. In particolare, si formula un modello che sia multimodale e multiutente, in cui gli aspetti relativi alla scelta modale siano calcolati in maniera esplicita su rete in corrispondenza di ciascuna configurazione tariffaria. Il modello è applicato ad una rete test (costruita con differenti valori di accessibilità relativa tra le differenti zone), analizzando alcune strategie "second-best" con particolare riferimento al reinvestimento dei ricavi. ; In recent years several European cities have introduced pricing policies as a tool for managing transport demand, especially to reduce traffic congestion and rebalance the modal split between private vehicles and mass-transit systems. Indeed, user behaviour brings about a User Equilibrium condition which does not correspond to overall utility maximisation and fails to take account of external costs. Hence, in order to achieve the efficient use of transportation systems (System Equilibrium), tolls can be charged on urban roads so that the social surplus is maximised. For several reasons (theoretical, political, social acceptability) it is impossible to charge "efficient tolls" (first-best solutions) proposed in the literature; therefore in real networks sub-optimal tolls (second-best solutions) are applied. Moreover, one of the main problems related to pricing policy application is their acceptability among community and/or social categories (such as shopkeepers, residents, commuters, etc.) leading to conflicts and oppositions.In this paper we analyse the effects on optimal fare design when pricing revenues are wholly or partly used for improving public transport. In particular, we formulate a model according to economic theory in a multimodal and multiuser context, where multimodal features are calculated explicitly on the network for each fare configuration. The model is applied on a trial network (built with heterogeneous values of relative accessibility among different traffic zones) and several second-best strategies are analysed with particular attention to the use of pricing revenue.
Negli ultimi anni molte città europee hanno introdotto politiche di tariffazione come strumento di gestione della domanda di trasporto, in particolare per ridurre la congestione e riequilibrare la ripartizione modale tra trasporto individuale e collettivo. Infatti, il comportamento degli utenti conduce il sistema ad una condizione di Equilibrio dell'Utente (User Equilibrium) che non corrisponde alla massimizzazione dell'utilità globale e non prende in considerazione i costi esterni. Pertanto, al fine di raggiungere una configurazione efficiente nell'utilizzo dei sistemi di trasporto (indicata in letteratura come Equilibrio del Sistema – System Equilibrium), è necessario imporre una tariffazione sulle strade urbane in modo da massimizzare il surplus sociale. Per numerose ragioni (teoriche, politiche, sociali) è impossibile applicare "tariffe efficienti" (indicate in letteratura come first-best solutions); perciò sulle reti reali bisogna applicare tariffe sub-ottimali (second-best solutions). Inoltre, una delle problematiche principali dell'applicazione delle politiche di pricing è la loro "accettazione" da parte della comunità e/o di sue componenti (commercianti, residenti, pendolari, ecc.) che conduce a conflitti ed opposizioni.In questa nota, si analizza il problema del progetto delle tariffe ottimali nel caso in cui i ricavi siano investiti totalmente o parzialmente per migliorare il trasporto collettivo. In particolare, si formula un modello che sia multimodale e multiutente, in cui gli aspetti relativi alla scelta modale siano calcolati in maniera esplicita su rete in corrispondenza di ciascuna configurazione tariffaria. Il modello è applicato ad una rete test (costruita con differenti valori di accessibilità relativa tra le differenti zone), analizzando alcune strategie "second-best" con particolare riferimento al reinvestimento dei ricavi. ; In recent years several European cities have introduced pricing policies as a tool for managing transport demand, especially to reduce traffic congestion and rebalance the modal split between private vehicles and mass-transit systems. Indeed, user behaviour brings about a User Equilibrium condition which does not correspond to overall utility maximisation and fails to take account of external costs. Hence, in order to achieve the efficient use of transportation systems (System Equilibrium), tolls can be charged on urban roads so that the social surplus is maximised. For several reasons (theoretical, political, social acceptability) it is impossible to charge "efficient tolls" (first-best solutions) proposed in the literature; therefore in real networks sub-optimal tolls (second-best solutions) are applied. Moreover, one of the main problems related to pricing policy application is their acceptability among community and/or social categories (such as shopkeepers, residents, commuters, etc.) leading to conflicts and oppositions.In this paper we analyse the effects on optimal fare design when pricing revenues are wholly or partly used for improving public transport. In particular, we formulate a model according to economic theory in a multimodal and multiuser context, where multimodal features are calculated explicitly on the network for each fare configuration. The model is applied on a trial network (built with heterogeneous values of relative accessibility among different traffic zones) and several second-best strategies are analysed with particular attention to the use of pricing revenue.
Il presente lavoro di tesi intende interrogarsi sugli effetti e le conseguenze sociali di alcune dinamiche di controllo nella società globale. Nello specifico, dedica attenzione a quegli aspetti contraddittori nelle direzioni di sviluppo delle società contemporanee riconducibili ad atteggiamenti politico-sociali caratterizzati dalla "tolleranza zero" che sembra abbiano favorito l'affermazione di una pervasiva cultura del controllo. Il percorso conoscitivo è strutturato in quattro capitoli. Nel primo, si procede ad una problematizzazione dei processi di globalizzazione alla luce del diffondersi di nuove politiche di controllo ispirate al modello della "Tolleranza Zero" nel contesto europeo e italiano. Nel secondo capitolo, dopo una ricostruzione anche storica del concetto di controllo sociale, si apre una riflessione sulle conseguenze culturali e sociali legate allo sviluppo di specifiche dinamiche di punitive nelle società contemporanee. Che rapporto c'è tra l'avanzare di un certo tipo di globalizzazione (il riferimento è al carattere neoliberista) e il diffondersi di una pervasiva cultura del controllo? Questo è l'interrogativo che congiunge il secondo capitolo al terzo, dedicato essenzialmente alla tematizzazione del passaggio dalla sorveglianza moderna alla New Surveillance. Infatti, nella diffusione senza freni dei molteplici dispositivi di sorveglianza si scorge il volto di una nuova società disciplinare. In questa direzione, appare interessante il progetto Big Brother Viewer, che prevede la mappatura delle telecamere di videosorveglianza in numerose città italiane, uno dei simboli più comuni della sorveglianza e del controllo. Una situazione che invita a riflettere sul bisogno diffuso di sicurezza, spesso istituzionalmente indotto. Il lavoro si conclude con un quarto capitolo dedicato alle conseguenze sociali e culturali dei processi descritti nei capitoli precedenti. Si nota che il concetto di sicurezza risulta associato alla paura, talvolta infondata, della criminalità. Una situazione che genera effetti trasformativi sulle abitudini di vita delle persone, sempre più insicure e timorose. Ma ciò che più preoccupa è la paura dell'altro, del "diverso" da "noi", che alimenta la rischiosa deriva del controllo continuo e della volontà di "sorvegliare" e "punire". This thesis work aims to question the social effects and consequences of certain control dynamics in global society. Specifically, it devotes attention to those contradictory aspects in the directions of development of contemporary societies that can be traced back to political-social attitudes characterised by "zero tolerance" which seem to have favoured the affirmation of a pervasive culture of control. The cognitive path is structured in four chapters. In the first one, we proceed to the problematization of globalization processes in the light of the spread of new control policies inspired by the "Zero Tolerance" model in the European and Italian context. In the second chapter, after an historical reconstruction of the concept of social control, there is a reflection on the cultural and social consequences of the development of specific dynamics of punishment in contemporary societies. What is the relationship between the advance of a certain type of globalisation (the reference is to the neoliberal character) and the spread of a pervasive culture of control? This is the question that links the second chapter to the third, which is essentially dedicated to the thematicisation of the transition from modern surveillance to New Surveillance. Indeed, in the unbridled spread of multiple surveillance devices, the face of a new disciplinary society can be seen. In this direction, the Big Brother Viewer project, which involves the mapping of video surveillance cameras in many Italian cities, one of the most common symbols of surveillance and control, appears interesting. A situation that invites reflection on the widespread need for security, often institutionally induced. The work ends with a fourth chapter dedicated to the social and cultural consequences of the processes described in the previous chapters. It is noted that the concept of security is associated with the sometimes unfounded fear of crime. A situation that generates transformative effects on people's increasingly insecure and fearful life habits. But what is most worrying is the fear of the other, of the "different" from "us", which feeds the risky drift of continuous control and the will to "supervise" and "punish".
RESUMO"A ouvir é que a gente se entende" é um ensaio que escrevi no início da minha pesquisa de doutoramento em 2012, estimulada pelo VIII encontro do Fórum Internacional Paulo Freire. Tudo começou em 2003 numa viagem que aproximou o Porto, Portugal e Salgueiro (Pernambuco), Brasil. Hoje, olhando para trás, percebo de que foi um momento de viragem, uma tomada de consciência sobre o que havíamos partilhado até então e sobre todas as oferendas que recebi da comunidade quilombola de Conceição das Crioulas durante a viagem a Salgueiro. Na bagagem transportava comigo não só os ensinamentos de Paulo Freire e a pedagogia crioula, que conheci na comunidade; mas também, um medo miudinho da responsabilidade que procurava assumir: queria ir viver na comunidade para estar lá, sentir o ritmo do dia a dia, ser pessoa capaz de assimilar o mundo que me rodeia procurando reinventar-me todos os dias nesta partícula que é global. Paulo Freire. Pedagogia crioula. Ouvir. Listening is how we understand each other ABSTRACT "By listening we understand" is an essay that I wrote at the beginning of my PhD research in 2012, catalysed by the VIII meeting of the Paulo Freire International Forum. It all started in 2003 on a trip that connected Porto in Portugal to Salgueiro in (Pernambuco), Brazil. Looking back today, I realize that this essay was a turning point, an awareness of what we had shared so far and all the offerings I received from the quilombola community of Conceição das Crioulas during the trip to Salgueiro. In my luggage I carried with me, not only Paulo Freire's teachings and creole pedagogy, which I learnt within the community but also a fear of the responsibility I sought to assume. I wanted to live in the community of Salgueiro to be there present, to feel the rhythm of its everyday life, and to be able to assimilate the world around me by attempting to reinvent myself daily in this tiny particle that is global.Paulo Freire. Crioula Pedagogy. Listening. Ad'ascoltare le persone si capiscono RIASSUNTO "Ad'ascoltare le persone si capiscono" é stato un picolo articolo che ho scrito mentre facevo le indagini l doutoramento nel 2012, dopo che o conosciutto , Paulo Freire in un evento scientífico. Nel 2003 fece un commento che avvicinava a Porto, Portogallo e Salgueiro (cittá di Pernambuco), Brasile. Hoje, guardando indietro, baluardo di quello che fu un momento di coscienza che avevamo collaborato a tutte le regali ricevuti dalla comunità Quilombola di Conceição de le Crioulas in un viaggio a Salgueiro. Nel bagaglio portava con mé gli ensegnamenti de Paulo Freire e la pedagogia crioula, che conubi ne la comunità. O sentito la responsabilità da assumere: volevo vivere, sentire i ritmo de le giornate, volevo esse una persona capace di sentire il mondo in torno a me, cercando de reinventarmi tutti i giorni. Paolo Freire. Pedagogia Crioula. Il Ascoltare. Escuchar: es como nos entendemos RESUMEN"Al escuchar entendemos" es un ensayo que escribí al comienzo de mi investigación de doctorado en 2012, catalizado por la VIII reunión del Foro Internacional Paulo Freire. Todo comenzó en 2003 en un viaje que conectaba Oporto en Portugal con Salgueiro en (Pernambuco), Brasil. Mirando hacia atrás hoy, me doy cuenta de que este ensayo fue un punto de inflexión, una conciencia de lo que habíamos compartido hasta ahora y todas las ofertas que recibí de la comunidad quilombola de Conceição das Crioulas durante el viaje a Salgueiro. En mi equipaje llevé conmigo, no solo las enseñanzas y la pedagogía criolla de Paulo Freire, que aprendí dentro de la comunidad, sino también el temor a la responsabilidad que quería asumir. Quería vivir en la comunidad de Salgueiro para estar presente, sentir el ritmo de su vida cotidiana y asimilar el mundo que me rodea intentando reinventarme diariamente en esta pequeña partícula que es global. Paulo Freire. Pedagogía Crioula. Escuchando.
La narrazione dei fatti di Genova, oggetto di analisi giornalistiche, pubblicazioni e letture effettuate dal Movimento per la globalizzazione dal basso e dalle realtà politiche che da questo sono nate o da cui si sono dissociate, ha attraversato l'ultimo quindicennio. L'evento costituito dalla contestazione al Vertice G8 del 2001 ha determinato un elemento di novità, anche a causa dei suoi risvolti tragici, rispetto alla storia recente dei movimenti e della protesta di piazza. La novità non è costituita soltanto dagli eccessi violenti che lo hanno caratterizzato, ma dal suo essere elemento di rottura di una tradizione che aveva ritenuto raggiunta, fino al 20 Luglio del 2001, la capacità di gestione della protesta e di relativa pacificazione sociale, condizioni che i decenni precedenti sembravano avere consolidato. In questo lavoro il racconto dei fatti si intreccia con analisi di carattere tecnico, sociale e politico, allo scopo di sezionare le diverse problematiche che essi comportano per lo sguardo di un osservatore esterno e che non possono essere studiate se non in rapporto tra loro. Ciascuna criticità che viene individuata, dalle scelte effettuate in campo politico-istituzionale o movimentista, a quelle operate nell'organizzazione logistico-militare, deve essere letta attraverso diversi filtri e rielaborata con gli strumenti che la psicologia sociale, la storiografia e in parte la giurisprudenza mettono a disposizione. Andando con ordine la mia ricerca ha dapprima individuato il contesto socio-politico al cui interno si sviluppano le istanze della contestazione. Le politiche economiche degli Stati dell'emisfero occidentale, mediante l'azione di organismi sovra-nazionali, intervengono poi su economie più deboli, che si affacciano timidamente sulla scena del mercato economico ed industriale mondiale, a cui vengono imposte condizioni di partecipazione che ne determinano l'immobilità economica e inibiscono lo sviluppo culturale e sociale al loro interno. La caduta delle divisioni tra i blocchi permette alle politiche dei mercati del "mondo libero" di dilagare e riempire i vuoti lasciati dal blocco sovietico. Dall'analisi degli effetti collaterali dell'economia globale e del governo degli organismi sovra-nazionali come World Trade Organization e Banca Mondiale nasce l'opposizione contro il sistema liberista, colpevole agli occhi del Movimento in nascita di determinare un divario incolmabile con il sud del mondo e i paesi in via di sviluppo, le cui economie sono schiacciate dal peso di interessi insolvibili e la qualità della vita è compromessa dall'imposizione dei Piani di Aggiustamento Strutturale che costituiscono una pesante ingerenza nell'ambito delle politiche interne, il cui rispetto diventa una condizione indispensabile per l'accesso ai fondi monetari. Le contestazioni pubbliche e dirette alle riunioni di Fondo Monetario Internazionale, World Trade Organization e Banca Mondiale si estendono a quelle contro i Vertici G7 e G8, conferenze informali nel cui ambito vengono discusse le prospettive e le strategie politiche degli Stati membri. Nel 1999 il Movimento irrompe sulla scena mediatica mondiale in occasione della contestazione e dell'interruzione della riunione annuale della WTO a Seattle, il luogo che battezzerà il movimento mondiale contro la globalizzazione "Popolo di Seattle". Alla contestazione di Seattle ne seguono numerose altre che prendono di mira tutti i vertici in programma in qualsiasi luogo del Pianeta. Nel 2000 viene decisa la sede che ospiterà il G8 2001: Genova. L'appuntamento Genovese è di difficile organizzazione per diverse ragioni: la scelta fa sorgere diversi dubbi relativi alla gestibilità del territorio da un punto di vista logistico e da quello difensivo. L'urbanistica della città ha uno sviluppo lineare; vengono previste "zone di rispetto" alle quali viene fortemente regolarizzato l'accesso. La chiusura del centro storico genovese determina una potenziale paralisi, pregiudicando i collegamenti fra le due riviere di Levante e di Ponente. Altri dubbi vengono sollevati rispetto all'opportunità di sostenere il vertice all'interno di un centro abitato piuttosto che in zone meno popolate o raggiungibili e le contestazioni di altre conferenze che si svolgono parallelamente ai lavori organizzativi aumentano gli scetticismi. Le zone di rispetto vengono ridefinite e modificate alcune volte, le delegazioni vengono ospitate tutte all'interno della Zona Rossa, il cuore del sistema difensivo della città. Parallelamente si cerca di costruire un dialogo con il Movimento, che nel corso del 2000 si struttura in un coordinamento di respiro internazionale, denominato poi Genoa Social Forum, dal nome del Social Forum Mondiale tenutosi a Porto Alegre qualche mese prima. Al coordinamento aderiscono centinaia di sigle dell'associazionismo e della politica non istituzionale di tutto il Globo. La crescita numerica e l'impatto politico del Movimento preoccupano le istituzioni responsabili dell'organizzazione del Vertice tanto da pensare in alcuni momenti di vietare qualsiasi manifestazione all'interno del territorio genovese. Nel frattempo l'apparato difensivo viene organizzato nei minimi dettagli: si procede alla schedatura degli abitanti residenti, si progetta un sistema di isolamento della Zona Rossa attraverso l'installazione di reti metalliche, si prevede lo schieramento di unità antiaeree, viene predisposta la sospensione del trattato di Shengen, si procede all'addestramento degli uomini da impiegare in servizio di Ordine Pubblico e l'aggiornamento dei materiali in dotazione. Gli aspetti organizzativi e le scelte operate nella fase preparatoria hanno costituito il punto focale di questa analisi, procedendo dalle tesi della sociologa Donatella Della Porta, riguardanti le strategie di gestione dell'Ordine Pubblico storicamente applicate in Italia e all'estero. Dalla lettura dei fatti è emerso come la scelta del modello di approccio si sia rivelata in assoluta controtendenza rispetto a quello adottato nei decenni precedenti. È in questo aspetto, nel sostrato culturale interno alle Forze dell'Ordine e nell'escalation della tensione conseguente all'impostazione delle trattative con gli interlocutori di Movimento che si devono rintracciare le cause degli eccessi che hanno connotato le giornate del G8 del 2001. In particolare dalla narrazione e dallo studio delle fonti è stato possibile estendere il concetto di "sapere di polizia" definito dagli studi di Della Porta, fino a comprendere al suo interno paure, pregiudizi e generalizzazioni diffusi in una larga parte della cittadinanza; dall'incontro di categorie frutto di una cultura professionale e di un'esperienza maturata specialmente nel contrasto al fenomeno degli hooligans, con quelle prodotte dalle cronache dei mass media deriva il processo di deumanizzazione e creazione del nemico che producono e legittimano di fatto la deriva violenta dell'Ordine Pubblico.
L'obiettivo di questa tesi dottorale è sottoporre ad analisi la precoce e progressiva dinamica di "razzializzazione" della società coloniale messicana. Quella della Nuova Spagna del XVI e della prima metà del XVII secolo era una società che si caratterizzò sin dai suoi esordi per la sua estrema diversità culturale e biologica, con le popolazioni indigene mesoamericane, africane, europee e asiatiche che diedero vita ad un processo conosciuto nel mondo storiografico come mestizaje che rifletteva i caratteri di questa nuova società culturalmente e biologicamente eterogenea. Questa ricerca dottorale nasce a partire dall'osservazione di questo fenomeno e insiste sulla necessità di analizzare il progressivo processo di razzializzazione della società novoispana tra XVI e XVII secolo. Il tribunale dell'Inquisizione messicano, istituzione religiosa e politica al medesimo tempo, funge da terreno privilegiato di esplorazione del contesto sociale della Nuova Spagna. Il Sant'Uffizio attraverso il suo articolato reticolo di commissari e familiares fu in grado di raccogliere delazioni, accuse e confessioni: una ricchissima documentazione oggi conservata a Città del Messico. La lettura di processi e denunce ci rivela informazioni preziose circa temi quali composizione sociale, percezione dell'altro e della diversità umana e culturale, propagazione di pratiche di discriminazione su basi etniche e religiose che a volte assunsero la forma di manifestazioni di razzismo ben prima della sua teorizzazione scientifica. Tutto questo non attraverso i testi dei grandi pensatori del tempo bensì tramite i pensieri e le parole della gente comune. Fine ultimo della tesi, quindi, non è presentare una storia "razziale" dell'Inquisizione, ma esaminare la diffusione di stereotipi, pregiudizi, discriminazioni attraverso la ricostruzione di storie afromessicane translocali con un approccio metodologico che si rifà alla tradizionale microstoria italiana in un nuovo terreno di più ampie connessioni e comparazioni a livello atlantico e in parte globale nell'epoca della mondializzazione. ; This doctoral dissertation aims to analyze the progressive process of racialization of colonial Mexico society. New Spain society between the sixteenth and seventeenth century was characterized by a deep cultural and biological diversity, thanks to the Mesoamerican indigenous populations, Africans, Europeans and on a smaller scale Asians which gave life to a process historiographically known as mestizaje, which revealed the features of this new culturally and biologically mixed society. This doctoral research stems from the observation of this phenomenon and insists on the need to study the process described above. The Mexican Inquisition, a religious and political institution at the same time, acts as a rich field of observation of New Spain social context. The Holy Office, thanks to its network of commissioners and familiares, was able to collect a great deal of denunciations, charges, and confessions: an extremely rich archive stored nowadays in Mexico City. On the one hand, the reading of these trials reveals precious information about the social composition, the perception of the other as well as the cultural and human diversity. On the other hand, it allows to reflect on the spread of discrimination practices based on ethnical and religious reasons which sometimes acquired the shape of displays of racism long before its scientific theorization. As a result, this doctoral thesis aims to analyze the dissemination of stereotypes, prejudices, and discriminations through the reconstruction of trans-local Afromexican microhistories, thanks to a methodological approach which relates to the traditional Italian microhistory in a new field of broader connections in the age of the mondialisation of the world.
In tempi di crisi, la voglia di immaginare un futuro migliore e diverso prende il sopravvento. A partire dagli sconvolgimenti politici e sociali del '68 passando attraverso le crisi sistemiche del 1970 e ad ogni crisi da allora, le città europee hanno assistito a fenomeni di "riappropriazione" di spazi fisici urbani che sono stati sperimentati da movimenti sociali e volontariamente appropriati poi come pratiche dal basso dagli abitanti delle citta` che hanno utilizzanto la "occupazione" come una tattica legittima di protesta. Le pratiche di riappropriazione, sono state inoltre messe in pratica dalla cittadinanza insorgente, negli ultimi decenni, per resistere alla crisi dello stato sociale e individuare strategie alternative per dare risposta a problemi nella fornitura di alloggi a canoni accessibili, al numero crescente di senzatetto, e alla mancanza di spazi pubblici per la socialita` che non siano associati al consumo, problematiche che segnano la società contemporánea. Questi problemi in parte legati alla riduzione degli spazi pubblici e' andata crescendo paradossalmente insieme alla produzione costante di spazi vuoti. L'ennesima crisi di oggi ha riaperto la questione da una prospettiva globale a partire dall'emergere del movimento Occupy, che incarna una serie di dinamiche di "(ri)appropriazione insorgente" dello spazio pubblico promosso da una nuova configurazione della cittadinanza attiva. Negli ultimi anni, allo stesso tempo, mentre molti "spazi interstiziali" venivano "recuperati" dal basso, molti di questi venivano incorporati nelle strategie e discorsi dominanti dello sviluppo urbano e la maggior parte di essi sono stati repressi o sono in procinto di essere chiusi da una ofensiva su vasta scala contro ogni forma conflittuale di dissenso non autorizzata. La tesi tenta di analizzare il potenziale democratico che è inteso nella negoziazione di queste pratiche del dissenso cosiderate come elementi potenziali di sviluppo urbano dal basso. Il cambio di prospettiva nella comprensione di questi fenomeni, intesi non solo piu' come legali o illegali ma analizzati dal punto di vista della legittimita' e della capacita' di intercettare il bene comune, risulta fondamentale per aprire un dibattito sulla possibilita' di individuare strumenti capaci di introiettare alcune di queste pratiche nelle forme piu' tradizionali della pianificazione. ; In times of crisis, the urge to imagine a better and different future gets the upper hand. Since the political and social upheaval of '68 through the 1970's systemic crisis and at every crisis since, European cities faced a phenomenon of "reclaiming" of urban physical spaces that was carried on by social movements and wilfully appropriated by citizens using "occupation" as a legitimate tactic of protest. In addition to that, insurgent citizenship, in the last decades, have developed reclaiming strategies to resist to the welfare state crisis and the problem in the provision of housing, the homelessness, and the lack of social space that mark contemporary society, paradoxically increasing together with the constant production of vacant spaces. Today's umpteenth crisis reopened the issue from a global Occupy movement perspective, embodying a series of dynamics of "insurgent (re)appropriation" of public space fostered by a new configuration of active citizenship. In the last years, at the same time a lot of "interstitial spaces" are being reclaimed, many of them are being incorporated in the city development strategies and discourses and most of them are in the process of being shut down by a large scale offensive against conflictive and non-authorized actions of dissent. These coercive and incorporating processes seems to be pushed by property developers' and local and extra-local elites, so central in the neoliberal urban development strategies. In fact, in the last decade, new laws and policies have been deliberately constructed on one side to defend both the private property and interests to the detriment of new dynamics of collective action that spontaneously proliferated in urban contests, on the other side to gradually harness these creative, unplanned, dynamic and alternative "temporary uses of space" into urban development policies and city marketing discourses. Looking back in time over the past thirty years, the processes of re-appropriation of space linked to urban social movements (claiming social rights or the definition of new political and cultural identities) have been a characteristic feature of the development of many cities in the advanced capitalist societies (Holm, Kuhn, 2011) and have given rise to interesting experiences of participation from the point of view of the social practices of selforganization and self-empowerment. Nevertheless, I argue that the inherent "generative" and "evolutionary" potential of these bottom-up strategies was hidden or not fully understood. These performative practices embody "Dissent" in the moment in which they start to challenge the status quo (the existing structure of norms, values […] and especially authorities that underwrite the present ways of doing things) (Shiffrin, 2000) and therefore these practices are adversarial to the idea of "consensus". Indeed, now is even more important to identify sort of legitimation tool to empower those "informal actors' practices" and learn to know and recognize these practices of "self-made city" understanding them as a legitimate expression of a "right to the city", implemented by a part of civil society whose instances, although minoritarian, have the right to be heard and negotiated in the city's transformation processes. It results crucial for the definition of more mature democratic approaches capable to include a "conflictive consensus" (Mouffe). This research aims to investigate the inherent potential of the "insurgent practices" seen as on-going experiments of self-organization, presenting these "state of exception proclaimed from the bottom" (Virno, 2012), and practices developed within these conditions, as silent driving forces behind the evolution and production of new urban policies and practices. These "practices of freedom" (Foucault, 2002) or "Spaces of hope" (Harvey, 2001) are the places where alternative politics can be both devised and pursued. Within such frame, the research also addresses the question of how the strategies developed by "informal actors" (re)appropriating public urban spaces have been or could be able to influence the agenda of urban planning and urban policies, and what happen when these practices are institutionalized. Indeed, the comprehension of the dissent's procedural efficacy looks important from the perspective of democratic theory because of «its ability to oblige people to rethink their own views, conceptions, and underlying assumptions, especially when those other views challenge the status quo» (Martin, 2013). These bottom-up strategies of production of space, (re)claiming urban vacant spaces for public purposes, besides reveal the inherent political and imaginary potential of these "indeterminate" spaces, produce symbolic/political contents that make "visible" abandoned places in the urban geography of the citizens' everyday life. Moreover, they define a space of counter-power from where push for the rights to the city's "evolution", more than for "revolution" - that implies the substitution of an hegemonic order with a new one (Newman, 2011). On the other side, considering that dissent often end up being manipulated by defenders of the status quo through the definition of a set of strategies that incorporate, co-opt, commodify or neutralize the adversarial practices and discourses (Mouffe, 2012) and incorporate them in the hegemonic strategies, how can we define who influences whom in this process? This analysis entails, then, the unfolding of strategies defined in the confrontation between configuration of power and counter-power positions, hegemonic and counter-hegemonic models, "having rights" and "having-not" (Arnstein, 1969) and this is why this analysis looks crucial for a deep understanding of issues related to forms of democracy and democratic participation, contrasting manipulation and reaching real citizen empowerment.
Il 10 marzo 2015 la Camera dei Deputati ha approvato, in prima deliberazione, il disegno di legge costituzionale che reca: «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». Una così ampia e incisiva revisione dell'architettura istituzionale della nostra Repubblica, secondo quanto emerge, seppur sommariamente, dalla rubrica del citato disegno di legge costituzionale, non può non richiamare alla memoria le analoghe riforme già recate dalle ll.cost. 1/1999 e 3/2001, che da meno di tre lustri hanno già revisionato interamente il titolo V della parte II della Costituzione, nonché l'ancor più recente e fallito tentativo del 2005 di riformare ulteriormente il rapporto fra lo stato e le regioni, accentuando maggiormente il ruolo di queste ultime. Una così serrata sequela di riforme costituzionali, aventi ad oggetto il medesimo tema del rapporto fra stato, regioni e autonomie territoriali, dipanatesi in un arco temporale relativamente breve di quindici anni, sono indice evidente dell'esistenza di una crisi che affligge il nostro stato regionale. Il presente lavoro si propone quindi, nella prima parte, di comprendere l'origine di questa crisi, compiendo un'analisi storica del dibattito giuridico, politico e istituzionale, che portò alla nascita delle regioni, dalle tesi confederali e federaliste preunitarie al processo costituente del 1946, tracciandone quindi l'evoluzione storica successiva, così come emerge dalla legislazione attuativa del titolo V della parte II della Costituzione, nonché dalle riforme costituzionali del 1999 e del 2001, tuttora in vigore, per giungere poi ad un'analisi critica della fallita riforma costituzionale del 2005, bocciata con referendum nel 2006 dal corpo elettorale. Vengono quindi illustrati criticamente gli ulteriori progetti di riforma, presentati nel corso delle legislature XV e XVI, che tuttavia non sono mai giunti in porto, per mutamenti successivi delle maggioranze politiche, che li avevano inizialmente condivisi. Si giunge infine a valutare se il disegno di legge costituzionale, attualmente proposto dal governo Renzi, nel testo modificato e approvato dalla Camera dei Deputati il 10 marzo 2015, possa o meno rappresentare una valida soluzione al problema del regionalismo italiano, rimasto fino ad oggi sostanzialmente incompiuto. Mai come ora, infatti, si rende opportuna una radicale riforma del Senato, che non si limiti semplicemente a dare un taglio, senz'altro necessario, ai costi della politica, attraverso la riduzione del numero dei senatori o del loro trattamento economico, ma che consenta soprattutto alle nostre autonomie territoriali di ottenere, finalmente, una voce in capitolo nelle scelte importanti del nostro Paese, che le riguardano più da vicino. L'accresciuta espansione delle competenze legislative esclusive dello stato negli ambiti materiali cosiddetti trasversali, che incidono profondamente nelle competenze legislative delle regioni – come la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garanti su tutto il territorio nazionale, ai sensi della lettera m) del secondo comma dell'art. 117 cost. – ha reso fortemente invasiva l'ingerenza dello stato centrale nell'autonomia politica e finanziaria delle regioni e degli altri enti territoriali, in settori nei quali essi svolgono un insieme di attività molto importanti per la piena riuscita del nostro moderno stato sociale – si pensi ad esempio all'assistenza sociale o a all'assistenza sanitaria. Ciò ha fatto sì che nel nostro stato composto, la rappresentanza delle regioni e delle altre autonomie territoriali in seno al cosiddetto sistema delle Conferenze – Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Stato-Città e autonomie locali, Conferenza unificata – non sia più sufficiente a garantire un adeguato livello di dialogo politico fra il centro e la periferia e di concorso comune nell'assunzione delle decisioni più importanti, che devono tradursi in provvedimenti legislativi. Non può sfuggire, infatti, la considerazione che il sistema delle Conferenze risulta incardinato in seno al Governo, ovvero in seno all'organo che detiene il potere esecutivo, mentre sempre più spesso le nostre autonomie territoriali si trovano a dover dare attuazione ad importanti provvedimenti legislativi, che tuttavia vengono "calati dall'alto", poiché sono assunti in seno al Parlamento, supremo organo legislativo, all'interno del quale, ad oggi, non esiste una loro rappresentanza. Il presente studio, pertanto, vuole mettere in evidenza quanto mai come ora si rende non più procrastinabile in Italia una seria riforma della seconda Camera del Parlamento e dei procedimenti legislativi che hanno ad oggetto materie di rilevante importanza per il nostro ordinamento regionale. L'inarrestabile processo di globalizzazione, che caratterizza il mondo contemporaneo, se da un lato frantuma i vecchi stati nazione, schiacciandoli dall'alto con fenomeni economici e sociali, che trascendono i loro confini statali e non sono più controllabili da parte dei singoli governi, attraverso l'impiego delle vecchie politiche nazionali, dall'altro lato disgrega dal basso i vecchi stati nazione, rafforzando l'identità delle comunità locali e il loro bisogno di autogoverno. Come se ciò non bastasse, nell'attuale contesto politico e sociale, reso di per sé già complesso da governare, si è aggiunta anche una crisi economica senza precedenti, che imperversa ormai da decenni e che costringe i governi nazionali e locali a far quadrare i propri conti, con una spesa storica difficile da contenere e con entrate fiscali via via sempre più esigue. Tutto ciò non può non influire sul tentativo di realizzare in Italia quel "federalismo" fiscale, così vagheggiato dalla l. 42/2009, emanata in attuazione del art. 119 cost., come novellato nel 2001. I decreti legislativi attuativi della citata legge di delega si sono purtroppo scontrati con l'attuale crisi economica e finanziaria che, richiedendo provvedimenti continui di risanamento della finanza pubblica, ha causato uno snaturamento tale degli obiettivi di partenza, da suscitare in dottrina seri dubbi sulla possibilità di assicurare concretamente l'auspicata autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni, nell'ottica del superamento del dualismo economico del Paese. Prendendo, dunque, le mosse dalle suddette considerazioni, nella seconda parte del presente lavoro si effettua una comparazione diacronica fra il modello di stato regionale e il modello di stato federale e in particolar modo fra lo stato regionale italiano e lo stato federale tedesco, al fine di evidenziare le analogie e le differenze nell'evoluzione storica dei due ordinamenti, sotto i due diversi profili della distribuzione delle competenze fra il centro e la periferia e della ripartizione delle risorse fra il livello di governo centrale e i livelli di governo territoriali substatuali. L'analisi comparata mette quindi in luce che l'Italia – e, con essa, gli ordinamenti di tipo composto – corre oggi il rischio che la grave crisi economica, che imperversa a livello globale, possa portare il governo centrale a fare dell'equilibrio di bilancio e del contenimento della spesa pubblica i suoi principali obiettivi, da raggiungere eventualmente anche a discapito della diversità delle politiche e delle soluzioni normative, che possono essere messe brillantemente in campo dai livelli di governo territoriali periferici, nella tutela dei principali diritti civili e sociali dei cittadini. Il pericolo che corriamo oggi, in ultima analisi, è quello che le politiche dei governi, rivolte al solo contenimento della spesa pubblica, senza considerare il rilancio dell'economia e soprattutto senza valorizzare quegli istituti che incentivino una gestione responsabile della finanza pubblica da parte degli amministratori, portino dietro con sé il rischio che si regredisca nella tutela di quei diritti civili e sociali, che sono stati le grandi conquiste del Novecento.
Il lavoro stipendiato domestico è uno dei settori lavorativi più vulneranti in Bolivia. Manifestazione pratica del passato, questa occupazione predominantemente femminile dispone condizioni che occasionalmente ricordano il periodo coloniale: aberranti pratiche di sfruttamento, discriminazione e maltrattamenti sono parte costitutiva delle esperienze di molte di queste donne. Il dibattito pubblico attorno a questa questione sociale non è recente. La formazione di organizzazioni che si rivolgono alle lavoratrici domestiche ha segnato un punto di svolta fondamentale nel conseguimento dei diritti storicamente negati. Tuttavia, le disuguaglianze presenti nella normativa e la reticenza della società ad attuare le nuove tutele, derivano in uno scenario nel quale sussistono diverse forme di precarietà lavorativa. La seguente ricerca analizza questo stato della situazione. Più nello specifico, fornisce spiegazioni plausibili sui motivi della persistenza e della riproduzione di queste condizioni critiche. La tesi si inquadra come una ricerca sperimentale di tipo qualitativo. L'analisi svolta si basa sui dati ottenuti attraverso la realizzazione di interviste in profondità a lavoratrici domestiche e a datori di lavoro della città di La Paz. A partire dell'uso di metodi di analisi di contenuto, i dati sono stati sistematizzati in codici e categorie che rispecchiano i connotati delle partecipanti. Per studiare i processi che si trovano all'origine della persistenza di queste condizioni, si è fatto ricorso all'opera di Pierre Bourdieu e di Arlie Hochschild. Si assume, da un lato, che i concetti di campo, capitale habitus e violenza simbolica della teoria buordessiana permettano di mettere in luce le oscurate pratiche di dominazione che sono alla base della particolare situazione in cui vertono le lavoratici. D'altro canto, l'utilizzo della teoria sociologica delle emozioni di Hochschild aiuta a comprendere con maggiore chiarezza alcune delle relazioni che si instaurano fra i membri della famiglia dei datori lavoro e la lavoratrice. In concreto, i risultati evidenziano che nel corso della vita delle partecipanti operano una serie di meccanismi che mantengono e riproducono le condizioni di inuguaglianza sociale e della precarietà lavorativa. Per rendere più comprensibili questi processi si è deciso di ripartirli in due periodi analitici. La distinzione fra le due tappe si riferisce agli elementi comuni presenti nella progressione temporale dei relati. Il primo periodo corrisponde agli eventi in relazione ai quali si procedette all'elezione delle partecipanti per questa occupazione e alle prime esperienze di socializzazione con il lavoro. Si evidenzia, per esempio, come la possessione di uno scarso volume globale di capitale (economico, culturale, sociale e simbolico) da parte della lavoratrice e della propria famiglia determina la loro pronta uscita del nucleo familiare e la loro inserzione in un lavoro che riprodurrà questa stessa condizione. Nello stesso senso, l'analisi dell'insegnamento delle faccende domestica alle lavoratrici rivela come dietro a questa pratica apparentemente innocua si nasconde un atto di socializzazione delle differenze simboliche che naturalizzano la divisione sessuale, generazionale e razziale del lavoro produttivo, e con ciò, determinano le posizioni di dominante e dominato all'interno del campo domestico. Il secondo periodo copre eventi più recenti. Si studia la consolidazione della relazione fra la lavoratrice e il datore di lavoro e, in particolare, si descrive come la costruzione di forti legami emotivi possa comportare effetti positivi o negativi. Si presenta, anche, come la violenza psicologica e fisica, messa in atto attraverso pratiche di discriminazione e disprezzo, si manifestino come la modalità più crudeli della socializzazione simbolica della distinzione. Aldilà di ciò, la stesura include l'analisi di come l'azione dei sindacati e l'incremento delle capacità di agency delle lavoratici provochino mutamenti significativi nelle condizioni lavorative e sociali delle suddette. I diversi nodi messi a comparazione rendono questo un campo d'indagine complesso. La persistenza di inuguaglianze tra le lavoratici domestiche, nonostante i cambiamenti, avverte della necessità di creare un dibattito pubblico attorno alla formalizzazione delle condizioni lavorative dell'impiego domestico, sul ruolo dello Stato, sul perdurare di una mentalità coloniale e, in generale, sull'inesistente divisione equitativa delle attività di cura fra uomini e donne.
Il settore del gas e del petrolio ha assunto un ruolo particolarmente importante nell'economia di tutti i Paesi del Mondo da quando l'umanità ha scoperto come utilizzare tali risorse per creare energia, tanto da riuscire letteralmente a rivoluzionare il modo con cui, ad esempio, poter produrre beni, generare servizi, trasportare cose e persone, riscaldare gli edifici. Lo è tuttora nell'economia moderna, dove però riveste un ruolo alquanto controverso, soprattutto a causa delle contraddizioni presenti nella situazione odierna: le imprese appartenenti a questo settore (e più in generale, a quello energetico) sono invogliate dalla collettività a garantire a tutti un adeguato accesso all'energia; un obiettivo non facile da raggiungere, dal momento che si prevede che entro il 2040 il fabbisogno energetico possa aumentare di circa il 30%, considerando che la popolazione mondiale potrebbe crescere dagli attuali 7,5 ai 9 miliardi entro i prossimi vent'anni, e che la maggiore domanda di energia proverrà soprattutto dalle Nazioni non appartenenti all'area OCSE, in cui il consumo energetico pro capite odierno è relativamente basso ma è destinato ad aumentare rapidamente, grazie alla rivendicazione di un più alto tenore di vita richiesto appunto dalle popolazioni di questi Paesi . Eppure, l'enorme sfruttamento del gas e del petrolio (insieme al carbone) per produrre energia ha provocato nel pianeta numerosi danni (primo fra tutti, il cambiamento climatico) di una gravità tale da spingere gli stessi Governi di quasi la totalità degli Stati esistenti ad intervenire per cercare di ridurne l'utilizzo, non solo singolarmente, ma anche attraverso organi internazionali. Il Protocollo di Kyoto è stato il primo trattato internazionale a difesa dell'ambiente: sottoscritto nel 1997 ma entrato in vigore dal 2005, impegna ancora oggi i Paesi sottoscrittori (in quanto è stato prolungato fino al 2020) ad una riduzione quantitativa delle proprie emissioni di gas ad effetto serra rispetto ai propri livelli di emissione del 1990, espressi come livelli di emissioni che sono consentite in un certo periodo temporale: per fare questo, ogni Paese è tenuto a realizzare un sistema nazionale di monitoraggio delle emissioni ed assorbimenti di gas ad effetto serra da aggiornare annualmente, insieme alla definizione delle misure per la riduzione delle emissioni stesse . Inoltre, consente ai Paesi che hanno prodotto meno anidride carbonica di quella pianificata (emissioni che quindi sarebbero state consentite, ma che non sono state utilizzate) di vendere tali quote in eccesso ai Paesi che superano i loro limiti, oppure di attuare – in altre Nazioni – opere che migliorino l'aspetto energetico e ambientale. O ancora, nel 2015 l'ONU ha fissato, tra i 17 Global Goal (o Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, ripresi dagli "Obiettivi di Sviluppo del Millennio" elaborati quindici anni prima), diversi obiettivi fondamentali che interessano tutti i Paesi membri, tra cui la chiara intenzione di andare a contrastare il mutamento climatico (attraverso l'Obiettivo 7: energia rinnovabile e accessibile; Obiettivo 11: città e comunità sostenibili, Obiettivo 12: utilizzo responsabile delle risorse, Obiettivo 13: lotta contro il cambiamento climatico) . Questi e altri interventi hanno portato alla realizzazione di progetti che sono già stati concordati da quasi tutti gli Stati del Mondo, volti a frenare l'utilizzo di tali risorse: uno dei più importanti è l'Accordo di Parigi, che definisce un piano d'azione globale volto ad evitare che il surriscaldamento globale provocato dalle emissioni dei combustibili faccia alzare la temperatura del pianeta di 2° C rispetto ai livelli preindustriali. Il cambiamento climatico è diventato un tema così rilevante nello sviluppo e nella crescita delle economie moderne, che è stato richiesto a qualsiasi impresa o gruppo di grandi dimensioni qualificabile come "ente di interesse pubblico" l'obbligo di redigere e pubblicare non più solo i propri bilanci d'esercizio o quelli consolidati, ma pure altri documenti che hanno poco a che fare con i temi finanziari. Tali documenti permettono a questo tipo di imprese di comunicare in modo più dettagliato e trasparente a tutti gli stakeholder la mission su cui si fondano, i piani che stanno adottando e le strategie che hanno intenzione di seguire. Primo fra tutti è il bilancio di sostenibilità, il quale ha come finalità quella di rendere conto dell'impatto che le loro attività hanno sul contesto sociale e ambientale e per il quale tali società risultano quindi essere responsabili. Ovviamente, tutte queste fonti possono essere considerate come un modo per poter attirare l'attenzione (e i capitali) dei possibili investitori e consumatori presenti sul mercato, ma in questo elaborato saranno prese in considerazione in quanto semplicemente forniscono la maggior parte delle informazioni che verranno utilizzate per poter fare delle analisi di bilancio con le quali capire l'andamento odierno e futuro di tali gruppi. Il compito che questa tesi si prefigge di realizzare è quello di andare ad analizzare la situazione economico-finanziaria di Eni, una delle imprese più importanti del settore del gas e del petrolio, considerando pure le strategie che ha deciso di implementare per poter restare sul mercato, così da poter comprendere innanzitutto se tale società sta subendo maggiormente delle ripercussioni negative in termini di performance conseguita (a causa delle politiche a favore della decarbonizzazione e ad un orientamento più incline all'utilizzo delle energie rinnovabili) oppure quelle positive (dovute all'incremento della domanda di energia che verosimilmente verrà richiesta in futuro, dato l'aumento previsto della popolazione mondiale, e che dovrà necessariamente essere soddisfatta). Inoltre, per quanto riguarda più specificamente le possibili strategie che la società considerata ha intenzione di mettere in atto per difendersi da eventuali azioni e procedimenti punitivi stabiliti dagli ordinamenti dei territori in cui opera per lo sfruttamento di gas e petrolio, si cercherà di comprendere quanto siano seri i tentativi con cui quest'azienda sta cercando di concretizzare la cosiddetta transizione energetica anche all'interno del proprio core business, evidenziando come la realizzazione di piani sostenibili e rispettosi dell'ambiente possa trovare un enorme consenso e apprezzamento da parte degli azionisti e in generale da parte dei vari stakeholder con cui i gruppi che fanno parte del settore del gas e del petrolio hanno a che fare, sia dal punto di vista del profitto ottenibile che della reputazione guadagnata.
La crescente consapevolezza dei limiti naturali imposti dall'ecosistema ha fatto emergere un progressivo consenso in merito a una nuova visione di sviluppo, nella quale i principi di sostenibilità ed efficientamento energetico sono integrati nei quadri di riferimento strategici nazionali e regionali e nelle politiche di settore. I cambiamenti climatici rappresentano infatti un fenomeno attuale di consistente entità e negli ultimi decenni è aumentata, in misura sempre più importante, l'attenzione verso l'ambiente e, più in dettaglio, per il riscaldamento globale, causato dall'enorme quantitativo di emissioni di gas serra rilasciate nell'atmosfera e derivanti da un'attività umana ricca di sprechi e di inefficienze. Il problema ambientale è strettamente legato a quello energetico e quest'ultimo, considerato uno dei settori maggiormente responsabile delle emissioni di gas climalteranti, risulta uno dei nodi che deve essere affrontato e risolto in tempi brevi, per contenere i danni recati al nostro pianeta. Risulta fondamentale trovare modelli di sviluppo più sostenibili e investire in risorse e tecnologie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Per far ciò è necessario delineare percorsi e azioni che promuovano l'efficienza energetica e l'utilizzo di fonti rinnovabili, da compiere sia individualmente che collettivamente. Secondo dati recenti più della metà della popolazione mondiale vive all'interno degli insediamenti urbani. Le proiezioni di crescita degli agglomerati urbani, secondo le previsioni dei World Urbanization Prospects, portano a stimare che, nel 2030, il 60% della popolazione totale (stimata intorno a 8,5 miliardi di persone) sarà urbanizzata fino a raggiungere il livello del 70% nel 2050. Assume sempre maggiore importanza, quindi, la problematica della stretta interdipendenza tra città e ambiente globale che era tipica essenzialmente dei paesi più industrializzati quali l'Italia ma, che ora, si è estesa anche ai paesi più popolosi della terra con conseguenze facilmente immaginabili sugli impatti ambientali. Si stima infatti che il 40-50% delle emissioni di gas serra siano ormai da attribuire al settore edile contro il 25% dovuto ai trasporti e il restante 25% ascrivibile al settore industriale. È quindi nei luoghi in cui tali attività si concentrano – gli agglomerati urbani – che bisogna indirizzare gli sforzi congiunti a livello mondiale per realizzare le azioni di protezione e tutela dell'ambiente e del clima globale. Da questa consapevolezza è derivato il termine di "architettura sostenibile" che vuole rappresentare una nuova concettualizzazione dell'architettura rivista in coerenza con il pensiero di uno sviluppo sostenibile inteso come "meetings the need of the present without compromising the ability of the future generations to meet their own needs". Oggi, comunque, bisogna già rivedere l'approccio all'edilizia sostenibile che in passato era concentrato prevalentemente sugli aspetti ecologici per finalizzare gli sforzi sulle problematiche della conservazione dell'energia e della sostenibilità ambientale in tutte le fasi del processo edilizio per studiare e mettere a punto regole, criteri e tecnologie integrate nel rispetto dei più recenti documenti programmatici internazionali. Oltre alla problematica energetica, infatti, nei vari trattati transnazionali si evidenzia come i punti critici relativi alla "sostenibilità" implichino una attenzione particolare all'utilizzo razionale di altre fondamentali risorse per il pianeta quali acqua, materiali e suolo. I cinque principi cardine da utilizzare per la salvaguardia delle risorse ambientali sono dunque: - riusare; - rinnovare; - riciclare; - proteggere; - conservare. Il campo principale individuato per la messa in relazione di sistemi di produzione moderni ed efficienti con l'utilizzo sostenibile delle risorse è proprio quello dell'edilizia; ciò deve essere fatto nella progettazione dei nuovi edifici ma anche nell'adeguamento di quelli esistenti che rappresentano la stragrande maggioranza del patrimonio edilizio italiano ed europeo. Nel recupero degli edifici esistenti, che sono difficilmente adattabili ai nuovi canoni di progettazione, si deve comunque scegliere di intervenire utilizzando - ove possibile - sistemi di produzione di energie da fonte rinnovabile e al contempo contenendo i consumi con un efficientamento dell'involucro, dopo una attenta analisi delle prestazioni energetiche e dei caratteri tipologici dell'esistente (diagnosi energetica). L'originalità dell'approccio di ricerca presente nel volume riguarda essenzialmente il lavoro iniziale sulle tipologie edilizie esistenti nella regione Lazio, di analisi sullo stato dell'arte di sistemi e componenti preferibilmente prefabbricati e/o plug and play esistenti sul mercato internazionale e nazionale e sul loro livello di diffusione per seguire la logica oramai cogente del concetto di edilizia off-site con un particolare riferimento ai materiali di origine locale. Il risultato finale è stata quindi la redazione di linee guida funzionali alle attività dei tecnici di settore operanti sul territorio della regione Lazio al fine di supportare nel loro compito di valutare, progettare e seguire gli interventi di efficientamento energetico degli edifici. La scelta è stata orientata verso prodotti che garantiscano elevate performance sia energetiche che antisismiche e caratterizzati da idonei parametri prestazionali termo-fisici e di sicurezza strutturale che consentano inoltre di correlare la loro applicabilità alle diverse zone climatiche. A supporto delle analisi di cui sopra, nel volume sono riportati materiali e tecnologie desunte da alcune best practices del Progetto Enerselves, esemplificative dei sistemi standardizzati adottati per arrivare allo sviluppo uniformato di quegli elementi/sistemi/processi che necessitano di adeguamento ai nuovi requisiti prestazionali previsti dalle normative vigenti e che non risultano sufficientemente diffusi nell'ottica di standardizzazione del processo produttivo e realizzativo. L'applicazione di alcune di queste tipologie di intervento in due casi studio (residenziale e patrimonio pubblico) gestiti in logica BIM2 permette di valutarne l'efficacia nonché di apprezzare al contempo le potenzialità introducibili dalle logiche di digitalizzazione applicate al processo edilizio. Partendo quindi dalle tipologie costruttive selezionate e dall'individuazione dei nodi strutturali ad esse correlati gli autori hanno individuato, in funzione delle diverse componenti/partizioni, tempistiche e tecniche di montaggio dei singoli sistemi e componenti, fino ad arrivare all'individuazione di un abaco di elementi/moduli/tecnologie prefabbricati standard in grado di rispondere alle diverse esigenze climatiche, geometrico/dimensionali e tecnico/prestazionali che si possono riscontrare nella realtà costruttiva abitativa italiana.
2007/2008 ; L'utilizzo dello spazio per fini militari in situazioni di non conflittualità costituisce una componente poco analizzata della geografia militare. All'interno della geografia militare, è possibile individuare almeno tre ambiti tra loro strettamente interrelati. Un primo ambito, che potrebbe essere definito classico, è costituito dall'utilizzo delle conoscenze geografiche per la risoluzione di problematiche militari; un secondo approccio, più legato allo studio della geopolitica, si concretizza nella spazializzazione dei conflitti e delle attività militari; una terza componente prende invece maggiormente in considerazione gli effetti della presenza militare sul territorio. Questa presenza, che trova nelle basi la sua manifestazione più decisa, caratterizza in maniera decisa e determinante il territorio nella quale si sviluppa, influenzandone struttura economica, ambientale e sociale. La presenza militare dee quindi essere analizzata in una prospettiva transcalare nella quale motivazioni e dinamiche differenti si legano all'interno di un unico processo localizzativo. Le differenti scale alle quali si sviluppa la presenza militare rispondo a differenti esigenze e a diversi obiettivi. A scala globale la dislocazione delle basi militari all'estero, il processo di posizionamento globale, risponde ad esigenze politico/strategiche. La presenza di basi militari all'estero, pur essendo presente in ogni epoca storica, è una prerogativa del XX secolo, che trova fondamento nelle dinamiche coloniali. A partire dall'epoca coloniale, infatti, le basi militari all'estero hanno accostato ad esigenze e funzioni belliche, altre attività quali, ad esempio, il sostegno alle rotte commerciali. Il sostegno alle attività commerciali, il mantenimento di relazioni politico/diplomatiche, il controllo territoriale (reale e simbolico) hanno quindi accompagnato la localizzazione di basi militari all''estero. A partire dalla fine della guerra fredda, la presenza militare estera è diventata una prerogativa, pressochè esclusiva, degli Stati Uniti, le cui basi si estendono a scala globale. Le basi militari all'estero svolgono quindi un ruolo centrale, spesso poco evidenziato, all'interno della politica estera di un paese. L'analisi della distribuzione delle basi militari all'estero può quindi costituire una chiave di lettura per i principali accadimenti politico/diplomatici dei quali il posizionamento globale ne costituisce una componente e che spesso vengono proprio anticipati da una differente localizzazione delle basi all'estero. La presenza militare statunitense sta tuttavia facendo registrare fenomeni di opposizione da parte delle comunità locali, come nel caso esaminato dell'ampliamento/costruzione, della caserma Ederle a Vicenza. L'opposizione locale alla costruzione delle basi militari, che può essere ricompressa all'interno della categoria dei conflitti locali, presenta tuttavia delle caratteristiche proprie. La conflittualità per l'utilizzo dello spazio, particolarmente evidente in contesti ad elevata antropizzazione, ed i possibili impatti della presenza militare costituiscono infatti solo una parte delle ragioni che guidano la contrapposizione. I conflitti locali che si articolano in relazione alla presenza militare, infatti, hanno anche una componente ideologica che spesso si origina dalla fattispecie in esame per estendersi a tematiche più ampie e complesse. L'assenza di norme specifiche, la presenza di regime derogatorio connesso alle attività militari per molte delle norme urbanistiche ed ambientali, non vincola gli attori coinvolti al rispetto di norme procedurali ed al rispetto di procedimenti definiti e noti; le modalità attraverso le quali il processo decisionale viene sviluppato attengono infatti principalmente a comportamenti consuetudinari e le decisioni sono legate esclusivamente a scelte di carattere politico. Il coinvolgimento degli attori locali, anche istituzionali, all'interno del processo decisionale è, di fatto assente. Le istanze locali, nonostante il deciso peso che le basi hanno nelle dinamiche territoriali, possono essere quindi espresse solo attraverso movimenti di protesta che, in molti casi, si sviluppano solo a seguito della conclusione del processo decisionale. Lo stesso processo decisionale, inoltre, per la natura dell'oggetto e delle relazioni tra gli attori coinvolti, può essere difficilmente rinegoziabile. Gli accordi tra Stati Uniti ed Italia in tema di basi militari, in parte secretati, portano ad una negoziazione diretta tra vertici politici, non legata a specifiche procedure; una successiva negoziazione potrebbe quindi avere conseguenze anche nel complesso delle relazioni tra i due paesi. La centralità crescente dell'Italia nel quadro del posizionamento strategico degli Stati Uniti e la maggiore conflittualità che si associa alla costruzione di grandi opere, nonché il differente grado di accettazione delle popolazioni locali per presenze militari estere potrebbe quindi portare alla crescita di momenti di tensione circa nuove localizzazioni. La tesi si prefigge quindi l'obiettivo di evidenziare le motivazioni che portano alla costituzione del posizionamento strategico, le funzioni che si associano alla presenza militare estera e gli elementi che portano alla determinazione del sito cercando quindi di individuare le cause della centralità dei differenti territori; allo stesso tempo l'impatto locale della presenza e la possibile percezione che ne hanno le comunità locali fornirà una lettura delle cause della loro possibile opposizione. Dopo aver introdotto il tema della geografia militare nelle sue differenti articolazioni, ed aver evidenziato il ruolo delle basi come possibile riflesso dell'intera presenza militare estera, l'analisi si svolgerà, in una prima fase, a scala locale. Il posizionamento strategico degli Stati Uniti all'estero verrà quindi ripercorso, seguendo la sua evoluzione storica, al fine di evidenziarne le principali motivazioni e caratteristiche. Le molteplici funzioni che vengono associate alle basi militari, le relazioni internazionali e le tecnologie belliche portano infatti ad una spazialità delle basi militari in continua evoluzione. Le differenti regioni, ed in particolar modo l'Europa, hanno quindi avuto un ruolo differente all'interno del quadro strategico derivante sia da motivazioni interne agli Stati Uniti, da scelte dei propri vertici politici, che dalle motivazioni di contesto internazionale. Particolare attenzione verrà inoltre destinata al caso italiano evidenziando le peculiarità, anche normative, delle relazioni tra Italia e Stati Uniti in termini di basi, l'eccezionalità dell'accettazione della presenza militare estera sul proprio territorio da parte della popolazione italiana e le caratteristiche di questa presenza. L'analisi si sposterà quindi a scala locale evidenziando i possibili effetti della presenza militare in un territorio attraverso una classificazione delle principali conseguenze che una base può avere sul territorio dove viene sviluppata. Allo stesso tempo si evidenzieranno le possibili criticità che emergono dal processo di dismissione dei siti miliari e le possibili forme di utilizzo a fini civili. Il caso studio sulla presenza militare statunitense nella città di Vicenza, ed il processo di ampliamento/costruzione che la sta interessando, consentono di riflettere in generale sulle tematiche relative alla presenza militare all'estero emerse nel corso dell'intero lavoro. Quanto sta accadendo nel territorio vicentino costituisce infatti un caso paradigmatico della presenza militare estera in un territorio sviluppato ed antropizzato, delle cause di opposizione da parte delle comunità locali e della loro percezione degli effetti della presenza militare. Il caso studio è quindi anche l'occasione per riflettere circa le possibili evoluzioni del processo decisionale e dei criteri di scelta localizzativa al fine di ridurre le possibili frizioni tra basi militari e comunità locali. ; XXI
Background: Trihalomethanes (THMs) are widespread disinfection by-products (DBPs) in drinking water, and long-term exposure has been consistently associated with increased bladder cancer risk. Objective: We assessed THM levels in drinking water in the European Union as a marker of DBP exposure and estimated the attributable burden of bladder cancer. Methods: We collected recent annual mean THM levels in municipal drinking water in 28 European countries (EU28) from routine monitoring records. We estimated a linear exposure-response function for average residential THM levels and bladder cancer by pooling data from studies included in the largest international pooled analysis published to date in order to estimate odds ratios (ORs) for bladder cancer associated with the mean THM level in each country (relative to no exposure), population-attributable fraction (PAF), and number of attributable bladder cancer cases in different scenarios using incidence rates and population from the Global Burden of Disease study of 2016. Results: We obtained 2005-2018 THM data from EU26, covering 75% of the population. Data coverage and accuracy were heterogeneous among countries. The estimated population-weighted mean THM level was 11.7 μg/L [standard deviation (SD) of 11.2]. The estimated bladder cancer PAF was 4.9% [95% confidence interval (CI): 2.5, 7.1] overall (range: 0-23%), accounting for 6,561 (95% CI: 3,389, 9,537) bladder cancer cases per year. Denmark and the Netherlands had the lowest PAF (0.0% each), while Cyprus (23.2%), Malta (17.9%), and Ireland (17.2%) had the highest among EU26. In the scenario where no country would exceed the current EU mean, 2,868 (95% CI: 1,522, 4,060; 43%) annual attributable bladder cancer cases could potentially be avoided. Discussion: Efforts have been made to reduce THM levels in the European Union. However, assuming a causal association, current levels in certain countries still could lead to a considerable burden of bladder cancer that could potentially be avoided by optimizing water treatment, disinfection, and distribution practices, among other possible measures. https://doi.org/10.1289/EHP4495. ; This work was funded by the EU Seventh Framework Programme EXPOsOMICS Project (grant agreement no. 308610), Human Genetics Foundation agreement 17-080 ISG, and CIBER Epidemiología y Salud Pública (CIBERESP). ISGlobal is a member of the Centres de Recerca de Catalunya (CERCA) Programme, Generalitat de Catalunya. We would like to thank the members of the European Programme for Intervention Epidemiology Training (EPIET) Alumni Network (EAN) for their assistance in identifying appropriate national focal points in specific countries. We would also like to thank the people from the national and local authorities and universities for the provision of THM data: Sofie Dewaele (Leefmilieu Brussel-BIM/Bruxelles Environnement–IBGE Afd. Inspectie en verontreinigde bodems, Dpt. Geïntegreerde controles, Brussels, Belgium), Steven Vanderwaeren (Team Watervoorziening-en gebruik, Vlaamse Milieumaatschappij, Afdeling Operationeel Waterbeheer, Brussels, Belgium), Jurica Štiglić (Croatian National Institute of Public Health, Zagreb, Croatia), Outi Zacheus (National Institute for Health and Welfare, Kuopio, Finland), Carmelo Massimo Maida (University of Palermo, Italy), Anna Norata (Agenzia di Tutela della Salute Citta' Metropolitana Milano, Italy), Marco Chiesa (Agenzia di Tutela della Salute della Val Padana-Sede Territoriale di Mantova, Italy), Vincenzo Clasadonte (Agenzia di Tutela della Salute della Val Padana-Sede Territoriale Cremona, Italy), Emilia Guberti (Local Health Authority, Bologna, Italy), Cinzia Govoni (Local Health Authority, Ferrara, Italy), Paolo Pagliai (Local Health Authority Romagna, Italy), Daniela de Vita (Local Health Authority, Reggio Emilia, Italy), Danila Tortorici (Regional Health and Social Agency, Emilia Romagna, Italy), Marco Schintu (University of Cagliari, Italy), Paolo Montuori (University of Napoli Federico II, Italy), Audrius Dedele (Department of Environmental Sciences, Faculty of Natural Sciences, Vytautas Magnus University, Kaunas, Lithuania), Stefan Cachia (Water Services Corporation, Malta), Roel C.H. Vermuelen (Institute of Risk Assessment Sciences, Utrecht University, Utrecht, the Netherlands), the Chief Sanitary Inspectorate (Poland), Luís Simas (Water Quality Department, Entidade Reguladora, Dos Serviços De Águas e Resíduos, Lisboa, Portugal), and Christina Forslund (Food Control Department, National Food Agency, Uppsala, Sweden). Finally, we would like to thank Charles F. Lynch (University of Iowa, USA), Sylvaine Cordier (Université de Rennes, Inserm, École des hautes études en santé Publique (EHESP), Rennes, France), Will D. King (Queen's University, Kingston, Ontario, Canada), and Kenneth P. Cantor (National Cancer Institute, National Institutes of Health, Bethesda, USA) for allowing us to use the dose–exposure data from their study. We are grateful to Xavier Basagaña (ISGlobal) for statistical assistance.
Il paesaggio forestale è al centro delle politiche europee di salvaguardia dell'ambiente e della biodiversità, in quanto contribuisce allo sviluppo sostenibile e al contrasto dei cambiamenti climatici. Ciò è riconducibile ai servizi ecosistemici che il suo capitale naturale fornisce alla società. La ricerca si dedica perciò all'individuazione dei principali fattori di rischio per la conservazione di questi ambienti sia a scala globale, ma anche soprattutto a scala locale dove si può constatare come specifici ecosistemi siano legati a forme storiche di paesaggio. Molti ambienti forestali del vecchio continente, infatti, si sono coevoluti con l'uomo, rispondendo a innumerevoli funzioni, ma tramandando, grazie alla loro resilienza paesaggistica, peculiari connotati identitari dei luoghi. Un caso emblematico di tutto ciò è lo storico paesaggio laurentino dell'Ager Laurens, tra Roma e il mare, conservatosi all'interno della Tenuta presidenziale di Castelporziano e assediato dalla città che vi si è sviluppata intorno. Studiare la storia e l'evoluzione paesaggistica dell'area, consentendo di attestare la resilienza di queste foreste negli ultimi tremila anni, grazie a fonti storiche e cartografiche che affondano le proprie radici nella mitologia classica, è stato il presupposto per affermare la necessità di interventi volti alla sua conservazione, in linea con gli obiettivi sanciti dai Presidenti della Repubblica nel 1999 e rinnovati nel 2020. A tal fine è stato condotto, per due anni e in una rete permanente, il monitoraggio dei fenomeni di rinnovazione naturale del querceto planiziale di caducifoglie, una delle componenti naturalistiche di maggior pregio e allo stesso tempo più minacciata nell'ambito costiero mediterraneo, ancor più se periurbano. Strumento fondamentale di approfondimento è stata inoltre la raccolta e l'analisi di dati storici presenti e quelli delle serie storiche meteo-climatiche. Dalle analisi dei dati è emerso uno stato di conservazione critico per il querceto, sia nella senescenza degli individui adulti che nella quasi assenza di rinnovazione naturale che sopravvive al secondo-terzo anno. Ciò è correlato in primo luogo alla numerosità della fauna selvatica, seguita dall'elevata densità della copertura arborea e infine al maggiore stress idrico e richiede interventi di gestione sostenibile integrata più incisivi e costanti nel tempo. ; The forest landscape is at the centre of European policies related to the protection of the environment and biodiversity, as it contributes to sustainable development and the fight against climate change. This is due to the ecosystem services that its natural capital provides to society. The aim of the research is to identify the main risk factors for the protection of the natural environments on a global scale and, above all, on a local scale where it can be seen how specific ecosystems are linked to historical landscape. Many forest environments of the old continent have undoubtedly co-evolved with man, responding to countless functions but simultaneously, thanks to their landscape resilience, handing down peculiar identity-related connotations of the places. A case in point is that of the historic Laurentian landscape of Ager Laurens, between Rome and the sea, preserved within the presidential estate of Castelporziano and under threat by the city that has developed around it. Studying the history and landscape evolution of the area, that has made it possible to attest the resilience of these forests over the last three thousand years, and thanks to historical and cartographic sources, which have their roots in classical mythology, was the prerequisite for affirming the need for interventions aimed at its conservation, in line with the objectives established by the Presidents of the Republic in 1999 and renewed in 2020. For that purpose, during two years and in a permanent network, was conducted the monitoring of the phenomena of natural renewal of the planitial deciduous oak forest, one of the most valuable naturalistic components and at the same time most threatened in the Mediterranean coastal area, even more if peri-urban. Furthermore, essential analyzing and study tools was the collection and analysis of historical data and climatic series. The analysis shows that the oak forest face a critical conservation status, both on the senescence of adult individuals and the almost total absence of natural renewal that survives the second-third year. This is attributable firstly to the abundance of wildlife, followed by the high density of the tree cover and finally to the greater water stress and requires more incisive and constant integrated sustainable management interventions over time. ; El paisaje forestal está en el centro de las políticas europeas de protección del medio ambiente y la biodiversidad, ya que contribuye al desarrollo sostenible y a la lucha contra el cambio climático. Esto se debe a los servicios ecosistémicos que su capital natural ofrece a la sociedad. La investigación, por tanto, se dedica a identificar los principales factores de riesgo para la conservación de estos entornos tanto a escala global, como a escala local, donde se puede ver cómo los ecosistemas específicos están vinculados a formas históricas de paisaje. De hecho, muchos ambientes forestales del viejo continente han co-evolucionado con los seres humanos, respondiendo a innumerables funciones y transmitiendo, gracias a su resiliencia paisajística, características peculiares identificativas de los lugares. Un caso emblemático es el histórico paisaje laurentino de los ager laurens, entre Roma y el mar, conservado dentro de la finca presidencial de Castelporziano y asediado por la ciudad que se ha desarrollado a su alrededor. Estudiar la historia y la evolución paisajística de la zona, que permita atestiguar la resiliencia de estos bosques durante los últimos tres mil años, gracias a fuentes históricas y cartográficas que tienen sus raíces en la mitología clásica, fue el requisito previo para afirmar la necesidad de intervenciones destinadas a su conservación, en línea con los objetivos establecidos por los Presidentes de la República en 1999 y renovados en 2020. Para ello, durante dos años y en una red permanente, se llevó a cabo el seguimiento de los fenómenos de renovación natural del robledal caducifolio llano, uno de los componentes naturalistas más valiosos y a la vez más amenazado del litoral mediterráneo, aún más si es periurbano. Una herramienta fundamental para el análisis fue la recopilación y análisis de los datos históricos y meteorológicos. Del análisis de los datos surgió un estado de conservación crítico para el robledal, tanto en la senescencia de los individuos adultos como en la casi ausencia de renovación natural que sobrevive al segundo-tercer año. Esto es atribuible en primer lugar a la abundancia de vida silvestre, seguida de la alta densidad de la cobertura arbórea y finalmente al mayor estrés hídrico que requiere intervenciones de manejo sustentable integrado más incisivas y constantes en el tiempo.
Le relazioni tra gli Stati Uniti d'America e la Repubblica Islamica dell'Iran hanno infiammato la scena della politica internazionale degli ultimi anni. Sono ancora fresche le parole dichiarate dal presidente Bush nel 2002 che includeva l'Iran nel famigerato "Asse del male", mentre il Dipartimento di Stato americano classifica lo stato dell'Iran al primo posto nella lista dei paesi sostenitori del terrorismo a partire dai primi anni ottanta del XX secolo1. A dieci mila chilometri di distanza da Washington, a Teheran, città in cui i poster dell'ayatollah Khomeini si trovano ad ogni angolo di strada, echeggia ancora l'attacco del leader spirituale della rivoluzione che definiva gli USA come il "Grande Satana, il nemico numero uno dei popoli oppressi, che succhia il sangue dei popoli indifesi". E mentre i media occidentali da qualche anno considerano probabile l'ipotesi della preparazione di un piano di attacco militare americano nei confronti dell'Iran come reazione al suo programma nucleare, niente meno che davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente iraniano Ahmedinejad tuonava nel 2012 dichiarando al mondo che "nessuno può farci prediche sul nucleare"2. Indubbiamente si tratta di un antagonismo tra due stati che hanno un enorme peso politico ed economico nell'arena mondiale. Degli Stati Uniti d'America e del suo ruolo di superpotenza globale ormai si conosce quasi tutto. Nei giorni nostri gli USA si trovano in una situazione politica ed economica che, di fatto, garantisce a loro il ruolo di assoluta superpotenza mondiale. Tale posizione risulta rafforzata negli ultimi anni, e viene giustificata da molti fattori, tra i quali la posizione di paese vittorioso nelle due guerre mondiali, il ruolo di leader del blocco occidentale durante la Guerra Fredda, l'espansione dopo la caduta del Muro di Berlino e lo scioglimento dell'URSS con successiva sparizione della ex- superpotenza in contrasto costante con gli USA. Per capire il peso e l'importanza degli Stati Uniti d'America, basterebbe prendere in considerazione due dati; quelli economici e militari. L'economia degli USA si considera la più grande economia statale del pianeta in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL). Il PIL degli Stati Uniti nel gennaio del 2014 era pari a 15.684,80 miliardi di dollari americani, rappresentando così più di un quarto dell'intera economia globale, (esattamente il 25.30 percento3) pari a circa la somma totale del PIL combinato di tutti i paesi dell'Unione Europea. Mentre il budget americano dedicato alle spese militari nel 2013 era pari a 612,50 miliardi di dollari, considerato un budget tanto grande quanto l'intera somma delle spese militari affrontata da tutti gli altri stati del mondo messi insieme4. Il peso politico degli USA si riflette anche nel ruolo determinante che svolgono all'interno delle istituzioni internazionali. Forti del loro status di superpotenza, gli USA svolgono il ruolo di leader nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, in qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Hanno una stimata posizione all'interno dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OSCE), sono il principale contribuente della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale5, e partecipano in tantissime altre organizzazioni internazionali. Nella loro politica estera storicamente gli Stati Uniti guidano il blocco dei paesi occidentali, hanno come alleati i più importanti stati dell'Europa, avendo una relazione speciale con la Gran Bretagna, ma l'influenza americana si sente in tutto il globo, inclusi i paesi in via di sviluppo. La leadership statunitense viene difesa e alimentata dall'incredibile potenza militare. Gli USA guidano attualmente l'alleanza nordatlantica dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (NATO) ed hanno una presenza militare in quasi tutte le parti del globo. La loro capacità militare è stata continuamente dimostrata in vari conflitti globali, tra i quali l'intervento nell'ex - Yugoslavia, le guerre contro Saddam in Iraq e il recente conflitto in Afganistan. Dall'altro lato, anche l'Iran si profila come uno stato molto importante, ma che si trova in una situazione del tutto diversa. Si tratta indubbiamente di un paese con una storia antica e gloriosa, ma che nei giorni nostri si colloca in una posizione internazionale alquanto difficile e isolata. L'Iran possiede grandi risorse energetiche di petrolio e di gas, risorse che lo mettono al centro d'interessi economici globali, anche in considerazione del fatto che l'Iran è uno degli stati membri dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC). Tuttavia queste risorse energetiche, che hanno contribuito per anni al mantenimento dell'economia interna, sono la fonte quasi esclusiva di entrate per l'economia del paese, la quale non è stata mai in grado di svilupparsi adeguatamente anche in settori alternativi. L'Iran è un paese con alcune particolarità, un paese che fa parte del Medio Oriente ma che da questo differisce in quanto persiano e non arabo; islamico sì, ma non sunnita come la maggioranza dei mussulmani, ma bensì sciita; legato alla civiltà occidentale ma comunque orgoglioso della propria cultura. Come afferma Riccardo Redaelli; "L'Iran è sempre imprevedibile. In positivo e in negativo, si tratta di un paese e di un popolo che hanno la capacità di stupire storici, analisti e semplici appassionati di quella cultura"6. La sua posizione politica di peso in Medio Oriente è riconosciuta da tutti, anche in considerazione del fatto che è l'unico paese nel Golfo Persico in cui domina l'islam sciita, esercitando così una influenza notevole su quasi un quarto della popolazione musulmana. Dalla rivoluzione islamica del 1979 ad oggi, l'Iran si trova in una posizione di estremo antagonismo politico con gli USA e in rapporti difficili non solo con l'Europa e l'Occidente, ma anche con gli stessi paesi arabi limitrofi. L'Iran ha combattuto una guerra lunga e sanguinosa con l'Iraq, ha rapporti tesi con l'Arabia Saudita, e sicuramente viene considerata una serie minaccia da parte di Israele. Tuttavia in politica estera il paese ha cercato di trovare partner alternativi, stringendo nuove relazioni con Russia, la Cina, la Turchia e l'India. L'Iran ha discreti rapporti economici con alcuni paesi dell'Unione Europea, soprattutto con Italia e Germania. Nonostante questo, in precedenza gli USA e l'Iran per molti anni hanno avuto delle ottime relazioni politiche. Prima della rivoluzione islamica del 1979 l'Iran era considerato uno dei migliori alleati degli USA uno dei pilastri della politica americana in Medio Oriente, al quale erano riservati ingenti e continui aiuti economici e forniture militari da parte di Washington. Durante il regno dell'ultimo Scià della dinastia Pahlavi, Mohammad Reza, a Washington e Teheran atterravano aerei presidenziali con a bordo i leader dei due paesi. Dal 1979, invece, le relazioni diplomatiche si sono del tutto interrotte e la politica tra i due paesi è diventata infuocata. Lo scopo di questa tesi, è quello di riuscire a sintetizzare un'analisi completa dei rapporti tra USA e Iran, attraverso uno studio storico e politico delle situazioni che si sono verificate sopratutto dalla seconda metà del XX secolo, sino ai giorni nostri. Naturalmente, una tale analisi non può concentrarsi esclusivamente sui meri rapporti bilaterali tra questi Stati, ma deve includere nelle sue considerazioni anche l'esame dettagliato di altri fattori rilevanti e complementari. Tra questi fattori si possono annoverare lo sviluppo della politica estera americana nel globo ed in particolare nel Medio Oriente, il rapporto dei due paesi con gli stati arabi e le altre "potenze" del mondo, il fattore Israele, il peso economico del petrolio e le risorse energetiche dell'Iran nel mercato globale nonché aspetti legati alla religione e alle differenze culturali.